Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: SagaFrirry    06/12/2016    3 recensioni
"Tu credi che il mondo sia solo bianco e nero, tutto per te può essere solo bianco o nero. Ma io sono la prova che non è così. Io sono il grigio? No. Io sono l'intero spettro di colori dell'Universo!".
Keros è un demone, ma non del tutto. È figlio di due specie molto diverse, frutto di un'unione per molti sacrilega. Questo è il racconto del suo cammino, lungo i secoli dell'esistenza. Fra Inferi e Cielo, buio e luce, dannazione e santità, scoprirà come essere realmente se stesso.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CRESCERE

 

Dopo una nottata passata a giocare e divertirsi, maestro ed allievi erano in casa a riposare. Keros non era stanco, e giocava sul pavimento con una trottola, ma Nasfer si era addormentato fra le braccia del padre. Alla fine, anche l’adulto aveva ceduto alla stanchezza ed aveva chiuso gli occhi. Il mezzodemone cercava di non fare rumore, per non disturbare. La casa era piccola ed un po’ disastrata, ogni movimento produceva scricchiolii e strani suoni inquietanti, ed iniziava a farsi sentire il freddo. Avvolto in una piccola coperta, Keros vide passare in strada tre individui. Per un umano qualsiasi sarebbero sembrati semplici stranieri di passaggio, ma il piccolo vedeva chiaramente le loro ali. Angeli? Cosa ci facevano tre angeli in giro per la città? Chiamò sottovoce il suo maestro ma poi decise di non svegliarlo e di “indagare” per conto suo. Aprì la porta e raccolse una piuma variopinta da terra.

“Scusami…” chiamò il bambino, senza mostrare alcun timore “Questa è tua? L’hai persa?”.

Porse la piuma all’angelo al centro, che fissò il piccolo con aria interrogativa.

“Come mai pensi che l’abbia persa io?” domandò la creatura celeste, convinto di avere di fronte un bambino umano.

“Perché avete le ali di colore diverso e le tue sono fatte così” si limitò a dire Keros.

I tre angeli si lanciarono uno sguardo interrogativo. Un semplice umano non avrebbe dovuto vedere le ali sulle loro schiene, in quel momento.

“Come ti chiami, piccino?” chiese il primo angelo, con grandi ali rossastre, chinandosi un pochino “E da dove vieni? Dove sono la tua mamma ed il tuo papà?”.

Keros non aveva voglia di rispondere. Continuò a porgere la piuma all’angelo che l’aveva persa e rimase in silenzio.

“Che cosa dici che sia?” sussurrò il terzo angelo, usando il linguaggio del Paradiso.

“Non sembra un demone” gli rispose quello centrale “Forse è un umano un po’… speciale”.

“Percepisco un potere in lui” si unì il primo angelo “Che però non riesco a comprendere”.

“Finitela di borbottare” si accigliò Keros “Non vi capisco”.

“Scusaci” gli sorrise il primo, con voce calda e gentile “Io mi chiamo Camael. Qual è il tuo nome?”.

“Keros” si arrese il bambino, ricordando gli insegnamenti del re riguardo “all’essere educati”. Certo che gli angeli erano davvero insistenti…

“Piacere di conoscerti, Keros” si unì l’angelo al centro “Sì, quella piuma l’ho persa io. Ma non posso riattaccarla perciò puoi tenerla. Dicono che porti fortuna…”.

“Grazie…”.

“Prego. Sei davvero un bravo bambino”.

Keros rimase perplesso nell’udire quelle parole. Lui un bravo bambino? Detto da un angelo?

“La tua mamma sarà fiera di te” si aggiunse il terzo.

“Io non ho una mamma” rispose il piccolo “E nemmeno un papà. Sono grande ormai”.

“Grande?”.

I tre angeli ricominciarono a borbottare fra loro. Quello centrale, dalle ali con sfumature verdi, sembrava preoccupato.

“Non possiamo lasciarlo qui da solo” furono le sue parole “Qualche demone potrebbe approfittare. Siamo stati mandati qui proprio perché pare che in questo villaggio vi siano dei demoni!”.

