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Autore: Panenutella    03/12/2016    0 recensioni
Sara Vitali è una che scappa: ha lasciato l'Italia, ha cambiato cognome e numero di telefono pur di sfuggire al suo stalker, e si è nascosta a Belfast nella speranza che lui non la trovi mai. Non si fida di nessuno e sente il disperato bisogno di sentirsi al sicuro, protetta e non più sola. E' in questo stato che una sera in un anonimo bar incontra Kit Harington, appena uscito dalla sua relazione con Rose Leslie e nel pieno delle riprese del Trono di Spade. Sara non pensa che da quell'incontro possa cambiare qualcosa, ma scoprirà presto di sbagliarsi.
Nota: il primo capitolo è identico alla prima parte della mia One-Shot "Two stories in the night". Se siete curiosi di leggere anche la seconda, fateci un salto! Grazie in anticipo a chi leggerà.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kit Harington, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Trouble Is a Friend
 
So don’t be alarmed
If it takes you by the arm
I won’t let him win
But I’m a sucker for his charm,
Trouble is a friend, yeah
Trouble is a friend of mine.
- Lenka
 
***
Kit
 
Un sottile raggio di sole filtra tra le tende, e accanto a me Fawny sta ancora dormendo.
Io sono seduto sopra le coperte col Mac sulle gambe, in cerca di una valida alternativa alla pesca che avevo in programma per oggi: secondo i migliori siti di naturalistica i banchi di pesci sono scarsi quest’anno e non credo che ci divertiremmo ad aspettare e non fare niente tutto il giorno.
Gli animali preferiti di Sara sono le balene. Secondo lo stesso sito ci sono degli ottimi punti d’osservazione al largo della città.
Mi sembra un’idea abbastanza buona.
Poi prenoterò un tavolo al VOX, uno dei ristoranti più romantici di Reykjavik: eccellente pesce e cucina tradizionale, valutazioni massime in tutte le categorie, non troppo affollato, ottimo fornimento di vini. Quello a cui ho sempre puntato per un primo appuntamento come Dio comanda.
Mi viene da ridere: ci frequentiamo da tre mesi e ancora non l’ho seriamente invitata a uscire con me. Lavorare e vivere insieme non vale.
Non so perché. Forse perché la nostra storia è al sicuro tra le mura di casa mia, nonostante i dettagli che mi sono lasciato sfuggire in un paio di interviste, immediatamente repressi. È protetta. Uscire per un appuntamento significherebbe con ogni probabilità venire beccati da fan o paparazzi, con foto e tanti saluti alla sua privacy. Ormai a me non fa più effetto, ma potrebbe agitarla. Però sento che un appuntamento renderebbe ufficiale la nostra relazione. Le ho chiesto di essere la mia ragazza pochi giorni fa, senza essere usciti neanche una volta. Un gesto imperdonabile, per la mia indole romantica.
Un leggero movimento accanto a me richiama la mia attenzione, facendomi voltare verso l’altra metà del letto. Fawny è sveglia, e mi guarda con quei suoi occhioni da cerbiatta. Toh, è sorta la luna.
- Buongiorno – sorrido.
- Ciao! – Si stiracchia. – Come mai già sveglio?
- Stavo controllando delle cose per oggi. – Chiudo il Mac e lo poso sul comodino alla mia destra. – Dovremo cambiare i piani, purtroppo.
- Cioè?
- I banchi di pesci sono troppo scarsi e sconsigliano la pesca.
Sembra dispiaciuta, ma dopo un momento sorride apertamente: - Beh, è un peccato, ma tanto non so pescare! È più probabile che i pesci peschino me, del tipo… il pesce corre via, e io vengo trascinata sott’acqua attaccata alla canna da pesca.
Scoppio a ridere. – E io non sono da meno.
- Saremmo una coppia di pescatori sfigati, coi pesci che ci prendono a schiaffi e tornano in acqua.
- Già, pessima idea. Non so perché mi sia venuto in mente. Pescare fa molto coppia vicina ai cinquant’anni di matrimonio.
- Dovremmo provare qualche volta. Deve essere divertente – mi strizza l’occhio. – Quindi… che facciamo oggi? Potremmo anche restare chiusi in camera a guardare film e mangiare schifezze sotto le coperte.
- Nah. Ti ho promesso un appuntamento, e voglio farlo per bene.
Ride. – Devo avere paura?
Mi butto sopra di lei e la bacio intensamente. – Decidi tu.
 
