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Autore: Atra    04/12/2016    1 recensioni
Un viaggio a piccole tappe nell'infanzia e nell'adolescenza di Seifer
Almasy e di sua sorella, Atra Almasy.
Sarà una lettura alla scoperta di un rapporto del tutto
particolare, che potrebbe addirittura stupirvi.
Ogni ricordo è scolpito integralmente nella mente di Atra,
che racconta disegnando i contorni di un Seifer totalmente diverso da
quello che siamo abituati a conoscere.
Buona lettura!
N.B. Il "What if?" della presenza di Atra è riferito alla
mia fanfiction a capitoli, "Il legame del sangue". 
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fujin, Nuovo Personaggio, Raijin, Seifer Almasy
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legami'
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-Ah, non vedo l'ora di poter andare a dormire: sono distrutto!-.
Mio fratello aveva sottolineato le sue parole con un sonoro sbadiglio e stiracchiandosi, per poi appoggiare la testa contro la parete dell'ascensore.
Eravamo di ritorno dalla festa a sorpresa che io, Fujin e Raijin avevamo organizzato per lui in occasione dei suoi diciotto anni e avevamo fatto piuttosto tardi.
Avevo evitato per un pelo il suo braccio, in pericolosa rotta di collisione con il mio mento, e lo avevo abbassato con la mano per guardarlo meglio in faccia:
-Sul serio? Allora non vuoi vedere il mio regalo?- avevo domandato, leggermente risentita. Il braccio di Seifer si era fermato a mezz'aria sotto la mia mano, prima di ruotare dietro di me e circondarmi le spalle:
-Certo che sì...era solo per dire, no?-.
-Sei ubriaco, maledizione. Vorrei che lo vedessi da lucido, è più sicuro- avevo constatato nervosa, realizzando solo in quel momento che eravamo arrivati nella Hall.
-Certo che anche tu non scherzi- aveva commentato lui con una risatina, ricevendo subito uno spintone che non l'aveva mosso di un millimetro.
-Avanti, sarai anche riuscita a battermi a braccio di ferro, ma non credi di pretendere troppo?- aveva continuato a canzonarmi, mentre ci trascinavamo verso i dormitori.
Sì, avevo vinto la sfida a braccio di ferro con lui, ma non ne ero per niente contenta.
-Mi hai lasciato vincere, scemo- lo avevo rimbeccato infatti, aggrottando le sopracciglia. In quel momento eravamo arrivati alla biforcazione del corridoio, che portava a sinistra verso il dormitorio maschile e a destra verso quello femminile; Seifer mi aveva dato una spintarella a destra e io di contro lo avevo sospinto a sinistra.
-Insomma, ti decidi?- aveva sbuffato lui quando io lo avevo fulminato con uno sguardo assassino, le braccia incrociate al petto.
-Lo vuoi questo regalo o no?- avevo sibilato in risposta.
-Scusa, credevo l'avessi in camera tua!- si era difeso lui con aria offesa.
Per tutta risposta, ero scoppiata a ridere in maniera incontrollata:
-Ma guardati, ci manca solo che scoppi a piangere come un bambino!- avevo boccheggiato, dopo essermi ripresa. Lui mi aveva squadrato con aria critica:
-Meno vino, la prossima volta- si era appuntato a bassa voce, prima che io lo sospingessi verso il dormitorio maschile:
-Taci: il regalo è in camera tua-.
-Posso chiedere come diavolo hai fatto a entrarci?-.
-Non diavolo, ma scimmione. Qualche volta sa rendersi utile anche lui- avevo risposto semplicemente, mentre Seifer riprendeva a cingermi le spalle e scuoteva in contemporanea la testa:
-Sei gravemente ubriaca, Atra- aveva constatato rassegnato, prima di fermarsi davanti alla porta della sua camera e voltarsi a guardarmi:
-Devo aspettarmi qualche strano mostro...- aveva cominciato, prima che io sbuffassi sonoramente:
-Allora?! Qui facciamo mattina!-.
-Beh, non che manchi molto...- aveva commentato Seifer con una risatina, prima di affrettarsi a girare la maniglia allungando la mano dietro di sé, una volta incrociato il mio sguardo inferocito.
Mi ero appoggiata allo stipite della porta e lo avevo osservato arretrare lentamente, lo sguardo ancora fisso nel mio e puntato sul lento sorriso che mi stava affiorando sul volto non appena avevo colto il bagliore del primo sole sul regalo di Seifer.
-Mi volto, eh- mi aveva avvisato lui, interrompendo il filo dei miei ricordi, che mi aveva portato a circa una decina di anni prima, quando la mattina del mio sesto compleanno avevo trovato sul comodino un...
-...un Gunblade-.
Avevo sbattuto le palpebre per annullare definitivamente quel ricordo e immergermi nel presente: Seifer era di spalle, in piedi davanti al letto, e le sue mani tenevano sollevato alla luce il mio regalo di compleanno per lui.
