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Autore: PawsOfFire    05/12/2016    4 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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Ivan Bykov era, probabilmente, uno dei migliori bombardieri russi in circolazioni.
Enorme e taciturno, ricordava vagamente un orso, con la sua mascella grossa e quadrata ed il naso rotto tristemente pendente verso destra.
Non tornava mai due volte sullo stesso obiettivo. Mai. Le bombe cadevano sempre nel punto designato, con un margine di errore pari allo zero.
Quella missione non doveva essere complicata. Qualcosa di semplice da aggiungere al numero delle missioni conseguite prima del congedo. Se avessero distrutto il ponte avrebbero impedito ai rinforzi nemici di raggiungere il loro obiettivo. Forse sarebbero riusciti perfino ad anticiparli, scaricando loro addosso una crivellata di colpi. Sarebbe finito tutto in poco tempo e lui avrebbe potuto far ritorno alla tenda per bere fino allo svenimento.
Quel giorno, però, colto dai fumi alcolici della serata precedente, mancò il ponte.
Le bombe caddero miseramente in acqua, esplodendo in una cascata di lapilli. Il ponte tremò appena e lui si maledisse, ringhiò forte ed iniziò a prendere a pugni la fusoliera, facendola vibrare leggermente.
Scoppiò una rissa. Il navigatore tentò di fermarlo, guadagnandosi un dente rotto.
Un secondo aereo, preoccupato per la rotta confusa che stavano seguendo, si mise in comunicazione con loro per chiedere chiarimenti. Una due, tre persone in collegamento che sbraitavano insulti minacciosi. Il giovane pilota, confuso e zigzagante, venne colto dal panico.
Persero quota, scendendo in picchiata, con il muso dell’aereo che trivellava verticalmente come una ballerina di classica.
Optarono per una fuga. Abilmente i quattro figuri si lanciarono col paracadute mentre, sotto di loro, l’aereo si schiantava in una nuvola di fumo e fuoco.
Dalla sua postazione, il capitano Bastian Faust poté godersi in diretta la fusoliera decorata dell’aviazione nemica schiantarsi abbastanza vicina da poter contare, al binocolo, le ventiquattro stelle rosse sul fianco e vedere la tigre spirare in una vampata di fuoco. *
 
 ╬
 
Ho avuto paura, davvero. Nessuno ci aveva avvertito di una squadriglia in azione.
Non siamo coperti! Dalla loro altezza credo ci vedano come delle aberranti formiche in fila.
Col binocolo ho seguito i loro spostamenti colmo di sincero interesse. Se tanto dovevo morire almeno prima mi sarei goduto un bello spettacolo.
Credo di essere stato graziato, da un certo punto di vista. Quando l’aereo è precipitato gli altri, confusi, hanno ordinato una ritirata e sono tornati indietro, seguendo una direzione opposta alla nostra.
Sempre detto io! Mai volare con il cattivo tempo!
Non so cosa sia successo. Però è stato divertente. Adesso potevo scorgere i figuri degli aviatori che scendevano malamente con i loro paracaduti aperti, zigzagando confusamente tra le spire gelide del vento.
Maik aveva già preso la mira.
“Aspetta” Lo intimai, lucidando maldestramente le lenti del binocolo.
“Per quanto mi riguarda, quei bastardi potrebbero essere già morti prima di toccare terra. Fa abbastanza freddo, non mi stupirei di ritrovarli a terra con mezzo dito di ghiaccio addosso”
Avevo ragione, come sempre. I figurini brunastri per un po’ vorticarono in cerchio tra le spire del vento, cercando di atterrare in un luogo sicuro.
Toccarono terra con suono soffice, sollevando maldestramente i loro musi rabbiosi verso di noi.
Non dovevano essere lì, assolutamente. Il vento li aveva portati fin qui come i semi dei soffioni.
Tremanti i soldati si alzarono, cercando impacciatamente le loro armi. Cosa potevano fare quattro pistole congelate contro un’intera divisione corazzata?
In risposta, intimai i miei sottoposti di direzionale il cannone verso di loro, nel caso si fossero dimenticati con chi avessero a che fare.
Dalle retrovie avanzò un vecchio ed inquietante sergente particolarmente poco avvezzo alle scalate sociali.
Con i suoi cinquant’anni e la schiena inclinata a quarantacinque gradi, diceva di essere lì per lo stipendio. Non aveva mai fatto nulla per meritarsi una promozione per questo da almeno venticinque anni ricopriva il medesimo ruolo, trascinato da una ignavia quasi leggendaria.
A suo vanto, però, sapeva molte lingue, tra cui il russo. Lo parlava delicatamente e fluentemente. Si diceva, per questo, che fosse un fervente sostenitore del comunismo. Sguinzagliarono un po’ di persone deliziosamente pronte a sbatterlo in galera, ma nessuno ci riuscì. Forse per questo è costretto a vivere incastrato per sempre nel suo ruolo in un girone di ignavia, senza poter salire o scendere.
Il Sergente si avvicinò a passi lenti ed affabili. Li avremmo presi come prigionieri, interrogati ed infine spediti lontano da qui a farsi una bella vacanza assieme ai loro simili.
Quelli, però, si spaventarono. Gracchiarono qualcosa tra loro ed aprirono il fuoco, sparando diversi colpi alla rinfusa prima di scappare a grandi balzi nella neve, inciampandosi tra i fili dei paracaduti mentre cercavano di sfilarsi gli zainetti di dosso.
Solo in quel momento diedi l’ordine di aprire il fuoco.
Caddero nella neve in un tonfo muto.
Quando ci avvicinammo per controllare, uno di loro era ancora vivo. Con un proiettile nella gamba cercava di strisciare come un grosso verme, urlando feroci parole a noi incomprensibili. Divenne nostro prigioniero.
Fu una giornata particolarmente piatta, in un certo senso. La tempesta di neve era cessata da un po’, lasciando il posto ad un cielo candidamente bianco ed un silenzio ovattato.
Almeno, nella più magra delle consolazioni, nessun altro aereo avrebbe potuto alzarsi in volo con tutta questa neve per terra.
In serata, in ogni caso, riuscimmo a ricongiungerci con uno spaurito gruppo di alleati brutalmente asserragliati sotto una coltre di ghiaccio. Dalle tende uscirono un paio di soldati infreddoliti, seminascosti sotto uno spesso di passamontagna. A stento si riuscivano a distinguere le minuscole fessure degli occhi.
Mal equipaggiati ed al limite dello sfinimento, possedevano un’inquietante numero di tende vuote, spiritualmente occupate dalle anime dei caduti. Le occupammo noi, due per tenda, stretti stretti, senza osare toccare i piccoli reliquiari dei vecchi ospiti.
Facendo valere il mio grado, cercai di farmi assegnare la tenda vuota più prestigiosa. Riuscii a strappare il posto di un maggiore rivelatosi, successivamente, un covo di soldati semplici deceduti per il freddo esattamente in quella tenda.
Passai la notte senza chiudere gli occhi. Ero abbastanza convinto che il mio giaciglio fosse infestato.
Avevo i brividi. Il riscaldamento era fiochissimo e dovetti ringraziare, a posteri, il buon Weisz che decise di tenermi spontaneamente compagnia per creare una specie di effetto stalla generato dal suo rotolare e russare nel sonno.
Nascosi la pistola sotto il cuscino, senza sicura e caricata con le pallottole dalle sfumature più argentee che possedevo.
In caso di...fantasmi, ecco.
 
