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Autore: pandamito    08/12/2016    0 recensioni
Mentre da una parte nel mondo Andrea e Giuliano incontrarono Licia per caso, in un’altra parte sempre molto super random qualcuno mi chiese mi raccontare una storia. Sinceramente non ne avevo proprio voglia, però sapete com’è, non avevo niente di meglio da fare mentre il torrent finiva di scaricarsi e poi ho realizzato: quello era il mio momento. Il Destino, il Fato, un cavallo, qualcosa di mistico e onnipresente che governava le forze dell’universo mi stava dando l’opportunità che avevo sempre aspettato per risplendere ancor di più, per infangare ancora il nome di qualche persona e bearmi delle loro sventure.
E così una testolina riccia e nera trotterellava tranquilla per strada, intento nel tornare a casa da-
No, aspettate, non è così che inizia la storia.
Torniamo indietro. Rewind.

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Basically: gente molto random e scapestrata abita in un condominio dove succede di tutto e di più e fanno cose.
Ovvero chiamata "la storia che nessuno aveva bisogno che io scrivessi".
Genere: Commedia, Demenziale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
Capitoli:
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Sentiva le palpebre pesanti, gli occhi che quasi gli bruciavano e un grave cerchio alla testa che continuava a stringersi. Sbatté a fatica le ciglia, assottigliando lo sguardo e cercando di nascondersi dalla luce che filtrava. Osservò il soffitto, che però a quanto pareva non era un soffitto, bensì la rete e il materasso del letto sopra di lui. Spostò leggermente lo sguardo verso destra, sempre puntandolo verso l’altro, e finalmente vide il vero soffitto bianco sporco, un po’ macchiato; pian piano iniziò a notare più dettagli mentre i suoi occhi cominciavano ad abituarsi, come i rivestimenti in legno delle pareti, dei separé color prugna che circondavano l’area dove si trovava e vari letti a castello vicino a lui e poi… una figura seduta sulle coperte del suo letto, indossava i pantaloni grigi di una tuta e una canotta nera macchiata di… Era tempera o salsa quella? Ah, ma che uomo pignolo a soffermarsi su certe cose, piuttosto, quando mise meglio a fuoco, notò i lunghi capelli mossi, la barba scura incolta e i grandi occhi azzurri che lo fissavano.
Fu preso dal panico. «Oh, no, sono a casa tua» emise Alexandre in un lamento, chiudendo gli occhi istintivamente in quella che sembrava sofferenza spirituale e lasciandosi sprofondare nuovamente nel cuscino su cui aveva dormito.
«Buongiorno, principessa» lo salutò ironicamente Anthony Orwell. Ok, forse neanche troppo ironicamente, ammettiamolo.
«Non mi piace per niente che sia a casa tua, vuol dire che non potevo tornare da me perché è successo qualcosa di brutto» sputò il biondo tutto d’un fiato e con una voce gravemente preoccupata, quasi a diventare più acuta.
Il maggiore roteò gli occhi. «Diciamo che sì, la storia è più o meno questa. Anche se sono offeso per il tuo continuo non voler restare a dormire qui.»
Alexandre aprì di nuovo gli occhi, incrociò le braccia al petto e- ok ma stava indossando una canotta di Tony? Si fermò un attimo per sentire se aveva dei pantaloni e sì, li aveva ed erano piuttosto comodi.
«Ti ho cambiato io» rispose il moro, anticipando i pensieri del ragazzo, che arrossì. Oddio ma che pudico. «I tuoi vestiti sono di là.»
Alexandre gli lanciò un’occhiata ancora più preoccupata. «Cos’è successo?»
«Oh, sì, ignoriamo pure i miei sentimenti sul tuo astio verso quest'appartamento» rispose l’Orwell, fingendosi offeso.
«Tony!» squittì involontariamente l’altro. «Lo sai che m’imbarazza dormire con la tua famiglia che mi fissa!»
