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Autore: AlenGarou    05/12/2016    1 recensioni
Pennington Mansion era buia e derelitta; una costruzione ormai morta da tempo, soffocata dal sangue e dalle ceneri del suo stesso passato. Del suo florido corpo non rimaneva altro che un labirinto di corridoi silenziosi e decadenti, marciti dal tempo e dall’usura. Ogni tanto la dimora gemeva, emanando qualche tetro scricchiolio; assestava le sue stanche e logore membra ricercando un riposo a lei proibito. Nonostante la misera fine che l’aveva soggiogata, all’interno delle sue ossa rimbombavano ancora i loro mormorii; flebili, infidi… supplichevoli. Malgrado i numerosi ospiti che ancora ricevevano, nessuno era stato in grado di dar loro una risposta, di dar loro una voce. Esseri senza guscio e senza alcun potere, venivano semplicemente ignorati.
Anno dopo anno, la loro agonia continuava inesorabile. Quell’incubo perdurava, mascherato da innocente gioco di un’infanzia a loro rubata. Fino a quel giorno. Fino alla notte di Samhain.
Fino a che lei non arrivò.
La casa si ridestò dal suo sogno; loro si risvegliarono e il male, che assopito aveva pazientemente atteso nel cuore oscuro di quella dimora, ritornò alla vita.
Eppure lei non gli diede alcun credito. Perché mai avrebbe dovuto temere quel male?
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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5.

 

 

 

E

ra il cigolio di un meccanismo.

Nell’oscurità della sua mente poteva percepirlo, sentire i suoi congegni logori muoversi in un concerto di crepitii metallici. Dietro le sue palpebre, quel mosaico caotico di viti, perni, ingranaggi e pistoni era quasi visibile. Poi il cigolio si fermò, inceppato; la serratura non si schiuse del tutto.

Era sollievo quello che provava?

Fece un respiro profondo. Alex aprì gli occhi e l’immensità del paesaggio attorno a lei la colse alla sprovvista. Senza parole, scrutò il vuoto, lo sguardo che si smarriva in quell’infinita distesa incolore dove cielo e terra erano un’unica essenza. Non c’erano confini, limitazioni. Ebbe un moto di vertigini a tal pensiero.

Inspirò e fece un passo avanti titubante. Il suono di quella mossa echeggiò tutt’intorno in un sinistro riverbero. Tenne lo sguardo basso. L’invisibile superficie su cui posava sembrava sorreggerla, ma ciò non limitò la sensazione di precarietà che il suo cervello continuava a percepire. Se solo ci fosse stato….

Sussultando, Alex scattò all’indietro quando sotto i suoi occhi si materializzarono centinaia e centinaia di candidi fiori, che si espansero in un soffice manto fino ai confini dell’orizzonte. Sconcertata e al contempo lieta di aver un elemento fisico su cui concentrarsi, si chinò quel tanto che bastava per accarezzare un bocciolo, curiosa di avvertirne la presenza. Le sue dita sfiorarono appena i petali quando un gemito alle sue spalle l’arrestò. Si voltò lentamente e nel suo campo visivo comparve una bambina con la schiena incurvata e scossa dai tremiti, che nascondeva il viso piangente tra le mani. Per un attimo, Alex rimase bloccata. Non sapeva cosa fare ma, guidata dal proprio istinto, decise di avvicinarsi. Non si accorse nemmeno della scia di fiori anneriti e morenti che lasciò al suo passaggio.  

Man mano che la lontananza che le separava si assottigliava, Alex incominciò a vedere le similitudini che la univano a quella piccola figura tremante. Il vestito bianco di pizzo, i lunghi capelli scuri, il ciondolo dal cristallo azzurro che le pendeva dal collo.

Allungò una mano. Titubante, il tempo si dilatò nel frattempo che le sue dita sfiorarono il capo della bambina. Come se si fosse resa conto della sua presenza, questa smise di piangere. Abbandonò lentamente le braccia lungo il corpo e girò di scatto il capo verso di lei.