Dopo l’amore e la colazione, siamo pronti a uscire. Entrambi in abbigliamento casual in jeans. Lei ha un maglione bianco a motivo norvegese e un cappello bianco sui capelli ramati. Io indosso un maglione e una giacca di velluto pesante. Le ho detto di portarsi l’occorrente per trascorrere l’intera giornata e la sera fuori, e lei ha raccolto tutto dentro uno zainetto. Io ho un borsone.
Altro che Louis Vuitton.
Stiamo per uscire dal portone dell’albergo, quando un capannello di persone attira la mia attenzione.
- Aspetta. – La fermo posandole una mano sul polso. Appena le ragazze fuori intravedono movimento cominciano a sporgersi per guardare, sorridere e lanciare gridolini eccitati tirando il cellulare fuori dalla tasca.
Merda.
Fan.
Guardo Sara, anche lei intenta a osservare l’esterno con aria perplessa.
- Sono fan. Scusami, Fawny. Se vuoi possiamo tornare in camera.
Lei si volta verso di me, e con un sorriso prende gli occhiali da sole e li indossa. Poi intreccia le dita alle mie, e mi conduce verso la porta.
Usciamo così, mano nella mano.
I fan fuori si mettono a urlare e alzano i telefoni per scattarci delle foto e riprenderci.
La sento tesa come una corda di violino, ma continua a tenermi ostinatamente la mano.
Anche se vorrei tirare dritto e lasciare questa folla dietro di noi, lei si volta verso delle tredicenni che mi chiamano a gran voce e si ferma da loro, lasciandomi la mano solo quando prendo il cellulare di una di loro e mi avvicino per farmi un selfie. Come al solito: selfie, autografi, selfie, autografi.
Mentre vengo sommerso da foto, cellulari e battute su “Tu non sai niente, Jon Snow”, Fawny sta in disparte lontana dagli obiettivi, ad aspettarmi.
Mi libero di tutti loro al più presto, preoccupato perché presto in rete gireranno foto di noi due insieme, e mettendole una mano sulla schiena la conduco verso la mia macchina. La mia guarda del corpo Stephan, spuntato al momento giusto come sempre, è impegnato a tenere a bada i fan in modo che non ci seguano.
Le apro la portiera e lei si fionda dentro, poi faccio il giro della macchina e mi metto alla guida.
Al primo semaforo rosso che incontriamo mi volto verso di lei. Si è tolta gli occhiali da sole e guarda silenziosa fuori dal finestrino.
- Tutto a posto?
- Certo. – Risponde. – Sapevo che prima o poi sarebbe successo, per cui non c’è niente di male.
Sospiro. – Mi dispiace, Fawny.
Si volta a guardarmi. – Di cosa?
- Di avere la vita che ho. A me non dispiace, faccio quello che amo, ma per te è dura. Forse troppo.
- Non avrai paura che io ti lasci perché ogni tanto vieni assalito da un fan per dei selfie.
Scuoto la testa. – Per quello, perché non avrò mai un briciolo di privacy, perché odi essere al centro dell’attenzione e perché non sto mai fermo in un posto. Io credo in te, ma ho paura che tu non ce la faccia.
- Kit, conosco i miei limiti. Se questo dovesse diventare troppo per me allora te lo farò sapere, perciò non provare neanche a farti delle seghe mentali al riguardo. Io me ne faccio abbastanza per entrambi. E adesso parti, che è verde.
 