«Ok, effettivamente è stato imbarazzante, ma solo perché eri ubriaco e non ti rendevi conto di quel che stavi facendo» confessò.
Alexandre impallidì. «Oh, cielo, cos’ho fatto? Anzi no, non dirmelo, non verrò mai più qui e non vedrò mai più la tua famiglia. Mi dispiace, ma i pranzi di Natale dovremmo farli separati.»
Tony cercò di interrompere quel flusso di coscienza. «Prima di tutto, ti sei ubriacato.»
«L’avevo immaginato» ammise il biondo.
Il maggiore gli lanciò un’occhiata accusatoria. «Ti avevo detto di non farlo perché so cosa ti succede dopo.»
Alexandre abbassò lo sguardo, sentendosi un po’ vulnerabile. «Volevo solo che non ti deprimessi al bancone e che stessi con me.»
Tony abbandonò la sua vecchia espressione per rimpiazzarla con un sorriso e uno sguardo da pesce lesso innamorato- mio dio vi prego censuratelo, non voglio vivere assieme a quest’uomo. «Se ti può consolare, quando ho capito che stavi degenerando, ho lasciato subito tutto per cercare di riportarti a casa.»
Il minore s’intristì ancor di più. «No, non mi consola.»
Tony alzò le spalle. «Ci ho provato.»
Alexandre sospirò. «Vai avanti.»
«Mi hai tenuto il broncio per un bel po’, devo ammetterlo.»
«Me lo aspettavo.»
«Abbiamo quasi litigato» continuò.
A queste parole il Grandpré sgranò gli occhi e tornò a preoccuparsi. «Che ti ho detto?» domandò allarmato.
Tony alzò nuovamente le spalle, stando bene a non incrociare lo sguardo dell’altro. «Niente d’importante.»
Alexandre indurì la sua espressione, cercando di guardarlo fisso negli occhi. «Anthony, che ti ho detto?» ripeté, scandendo bene le parole.
«Che… diciamo…» iniziò, mordendosi il labbro. Abbassò il capo, prendendo a giocherellare con le proprie dita per distrarsi. «Beh, all’inizio mi hai insultato- No, no, cioè in realtà mi hai detto cose giuste, tipo che non dovrei preoccuparmi troppo, o che non dovrei far finta di star bene, o… Insomma, le cose che mi dici sempre, solo… sai come fai quando ti arrabbi» concluse, cercando di sorridere rassicurante.
«Oh… in realtà pensavo peggio, per i miei standard» confessò il biondo, allentando un po’ la pressione sentita addosso. Ritornò a guardare di nuovo il proprio ragazzo, un po’ intristendosi e tornando serio. «Non avrei comunque dovuto perdere la calma, scusa.»
«E poi…» continuò Anthony, mordendosi nuovamente il labbro e torturandosi le mani. Alla fine perse la pazienza dal nervoso. «Dannazione, perché non puoi ricordarti le cose quando bevi?»
Alexandre corrugò le sopracciglia. «Adesso è colpa mia se mi dimentico le cose da ubriaco?»
«Beh, direi di sì! Com’è che io-»
Prontamente il minore si tappò le orecchie e si mise ad alzare la voce. «La la la la la, mi rifiuto di ascoltare!»
«Devi affrontare il tuo problema di non reggere l’alcol!» cercò di sovrastarlo col tono, ma quello non accennava a smettere, quindi Anthony per ripicca gli si buttò addosso e prese a fargli il solletico.
«Che vuoi?» chiese scorbutico il biondo quando si sentì attaccato. Venne schiacciato dal peso dell’altro, ritrovandosi immobilizzato e con Tony a peso morto sopra di lui. «Questo è sleale!» protestò.
«Zitto» brontolò il moro.
«Zitto tu, continua la storia» si lamentò l’altro.
«Come faccio a star zitto e continuare?»