“Hai ragione” annuì Camael “Sempre che lui non sia…”.

“Forse dovremmo portarlo da Mihael. Lui riconosce le anime malvagie…”.

Keros comprese solamente “Mihael”, in mezzo a tutte quelle frasi in angelico, e gli bastò. Fece un passo indietro, sapendo quel che faceva Mihael ai demoni.

“Vieni con noi” gli porse la mano l’angelo centrale “Qui è pericoloso stare da soli”.

“Venire... Dove?” alzò un sopracciglio il bambino.

“In un bel posto. Se la tua mamma è morta, possiamo andare a cercarla insieme”.

“La mia mamma?”.

Per qualche istante, il piccolo fu quasi convinto. Mosse qualche passo verso gli angeli ma una voce familiare lo bloccò.

“Keros!” gridò Alukah “Allontanati da loro!”.

Il bambino si guardò attorno, indeciso. Il maestro chiamò l’allievo con più insistenza.

“Alukah!” lo riconobbe l’angelo centrale “Dunque sei tu il demone che ci hanno segnalato. Questo piccolino è tuo figlio?”.

“No, Remiel. Mi è stato affidato dal re in persona, affinché gli insegni a sopravvivere come demone vampiro. Prova un po’ ad immaginare che fine farebbero le tue belle penne se provassi a torcergli anche solo un capello”.

“Non pensavo fosse un demone” si fece serio l’angelo “In lui percepisco qualcosa di… strano”.

“Fai pure tutte le concezioni che vuoi” ghignò il demone vampiro.

Camael fissò i suoi due fratelli angeli ed i tre ebbero lo stesso pensiero, nello stesso istante. Il re in persona aveva affidato quel piccolo? Che fosse… il figlio del Diavolo? L’erede del loro fratello maggiore? Una simile evenienza metteva i brividi ed era meglio avvisare le alte sfere. Alukah intuì le loro idee e si affrettò a tirare Keros a sé. Non erano degli angeli soldato ma preferiva non arrivare allo scontro diretto.

“Sparite, angeli” cercò ti intimorirli “O sarò costretto a chiamare altri come me”.

Non era in grado di farlo, non in fretta, ma cercava di intimorire gli abitanti del Paradiso. I tre angeli parlottarono ancora fra loro e poi si allontanarono. Keros stringeva ancora fra le mani la piuma di Remiel ed il maestro gli lanciò un’occhiata molto poco rassicurante.

“Devi stare più attento” lo sgridò “Sei ancora molto piccolo”.

“Ma hanno detto che mi mostravano la mamma…” tentò di giustificarsi il bambino.

“Se tu fossi un umano, con madre umana, sarebbe possibile per gli angeli mostrarti la sua anima. Ma lei era una demone. Quelli come noi non hanno un’anima. Quando moriamo, ci dissolviamo. Gli angeli diventano luce mentre noialtri diveniamo polvere e svaniamo. Non avrebbero mai potuto mostrarti tua madre”.

Keros rimase in silenzio. Guardò la grande piuma colorata e decise di tenerla con sé, con aria pensierosa.

“Informa il re di quanto successo, quando rientrerai a palazzo” riprese Alukah “Probabilmente ci dobbiamo spostare. Oppure procedere con il tuo esame con un certo anticipo, così da permetterti di tornare negli Inferi in sicurezza”.

Il piccolo annuì. Voleva fare tante domande, come ad esempio perché angeli e demoni erano sempre in guerra fra loro, ma il suo maestro non aveva l’aria di voler discutere.