Il sole fra capolino di tanto in tanto fra le nuvole, come giocasse a nascondino. Sulla grande barca prestatami da David siamo soltanto noi due, in mezzo al mare, e le onde ci fanno oscillare come in una culla. La terra, lontana da noi, sembra solo un filo di spago verde posato su questo oceano di blu.
Il silenzio è interrotto solo dallo sciabordio delle onde sullo scafo della barca. Siamo qui da quasi due ore, ma delle balene ancora nessuna traccia.
Fawny è fra le mie braccia, appoggiata al bordo dello scafo, e guardiamo insieme il mare.
- A proposito, Pinna mi ha chiesto di darti questo. – Estrae dalla tasca della giacca un foglietto di carta ripiegato.
- Chi sarebbe Pinna? – Chiedo prendendolo in mano.
- Il mio migliore amico e il mio partner di danza. Ci siamo ritrovati a Genova, al processo… non ci siamo visti per anni e, a dirla tutta, pensavo di averlo perso. Mi ha detto di darti questo, voleva che lo leggessi.
Lo apro. La grafia all’interno è ordinata, inclinata verso destra, tondeggiante, e l’inglese è perfetto.
Salve Kit.
So che sei un attore famoso e stimato e che, probabilmente, hai la fedina penale pulita. Sara non fa altro che parlare di te e ti è molto affezionata. Ti ringrazio per tutto quello che fai per lei.
Però ti avverto: se tu la fai soffrire, io ti taglio le palle.
Con affetto,
Andrea Pinnarotti
P.S: Jon Snow è PERFETTO”.
- L’hai letto? – Le chiedo. Scuote la testa.
- Mi ha chiesto di non farlo.
- E tu non lo hai fatto?
- No!
Rido. – Sei l’unica persona che mantiene la parola su queste cose.
Mi spinge con un sorriso, poi mi abbraccia.
- Questo Pinna… è molto alto?
- Altissimo.
- E muscoloso?
Annuisce. – Picchia forte. – Si volta verso di me. – Perché?
Alzo le spalle. – Così.
Torna a sporgersi dallo scafo. Avverto un fortissimo legame tra lei e questo fantomatico partner di danza. Un’irrazionale gelosia inizia a pulsarmi nelle tempie. Sono soltanto migliori amici? L’affetto che noto nella voce e nello sguardo di Sara sembra alludere a molto più che alla semplice amicizia.
- Tu e Pinna… siete molto intimi? – Domando appoggiandomi allo scafo.
- Sì, te l’ho detto, è il mio migliore amico. – Si volta e mi guarda intensamente. – Sei geloso!!
- Affatto! – Arrossisco.
- Invece sì! Sei geloso di Pinna! – Scoppia a ridere piegandosi all’indietro.
- Dai, smettila! Lo ripeto, non sono geloso!
Ride così tanto che si deve mettere a sedere per terra. – Ti chiedo scusa, Kit – si asciuga le lacrime tra i singulti. – Ma pensare che tu sia geloso di Pinna… - ricomincia a ridere.
- Mi spieghi cosa c’è di male ad essere geloso della mia ragazza? – Incrocio le braccia.
- Ma Pinna è gay!
Mi blocco. - … Gay?
- Gay. Omosessuale. Compriendes?
- … Omosessuale.
- Fino al midollo delle ossa.
- Omosessuale. – Mi diverto quasi a masticare questa parola osservando come faccia andare in fumo le mie preoccupazioni in meno di dieci secondi.
- Qualcosa in contrario?
- Assolutamente niente! Sai quanti ne conosco, di omosessuali. Sono… sollevato.
- Estrarrai la spada contro ogni ragazzo che ti presenterò, Jon Snow? – Chiede prendendo le mie mani e issandosi in piedi.
- Solo se necessario.
Mi abbraccia e affonda il viso nella piega del mio collo. Le prendo il viso tra le mani e la bacio dolcemente.
Qualcosa fuoribordo, in lontananza, cattura la mia attenzione. Uno spruzzo d’acqua alto quasi quattro metri.
- FAWNY! FAWNY! UNA BALENA! UNA BALENAAAAAAAA!
Mi metto a saltare indicando il punto in cui l’acqua è ancora mossa da ampie e regolari onde d’urto. Anche lei si mette a urlare, eccitata e delusa al tempo stesso dall’essersela persa.
- Era lì, proprio lì! – Continuo a urlare. – Aspetta, magari…
Poco lontano dal punto da me indicato una megattera dal ventre bianco salta fuori dall’acqua, descrive un ampio arco in aria e ricade in un geyser di schizzi.
Ci basta per metterci a urlare e saltare come pazzi.
 