Alexandre cercò di lanciargli l’ennesima occhiataccia, ma in quella posizione era difficile persino ruotare il capo. «Tuo fratello ha ancora la passione delle piante grasse fuori dalla finestra? Sto ponderando di vincere un record di tiro al bersaglio con la tua faccia.»
 
Ora ci prendiamo tutti un momento per parlare della passione di Philip Orwell di collezionare piante grasse. Prima di tutto: perché lo faceva? Era partito tutto un giorno in cui c’era il mercato; a Philip piaceva tantissimo girare tra le bancarelle, lo affascinavano. Sta di fatto che quel giorno arrivò alla bancarella del fioraio proprio in tempo per sentire due vrenzole – due donne di buona donna, in poche parole, ma riteniamo che il termine “vrenzole” sia più appropriato per esprimere i sentimenti di riguardo nei loro confronti – che si erano messe a commentare i fiori, iniziando così ad offendere le povere piantine grasse in esposizione. Esse ritenevano che quelle povere creature floreali fossero poco estetiche e che non aveva senso comprare qualcosa che non faceva altro che male con quelle spine e che, per giunta, era anche tozzo.
Philip Orwell ovviamente sentì il suo povero cuore infrangersi e, gonfiando le guance, prese posizione alla difesa delle piante grasse. Ne comprò una decina, che non abbiamo idea di come riuscì a portare a casa, ma probabilmente con molta difficoltà, poiché Theo dovette restare circa due ore e mezza a togliergli le spine dagli arti.
Da quel giorno, comunque, iniziò la campagna di difesa verso le piante grasse, dichiarando di non doverle giudicare solo dal loro peso e aspetto e che probabilmente si erano fatte crescere le spine perché in passato erano state ferite. Questa più o meno era la visione di Philip Orwell, che metteva le sue piantine in vasetti tutti affilati sul bancone, sperando che prendessero un po’ di sole.
E questa è più o meno la storia.
Ora torniamo a un’altra cosa che non ci interessa ma in realtà sì perché vogliamo il gossip.
 
«Sai, da quando mi frequenti hai più senso dell’umorismo. Sei terribile» dichiarò Anthony.
«Non sei neanche il primo che me lo dice. Vai avanti.»
«Non ti piacerà.»
«Perché prima mi stavo proprio divertendo» sbottò il minore con una smorfia.
«Vedi? Sei più spiritoso» fece notare, ma il biondo sotto di lui cercò di muoversi violentemente per dargli fastidio e toglierselo di torno. Anthony cercò di calmarlo e finì con l’avvinghiarsi ancor più a lui, abbracciandolo per immobilizzargli le braccia e appoggiando la testa lateralmente sul petto del più giovane per nascondere il sorrisetto che gli stava affiorando sulle labbra. Doveva ammettere che si stava un po’ divertendo. Si lasciò scappare un sospiro. «Va bene, va bene, potresti avermi detto di essere geloso e sono davvero felice di starti schiacciando così ti impedisco di scappare» confessò. Non ricevette nessuna risposta. Tony alzò il capo e poggiò il mento sul petto dell’altro per scrutarlo in viso, ma il biondo l’aveva distolto lateralmente per non essere guardato ed era completamente rosso in viso dall’imbarazzo. Tony sgranò gli occhi e aprì la bocca, non sapendo se doveva essere preoccupato o se semplicemente doveva scoppiare a ridere. «Xandre? Sei arrossito.»
«Vai avanti» ordinò prontamente l’interpellato, non scostando lo sguardo neanche di un millimetro con la paura di incrociare gli occhi del maggiore. «E non guardarmi così!» aggiunse, irritato, ma in realtà solo terribilmente in imbarazzo.
Anthony si trattenne dal ridere per non farlo veramente innervosire e approfittò della debolezza del ragazzo per sviare dai discorsi che lui stesso non voleva affrontare, sperando che l’altro nello stato corrente avrebbe chiuso un occhio.«Sorvolando ciò che ho detto io, che non vorrei davvero ripetere…»
«Se ti fa sentire meglio…» borbottò il biondo, non ancora capace di formulare una frase decente.