L’oscurità divorò quel luogo. E in quelle tenebre, migliaia di occhi si focalizzarono su di lei.

 

 

Riprendere conoscenza dopo essere stati posseduti da uno spirito errante era più o meno come risvegliarsi in ospedale dopo essere stati investiti dall’intera squadra di rugby della scuola: uno schifo.

Non che parlasse per esperienza, dato che non aveva mai avuto la prontezza di presenziare a un tale evento sociale, ma rimaneva della convinzione che come premio di consolazione le sarebbero aspettati almeno dei popcorn e una coca cola. Magari un hot dog se era il suo giorno fortunato. Purtroppo per lei, il destino aveva un senso dell’umorismo pessimo quanto il suo e tutto ciò che ottenne si limitò alla bocca riarsa per la sete e un fastidioso retrogusto amaro, oltre che al corpo ridotto a un ammasso di membra doloranti e ammaccate. Per cui sì, era davvero uno schifo.

Attraverso il torpore che la soggiogava, Alex gemette appena, gli occhi ancora serrati. La sua mente claudicava nel tentativo di riacquistare una lucidità appena passabile per comportarsi da essere umano. I ricordi sugli eventi della serata erano caotici, confusi, troppo veloci per ghermirli e collocarli in un ordine preciso.

Troppo… estranei.

Alla fine smise di provarci e si arrese all’inevitabile possibilità di aver perso qualche rotella.

Socchiuse gli occhi e sospirò. Distesa su quello che ipotizzò essere il divano, si stiracchiò lentamente, attenta a non attirare subito l’attenzione su di sé. Attorno a lei risuonavano voci famigliari, i cui proprietari si muovevano appena fuori dal suo campo visivo con un’urgenza che quasi la sorprese. Sembravano nervosi, spaventati, come un piccolo gregge confuso che correva dritto verso la sua rovina.  

Con quel pensiero contorto nella mente, incominciò a scivolare nuovamente nell’oblio, finché nella stanza non alleggiò un silenzio soffocante. Pessimo segno.

Un’inequivocabile spostamento d’aria le segnalò che qualcuno si era accomodato accanto a lei, scostandole dolcemente i capelli dal viso.

«Alex! Alex, mi senti?»

Emily.

Controvoglia riaprì gli occhi, osservando il viso sfuocato dell’amica. Attraverso le lenti degli occhiali, il luccichio delle lacrime non ancora versate le decorava il viso gonfio dal pianto; i riccioli biondi sembravano ancora più selvaggi del solito, come se ci avesse passato più volte le mani. Ma non furono quei dettagli a colpirla. Emily la guardava in modo strano, con un miscuglio di preoccupazione e sollievo che non le aveva mai visto prima. Beh, tutto considerato, era anche la prima volta che evocavano chissà quale spirito nefasto per girare una scena di possessione degna di un B movie.

«Ehi…» mormorò lei in risposta dopo qualche istante d’esitazione.

Poi, con sua grande meraviglia, rischiò nuovamente la vita.

«Oddio! Stai bene!» urlò Emily. Le gettò le braccia attorno al collo senza badare alla delicatezza, stringendola in uno dei suoi abbracci soffocanti e sfogandosi piangendo contro la sua spalla.

«Emily…» gemette, ma l’amica parve non sentirla tant’era sollevata.

«Non lo sarà ancora per molto se continui così» sentenziò in lontananza la voce di Sarah.

Emily sussultò e, quando si accorse della sua espressione agonizzante, la liberò immediatamente dalla sua presa mortale, portandosi le mani al viso per togliersi gli occhiali e asciugarsi le lacrime.

«Scusami… Mi dispiace… Alex, ero così preoccupata… Io…»

Alex alzò a stento una mano per fermare il suo sproloquio.  

«Non importa» mormorò in tono appena udibile. Abbassò lo sguardo e il frammento di un ricordo le apparve nella mente, colpendola con violenza. Sorpresa, si ritrovò ad esaminare di sottecchi la propria camicia immacolata attraverso i lembi della mantella. Quelle macchie nere… saranno state un’allucinazione provocata dall’adrenalina e il dolore. Tutto qui.