È di nuovo sera. Il sole è tramontato anche su questa giornata fantastica.
Abbiamo visto le balene, ho fatto il bagno nudo – tra le sue urla di incredulità -, poi abbiamo girato per Reykjavík nel pomeriggio facendo shopping e cenato al VOX con piatti di inestimabile valore gastronomico. Tornati in albergo, abbiamo fatto di nuovo l’amore.
Una giornata perfetta.
E finalmente mi ha raccontato del processo.
Di tutto: di come lei abbia sostenuto lo sguardo del suo ex appena entrata in aula, dell’incresciosa testimonianza sullo stalking e lo stupro, di come lei e Pinna siano scappati subito dopo.
È andata veramente di merda, la mia intuizione era giusta.
Non so quanto sia probabile che condannino il suo ex, ma so che è riuscita a fronteggiarlo, a guardarlo negli occhi e a non avere paura.
È stata grandiosa.
E sono fiero di lei.
Le scosto i capelli dal viso addormentato, baciandole la guancia. Poi la abbraccio, e mi addormento anch’io.
 
***
Sara
 
Un mese dopo
9 settembre 2013
 
- Signore e signori, facciamo un grande applauso alla nostra spettacolare crew! – grida David nel megafono prima che tutto lo Studio esploda in grida, fischi e applausi.
È l’ultimo giorno delle riprese della quarta stagione del Trono di Spade, fra pochi giorni torneremo nel Regno Unito e per i prossimi quattro mesi l’agenda di Kit è piena di interviste e colloqui di lavoro in giro per il mondo, senza contare la Premiere che si terrà fra due mesi a Los Angeles.
David e gli altri della crew, per festeggiare la fine delle riprese, hanno organizzato quattro giorni di campeggio per soli uomini nelle sperdute alture islandesi. Parteciperà anche Kit, ovviamente, e spero che non ci muoia assiderato.
Per contro, ho invitato Skeeter a un pigiama party nella mia stanza, domani sera. In questo ultimo mese di riprese abbiamo approfittato del suo lungo soggiorno qui per fare amicizia: è forse più simpatica di quanto pensassi e combatte contro molti, molti demoni del suo passato. Ci siamo trovate subito in sintonia.
Meredith Skeeter Preacher è nata a Salem, nel Massachusetts, nel 1989. È cresciuta in una roulotte insieme al padre che dopo la morte della moglie è diventato alcolista, ha lavorato come modella per pagarsi il college e una volta lasciata la roulotte ha potuto permettersi di tenersi i risparmi e a scrivere articoli di moda, diventando via via una fashion blogger. Ha studiato Storia dell’Arte alla Illinois University e ha conseguito un master in Conservazione dei Beni Culturali a Firenze, motivo per cui sa parlare benissimo l’italiano, oltre allo spagnolo e un po’ di cinese. Adesso lavora come critica d’arte e nell’ambiente è molto conosciuta. Lei e Richard si sono conosciuti a una mostra al MoMA, a New York.
Sembra la tipica storia strappacuore all’americana, ma giuro che è vero.
Tenendo presente la solida amicizia dei nostri due uomini, approfitteremo della serata per spettegolare su di loro e guardare “Colazione da Tiffany” nei nostri pigiami di flanella, mangiando schifezze e bevendo qualche birra.
È a questo che penso, mentre davanti a me scorre per l’ultima volta il fiume di attori che a fine giornata riconsegnano il costume e si cambiano per tornare a casa.
O per andare in campeggio, stavolta.
Mi guardo attorno. Mi mancherà questo posto.
 