 

Le regole erano semplici: nel palazzo reale, Keros doveva indossare un piccolo campanellino. Trovava quel suono piacevole, quindi non fu un problema. Con un tintinnio lieve, il bambino camminava lungo i corridoi, diretto verso le stanze del re. Le guardie lo informarono che non si trovava lì e che doveva cercarlo altrove. Lui però insistette ed entrò nella camera, apparentemente vuota. In realtà, ormai lo aveva imparato, quando Lucifero non voleva essere disturbato sapeva bene come nascondersi. Keros raggiunse il letto e vi salì, per poi guardare verso l’alto. Il demone, nel buio, era appollaiato fra le travi del tetto, perfettamente incastrato in un punto praticamente impossibile da individuare, tutto appallottolato nelle ali. Sorridendo, il bambino tolse le scarpe e si arrampicò a sua volta, sfruttando i piccoli artigli che aveva ai piedi. Sapeva perfettamente che il re era sveglio e consapevole della sua presenza, ma lo ignorava. Così, irritante come solo un bambino testardo può essere, Keros iniziò a stuzzicarlo con una mano, punzecchiandogli le ali e chiamandolo per nome.

“Lucy!” ripeteva, con insistenza, sapendo perfettamente che il re odiava essere chiamato così.

Alla fine, il demone si arrese e socchiuse le ali con un sospiro.

“Ciao” sorrise Keros.

“Ma perché sei così testardo?” mormorò Lucifero, sbadigliando.

“Mi hai detto tu che non devo mai arrendermi quando voglio una cosa”.

“Questo non includeva piallarmi le palle tutto il giorno…”.

“Esagerato. Volevo dirti che stasera proverò a catturare il mio primo pasto da solo, senza l’aiuto dell’arconte Alukah”.

“Hai già terminato l’addestramento?!”.

“Non so. Il mio maestro dice che sono pronto…”.

Il re si voltò verso il bambino, appeso a testa in giù al suo fianco. Non erano trascorsi ancora due secoli da quel primo giorno di insegnamento nel mondo umano, ma forse erano stati sufficienti. Si fidava del giudizio di Alukah, doveva essere così. Come passava in fretta il tempo…

“Perché mi fissi così?” domandò il bambino, ridendo.

“Niente. È che pensavo che sei cresciuto. Quanti anni hai adesso?”.

“Quattrocentoventuno”.

Il re annuì, pensieroso. Corrispondeva ad un bambino di circa otto anni.

“Se passo l’addestramento… cosa mi regali?” ricominciò a parlare Keros, dopo un po’.

“Ah, ecco perché sei venuto a rompermi i coglioni! Che cosa vuoi?”.

“Io… Voglio un cucciolo”.

“Un cucciolo?!”.

“Sì. Uno di quelli grandi con le ali con cui ti muovi per l’Inferno”.

Lucifero tirò un sospiro di sollievo. Per un attimo aveva temuto di sentirsi chiedere un tenero cagnolino o qualcosa di simile. Per fortuna il piccolo chiedeva di poter allevare una creatura simile ad un drago, molto richiesta dai demoni privi di ali. Era una bestia impegnativa e difficile da gestire, ma era certo che quel testardo semidemone dai capelli per aria sarebbe stato in grado di prendersene cura.

“Se l’Arconte Alukah mi dirà che sei stato bravo e che l’addestramento è concluso, allora avrai il tuo cucciolo. Te lo prometto. Ti prenderai cura di lui fin dall’uovo, una grossa responsabilità che però tu, che stai diventando grande, sarai in grado di prenderti sulle spalle”.

Keros annuì, con un sorriso raggiante. Poi si lasciò cadere e finì al centro del letto, rimbalzando felice.

“Vado a prepararmi. Ciao!” spiegò, saltando giù “Non dirò alle guardie che sei lì, promesso!”.

Il bambino non aveva raccontato al re tutta la faccenda degli angeli, perché sapeva che si sarebbe preoccupato per nulla. E poi voleva fare l’esame, dimostrargli di essere grande e pronto. Così tornò dal suo maestro di corsa, con un sorriso soddisfatto ed una piuma colorata nascosta nella manica.

 

“Che cosa ha detto il re?” volle sapere Nasfer.

Keros fissò il figlio del suo maestro, senza rispondere. Non voleva dire una bugia a chi considerava un suo amico! Raggirò la domanda ed iniziò a parlare del cucciolo che Lucifero gli avrebbe regalato.