«Non importa? Ci hai fatto invecchiare precocemente dalla preoccupazione, mo álainn

Alex sgranò gli occhi. Colta alla sprovvista, si tirò a sedere così velocemente da spaventare Keiran che, appoggiato con le braccia sullo schienale del divano, l’aveva osservata per tutto il tempo. Prima che potesse inveire contro di lui, la vista le si offuscò e la stanza iniziò a ruotare attorno a lei. Il giovane la prese giusto in tempo per impedirle di accasciarsi come una pera cotta.

«Ma tu guarda…» Keiran sorrise e l’aiutò a mettersi seduta, per poi accomodarsi al suo fianco, pronto ad assisterla se fosse caduta di nuovo. Dopotutto, era così cavalleresco e preoccupato da essersi praticamente spalmato contro di lei.

«Fallo di nuovo e giuro che ti uccido» gemette Alex, tenendosi la testa tra le mani.

«Cosa? Coglierti alla sprovvista o salvarti da bravo cavaliere? Sappi comunque che quando sei spaventata sei piuttosto carina.»

Alex mise il broncio e gli lanciò un’occhiataccia. Era troppo stordita per ribattere.

«Keiran! Smettila di stressarla o sarò io a prenderti a calci! Ha bisogno di riposo» lo rimbeccò Emily, mentre Sarah sospirava.

«Scusa, non ti arrabbiare» si difese il ragazzo, alzando le mani in segno di resa.

Si era svegliata da nemmeno un paio di minuti e la sua emicrania non faceva che aumentare. Forse avrebbe dovuto fingersi morta ancora per un po’…

«Che cosa è successo?» chiese, interrompendo il litigio dei due. Quasi si stupì nell’udire quanto fosse roca e debole la sua voce.

Come se le avesse letto nel pensiero, Emily le porse immediatamente il resto della sua bottiglia d’acqua in modo che potesse rinfrescarsi e Alex dovette fare uno sforzo per non strappagliela dalle mani. Gemette di piacere quando il liquido le scivolò lungo la gola come un balsamo e non poté fare a meno di apprezzare la compagnia della giovane, anche se ebbe da ridire quando, una volta finito, la costrinse a rimanere seduta.

Uno sbuffo le uscì dalle narici, ma Emily non ci fece caso.

«Va meglio?» le domandò dolcemente l’amica.

«Sì, grazie. Ora però rispondimi.»

«Davvero non ricordi nulla?»

Alex socchiuse gli occhi, incerta su come interpretare quella domanda. Inclinò leggermente il viso e dopo una breve pausa scosse il capo. «Niente di niente.»

Emily fece un respiro profondo. Si massaggiò le tempie, gesto che compiva solo quando accumulava troppo stress o si trovava di fronte a un complesso problema matematico. In quel momento, sembrò solo stanca.

«Dopo… Beh, lo sai, ci hai fatto prendere un colpo. Sei corsa via come una furia, non sembravi nemmeno tu. All’inizio nessuno sapeva che fare, eravamo tutti troppo sconvolti, poi Ren ti ha inseguito e…»

A quella rivelazione, Alex s’irrigidì. Si passò una mano sulla fronte, cercando di ricomporre i suoi ricordi, specialmente quelli che riguardavano la sua discussione con il ragazzo.

… e ti scuserai con Keiran per averlo gettato contro il muro. Perché la voce di Ren le risultava irritante persino nella sua mente?

Voltandosi verso l’amico, notò allora che si teneva un braccio contro il petto e che gli stava comparendo un livido sullo zigomo. Deglutì a fatica.

«Keiran, mi dispiace…» incominciò lei.

Il ragazzo le rivolse uno sguardo gentile.

«Non preoccuparti, mo álainn. Sto bene. Piuttosto, sei pregata di non rifare mai più una scenata del genere. Non scherziamo quando diciamo che ci hai spaventati a morte!»

«Non ne dubito… E poi?»

Il sorriso di Emily, seppur teso, si intensificò.

