LA VITA CHE VORREI
Alle prime
luci dell’alba Liza era già in piedi, seduta nei pressi della piccola finestra
del piccolo salotto, del piccolo paese in cui viveva.
Un’altra
notte insonne.
Tra
pochissimo la sveglia, suonando, avrebbe sancito l’inizio dell’ennesima
giornata identica alle precedenti.
Liza
lavorava in un negozio antico del centro, dove potevi davvero trovare di tutto.
Il problema fondamentalmente era proprio quello: c’era di tutto, da tempo
immemore. Mille oggetti diversi che a nessuna persona sana di mente verrebbe in
mente di comprare ma che, sorprendentemente, riscuoteva non poco successo tra i
turisti che periodicamente affollavano le viuzze del paese rendendo la vita ancora
più difficile. Naturalmente ciò significava anche dover pulire quotidianamente
ogni singolo ripiano: spolverare, disinfettare, lavare a terra…tutto, pur di
attenuare quel misto tra profumo di casa e puzza di muffa.
La sveglia
suonò, puntuale come sempre. Erano le 07:30. Liza aveva ancora tra le mani
quella che era stata una tazza fumante di latte e cacao. La ragazza si era
nuovamente persa tra i suoi mille sogni: un luogo diverso, una vita diversa.
Che bello sarebbe stato! Ma ciò comportava anche un enorme coraggio, bagaglio
di cui lei era sprovvista.
Anche il
cellulare iniziò a suonare. Erano i mille messaggi, delle mille chat di
whatsapp. Ogni squillo corrispondeva ad un buongiorno. Liza informò il mondo di
essere sveglia e corse a prepararsi.
Passare la
notte insonne e la mattina essere comunque in ritardo: un vero cliché.
In bagno
Liza osservava i suoi occhi verdi, il naso aquilino e i capelli arruffati e
immaginò un mondo in cui, appena sveglia, sarebbe stata perfetta. Nessuna folta
chioma da domare, nessuna occhiaia, amica dei momenti di sconforto, da coprire.
Liza si definiva
spesso una persona ansiosa. Il cuore le iniziava a battere forte, le gambe a
tremare et voilà, il sonno magicamente veniva meno.
Cappello,
sciarpa e guanti e la ragazza fu finalmente pronta.
“Ciao bella!”
La salutò come sempre Germano, il suo barista di fiducia.
“Buongiorno”
rispose frettolosamente Liza. Ormai stava correndo, era in ritardo. Come sempre,
nella vita.
Aprì la
porticina in legno e accese le luci.
“Etciù”
Uno
starnuto. Il primo della giornata. “Maledetta allergia. Maledetta polvere”
sussurrò a se stessa.
I LIVED
degli One republic risuonò nell’aria. Aveva sentito per la prima volta quella
canzone durante l’ultima puntata di Glee, telefilm che aveva amato e odiato a
periodi alterni. Liza aveva cercato la traduzione su Google e ricevuto l’ennesimo
colpo al cuore.
“Spero che
quando il momento verrà tu dirai:
Io ho fatto
tutto
Ho posseduto
ogni singolo secondo
Che il mondo
poteva donarmi
Ho visto
così tanti luoghi
Le cose che
ho fatto
Si, le ossa
rotte sono valse la pena
Giuro che ho
vissuto”
Liza si
ritrovò così a chiedere a se stessa se stava davvero vivendo o se la sua fosse
solo semplice sopravvivenza, accontentandosi di quello che la vita le aveva
donato, quasi magicamente, senza cercare di andare oltre.
La canzone
era diventata la sua suoneria cosicché, ad ogni telefonata, lei avrebbe
ricordato a Se stessa si meritare di più.
“Pronto”
“Ciao amore”
disse una voce allegramente. Era lui. Vincenzo.
Vincenzo era
un militare. A 1000Km di distanza cercava anch’egli di dare un senso alla
propria vita. Tornava ogni mese e mezzo, sconvolgeva la vita di Liza con
giornate piene e divertenti e nottate intense e passionali, e ritornava in
caserma lasciando un vuoto a forma di lui nel cuore della ragazza.
“Sei a
lavoro?” chiese Vincenzo.
“Come sempre”
“Devi
lasciare quel posto, te lo dico da una vita” Da una vita. Perché Liza e Vincenzo
avevano capito di essere fatti l’uno per l’altra da quasi dieci anni. A 18 anni
i due erano diventati amici quasi per caso. Un bacio, un solo bacio, e avevano capito.
Da quel giorno divennero inseparabili…per circa sei anni. Poi anche lui capì
che non sarebbe mai stato felice se avesse fatto il cameriere per tutta la
vita. Voleva di più.
In un paio
di mesi aveva rivoluzionato la sua vita ed era partito. Un anno nel Lazio, due
In Sardegna. Posto bellissimo ma lontano, troppo lontano per r tornare ogni
qualvolta ne avesse avuto voglia.
“Non è
semplice lasciare questo posto” Rispose Liza. Tra lei e “LA bottega” c’era un
legame indissolubile, un filo trasparente che le teneva legate. Amava quel
posto che era Suo. Suo nel vero senso della parola. Aperto dai nonni materni, era poi passato ai
suoi genitori e infine a lei. A proposito di genitori: Giovanni e Antonella
erano in vacanza. In crociera. 7 giorni in completo relax e Francesca, sorella
minore di Liza, ne approfittava per passare le notti dal fidanzato. Almeno lei
poteva.
Liza non
aveva mai avuto tanti amici, fin da piccola si sentiva diversa. Aveva letto “Piccole
donne” quando le sue compagne di scuola spendevano la paghetta settimanale comprando
i “CIOE’” e aveva dato il primo bacio a 15 anni, quando ormai buona parte di
quelle stesse ragazze aveva già avuto più di un rapporto completo.
Considerava
Francesca, di poco più piccola di lei, una sorta di guida. Era più bella, più
sicura e sembrava sapere sempre, in ogni circostanza, quale fosse la cosa giusta
da dire. A Liza, naturalmente, veniva in mente sempre troppo tardi, e poi
passava il resto del tempo a rimuginarci sopra.
“Lo so
tesoro, continuò Vincenzo, voglio solo che tu sia felice”.
“E lo sono”.
Ed era vero. Almeno per la maggior parte del tempo.
“E lo
studio?”
Terribile,
terribile domanda.
Come ogni
matricola che si rispetti, aveva iniziato l’anno accademico con passione e
volontà per poi andare spegnendosi sempre di più. Ogni esame sembrava un
ostacolo insormontabile e aveva attraversato un momento di stallo. Momento del
quale si era sì, ripresa, ma non era semplice recuperare non solo fiducia in se
stessa anche il tempo perso.
“Va” fu la
risposta.
“Io credo in
te, amore mio” Disse Vincenzo prima di attaccare.
Ed io? Pensò
Liza. Credo in me stessa?
Era davvero tanto, tanto tempo che
non scrivevo. La vita corre, sembra di non avere mai tempo da dedicare a noi
stessi ma dobbiamo lottare per vivere una vita che sia NOSTRA nel vero senso della parola. Penso che la storia
Parlerà sostanzialmente di questo. Di come crescere da un lato può far paura,
ma dall’altro sentiamo forte l’esigenza di evolverci perché vogliamo di più. Grazie
a chi leggerà e a chi commenterà. Siate clementi J
Daniela