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Autore: SalvamiDaiMostri    04/12/2016    1 recensioni
Sherlock sa che John non ama Mary. Sa anche che resterà con lei per il bene di Diana, la loro figlia. Il futuro dei Watson non sarà certamente facile, ma Sherlock sarà sempre lì per loro, perchè fece una promessa e la manterrà.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quella notte Sherlock non chiuse occhio.
I suoi pensieri in quelle solitarie ore buie si concentravano su un’unica persona. Era sempre stato John, il suo John.
Finalmente sembrava che le cose stessero andando per il verso giusto per Sherlock, sarebbe stata una prima volta. Una gran prima volta. Fuori dalle quattro mura della sua stanza, Sherlock sentiva che l’universo gli stava sorridendo, ed era una sensazione straordinaria.
A pochi metri da lui, stava dormendo l’uomo della sua vita, nel suo letto, accanto alla sua bambina. E anche se erano mesi che vivevano così, quella notte tutto cambiava, ogni cosa era straordinariamente diversa, perchè John sapeva.
Non voleva addormentarsi per paura di risvegliarsi in una realtà in cui non aveva trovato il coraggio di baciarlo, in cui non lo aveva abbracciato per strada per consolarlo e nemmeno sul divano del loro salotto. Una realtà in cui John non gli aveva mai confessato di non aver mai amato sua moglie e di essere sempre voluto tornare da lui, che gli era mancato immensamente e che avrebbe potuto baciarlo sin dal giorno in cui si erano conosciuti.
Sherlock ripeteva ogni istante di quella serata nella sua mente come per autoconvincersi che fossero realmente accaduti così come li ricordava: più se li raccontava, più sembravano inventati e macchinosi... Eppure poteva ancora sentire il sapore della bocca di John sulla sua lingua, ed era qualcosa che non poteva essersi inventato. No, non poteva.
E tra questi pensieri, giuse l’alba. Poi l’ora del primo biberón di Diana e Sherlock sentì che John scendeva le scale con Diana che piangeva affamata in braccio: si alzò e gli andò incontro.
Lo vide in vestaglia, leggermente illuminato dal primo pallido sole che entrava dalle finestre della sala, con la faccia assonnata e diana scalpitante tra le braccia: fu un colpo al cuore. Sherlock non potè fare a meno di sorridere e in silenzio gli si avvicinò per prendergli Diana e sussurrare:
“Hai ancora un paio d’ore per riposare prima di andare in laboratorio: torna a letto, io e lei ce la possiamo cavare beneissimo da soli, non è vero Diana? Digli ‘ciao papà’ sh sh sh...” disse prendendola e cullandola un pochino. John la cedette volentieri senza dire nulla e tornò in camera sua.
Sherlock le preparò il biberón e si sedette sulla poltrona di John per darglielo avvolto in una coperta, guardando il sole alzarsi su Londra.
John lo ridestó mentre si preparava il caffé. Sherlock non disse nulla, rimase a coccolarsi Diana sulla poltrona finché John non disse:
“Allora vado” avvicinandosi con la 24ore in mano “Augurami buona fortuna!” si avvicinò e bació diana sulla testolina