«Ren è ritornato qui a passo di carica, con te tra le sue braccia e…»

Alex raggelò. Incurante di chi aveva intorno, si alzò la gonna.  Sospirò di sollievo nell’accertare che indossava ancora i leggins. In quel momento, la pelle di Keiran assunse la stessa tonalità dei capelli, ma non osò distogliere lo sguardo.

«Alex! Che diamine stai facendo?» sbottò Emily, riabbassandole con forza la gonna sulle gambe.

«Controllo di avere ancora le mutande» spiegò candidamente lei.

Dopo un attimo di esitazione, Emily le rifilò una sberla sulla testa. «Scema. Era davvero preoccupato.»

«Quando è entrato era una furia, tanto che ha quasi gettato giù dal divano Dakota per farti stendere.»

«È stato molto premuroso» concordò la giovane con Keiran.

«E dato che c’era si è occupato anche del tuo braccio?» domandò allora Alex. Si accomodò meglio sul divano, trattenendo appena un gemito a causa delle sue membra intorpidite. Il collo in particolare le doleva, come se fosse stata punta da uno spillo. Si massaggiò distrattamente, cercando di trarne sollievo.

«In realtà… no» rispose Keiran placidamente, come se non si aspettasse un esito diverso.

Alex sbuffò. Scrollò le spalle, dandosi una sistemata ai vestiti per poi accasciarsi contro lo schienale.

Mentre Emily continuava a raccontarle gli avvenimenti accaduti dopo la sua dipartita, scrutò la sala, ormai rischiarata solo dal chiarore del fuoco. Leyla si era addormentata su una sedia, probabilmente stremata a causa dell’alcool e dell’adrenalina, mentre Sarah stava riordinando gli appunti poco lontano da loro. Nonostante l’atmosfera sembrasse tranquilla a un occhio meno attento, l’inquietudine traspariva nei volti dei presenti come una cerea maschera.

Per un momento, Alex ebbe l’impressione che mancasse qualcosa d’importante in quel delizioso quadretto che rasentava la disperazione, ma evitò di pensarci troppo.

Incominciava a sentirsi irrequieta, il corpo che desiderava mettersi in azione nonostante le sue condizioni pur di non rimanere in quello stato di immobilità.

Fece per alzarsi, tenendo faticosamente a bada la nausea che le montò dentro a causa di quel movimento, ma Emily la bloccò.

«No. Rimani seduta ancora un po'.»

«Emily, sto bene. Davvero non…»

«Smettila di mentire. Non stai bene ed è tutta colpa mia!» esclamò allora la bionda con un tono talmente duro da stupirla.

Sia lei che Keiran si scambiarono un’occhiata confusa. Persino Sarah abbandonò quello che stava facendo e alzò lo sguardo per scrutarli, gli occhi scuri velati dall’apprensione.

«Tutto questo è colpa mia…» gemette di nuovo Emily, i pugni chiusi sulle gambe e il capo chino.

Alex sospirò.

«Little Bunny…» Nell’udire il suo soprannome, Emily sollevò lo sguardo per guardarla. «Smettila di punirti per cose di cui non hai nessuna colpa. Beh, in effetti solo in minima parte, ma…»

«Alexander.» La voce di Sarah la richiamò, facendola sussultare. Solo allora si rese conto che Emily stava tirando rumorosamente su con il naso, gli occhi pieni di lacrime che spiccavano lucidi sul viso arrossato. Lo sguardo di fuoco di Sarah era così intenso da rischiare di perforarle il cranio e Alex non poteva certo dichiararsi innocente. Almeno, non questa volta.

«No, Little Bunny. Non fare così.» Alex si protese per afferrarle le mani, nonostante il suo sguardo vagasse per la stanza. Aveva fatto male i calcoli. Era ancora troppo scombussolata per reagire in modo appropriato alle emozioni degli altri e certamente quell’insinuazione a dimostranza del suo poco tatto era stata del tutto fuori luogo, specialmente per una ragazza emotiva come Emily. «Andiamo… nessuno poteva prevedere un esito del genere. Però dai! Una volta usciti da qui avrai una notizia sensazionale da postare sul tuo blog e…»

Emily scoppiò in un pianto sfrenato, gettandole le braccia al collo.