«E passiamo alla parte in cui mi hai baciato. No, cioè, ci siamo baciati. Tipo tanto. Tipo molto. Tipo… hai capito.»
Alexandre rimuginò, facendosi scappare una smorfia di approvazione. «Ok, questo mi piace di più.» Dopo qualche istante di silenzio in cui si rese conto che Anthony non osava continuare e che lo stava fissando negli occhi per vedere se stava bene, Xandre sgranò lo sguardo, intuendo cosa ciò volesse dire. «Oh, no, dimmi che non era in pubblico.»
«Era decisamente in pubblico.»
«Oh, no, dimmi che non ho cercato di saltarti addosso in pubblico!»
«Ehm… ho spostato la situazione?» tentennò il moro, preoccupato della reazione dell’altro. «… In bagno?»
Alexandre sbiancò. «Dimmi che non- no… oh, no, dimmi almeno che non l’abbiamo fatto in bagno!»
«Ehm…»
«Anthony!» lo chiamò quasi come un rimprovero, mentre la sua voce era diventata un sibilo acuto e il suo volto era completamente rosso accesso. Ma per tutti i Buddha grassi che pudico, come se Anthony non andasse in giro a raccontare tutte le volte che l’hanno fatto in tutti i laghi e in tutti i mari e in tutto il mondo e l’universo e sono quasi certo che questa citazione provenga da una delle canzoni malvagie che ascolta Peggy.
«Che c’è?» domandò il maggiore, non capendo come risolvere la situazione. «Non è mica colpa mia.»
«Dovevi fermarmi!» ribatté il biondo.
Tony scoppiò immediatamente a ridere, come se ciò che avesse detto Alexandre non avesse neanche un briciolo di senso. «Ok, detto sinceramente il rifiutarti non è mai stata una delle mie intenzioni da quando ti ho conosciuto, quindi se c’è un contratto sulla nostra relazione dove viene specificato, voglio chiamare il mio avvocato per ribattere.»
«Sono io il tuo avvocato, Anthony» gli ricordò il minore, contrariato.
«Ok, questa cosa sarà un bel problema semmai vorrai divorziare.»
All’improvviso una voce parlò.
«Tony, Xandre vuole il caffè? Tè? Latte?»
La testolina riccia e folta di Philip si affacciò dal separé e Anthony ringraziò ancora una volta di star schiacciando di peso il suo ragazzo perché era visibilmente impallidito, gli occhi gli si sgranarono e le labbra si serrarono.
«Droga?» chiese la voce di Wade, più lontana e di scherno.
«Qualcosa?» continuò Philip.
Tony fece un cenno con la mano al fratello minore, una muta richiesta se poteva lasciarli soli; Philip si ritirò timidamente, scomparendo di nuovo dietro il separé e a quel punto il maggiore tornò seriamente preoccupato a scrutare Alexandre.
«Non dirmi che di là c’è tutta la tua famiglia che mi ha ascoltato finora» lo pregò con un filo di voce, immobile come una mummia.
«“Di là”, è tipo la stessa stanza, c’è solo un separé» gli ricordò Tony, ma si rese conto che ciò non era per niente di aiuto. «Ti consola se ti dico che non siamo tutta la gang del bosco al completo?»
«Buongiornissimo!» trillò Wade, ancora sarcastico, dall’altra parte della stanza.
Alexandre fissava il soffitto, pupille dilatate e corpo rigido, non osava muoversi, come se si stesse fingendo morto, tipo gli opossum per non farsi attaccare dai predatori. Credo fossero gli opossum. Sinceramente non sono un esperto di animali.
