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Autore: Laila_    08/12/2016    0 recensioni
Robert e Astrid: due nomi, due esperimenti.
Venduti in tenera età vivono e crescono all'interno di una struttura scientifica il cui unico scopo è quello di trasformare loro e altre cavie in armi letali.
Ma cosa succede quando, i nostri protagonisti, riescono a fuggire e a raggiungere il mondo esterno?
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza
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In quel momento, in quel preciso istante, ho capito cosa mi avevano portato via tutti quegli anni passati all'interno della struttura di ricerca. Non ho mai incolpato i miei genitori per la loro scelta ed ho sempre pensato che la loro decisione sia stata presa per salvarmi da quello che stava diventando un Paese difficile. Dal mio punto di vista il loro è stato un gesto d'amore, ben consapevoli di non potermi garantire un buon futuro. 
Ci è voluto un secondo per capire quanto mi ero perso passando rinchiuso diciassette anni e ci è voluto meno di un batter ciglia che avrei preferito poter vivere quel mondo in maniera miserabile che all'interno del laboratorio. 

Un brivido freddo mi corse lungo la schiena. Fossimo stati dei normali umani probabilmente avremmo rischiato un malanno. Il tramonto -ricordavo si chiamasse così- aveva sciolto l'animo diffidente della rossa che per prima si presentò. Nonostante non avessi fatto nulla per ottenere quella informazione, mi sentivo felice della conquista guadagnata. 
Il suo nome era Astrid. Un nome dal suono duro, ma che, accostato alla sua figura, dava l'idea di una persona fragile, seppur l'aspetto che cercava di dare di lei. 
"Robert..." ripeté il mio nome come a volerselo memorizzare meglio "Da dove vieni?" mi domandò dando un'ultima occhiata al sole si nascondeva fra le alture all'orizzonte. 
"Torino, in Italia." risposi forse in maniera troppo breve. 
Pensai in quel momento che Astrid avrebbe potuto fraintendere il mio tono. Mi faceva davvero piacere rivolgerle la parole e comunicare con lei. 
Lei spostò lo sguardo verso di me, incrociando i miei occhi. Passò qualche secondo di puro silenzio. Lei batté più volte e velocemente le palpebre, come se stesse attendendo qualcosa da me. 
"Beh... Come... Perchè...?" balbettai qualcos'altro alla ricerca di un qualsiasi dettaglio che mi aiutasse a parlare di qualcosa con la ragazza. 
Eppure più osservavo i suoi occhioni verdi e più mi sembrava di aver perso la facoltà di parlare. 
"Continuiamo?" domandò lei interrompendo il mio susseguirsi di versi più o meno sensati. 

Non sapevo esattamente come, ma sembrava che Astrid sapesse dove andare e cosa fare poi. Quindi mi limitavo a seguirla, senza aprir bocca. Eppure avevo molto di cui parlare, avevo mille cose in testa a cui dare vita. Avrei voluto domandare da dove veniva, quanto tempo era rimasta al laboratorio, come era finita lì, quali erano gli esperimenti che le avevano fatto e tanto altro ancora. Dischiudevo le labbra tentando di dirle qualcosa, ma mi rendevo conto che tutto era legato a quell'inferno che avevamo vissuto e che quindi avrei rischiato semplicemente di farla soffrire ricordandole brutti momenti. 
"Hai... un bel colore di capelli." fu il mio commento. 
Da come lei si voltò a guardarmi capii che forse non era il caso di farle quel 'complimento'. Mi sorrise ringraziandomi sorpresa da quel mio improvviso intervento. 
"Dove stiamo andando?" 
Lei fece un passo verso di me.
"Il più lontano possibile." fu questa la sua risposta. 
"Quindi non sai esattamente dove andremo a finire?"
"Non so neppure se siamo fuori dal terreno del laboratorio." voltandosi e riprendendo a camminare. 
Si era nuovamente sforzata di rispondermi, aveva rialzato il muro che inizialmente c'era fra me e lei. Sospirai seguendola. 