“Non ne hai bisogno” John baciò Sherlock sulla fronte “B-buona giornata.” balbettò inbarazzato mentre John scappava verso la porta, come se nulla fosse. Sherlock sapeva di essere arrossito. Sorrise e si strise la neonata a sé: “Tuo padre si prende gioco di me...”
Al suo ritorno, John trovò Sherlock che suonava il violino alla finestra. Esitò sulla porta: aveva corso a perdifiato per tornare a casa e adesso non riusciva a muovere un passo. Per lui non esisteva immagine più bella che Sherlock in quei pantaloni scuri e la camicia viola che sonava il suo violino illuminato dalla luce del tramonto. Adorava il suono di quel violino... Dio, cosa potevano fare quelle sue mani! Era straordinario.
Sherlock, suonando, si voltò leggermente e lo vide. Gli fece un cenno di saluto con la testa, come un inchino, mentre continuava a suonare. John chiuse la porta e prese dunque a togliersi il cappotto e posare la valigetta e, intanto, l’altro concluse la melodia.
“Straordinario, come sempre.” Commentò John. Sherlock si inchinò, scherzosamente. “Diana?” domandò dunque John, mentre Sherlock posava il violino nella sua custodia.
“Con tua sorella: le ho detto che avevamo un caso. Resta da lei fino a domani pomeriggio.”
“Oh, hai trovato qualcosa di interessante?”
“No, affatto.” Gli sorrise avvicinandosi a lui “Ma possiamo andare in centrale a fare il lavoro di Lestrade al posto suo, oppure...” gli si avvicinò sempre di più e gli accarezzò il viso con una mano avvicinando il proprio naso al suo arrivando a pochi millimetri dalla sua bocca “oppure potremmo fare qualcosa di più interessante...”
“Hai  qualche idea?” sorrise John. Parlavano a 3 o 4 millimietri l’uno dalla bocca dell’altro, i nasi si sfioravano ed entrambi potevano avvertire il respiro dell’altro sulla pelle. Anche Sherlock sorrise:
“Un paio...” dunque John lo baciò, finalmente.
Non c’era stato bacio più atteso nella storia dell’umanità. Affontavano le dita l’uno tra i capelli dell’altro, accarezzavano il viso, la schiena, i fianchi, il petto. In piedi, contro il muro della sala, si divorarono a baci goffi ed impacciati, che gridavano una fame nascosta per troppo tempo, una voglia rimasta insoddisfatta per anni che finalmente trovava sfogo.
John prese a sbottonare la camicia di Sherlock baciandogli il collo, Sherlock sorrise: se lo aspettava, lo sperava, ma cazzo se faceva paura ora che stava davvero accadendo.
“Sei- Aah... Sei sicuro, John?” ed ecco la domada più cretina di sempre.
“Mai stato così– certo di qualcosa” rispose incatenando un bacio dopo l’altro. E cos’altro avrebbe potuto rispondere? Sherlock si lasciò dunque andare ai baci di John: al tatto delle sue mani che trafficavano con i bottoni, il suono delle sue labbra sulla sua clavicola, il suo respiro, il suo odore...
John aprì e sfilò la camicia di Sherlock e la fece cadere a terra: eccola, al centro del suo petto pallido, la cicatrice del foro di proiettile sparato da Mary. Cercò di ignorarla e, tornando a baciarlo sulla bocca, prese ad accarezzare con i palimi delle mani i bianchi pettorali e addominali scolpiti. Passò dunque ad esplorare la sua schiena e improvvisamente ebbe un sussulto:

«Altre cicatrici»
 
Queste erano lunghe e sottili, dovevano essere almeno una decina, e anche profonde. Scelse di noon dire nulla: ci sarebbe stato il momento giusto per fare domande. Non ora. Nella foga, Sherlock nemmeno se ne accorse.
Vincolati per le labbra che non cessavano di cercarsi in baci che finalmente cominciavano a trovare un certo ritmo e sincronia, imboccarono il corridoio, con lentezza e talmente accecati dal desiderio da non riuscire a trovare la porta. Prima di arrivare alla camera da letto di Sherlock, ad entrambi restavano soltanto più i pantaloni addosso. Si gettarono sul letto come due adolescienti preda dei loro istinti più primitivi, ridendo come deficienti e ansimando come animali. Quella così primaria ed egoistica necessità di provare piacere nel piacere dell’altro, misto alla concessione estrema e l’inimità ultima.  
Fecero l’amore per tutta la sera, lentamente, molto molto lentamente, come se ogni giorno di tutti quegli anni in cui che avevano atteso che finalmente accadesse stessero ottenendo ognuno la parte di tempo che spettava loro di diritto.
Giunse il momento delle carezze sulla pelle ancora brillante di sudore, l’uno appoggiato al fianco dell’altro, coperti da lenzuola bianche ormai molto più che scomposte, al buio. Le luci della strada penetravano dalle tendine della finestra.
“Sono della Serbia vero?” Domandò John. “Le cicatrici...”
“Alcune...” rispose, vago.
“Sono tutte recenti, le ho viste bene... Sono un medico. Erano fresche quando ti ho  buttato a terra al ristorante... Quando sei tornato. Non è vero?”
“Si...” rispose Sherlock in un sospiro.
“Cazzo Sherlcok, deve essere stato dolorosissimo. Mi dispiace tanto...”
“Me lo meritavo.”
“Qualche testata in faccia si, di essere strozzato pure.. Ma questo no...”
“Non importa, John, davvero.” Gli accerezzò il petto “Entrambi abbiamo le nostre cicatrici...” bació la cicatrice sulla spalla sinistra di John “Se non fosse per questa meraviglia, non ti avei mai conosciuto...” John sorrise per come aveva appena chiamato quella vecchia cicatrice che lo aveva rimandato in patria: era assolutamente vero. Se non gli avessero sparato, non sarebbe tornato a Londra proprio a gennaio e non avrebbe incontrato Mike Stamphord che conosceva Sherlock che, proprio in quel periodo, stava cercando un coinquilino.
Restarono in silenzio ad assaporare la magia di quegli istanti.
“Non posso credere che sia vero… Tutto questo...” rise John.
“Era la prima volta che lo facevi?”
“Ho una figlia Sherlock.”
“Intendo dire con un uomo.”
“No, no… Mi dispiace, non posso darti questo primato.”
“Sholto?” John sorrise, nel buio arrossì “Lo sapevo.”
“E tu?”
“Sono andato così male da fartelo pensare?”
“Assolutamente no, mi sorprenderesti infatti… Ma tu sei empre stato così distaccato…”
“C’è stato un ragazzo in facoltà… Nulla di serio, ma mi piaceva. Ci divertivamo…”
“Mi sento un rimpiazzo” scherzò John
“A me lo dici?”
“Non dire così… Piuttosto era il contrario. Non sai quante volte Mary mi ha gridato in faccia la stessa cosa. E aveva assolutamente ragione.  Mary mi salvò la vita quando ad essere morto eri tu. Dopo il funerale ero disperato… Eri così importante per me… E ti avevo detto delle cose orribili prima che salissi sul tetto del St Barth quando invece era solo questo che volevo per noi, da sempre. E tu ti eri suicidato e io… non volevo più vivere in un mondo dove non c’eri.” John si strinse forte a lui “Ho ingoiato tutte le pillole dell’armadietto dell’ambulatorio che sono riuscito a mandare giù. Mi sono seduto alla scrivania e ho aspettato di addormentarmi. Ma Mary, che aveva cominciato da poco a lavorare in ambulatorio, sfondò la porta e mi trovò… E mi salvò la vita. Non sarei qui se non fosse per lei...”
Sherlock, sconvolto, accese la lampada sul comodino e cercò il suo sguardo sconvolto:
“John-” disse squotendo la testa, con voce rotta “Io.. Io non ne avevo idea... Non sapevo- nessuno me lo aveva mai detto. Mi- Mi dipspiace tanto-” Due rivoli di lacrime rigarono le sue guance e John lo abbracciò forte e lo baciò sulle labbra, sorridendogli.
“Non devi chiedere ancora scusa. Ti ho perdonato tanto tempo fa.” Lo bació di nuovo, poi tornò ad accocolarsi al suo fianco. Sherlock rimase comunque molto scosso. “In ogni caso, comprenderai che mi legai molto a lei… Mi salvò dalla disperazione. Si prese cura di me e io ne approfittai per cercare di essere felice.”
“Capisco...”
“Ma quando sei tornato, lei capì. Comprese di essere stata un rimpiazzo e che prima o poi sarei tornato da te... E ci abbiamo provato, ma non eravamo felici. Non si è mai scusata sai? Per avermi mentito sulla sua identità, sul suo passato… Non mi ha mai chiesto scusa, non mi ha mai detto che le dispiacesse.” fece una lunga pausa “Ma nonostante tutto le volevo molto bene, tanto davvero. Le devo moltissimo.” Sbadigliò. Sherlock lo guardò chiudere gli occhi e accomodarsi con la testa sul cuscino.
“Mi accorgo solo ora di quanto le debba io a mia volta...” concluse spegnendo la luce.
Anche Sherlock si draió con la testa col cuscino, prese la sua mano e la strise al suo petto. Rimasero quindi ad ascoltare l’uno il respirò dell’altro fino ad addormentarsi.

 

Eeee ci addentriamo nel fluff profondo. Mannaggia a me non avevo mai scritto una cosa del genere >< Ma quando ci vuole ci vuole. Vi è piaciuto quest'ultimo capitolo? Spero davvero di si, soprattutto perchè ho tirato parecchio la corda ^^" Io vi ringrazio infinitamente per aver letto la mia storia fino a qui e vi chiedo se cortesemente poteste lasciarmi un commento in recensione: è davvero di fondamentale importanza per me.
Grazie ancora infinitamente! Ci vediamo al prossimo capitolo, un saluto, con affetto ed estrema gratitudine, _SalvaiDaiMostri
   
 
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