Tony storse il naso e roteò gli occhi, ma poi un sorrisetto malizioso gli affiorò all’angolo della bocca e ne approfittò per lasciare un bacio sulla canotta che Xandre indossava, all’altezza del cuore. Poggiò la testa in quel punto per rilassarsi e in qualche modo il biondo s’irrigidì ancor di più, s’impose di mantenere comunque il sangue freddo, ma da una breve occhiata e dal sorriso ancor più ampio sulle labbra di Tony sapeva che il moro poteva sentire chiaramente il battito accelerato del suo cuore.
«Sai, se vuoi scappare, che sia dalla porta o dalla finestra, dovrai comunque affrontarli. Preferirei comunque che scegliessi la porta, sebbene io sia assolutamente certo che potresti volare via dal quarto piano se lo volessi» lo avvertì il maggiore, stringendo un po’ di più la presa dell’abbraccio.
«Posso sempre sfondare il muro, ho saputo che ultimamente qui va di moda» commentò Alexandre.
L’altro si sollevò immediatamente col braccio ancora buono, guardandolo in volto pieno di meraviglia. «Te l’ho detto che sei diventato più spiritoso da quando mi frequenti!»
«Smettila di frignare Xandre» arrivò forte e chiara la voce di Wade dall’altra parte del separé, «stare con mio fratello ti ha rammollito. Vieni a sentire alcune storie di ieri, ti assicuro che sono divertenti.»
«Ti hanno fatto molti complimenti per come hai cantato e ballato, sei davvero bravo!» continuò la voce di Philip, che sembrava sincero e felice.
Alexandre sgranò gli occhi e fissò Tony in una muta richiesta di urgenti spiegazioni e il moro si sentì un po’ titubante, sperando che il proprio ragazzo non desse ancora di matto. «Ok, questo è vero, Ira voleva proporre al mio capo di assumerti per qualche serata.»
«Almeno ti ricordi di quando l’ambulanza è venuta per Anthony?» domandò Philip.
Ora l’espressione di Alexandre divenne ancora più preoccupata e i suoi occhi erano ancora più sgranati e interrogativi verso il moro, che si sentiva colto nel sacco, ma che purtroppo era consapevole di non poter gestire i propri fratelli.
«Me l’hanno raccontata e ti assicuro che la storia è meno scandalosa delle cose che hai detto quando siete tornati qui ieri sera» questa invece era la voce di Theodore. «E sì, solitamente sparliamo di voi quando non ci siete.»
Tony grugnì, contrariato. «In realtà anche quando ci siamo, non avete un minimo di tatto.»
«Bisogna sempre essere sinceri, non è colpa mia se l’umanità fa schifo» rispose il più giovane degli Orwell.
Tony sospirò, sollevandosi dal corpo di Alexandre e tentando di mettersi in piedi. «Alziamoci» gli propose, ma il biondo continuò a guardarlo e a rimanere immobile nel letto. Il maggiore sospirò un’altra volta e gli tese una mano per aiutarlo. «Giuro solennemente che proverò con tutte le mie forze a non farti mangiare vivo da loro.»
Alexandre, titubante, la accettò.
 
Soffitto in testa: presente. Letto: sicuramente non il suo perché non vi era nessun animale di fianco a lui. Faccia cattiva e molto arrabbiata di Becky Sanchez che lo fissava a braccia conserte: ok, forse quella era rivolta a lui.
I lunghi capelli castani di Becky erano legati in uno chignon, ma la tuta sportiva che indossava suggeriva che non stava andando nel ristorante dove lavorava; gli occhi scuri un po’ a mandorla erano taglienti e contrariati, ma sul suo viso tondeggiante conferivano un tono quasi buffo, mentre la sua bocca carnosa era storta in una smorfia di disapprovazione.
«Qualcosa mi dice che è successo un qualcosa e che c’è un quaranta percento che io c’entri un altro qualcosa» queste furono le prime parole di Rafael Perez quando si svegliò il nove ottobre duemilasedici.
«Novantasette percento» precisò Becky.
«Su, hermana, non esagerare.»