Il nostro viaggio continuò per diverse ore. Entrambi stavamo congelando in quanto le nostre divise non erano adatte alle basse temperature. Inoltre i nostri pantaloni erano completamente bagnati per via della neve alta. Tremando iniziavamo a far fatica a proseguire. 
"È terribile..." disse quasi in un sussurro la ragazza dai capelli rossi.
Sapevo a cosa si riferiva. Il sole rimaneva fisso alla stessa altezza da quando eravamo riusciti a fuggire dal laboratorio, della notte nessuna traccia. Inoltre, in quel boschetto era difficile orientarsi. 
"Sembra di essere al punto di partenza." sbuffò stanca. 
Feci velocemente due passi mettendomi al suo fianco. Provai a incoraggiarla dicendo che avremmo raggiunto presto un luogo dove nasconderci e ripararci, ma lei non ne era tanto sicura. Più provavo a farle cambiare idea e più lei era triste. 
Possibile fossi tanto incapace. 
"Oh no..." la voce delicata della ragazza interruppe il mio inutile parlare. 
Spostai lo sguardo guardando davanti a me. Ad un tratto gli alberi finivano, nonostante la distesa di neve sembrava continuare. 
"C'è un dirupo." tremò lei "Non possiamo continuare."
Percorremmo più velocemente il tratto che ci divideva da quell'ostacolo e ci affacciammo a guardare davanti a noi. Eravamo si in alto, ma sotto di noi, a diverse centinaia di metri dei lampioni illuminavano quella che sembrava essere una via principale. Ai suoi lati c'erano degli edifici e delle persone che camminavano a passo svelto sulla neve quasi inesistente sul marciapiede. Era una piccola città che si estendeva per diversi chilometri. Avremmo potuto trovare un riparo per un po' e riprendere il viaggio una volta riscaldati e riposati e dopo aver trovato qualcosa che ci proteggesse dal freddo con cui proseguire. 
"Muoviti!" 
Astrid aveva ripreso completamente vita ed aveva iniziato a saltare sulla neve, sprofondandoci ad ogni balzo. Cercai di starle dietro, ma lei, nella sua piccolezza, saltava in maniera troppo veloce per me. 

Non passammo inosservati una volta raggiunta quella strada tanto illuminata. Cercando di riprendere fiato in tempi rapidi ci guardammo in giro scontrandoci con gli sguardi freddi e diffidenti di chi ci passava vicino. Non ci aspettavamo di certo una festa al nostro arrivo, ma neppure donne che coi loro bambini si allontanavano da noi quasi correndo. 
Iniziammo a percorrere il viale guardandoci attorno. Nonostante il freddo diversa gente era in strada ed altra continuava ad uscirne dalle abitazioni. 
"Mi sento osservata..." bisbigliò Astrid avvicinandosi a me e afferrandomi la giacca dell'uniforme con una mano.
Non era solo una sensazione: avevamo realmente gli occhi di tutti puntati addosso. 
"Andatevene via!" urlò una signora anziana dal balcone del suo appartamento al primo piano "Non vogliamo altra gente come voi! Non porterete più via i nostri bambini!" 
"Di cosa stanno... Ah!" 
Sentii il braccio tirare in avanti e vidi la rossa scivolare. Lasciò la mia giacca portando le mani in avanti in modo da ammortizzare la caduta. Mi inginocchiai immediatamente ad aiutarla.
"Lo volete capire o no? Dovete sparire." 
L'uomo che aveva spinto a terra Astrid ci stava ringhiando contro, accompagnato da altre mille voci che si confondevano. Era chiaro il loro messaggio: dovevamo andarcene subito.
"Levatevi dai coglioni!" lo stesso uomo si era avvicinato ulteriormente stringendo i pugni in maniera minacciosa. 
Chi era lui per trattarci come animali? 
Scattai in avanti ritrovandomi faccia a faccia con l'uomo, ma nuovamente mi sentii tirare un arto. 
"Andiamocene, Robert..." sussurrò la ragazza in lacrime. 
Guardai nuovamente l'uomo per qualche istante, poi seguii la ragazza a testa bassa, umiliato da quelle infinite parole di disprezzo che ci stavano piovendo addosso.

