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Autore: Lala96    04/12/2016    0 recensioni
Chi sembra mandare a Nathaniel, studente impeccabile, dei "messaggi in bottiglia", inviandogli tutti le mattine un aeroplano di carta azzurra? Spinto dalla curiosità Nath intraprenderà una ricerca della verità nella quale lui, delegato perfetto perfettamente infelice, sceglierà di capovolgere il suo mondo per poterlo vedere in un altro modo, nel modo in cui riesce a raffigurarlo una ragazza gracile e strana: nel modo di Momo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Lysandro, Nathaniel, Nuovo personaggio, Violet
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ore sette, sveglia. Ti invade le orecchie con quel suono barbaro e squillante, insistente, a segnalarti che ti devi alzare, che devi affrontare una nuova giornata. Scivolando fuori dal letto ti passi una mano sugli occhi, e qualcosa sulla tua spalla ti manda un discreto segnale di dolore. Apri l’armadio per guardarti nello specchio affisso all’interno dell’anta, e storcendo il busto come per sgranchire i muscoli cerchi sulla tua pelle la fonte di quel pulsare, che ti guida con una lunga scia di dolorose terminazioni nervose fino a poco sopra la scapola. E’ un livido. Grande come il palmo di una mano, nero ma non violaceo, poteva andare peggio. Sospiri e ti infili una felpa. Ambra è meglio che non veda queste cose.

Scendi le scale in silenzio e lentamente per non far rumore. Gli altri si svegliano un quarto d’ora dopo, e tu hai pochi minuti per preparare la colazione. Fai mente locale delle posate e delle stoviglie che devono essere sul tavolo per la colazione mentre il latte per i cappuccini si scalda e l’acqua gorgoglia bollendo. Il caffè già fuma. Disponi tutto alla perfezione, guardi il risultato, e lo trovi perfetto. Intanto un rumore di passi svogliati giù per le scale. Ambra entra in cucina sbadigliando vistosamente e si siede senza nemmeno dire “Buongiorno”, afferrando la terrina dei cereali e iniziando a versarli nella sua tazza pulita. Poi un passo leggero e misurato e un profumo strano che una volta amavi e che ora ti lascia con un doloroso groppo in gola. Tua madre si avvicina alla tavola, fa per sedersi, esita, ti guarda a lungo, e in quello sguardo provi a leggerci qualcosa che sia almeno vagamente paragonabile a un senso di pietà. Difficili a dirsi, impossibile a farsi. E infatti “Manca il miele” è l’unica cosa che riesce a dire entrando dalla sala da pranzo in cucina per rimediare all’inesattezza. Quando lo ripone sul tavolo si appoggia quasi a te, gentilmente però, e senti di nuovo il profumo di prima, quello della sua crema per il viso. Sono le sette e un quarto, e hai già voglia di piangere.

Infine senti dei passi, gli ultimi, e rabbrividisci. Sai di non poterti sedere finché non arriva anche lui, ma vorresti farlo dal momento in cui senti i suoi passi e le tue gambe iniziano impercettibilmente a tremare. I suoi passi li riconosci fin troppo bene: sono i passi della paura, del dolore, delle botte, delle urla. I passi del nemico. E quel nemico, miserabile, ha contribuito a metterti al mondo. E lo devi chiamare papà.

Quando finalmente fa il suo ingresso nella sala da pranzo guarda la tavola e si siede dopo un attimo di analisi dei componenti, senza dire niente. Tiri un sospiro di sollievo e ti siedi: nessuna reazione, non manca nulla; se mancasse qualcosa, avrebbe iniziato a ringhiare, aggrottando la terribile fronte. Puoi respirare meglio, afferri una fetta di pane tostato, ci distendi sopra un velo di burro gustando il sapore del suo gusto leggero e della tranquillità, e…

"C’era tutto?”
 Il boccone ti si ferma in gola e un velo nero ti copre gli occhi, una vertigine, un serpeggiante senso di nausea. Tuo padre intanto mescola il suo caffè, la mamma sorseggia il suo cappuccino, Ambra alza lo sguardo dalla tazza. Assomiglia a una bionda vacca ruminante, con i capelli in disordine, le occhiaie e i difetti della pelle non ancora mascherati dal fondo tinta, le guance gonfie di cereali masticati e la bocca con una lieve striscia di latte. Preghi che non dica niente. Preghi che non si sia accorta del miele. Preghi, e nel pregare ti rendi conto che anche Dio ti sembra un nemico, o per lo meno un complice delle botte che prendi tutte le sere. Dov’era Dio, ieri sera? E ora dov’è?

Il panico prende il posto del tuo rancore quando Ambra deglutisce rumorosamente e fa per aprire bocca. Chini la testa rassegnato. Saranno altre urla. Sei stanco delle urla, le ascolti troppe volte la sera, popolano i tuoi incubi la notte. A volte pensi che sarebbe bello addormentarsi e non svegliarsi più. La morte, almeno lei, è sofficemente silenziosa.

“No, tutto a posto”. Alzi gli occhi. La mamma torna a bere il suo cappuccino dopo aver risposto, guardando la schiuma bianca sotto il suo naso. Ambra la guarda un secondo con la bocca semi aperta, poi la chiude e torna alla sua colazione. Non glie ne è mai importato un granché. Piano piano, dopo il brusco “bene” di tuo papà, torni a sentire che sei vivo, o per lo meno respiri ancora.

La camera, quando ci torno dopo la doccia, è straordinariamente monotona e silenziosa. Scelgo i vestiti: la solita camicia bianca, i soliti pantaloni scuri….il tuo armadio è monotono come la tua vita. I quaderni che infili nello zaino con su scritto il tuo nome ti ricordano chi sei: Nathaniel, il delegato studentesco, lo studente modello, il figlio ideale. E’ questo che sei, ti dici, mettitelo in testa. Papà lo ha detto. “Siamo quello che gli altri vogliono che siamo”. Te lo ripeti per non dimenticarlo. Manca solo il quaderno di matematica.

 Ti è mai capitata una stranezza nella vita?

 Qualcosa che può essere il segno di un disastro incombente, o di un piccolo miracolo? 

Allungo una mano e prendo tra le dita quello strano oggetto. E’ azzurro come il cielo che brama, come l’elemento per cui è stato concepito, aerodinamico ed elegante, leggero e fragile apposta per sfidare le folate aggressive. Io sono Nathaniel, il delegato degli studenti, il figlio di un padre violento, di una madre ipocrita, fratello di una ragazza assente e egoista. Sono una figura vuota. Nessuna poesia. Nessun miracolo. 

Per questo non mi spiego chi sia la persona che pensa di potermi rappresentare a modo suo, da una settimana a questa parte, lasciandomi un aeroplanino di carta azzurra sulla scrivania tutte le mattine.
 
   
 
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