«Alexander!» sbottò Sarah, questa volta visibilmente alterata.

«Su, su. Signorina Gray, non faccia così.» Keiran si sporse e le avvolse le spalle con un braccio, mentre l’altro finì su quelle di Alex, che s’irrigidì. «Forza Sarah, vieni anche tu. Un abbraccio di gruppo è quello che ci vuole in casi come questo.»

Sarah sospirò, ma nonostante la sua espressione impassibile si limitò a spalancare le braccia e a unirsi a loro, appoggiando la testa contro quella di Emily che, tremante, iniziò a calmarsi.

Improvvisamente, Alex incominciò a capire come dovesse sentirsi il ripieno di un toast. Schiacciato, accaldato, senza aria e a contatto con altre cose appiccicaticce. Il massimo del contatto fisico insomma, anche se pensata in questo modo non era poi tanto diverso nel ritrovarsi nella metro all’ora di punta.

Nel tentativo d’ignorare il disagio provocato da quel contatto fisico, osservò i dintorni, cercando qualcosa che potesse distrarla. E, in effetti, era proprio la mancanza di qualcosa a stupirla. Come aveva fatto a non accorgersene prima?

«Dov’è Ren? Cioè, dove sono gli altri?»

A poco a poco, i suoi compagni di coccole lasciarono la presa e ritornarono ognuno al loro posto, mentre Emily si asciugava gli occhi con il dorso della mano.

«Stanno controllando che la via sia libera» spiegò lei, sedendosi al suo fianco. «Vogliono evitare… beh, altri incidenti.» La sua mano si strinse sull’imbottitura del divano. Alex le posò sopra la sua, cercando di ricambiare il suo triste sorriso senza molto successo.

«Ormai dovrebbero essere di ritorno.» Keiran si mosse accanto a lei, rivelando la sua inquietudine.

«Perfetto, questa è la nostra occasione!»

Alzandosi per poi ricadere nuovamente sul divano, Alex dovette fare diversi tentativi per ritrovare il proprio baricentro e andare a recuperare la borsa.

«Alex, che stai facendo?» domandò stranita Emily.

«Me ne vado, mi sembra ovvio. E dato che c’è un bel po' di carne fresca che scorrazza in giro, è il momento migliore per passare inosservati.»

«Lo sai, vero, che per ritornare da dove siamo venuti dovrai fare il giro della casa?» Keiran incrociò le braccia al petto, osservandola zoppicare verso la porta. Nonostante cercasse di mostrarsi serio, il tremolio delle sue labbra nascondeva il suo tentativo di non scoppiare a ridere nel vederla ancheggiare come una bambola di pezza.

«Lo so. Ed è proprio per questo che non dobbiamo sprecare un minuto di più!»

«Ma non riesci nemmeno a camminare!» sentenziò Emily. «E poi non possiamo lasciare da sola Leyla.»

Come se avesse percepito di essere presa in causa, la cugina si accoccolò meglio contro la sedia, borbottando qualcosa d’indecifrabile e attirando ogni sguardo presente.

Sarah fece spallucce, come per dimostrarsi miracolosamente d’accordo con Alex.

«Oh, tranquilla. Non credo che andrà da qualche parte.» Alex riuscì finalmente ad arrivare sulla soglia e ad afferrare la maniglia. «E poi…»

La porta del salotto si aprì di scatto, facendole perdere l’equilibrio. Alex non riuscì a trattenere un ansito sorpreso, mentre cercava senza successo di rimanere in piedi, finendo contro il petto di Ren prima di cadere a terra a causa dell’impatto.

Il ragazzo si limitò ad osservarla inespressivo, focalizzandosi su di lei come un falco. Poi si concentrò sugli altri con un’occhiata di rimprovero.

«Perché è in piedi? Vi avevo detto di tenerla tranquilla finché non tornavo.»

«Certo, provaci tu» sbottò Emily.