Solo una volta tornati ai piedi del dirupo che avevamo aggirato poco prima Astrid si lasciò cadere a terra in un pianto quasi disperato. 
"Non abbiamo fatto nulla."  
Non riuscivo neppure io a capire perché ci avessero trattato in quel modo. Avevamo solo bisogno di un posto dove ripararci, non avremmo di certo fatto di male ai loro figli. Non erano quelle le nostre intenzioni. 
Astrid, sconsolata e tremante, continuava a piangere. Vederla in quello stato mi stringeva il cuore. 
"Ho pochi ricordi dei miei genitori." le dissi accucciandomi accanto a lei "Ma uno di questi riguardava una frase che mi diceva mia madre: nulla è per caso." 
Astrid sembrava non capire anche se stava ascoltando con attenzione le mie parole. 
"Nulla è per caso!" ripetei come se fosse la soluzione ad ogni problema.
"Non ti seguo." 
"Se ci succede qualcosa c'è un motivo." cercai di spiegarmi alla ragazza "Anche se ci sembra ingiusto o infelice, non vuol dire che dobbiamo abbatterci. Dobbiamo invece impegnarci e continuare." 
Lei scosse la testa, non convinta delle mie parole. 
"Siamo destinati a morire, tutto qua." 
Le sue parole mi fecero rabbrividire, ma non le volevo credere. Era triste e demoralizzata in quel momento e ciò che aveva appena detto era sicuramente influenzato dal suo stato umorale. Doveva provare a ragionarci un po' e provare a cambiare punto di vista. 
"Forza ora!" la incoraggiai prendendo con forza le sue mani e facendola alzare "Dobbiamo andare avanti: siamo solo all'inizio della storia. La nostra avventura inizia da qua, la nostra vita inizia da ora." 
Lei mi guardò con i suoi occhioni verdi e le labbra appena socchiuse. Accennò poi un sorriso. 
"Hai ragione, non posso arrendermi fin da ora." 
Lei si asciugò alla meglio le lacrime con il bordo della giacca della tuta bagnato. 
"Ora andiamo a trovare un riparo." consigliai tenendole ancora le mani. 

Il sole sembrava non voler tramontare, rimanendo fisso all'orizzonte. Il cielo si era fatto più arancione e dalla città sembrava provenire il silenzio più assoluto. 
Con le labbra violacee e tremanti la ragazza dai capelli rossi ispezionava una delle vie secondarie della città. Queste non erano minimamente illuminate ma con la poca luce del sole riuscivamo ad orientarci fra i palazzi e sulla neve più alta rispetto a quella sul viale principale. Ci stavamo addentrandosi in quello che sembrava essere un quartiere semi abbandonato. Gli edifici cadevano a pezzi. Avevano le porte e le finestre rotte, sbarrate con delle tavole in legno ormai marcio. Ai lati della via alcune vi erano delle piccole montagne di neve a coprire i cassonetti e la spazzatura sparsa qua e là. 
"Dovremmo provare ad entrare in uno di questi palazzi." suggerii ad Astrid cercando di non mordermi la lingua battendo i denti dal freddo. 
Lei alzò lo sguardo verso uno degli edifici. Al secondo piano alcune finestre erano illuminate da una fioca luce. Si intravedevano dall'esterno due plafoniere led. 
"Non credo che questa gente se la stia passando bene." commentò Astrid cercando di saldarsi le mani con il suo stesso respiro "Non vorrei occupare la casa di qualcuno in difficoltà e non vorrei neppure ritrovarmi in una situazione come quella precedente." aggiunse pronunciando le ultime parole a bassa voce.
Non potevo dar torto alla ragazza, anche se alla fine dovevamo pensare anche a noi, non solo agli altri. 
"Mi fanno male i piedi." brontolò "Sento la pelle bruciare." piagnucolò continuando però a camminare. 
Fu al suo ennesimo brontolare sommesso che afferrai il suo braccio destro e la trascinai verso una delle finestre rotte. Ignorai le domande della rossa ed iniziai a spingere le tavole di legno inchiodate alle cornici alla meglio. Strappai insieme ad esse un telo stropicciato e bucherellato. Infine mi infilai all'interno di quello che sembrava essere la hall dell'edificio. 
"Seguimi." 
Astrid si guardò attorno per un'ultima volta, indecisa sul da farsi, ma alla fine entrò anche lei all'interno dell'edificio. 
La differenza di temperatura non era molta, anzi, era decisamente impercettibile. La semplice assenza del leggero venticello che soffiava, però, era già di per sé motivo di sollievo. 
All'interno dell'edificio sembrava regnare il silenzio più assoluto, come se fosse completamente abbandonato. Trovate le scale optammo per raggiungere uno dei piani più alti sperando di trovare un appartamento vuoto. 
Non arrivammo all'ultimo piano che Astrid fu attirata da una porta aperta a qualche passo dalle scale. Lei spinse l'uscio il cui scricchiolio risuonò nel corridoio vuoto. I nostri visi si contrassero in una smorfia infastidita dal rumore. Dopo aver atteso qualche secondo entrammo nell'appartamento di piccole dimensioni. La penombra ci permetteva di vedere piuttosto bene l'interno. Non sembrava esserci nessuno e questo fece tirare ad entrambi un sospiro di sollievo. 

  
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