La lama del Gunblade aveva riflesso il primo sole, così come quella del mio coltello quando lui me l'aveva regalato all'età di sei anni, per poi lasciare scivolare via il raggio di luce quando mio fratello si era voltato, il viso ancora nella penombra.
-Fodero nuovo, Gunblade nuovo- avevo detto semplicemente lanciandogli la custodia, che era volata oltre la sua spalla irrigidita ed era atterrata sul letto.
Avevo stretto gli occhi per visualizzare la sua espressione, ma era ancora troppo buio, così avevo fatto qualche passo in avanti e avevo allacciato le mani dietro la schiena:
-Allora, mi dici qualcosa?- lo avevo incalzato, dopo un lungo attimo di silenzio in cui avevo colto solo il nulla assoluto sul suo viso. Seifer aveva sollevato subito gli occhi, due voragini nere nella penombra:
-Io...non so cosa dirti- aveva ammesso infine con un sussurro flebile e fioco.
Avevo inclinato la testa di lato, colpita dalla sua reazione:
-Beh...che ti piace?- avevo azzardato con un mezzo sorriso che ero sicura non potesse vedere. Seifer per tutta risposta si era voltato a posare l'arma sul letto, con un'accortezza che mi aveva fatto capire che sì, il mio regalo gli piaceva davvero. Poi si era voltato di nuovo ed era venuto velocemente accanto a me per chiudere la porta, che avevo lasciato spalancata; a quel punto la stanza risultava quasi totalmente immersa nel buio, non fosse stato per il bagliore grigiastro del mattino invernale che si andava preparando e quello del cielo nuvoloso, che si rifletteva con il suo biancore sporco sulla lama perfetta del Gunblade.
Una volta chiusa la porta, Seifer mi era passato nuovamente accanto e in quel momento la mia mano era scattata sul suo braccio per trattenerlo, in un gesto istintivo e anticipato solo da un fruscio nel silenzio della stanza.
Era stato quel contatto a far scattare mio fratello, che si era voltato altrettanto velocemente ad avvolgermi in un abbraccio che mi aveva lasciata senza fiato per la sorpresa.
Superato il momento iniziale d'impaccio, mi ero rilassata e avevo poggiato la testa sul suo petto, ascoltando sempre più stupita il suo cuore battere come un uccellino impazzito non appena lui traeva un respiro tremante, per poi rallentare a un ritmo comunque veloce a ogni sospiro successivo.
Mio fratello non parlava più, il mento poggiato sulla mia testa e una mano sulla mia schiena a trattenermi delicatamente contro di lui, come per accertarsi che non mi allontanassi...e non solo dall'abbraccio.
No, Seifer non dubitava certamente che potessi anche solo pensare di lasciarlo, ma c'erano molte altre cose in quella sua afasia, c'era tutto quello che non era in grado di dirmi a voce semplicemente perché non esistevano parole adatte per farlo, c'era ciò che non si può vedere né al buio né alla luce, ma solo nella penombra di una mattina invernale come tante altre.
In quella penombra non c'erano più Seifer e Atra, ma solo un fratello e una sorella, perché ciò che contava più del resto era il loro legame di sangue, rispetto al quale ogni altra cosa era scontata e superflua.
E subito dopo in quella penombra non c'erano più un fratello e una sorella, ma Seifer e Atra, che parlavano un linguaggio solo e soltanto loro, che ascoltavano l'uno il respiro dell'altra quasi lo sentissero per la prima volta, associandolo al sottofondo senza nome che aveva accompagnato tutta la loro vita, che probabilmente avrebbero conservato per sempre quel ricordo da qualche parte nella loro memoria.
Io me lo ero ripromessa in quel momento. Mi ero ripromessa di tenere quel ricordo da parte per i momenti peggiori della mia vita, per quei momenti in cui avrei avuto bisogno di guardare indietro per sapere da dove provenivo, per quei momenti in cui i dubbi sarebbero stati più forti delle certezze e per quei momenti in cui la solitudine si sarebbe fatta insopportabile.
Perché noi Almasy siamo duri come pietre e freddi come ghiaccio, ma siamo carne e anima come tutti gli umani e anche noi ci imbattiamo in momenti che vorremmo facilmente evitare e da cui ci difendiamo a colpi di contegno, sfrontatezza, spavalderia. Il nostro segreto è che questo non ci basta, perciò ci appoggiamo l'uno all'altra e ci diamo una mano a vicenda; ma quando ciò non è possibile concretamente, ecco che sovvengono i ricordi più importanti a rammentarci chi siamo e dove vogliamo andare, a rammentarci che noi ci possiamo salvare da soli proprio perché non siamo soli.
Per Seifer sarebbe stato facile ricordarsi di quel momento: la prova giaceva ancora immobile sul suo letto e sarebbe stata la sua fida compagna per tutta la vita, esattamente come...
-Atra?-.
Avevo sussultato leggermente e avevo tentato di sciogliere l'abbraccio, ma le mani di mio fratello si erano posate sulle mie spalle per trattenermi:
-Aspetta. Ho qualcosa da dirti-.