- Ti sembra legale avere quel fisico? Io le farei causa!
Skeeter parla a voce particolarmente alta in due occasioni: quando è ubriaca e quando parla italiano. Stasera è una combinazione di entrambe: è leggermente brilla, il che fa alzare i suoi livelli di criticità fino a Saturno. Siamo sedute ai piedi del letto e lei indica con foga Audrey Hepburn nel suo tubino nero con la bottiglia di birra quasi vuota.
- Ti ricordi che quella che stiamo vedendo è finzione?
- Il film è finzione, Audrey Hepburn è vera, bae!
Senza far caso agli intercalari yankee di Skeeter, mi piace parlare italiano di tanto in tanto con qualcuno che non sia i miei genitori o Pinna.
- Giacché scivoliamo sulla bellezza degli attori d’altri tempi, che ne dici di Gregory Peck nel “Buio oltre la Siepe”?
- Una manna dal cielo, tesoro, una manna dal cielo…
Qualcuno bussa violentemente alla porta.
- Chi sarà? – Fa con sguardo interrogativo.
- Non ne ho idea… - mormoro alzandomi da terra con la bottiglia in mano. Apro la porta, e rimango con qualche anno di vita in meno per lo spavento.
Kris sta davanti a me con la barba sfatta, gli occhi gonfi e rossi e le guance rigate dal pianto. Il mio pensiero corre immediatamente alla figlia, anche se non oso dirlo ad alta voce.
- Kris, cosa sta succedendo?
Scoppia in singhiozzi così forti che lo scuotono da capo a piedi, fa un passo avanti e cade in ginocchio sul pavimento della camera, completamente distrutto dalla disperazione.
- Kris!! – Mi butto in ginocchio di fronte a lui mentre Skeeter, dall’altra parte del letto, spegne la televisione. Gli metto le mani sulle spalle spostandomi per riuscire a guardarlo negli occhi, ma è come se fosse accartocciato su se stesso. Un uomo grande e grosso come lui, un Grande Gigante Gentile, stringe il cuore in una morsa a vederlo così.
- Kamile… - dice fra i singhiozzi, e io spero vivamente che non sia morta. – Il dottor Vazhiri ha detto che il tumore non risponde più alla terapia, che il fegato è ormai troppo compromesso, e che l’unica speranza per lei adesso è un trapianto. Ha detto che siamo fortunati se ancora non si è metastatizzato.
È difficile capire quello che dice, fra i singhiozzi.
Cerco di trovare il lato positivo della situazione. Pare facile.
- Beh, il trapianto è una buona cosa! Significa che sostituendo il fegato possono rimuovere la causa principale per il tumore, e per lei non ci sarebbe più problema. Vedrai che la metteranno in cima alla lista d’attesa.
- No, tu non capisci, Sara! – Urla. – È condannata a morte!
- Non può essere vero, Kris! Perché dici così?
- Perché il dottor Vazhiri dice che non c’è abbastanza tempo! È impossibile trovare un donatore compatibile col gruppo sanguigno di Kamile, e se non viene operata subito è probabile che non arrivi alla prossima settimana!
Non può essere vero.
Non può.
Quante feste si perderà quella bambina? Se non viene operata non diventerà mai una ballerina. Non finirà la quinta elementare, non andrà al liceo e al college, non farà sesso alle feste delle confraternite, non troverà la sua anima gemella, non si sposerà e non avrà né figli né nipoti. Non avrà niente di tutto questo, se non trovano un donatore.
Capisco la disperazione di Kris. È praticamente una condanna a morte.
- Kris, qual è il gruppo sanguigno di Kamile?