L’esame era semplice: il bambino doveva procurarsi un pasto da solo, senza aiuto del maestro, rispettando tutte le regole e gli insegnamenti. Keros li aveva ben in mente, mentre calava la sera e si preparava, però voleva anche dimostrare di essere bravo, non solo “promuovibile”. Iniziò a cercare una preda, senza fretta. Sapeva che gli umani avevano un sapore migliore sotto i trent’anni, poi iniziavano ad “invecchiare” ed anche il loro sangue ne risentiva. Sapeva inoltre di dover evitare ubriaconi e consumatori di strane sostanze perché rischiava di assumere a sua volta tali sostanze.

Si aggirò per i quartieri “per bene” della città, dove era più difficile passare inosservati. Avrebbe dimostrato la sua bravura! Alukah non si sentiva tranquillo. Osservava l’allievo da lontano e si guardava attorno, temendo di veder comparire di nuovo gli angeli che, in questo caso, sarebbero intervenuti perché il bambino avrebbe attaccato un umano. Come avrebbe potuto giustificarsi dinnanzi al re?

Per fortuna, non successe nulla di particolarmente rilevante durante l’esame. Keros individuò un giovane straniero e se ne nutrì, dimostrando di essere del tutto autonomo sotto quel punto di vista. Agì in modo impeccabile e, come segno di riconoscimento, donò il cuore della vittima al suo maestro. Questi sorrise, orgoglioso, e spinse il figlio a cercare di fare lo stesso. Nasfer, piuttosto affamato, iniziò a gironzolare in cerca di cibo, mentre un messaggero era stato inviato ad informare il re sul buon esito dell’esame.

“Nasfer?” lo chiamò Keros “Vuoi una mano?”.

Non udendo risposta, il piccolo mezzosangue si distrasse, iniziando ad osservare i riflessi delle candele che si intravedevano nelle case ed il vociare di qualche umano ancora sveglio. Poi udì la voce del compagno di allenamento, piuttosto allarmata, e decise di raggiungerlo di corsa. Un angelo, emettendo una forte luce, si era frapposto fra Nasfer e la sua vittima. Il piccolo demone, abbagliato, aveva lanciato un gemito di protesta. Keros non esitò e corse ancora, diretto verso la creatura del Paradiso.

“Lascia stare il mio amico!” esclamò, tirando un calcio alle gambe dell’angelo.

Questi si stupì molto di quel gesto e non trattenne un sorriso, piuttosto tenero.

“Perché non avete fermato me?” continuò Keros “Vi facevo vedere io! Che seccatori siete voi angeli!”.

“Il nostro compito è proteggere le creature di Dio” spiegò l’angelo, con voce dolce “Se tu interferisci con l’esistenza di chi crede in qualcosa di diverso, non è affar nostro”.

“Andate via! Tutti gli angeli devono andare via e lasciarci in pace” insistette il sanguemisto.

“Sei un assassino!” si sentì rispondere, e sollevare da terra.

Preso in braccio, Keros si ritrovò faccia a faccia con un secondo angelo: Mihael. Il bambino rimase in silenzio solo qualche istante e poi aprì la bocca, mostrando i denti da vampiro e lanciando dei versi con l’intento di risultare minaccioso. In realtà, otteneva l’effetto contrario ma l’espressione di Mihael non mutava.

“Ancora tu?” si stupì l’Arcangelo “Sei il moccioso che andava a spasso con Lucifero?”.

“Sì, sono sempre io. Mi devi una rana!” sibilò Keros, cercando di mostrarsi cattivissimo.

“E lui dov’è? Si è stancato del suo nuovo giocattolo?”.

“Non sono affari tuoi. Mettimi giù!”.

Mihael fissò negli occhi il piccolo, cercando di scorgerne la vera natura.

“Sei strano, piccolo” commentò poi “Non sei del tutto un demone”.

“Sono un vampiro” rispose Keros, ancora cercando di mordere l’angelo.

“Potrei esorcizzarti. La parte demoniaca svanirebbe e si mostrerebbe quel che resta, qualunque cosa sia”.

“Vai ad esorcizzare tua sorella, se ne hai una! Lasciami!”.