La sua voce mi aveva fatta tornare di nuovo al mio posto, contro il suo petto. Lì avevo potuto sentirlo contrarsi, mentre lui prendeva fiato per parlare:
-Il tuo regalo significa molto per me. E so che è lo stesso per te-.
Certo che lo sapeva, lo aveva capito perfettamente. Non serviva dirgli che quel regalo era la promessa che sarei rimasta sempre accanto a lui, per aiutarlo a combattere i suoi nemici, i pregiudizi, chiunque gli avesse dato fastidio.
Non serviva dirgli che anche io, come quel Gunblade, avrei abbattuto per lui ogni ostacolo alla sua felicità.
Ma non serviva nemmeno dirgli che non ero disposta a mentirgli, che, a differenza di quell'arma, io ero manovrata da una volontà diversa dalla sua, come era giusto che fosse.
Non serviva nulla di tutto questo e Seifer lo sapeva, perché non aveva atteso una mia risposta e aveva proseguito:
-Parlare di promesse mi rende sempre inquieto, perché sembrano anticipare sempre la fine di qualcosa-.
Nemmeno io ho mai amato particolarmente le promesse e per questo non siamo mai stati soliti scambiarcene, oltre al fatto che non ne abbiamo mai avuto bisogno.
La testa di Seifer si era improvvisamente spostata e ora era la sua guancia ad essere appoggiata sui miei capelli. Mi ero voltata leggermente anche io a seguire con lo sguardo ciò che aveva attirato la sua attenzione, ma non avevo scorto nulla.
-Cosa hai visto?- avevo sussurrato, così a bassa voce da credere non mi avesse sentito. Invece Seifer mi aveva risposto subito:
-Uno stormo di uccelli; solo uno stormo di migratori-.
Infatti avevo colto in fretta ciò di cui stava parlando: gli uccelli viaggiavano in formazione a V e non erano molti; volavano verso l'orizzonte nuvoloso, neri e in netto contrasto con il cielo grigio chiaro.
-Presto sarà così anche per noi e saremo liberi-.
Liberi. Come suonava strana quella parola, dopo tanto tempo passato chiusi nel Garden. Avevamo cercato la libertà a modo nostro, ma nulla era comparabile alla sensazione di non avere più un posto concreto a cui dover tornare...ma questo solo se avevi il tuo posto, il tuo riferimento.
-Nulla dice che saremo insieme-.
-Seifer...- avevo mormorato immediatamente, cogliendo appieno il significato delle parole con cui aveva introdotto questo discorso, costruito a fatica su frasi spezzate e difficili da liberare.
-Shh - mi aveva zittita lui, accarezzandomi la schiena - Dico solo che nulla dice che saremo sempre insieme, ma...mi auguro di poter volare alto con te ancora per un po'-.
Detto questo, Seifer aveva posato un leggero bacio sui miei capelli, per poi sciogliere l'abbraccio in silenzio e allontanarsi di un passo per guardarmi.
Un'espressione confusa e insieme intenerita gli aveva attraversato il viso in un lampo:
-Oh, non sei tu a dover piangere, Atra-.
A dire la verità, non mi ero nemmeno accorta di star piangendo, immersa com’ero in un senso di dolorosa nostalgia, di frenetica ricerca di una ragione per cui credere fermamente che il mio posto fosse sempre accanto a Seifer, di pungente impotenza di fronte a un futuro che non potevo decidere e a cui non potevo prepararmi.
Mi ero riscossa subito, asciugandomi la lacrima dalla guancia prima che potesse farlo lui:
-Scusa- avevo risposto d'istinto, sapendo che lui odiava vedermi piangere. Seifer aveva sollevato una mano per darmi un colpetto al mento:
-Fa' la brava, dovrei essere io a commuovermi per il tuo regalo, no?-.
Avevo annuito lentamente, tornando a guardare il Gunblade; nello stesso momento mio fratello aveva sgranato gli occhi, folgorato da un pensiero:
-Prima mi hai detto che non era sicuro mostrarmelo da ubriaco; credevi davvero che io...-.
-Stavo scherzando, Seifer - lo avevo interrotto subito, sollevando gli angoli della bocca in un mezzo sorriso - Non temevo affatto che me lo rivolgessi contro- avevo continuato, leggermente stupita che avesse avuto anche solo il bisogno di chiedermelo.
-Non che ne dubitassi, eh...- aveva chiarito infatti lui, muovendo la mano in un gesto di sufficienza.
Avevo soffocato una risata, prima di illuminarmi a mia volta:
-Accidenti a me, non ti ho ancora detto come si chiama il modello- avevo detto, sedendomi sul letto e invitandolo accanto a me per mostrargli il marchio.
-Dimmelo, allora- mi aveva incalzato lui, gli occhi improvvisamente brillanti di entusiasmo.
Le mie dita avevano trovato in fretta il nome del modello, inciso alla base dell'elsa, e lo avevano sfiorato leggermente, prima che io riportassi lo sguardo su Seifer e sfoderassi un sorriso compiaciuto e complice insieme:
-Il tuo Gunblade ha il soprannome di Giove: Hyperion-.
   
 
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