 
Successe il fattaccio.
Nessuno ci aveva minimamente avvertito di un tale che ogni notte, alle due, emetteva un urlo straziante, colto dal medesimo incubo che si ripeteva incessantemente ogni volta.
A suo detto sognava di svegliarsi morto, per questo urlava-
Così, quando sentii la sua voce straziare la notte, venni colto dal panico.
Con sangue freddissimo sfilai la pistola dal cuscino. A questo punto ebbi l’assoluta certezza che la tenda fosse infestata perché partì** un colpo che sfibrò la brandina, piantando il proiettile a terra in un’esplosione di fanghiglia e tessuto e provocando un rinculo straordinariamente potente che mi fece cadere vergognosamente sulla schiena, ritrovandomi ad annaspare come un enorme scarafaggio.
“Weisz”
Chiamai il giovane pilota, ancora abbracciato teneramente al suo cuscino e con un rivolo di bava che scivolava dalla sua bocca socchiusa e russante.
“Weisz, non disobbedisca agli ordini di un suo superiore. Mi dia una mano prima che sporga un reclamo ufficiale per...al diavolo”
Dato che il mio sottoposto pareva ancora dormire della grossa, decisi di alzarmi da solo, grugnendo infastidito. Per tutta la notte non riuscii a chiudere occhio.
Rimasi seduto sulla brandina con la pistola in mano, rigirandola tra le mie dita come una vecchia granata inesplosa finché il sole non sorse.
Uscii dalla tenda inondato dal sole. Fu una sensazione deliziosa per le mie membra indolenzite da una pessima nottata.
Non avrei dovuto preoccuparmi di ciò che succedeva attorno a me – è sempre cosa buona e giusta tenersi lontani dai casini, come se non ce ne fossero già abbastanza- ma, di sfuggita, seguii un vecchio maggiore che, a quanto pare, stava scortando l’aviatore russo catturato il giorno prima.
Seminascosti tra alcune casse di vecchia legna umida, i due uomini ebbero una semplice discussione fatta di grugniti ed incomprensibili parole. Si scambiarono alcune sigarette in silenzio prima di accorgersi della mia ingombrante presenza intenta a farsi i cazzi altrui.
“Ohi, Faust” Il Maggiore accolse con inusuale allegria la mia presenza. IL superiore era un bonaccione dedito al vino, che trattava tutti come se li conoscesse da una vita.
“Non mi piace prendere decisioni affettate, sa. In realtà non mi piace proprio prendere decisioni. Il Generale mi ha parlato di lei” Sghignazzò, puntando l’indice verso di me, prima di inspirare l’acre e disgustoso finto tabacco.
“Non so cosa farmene di questo qua. Secondo lei è giusto fucilarlo? Sarebbe così gentile da farlo al mio posto. Sa, non ho più l’età per fare certe cose”
Il bombardiere, in risposta, grugnì forte, schiacciando la sigaretta tra le dita. Mi rivolse un flebile sguardo, prima di abbassare lo sguardo in un profondo disgusto.
Imprecai mentalmente. C’è un intero staff di uomini pronti a decidere per la sorte di un uomo, perché cercare me, umile carrista bavarese con un buco nella branda ed una feroce insonnia.
“Un mio sottoposto sarebbe molto lieto di farlo”
“Sta disobbedendo ad un mio ordine. Deve prendere una decisione al mio posto”
“Per errore sono stato imprigionato una settimana e si fidi, con la zuppa di rape parlerà-”
“Sta travisando la mia domanda, Faust. Dobbiamo fucilarlo?”
“Forse ha bisogno di tempo-”
“Sì o no”
“No”
“Non è la risposta che desideravo”
“Allora fuciliamolo”
“Lo faccia lei”
“Perchè io”
“Perchè l’ha deciso lei.”
“Ma ha deciso lei di far decidere me.”
“Vada ad ammazzarlo nei boschi e non torni finché non sarà morto per bene. Tanto ha una pistola, no? L’ho sentita stanotte. Non vuole che faccia un reclamo, nevvero? “
 