- …AB negativo.
Il più raro gruppo sanguigno del mondo.
Devo fare qualcosa. Posso fare qualcosa.
Abbraccio stretto Kris, gli do un bacio sulla guancia bagnata e mi rivolgo a Skeeter, in italiano.
- Skeeter, fà rilassare Kris. Cerca di farlo star tranquillo. Io torno subito.
Mi alzo in piedi e prendo il cellulare dal comodino.
- Dove vai? – Domanda lei prendendo posto accanto a Kris.
- Devo fare una telefonata.
Attraverso di corsa il corridoio, scendo le scale ed esco nel giardino dell’hotel. Cerco il numero dell’ospedale della città su Google, lo compongo e chiamo.
Una voce femminile risponde in islandese, ma cambia registro non appena comincio a parlare in inglese.
- Vorrei parlare col dottor Vazhiri, è estremamente urgente.
- Chi lo cerca?
- Una che ha bisogno di parlargli immediatamente.
- Mi dispiace signorina, non glielo posso passare.
- SENTA -, sibilo furiosa. – Mi dispiace aver chiamato all’una di notte e averla disturbata, ma qui c’è in ballo la vita di una bambina. Si chiama Kamile Molvǽr-Hijvu e ha il cancro al fegato. Morirà se non le viene trovato subito un donatore e si dà il caso che io possa dare una mano. Quindi la prego, mi passi subito il dottor Vazhiri!
La voce dall’altro capo della cornetta sospira. – D’accordo, attenda un secondo.
Mi mette in attesa con una musichetta a dir poco snervante, e devo aspettare più di un minuto prima che la musichetta si interrompa e mi risponda una voce maschile.
- Sono il dottore Arastor Vazhiri, con chi parlo?
- Buonasera dottore, mi dispiace disturbarla. Mi chiamo Sara Vitali e sono una grande amica della famiglia Hijvu. Ho appena saputo del trapianto di fegato della bambina. Avete trovato un donatore?
- No, Kamile è stata appena messa in lista d’attesa. Anche se è in cima ci vorrà un po’ di tempo prima di trovare un donatore adatto.
- Stiamo parlando di un trapianto da vivente, dottore?
- Signorina, non credo che siano affari suoi. Lei non è parente della bambina.
- Mi risponda, per favore! Posso dare una mano!
- E come intenderebbe dare una mano, signorina Vitali? Estraendo un donatore da un cappello a cilindro?
- Dottor Vazhiri, si attuerà un metatrapianto sulla paziente?
- È ovvio… - risponde con riluttanza. -  In casi del genere un trapianto da cadavere sarebbe inutile. E ora, le dispiacerebbe dirmi come intenderebbe aiutare la mia paziente? Senza un donatore dal gruppo sanguigno compatibile ho le mani legate.
- Dottor Vazhiri, io sono 0 negativo.
Un silenzio sorpreso.
- Dottore, sono una donatrice universale. Voglio donare parte del mio fegato a Kamile. Per favore, dia inizio alle procedure.
Un paio di secondi di pausa.
- Mi raggiunga subito in ospedale, signorina Vitali. Non perdiamo altro tempo.
- La ringrazio, dottore. Mi dia un’ora e sarò lì.
È come se il cuore nel mio petto avesse ricominciato a battere. Chiudo la telefonata e automaticamente compongo il numero di Kit.
Figuriamoci se nelle sperdute alture islandesi c’è campo.
Mi risponde la sua segreteria telefonica.
- Kit, sono Sara. Raggiungimi in ospedale appena senti questo messaggio. Non è successo niente di grave, sto bene, ma posso fare qualcosa per Kamile. Ciao.
Spengo il telefono, chiudo gli occhi e tiro un lungo respiro. Poi torno in camera.
   
 
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