«Alex!»

Gregory si fece strada attraverso gli altri ragazzi, correndo a raggiungerla. Come Emily, anche l’amico aveva il viso tirato dalla preoccupazione e lo sguardo angosciato, che la scrutava attentamente in cerca di chissà quali ferite.

Chinandosi verso di lei, si protese ad aiutarla. «Stai bene? Cos’è successo?»

«Sto bene. Perché continuate tutti a domandarmelo?» sbuffò lei. Accettò volentieri l’aiuto dell’amico, reggendosi a lui mentre la accompagnava verso il divano.

Keiran si alzò per lasciarle il posto, conscio del fatto che Ren li stava fissando, ma Alex lo ignorò, concentrandosi invece sull’amico e ringraziandolo quando le porse la borsa che era caduta con lei. Nel vederlo ancora pensieroso, Alex cercò di apparire nelle sue piene facoltà.

«Sul serio, Gregory. Non preoccuparti» rincarò, passandogli una mano tra i riccioli scuri per rincuorarlo.

Dietro di loro, Ren tossì.

«Abbiamo un problema» disse senza troppi giri di parole, mentre i suoi amici e Dakota lo raggiungevano, rimanendo in piedi al suo fianco. Nessuno di loro trasmetteva qualche sorta d’ottimismo e persino Leyla si risvegliò dal suo letargo, in qualche modo conscia dell’improvviso cambiamento.

«Che cosa è successo?» domandò tremante Emily nell’osservare le loro espressioni.

Ren fece per risponderle, ma prima ancora di poter aprire bocca fu interrotto.

«Non dirmelo. Siamo bloccati qui.» Alex si lasciò ricadere sul divano con nonchalance, come se tale affermazione non avesse alcuna aggravante in quella circostanza. Dopotutto un tale risvolto era palese. Almeno nella sua mentalità da serial killer in erba.

Ren la fulminò con lo sguardo.

«Non dirà sul serio?» sbottò Leyla, la voce acuta dal panico. Persino Sarah s’irrigidì.

Il ragazzo sembrò sul punto di strozzarla. «Grazie per averlo espresso in maniera così superficiale, ma sì. Abbiamo provato a sforzare nuovamente la finestra della cucina, ma sembra essersi inceppata.»

«E fammi indovinare di nuovo: non siete riusciti nemmeno a togliere le assi alle finestre…»

Un vecchio cuscino polveroso le piombò sul viso. Alex cercò di toglierselo di dosso, ma qualcuno glielo stava tenendo premuto contro.

«Non dovresti riposarti, dormire o fare la finta morta?» La voce di Ren era parecchio infastidita. Fortuna che fino a qualche momento prima gli era stato affibbiato l’appellativo “preoccupato”.

«Rennis, così la uccidi sul serio» gli fece notare timidamente Emily, che li stava squadrando attentamente.

Ren sbuffò e si allontanò da lei. Dal canto suo, Alex non gli scagliò contro il cuscino, ma se lo piazzò sotto il capo per stare più comoda. L’impulso di fargli un gestaccio però fu quasi irresistibile. Si costrinse a chiudere gli occhi e a fare finta di dormire, tuttavia alla fine cedette ai piaceri perversi della parola e fermò gli sproloqui del giovane con gli altri, intenti ad elaborare un piano di fuga.

«Avete controllato le finestre degli altri piani?» gli propose, osservandolo con un occhio. Lo vide irrigidire le spalle e voltarsi nella sua direzione, ma prima che potesse rimproverarla, fu interrotto.

«Non mi sembra granché come piano di fuga» sentenziò Dakota.

«Ebbene, potremmo legare insieme i lenzuoli con cui sono coperti i mobili per costruire una fune in modo da calarci. È inutile rimanere qui a girarci i pollici.»

«Sei pazza?» Leyla sembrava essersi un po' ripresa dalla foschia dell’alcool e la osservava sconvolta.

I ragazzi si voltarono verso Ren, il quale non poté fare a meno di sospirare, passandosi una mano tra i capelli. Sembrò costargli molto assentire alla sua idea, ma alla fine incominciò a spartire ordini.