«A parte il fatto che sono tornata a casa e ti ho trovato in coma nel mio letto e ho dovuto dormire sul divano?» lo informò la compagna ispanica.
Rafael richiuse la bocca per qualche istante, cercando qualche scusa con cui sviare il discorso; alla fine rinunciò a trovarla. «Ok, forse un settanta percento te lo concedo.»
«Io ho dormito nel mio letto annunciò Cris, il nipote riccioluto di Becky a cui ogni tanto Rafael badava e che ora se ne stava in piedi accanto alla zia, guardando anch’esso l’uomo che aveva occupato il loro appartamento.
Il maggiore s’intenerì e sorrise alle sue parole. «Perché non puoi fare come lui e vedere il lato positivo delle cose?»
Becky emise un grugnito, roteando gli occhi. «Era sveglio alle tre di notte, stava mangiando dei crackers e ha finito il succo ai mirtilli» disse con tono di rimprovero.
«Uhm, no, penso che il succo sia colpa mia» confessò Rafael, pensieroso. Becky gli lanciò un’occhiata infuocata e mise i pugni sui fianchi. «Ehi, almeno i crackers non fanno male!» si affrettò ad aggiungere.
A un tratto la porta dell’appartamento si aprì e una testolina bionda sporse, guardandosi prima attorno e poi, individuandoli, sorrise a trentadue denti ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
«Ehi, ciao!» salutò, la voce decisamente troppo acuta per essere ancora mattina.
«E quella chi è?» domandò Rafael, corrugando la fronte.
La ragazza aveva due grandi occhi azzurri e magnetici, chiara, con i lineamenti più squadrati rispetto Becky, una bocca grande e i capelli biondi e lisci ora racchiusi in una morbida coda bassa; indossava shorts, canotta e una felpa, ma la prima cosa che Rafael notò fu che decisamente quella tipa non era una nuova vicina né aveva mai abitato nel loro condominio perché alzava di gran lunga gli standard di bellezza di quella topaia per quanto era gnocca. Lo dico in tutta franchezza: non era bella, era proprio gnocca.
«Una mia collega» rispose Becky molto sbrigativa.
La biondina si affrettò a raggiungerli. «Oh, io sono Parker!» trillò, avvicinandosi al letto in cui Rafael era ancora disteso e stringendogli energicamente la mano. «È un piacere conoscerti da sveglio e non mentre tento di spostarti inutilmente dal letto.»
Il moro corrispose a quella stretta, ma le parole della ragazza lo lasciarono un po’ confuso.
Becky gli venne in aiuto, ma la sua espressione esprimeva tutto il disappunto che stava provando nei suoi confronti. «Ho scoperto due cose che già sapevo: non sei leggero e hai il sonno pesante.»
Rafael spalancò la bocca, sorpreso. «Hai cercato di spostarmi, davvero? Ti chiedo scusa, amiga» si rivolse a Parker, sinceramente dispiaciuto per l’accaduto. Doveva esser ritornato dalla serata e, una volta messo Cris a letto, probabilmente non si era accorto di non essere nel suo appartamento.
Quella scrollò le spalle, sorridente. «Non ti preoccupare. Volevo dormire con Becky e invece ho fatto nuove amicizie. Il tuo amico peloso è molto carino. Ah, sì, anche il tuo coinquilino è divertente» disse, probabilmente parlando di Ernesto, il suo cane, e di Marvyn, il suo coinquilino. Ci teniamo sempre a precisarlo perché spesso Marvyn viene confuso per il cane. Poi la bionda si rivolse alla sua collega: «Becky, posso usare il bagno? Il tizio che odorava di pizze diceva che non potevo entrare nel loro perché ci aveva chiuso dentro una tartaruga. Pensavo stesse usando una scusa ma poi ho sentito qualcosa che tentava di mordere la porta dall’interno.»
Becky scambiò un’occhiata con Rafael, sapendo perfettamente di cosa la ragazza stesse parlando.