Keros iniziò a dimenarsi come un pazzo ma Mihael lo tenne stretto, anche quando il bambino riuscì a mordicchiarlo. Alukah, allarmato dalle grida del figlio, giunse sul posto ma fu costretto a rimanere immobile, perché consapevole di non poter competere con Mihael.

“È solo un cucciolo” cercò di dire.

“Che un giorno diverrà grande, grosso e pericoloso” ribatté l’Arcangelo, con lo sguardo che mutava colore ed iniziava a brillare.

Keros lanciò un gemito di protesta, cercando di non guardarlo negli occhi. La creatura del Paradiso iniziò a pronunciare parole complicate e il piccolo si sentì a disagio. Serrò le palpebre ma quelle parole lo stordivano.

“Lasciami!” gemette, sentendo il desiderio di piangere e sforzandosi di non farlo.

Un forte scossone lo sorprese, si sentì lasciare andare e ruzzolò a terra. Riaprendo gli occhi, vide Lucifero che immobilizzava Mihael e lo fissava.

“Esorcizza questo” mormorò il re, con un ringhio ben più minaccioso di quelli di Keros.

Alukah corse a raggiungere Keros e lo trascinò via, nonostante le proteste, e lo portò al sicuro in casa assieme a Nasfer. Rimasero in silenzio, intimò ai piccoli di non parlare, ed attesero.

Nel buio, dopo qualche tempo, udirono dei passi. Alukah trattenne il respiro, cercando di nascondere se stesso ed i bambini nell’ombra. Keros però si dimenò e fuggì via, correndo verso quei passi.

“Lucy!” gridò, lanciandosi fra le braccia del re.

“Il mio cucciolo” sorrise il demone “Stai bene, vero?”.

“Sì”.

“Sei stato bravo. Ma ora dobbiamo andare a casa…”.

Alukah si inchinò leggermente dinnanzi al suo signore, notando che era ferito in modo lieve.

“Quell’Arcangelo fa tanto lo spaccone ma alla fine non ha il coraggio di iniziare l’Armageddon” ghignò il re “Ed ora, Keros, saluta e andiamo”.

“Tornerò domani?” chiese il piccolo, ancora in braccio al demone.

“No, cucciolo. Hai passato l’esame, il tuo addestramento è concluso. Non è più necessario che torni qui”.

“Ma… Io voglio giocare”.

“All’Inferno non puoi giocare?”.

“Sono sempre da solo…”.

Keros non aveva il coraggio di dire che Nasfer era sua amico, perché il re più volte gli aveva ripetuto che i demoni non hanno amici ma solo “compagni di convenienza”.

“Adesso andiamo a casa ed io manterrò la mia promessa: avrai il tuo uovo. E poi è ora di crescere ed iniziare nuovi percorsi”.

Il bambino girò il viso verso il maestro e Nasfer. Gli sorrise, anche se non molto convinto.

“Mi verranno a trovare?” chiese Keros, fissando il re.

“Certo. Ma prima Nasfer deve terminare l’addestramento” annuì Alukah.

Non volendo prolungare troppo dei saluti per lui inutili, Lucifero si affrettò a tornare all’Inferno.

“Vicino a te mi rovino sempre i vestiti” sorrise al piccolo, notando che la piccola zuffa con il fratello minore aveva stracciato in qualche punto le stoffe che indossava.

“E il mio uovo?” incalzò il bimbo.

“Appena mi diranno che una di quelle creature ha deposto le uova, andremo insieme a scegliere il tuo”.

“E intanto con chi gioco?”.

“Giocare a cosa?”.

“Non so. Inseguirsi, nascondino…”.

“Tutto qui? Prendimi, allora!”.

Keros alzò un sopracciglio, perplesso. Poi capì che cosa intendesse il re e sorrise, iniziando a correre per il corridoio. Era strano sentire delle risate all’Inferno ma in quel momento si sentirono forti e cristalline, prodotte da un piccolo mezzodemone con un campanellino alla caviglia.

 

Rieccomi!! Il primo capitolo che aggiungo da quando è nata la bimba. Mi tiene impegnata ma piano piano andrò avanti con tutte le storie!!

   
 
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