«Direi che non ci rimane molto altro da fare. Mark, prendi Leyla e portala con te e Sarah al primo piano. John, Gregory e Dakota il piano terra. Io controllerò il resto.»

«Ma Ren, il secondo piano è ancora in ristrutturazione! Potrebbe crollare e tu…» Dakota gli afferrò un braccio e lo guardò sinceramente preoccupata.

Il ragazzo si limitò a posarle una mano sulle sue e a liberarsi dalla presa. «Per questo è meglio che sia io a dare un’occhiata. Non preoccuparti, sono sempre attento.»

Cercando di approfittare di quello smielato attimo di distrazione, Alex fece per alzarsi, ma Ren la intercettò con la rapidità di un fulmine e la bloccò puntandole contro un dito. «Tu invece rimarrai qui a riposare.»

«Che cosa?» esclamò lei sorpresa.

Ren la ignorò. «Keiran, non farmi pentire della fiducia di lasciarti qui come cane da guardia, intesi? Trattienila, anche con la forza se è necessario.»

«Non potrei mai farle del male» sentenziò l’altro da bravo gentiluomo.

«Beh, dovrai. Altrimenti sarà lei a farne a te. Ed è per questo che concedo la grazia a Emily di rimanere con voi. È l’unica a cui dà ascolto.»

Alex scattò in piedi, ma Ren le diede un colpetto facendola di nuovo ricadere sul divano con l’unico risultato di farla alterare ancora di più.

«Non sono un’invalida! Posso darvi una mano!»

«Niente da fare. È già tanto se riesci a stare in piedi, quindi per una volta chiudi la bocca e fai quello che ti viene detto.»

Alex lo fulminò con lo sguardo, ma Ren non s’intimorì e ricambiò con la stessa moneta.

Ancora un po' e sarebbe scoppiato un incendio.

Accorgendosi che gli altri erano rimasti impalati a fissarli, il ragazzo si voltò e le rivolse le spalle, procedendo a grandi passi verso di loro.

«Forza, andate a controllare ogni possibile uscita. Mi raccomando, rimanete uniti e se vedete qualcosa…» osservò le ragazze «Non strillate. Non c’è bisogno di risvegliare altri morti.»

Dopo qualche borbottio e delle vivaci lamentele da parte di Leyla, i ragazzi fecero come gli era stato detto, ma prima di uscire a sua volta, Ren si fermò qualche istante per parlare con Emily. Con i capi chini, si dissero qualcosa a bassa voce, ignorando lo sguardo indagatore di Alex.

Alla fine, Ren annuì e uscì dalla sala senza aggiungere altro.

Emily ritornò da loro saltellando, le mani unite e un’espressione più rilassata.

«Allora, che ne dite di fare qualche gioco?»

 

 

 

 

Venghino signori, venghino.

Ben ritrovati con un nuovo capitolo.

Lo so, non succede granché, ma tranquilli. La storia si sta solo mettendo sui giusti binari; si lucida la carrozzeria ed effettua un controllo dei sistemi prima di partire per andare a schiantarsi a tutta velocità contro un muro.

Dopotutto, il nonsense regnerà!

Ringrazio sinceramente tutti coloro che hanno messo la storia tra le seguite e recensito, in particolare Marina Merisi, che ha sopportato le mie lagne incessanti su questo capitolo.

Vi spoilero già che ho deciso di apportare alcuni cambiamenti nel prossimo appuntamento (perché se non faccio la mia pessima azione quotidiana non sono felice) e, essendo già al quinto capitolo, volevo chiudere con una piccola domanda:

 

Quale personaggio suscita in voi irritazione?

 

(Attenzione: le eventuali risposte non modificheranno in alcun modo la trama. Ergo non aspettatevi una carnificina… Almeno… Non subito…)

 

Detto questo passo e chiudo.

A tra un paio di settimane, come sempre, qui su.. Art Att

Cazzo, ho sbagliato di nuovo canale!

*bip*

 

 

 

  
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