 
L’aviatore mi seguì senza fare storie.
“Senta, buon uomo. Io non ho niente contro di lei, davvero. Io volevo un po’ di gloria personale, sa. Tornare in patria pieno di lustrini e deliziose e provocanti signorine che non desiderano altri uomini all’infuori di me. Sa no, cose così. Stanotte ho dormito male, la mia tenda era infestata ed un fantasma ha fatto partire un colpo dalla mia arma. Ho mal di schiena ed un sonno allucinante...”
Заткнись” ***
“La ringrazio per la comprensione. È un grand’uomo. I migliori muoiono sempre, lo dico, io! Tranne me, ovviamente. O forse morirò anche io, chissà. Mi faranno un gigantesco monumento e tutti studieranno le eroiche gesta di Bastian Faust, la furia nera. Anche se, a detta tutta, preferirei vivere ancora un po’. Vorrei avere tanti dolci nipotini un giorno a cui raccontare grandiose storie di guerra davanti al camino. Mi adoreranno...”
Заткнись
“Anche lei? Ha figli in patria? Non sono sposato ma chissà...”
Sentii uno schiocco sordo e soffocato. Mi sentii umido in volto.
Toccandolo, scoprii di essere sporco di sangue.
Accanto a me l’aviatore aveva decisa di farla finita piantandosi qualcosa nello stomaco. Un pezzo di ceramica affilato, che trivellò nelle sue carni fin quando non fu abbastanza profondo da fargli perdere l’equilibrio, cadendo a terra in preda a spasmi di dolore incontrollati.
 
 
 
Ivan Bykov accettò di buon grado il suicidio d’onore. Meglio morto che prigioniero tedesco, pensò, mentre quell’affare petulante ronzava nella sua incomprensibile lingua.
Non sarebbe andato molto lontano con quella ferita alla gamba.
Forse i lupi lo avrebbero trovato prima dei tedeschi e lo avrebbero ammazzato. O forse avrebbero provveduto i suoi stessi compatrioti ad ucciderlo. Gli avevano sequestrato tutte le armi, così era rimasto con un coccio di piatto affilato e discreto, nascosto all’interno di una manica.
Nonostante nella notte avesse avuto qualche dubbio sul suo suicidio, quel tipo petulante aveva consumato tutte le sue forze e, soprattutto, la sua pazienza.
Mentre il silenzio annebbiava i suoi sensi Ivan sorrise nervoso, riacquistando quella quiete che quel dannato tedesco lo aveva privato.

 
 
“E’ stavo un lavoro semplice e pulito” Dissi trionfante, con il volto ancora grottescamente incrostato di sangue.
“Ottimo, Faust. Può andare.”
“...E basta?”
“Mi provoca ribrezzo con quella macchia rossa in faccia”
Ferito ed incompreso me ne andai a testa bassa, raggiungendo i miei sottoposti che, confusi, non fecero domande, nonostante fossero desiderosi di sapere cosa fosse successo durante quella dura e lunga notte.
Quel campo era davvero infestato.
 
 
 
 
 
 
Note finali:
*Si fa riferimento ad un bombardiere Tupolev Tu-2
Spesso gli aerei, soprattutto quelli americani, possedevano fusoliere decorate con animali, pin-up o simboli. Molte volte segnavano i nemici abbattuti con simboli, in questo caso stelle rosse.
** Il colpo lo ha fatto partire lui.
*** Stai zitto.  In cirillico per accentuare il senso di incomprensione tra i due.
   
 
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