Un giorno vi racconteremo di Juanita, la tartaruga, ma questo non ci sembra il momento più corretto perché toglieremmo tempo alla narrazione e per una storia come quella di Juanita dovremmo prenderci il giusto spazio per poter riportare fedelmente la pericolosità di quell’essere.
«Fai pure, ma ricorda che per la doccia devi andare sotto» rispose l’ispanica.
Come abbiamo già accennato in precedenza, tutto il condominio era organizzato in maniera alquanto bizzarra; questo perché si vociferava che prima lì vi fossero solo studi, uffici o magazzini, poi un giorno l’attuale proprietario vinse l’intera struttura a una partita di poker e decise di realizzarne degli appartamenti, infischiandosene dei sanitari, giusto per ricavarne qualcosa. O almeno così narra la leggenda. Ecco perché ogni appartamento aveva un’unica e sola – ma grande – stanza, che, sì, aveva un piano cucina e, sì, aveva anche una piccola porticina sempre su un angolo che nascondeva un bagno così piccolo che non era neanche di un metro quadro: un gabinetto, un rubinetto, se si era fortunati uno specchio e una credenza e basta. Finito tutto lì. Per le docce bisognava andare nel piano sottoterra (se l’ascensore avesse funzionato, si sarebbe dovuto premere il meno uno, ma, appunto, non funzionava, quindi questa è un’informazione inutile), dove vi era una stanza piena di lavatrici per la lavanderia e poi, in quella accanto, varie docce tutte affilate, come in uno spogliatoio.
«Mi dimentico sempre che casa tua è strana» commentò Parker, un po’ divertita, mentre si dirigeva verso la porta del piccolo bagno. Quando la aprì, però, rimase immobile lì davanti, senza entrare. «Ehm… Becky, perché c’è un cadavere nel tuo bagno?» domandò.
La diretta interessata scattò la testa nella sua direzione, allarmata. «Cos- no, non è un cadavere! È…»
«Pensavo avessi smesso di nascondere cadaveri nel bagno» la interruppe Rafael, invece piuttosto tranquillo.
«Non è un cadavere!» gridò Becky esasperata. «È la tizia mora del numero otto e volevo sapere da te perché è nel mio appartamento e ha vomitato nel mio bagno!»
 
Rafael tentò di sforzarsi per collegare quelle informazioni, ma in quel momento non riusciva a connettere molto bene i pezzi risalenti alla sera precedente.
«È troppo presto per rispondere a tali domande, non ricordo neanche qual è l’appartamento numero otto» rispose.
«Vorrà dire che prendo in prestito un po’ di cose e ti aspetto sotto» concluse Parker, svicolando velocemente verso la porta dall’appartamento, per uscire. «Ciao!»
«Ciao, è stato un piacere!» salutò Rafael in risposta, sorridendo cordialmente e agitando una mano mentre l’altra usciva. Quando la porta si richiuse, la sua espressione divenne seria e si concentrò sull’amica. «Non sapevo fossi lesbica.»
Becky incrociò nuovamente le braccia al petto e lo guardò scocciata. «Sei fuori strada, lavoriamo al ristorante assieme.»
«Sei una di quelle che ha la politica di non andare a letto con i colleghi?» domandò il moro.
Becky si passò una mano sul viso per evitare di commettere un omicidio nel suo appartamento. «Parker ha dovuto dormire nel tuo letto nel tuo appartamento perché tu hai occupato il mio ed io non potevo dormire senza tenere d’occhio Cris e quindi sono finita a dormire sul mio divano nel mio appartamento!»
Troppi aggettivi possessivi.
Rafael mise le mani avanti, intimandola di calmarsi. «Sento una certa ostilità ne- No, aspetta, questo vuol dire che Marvyn ha avuto una serata più fortunata di me con quella?» domandò tutto a un tratto, come risvegliato alla realtà. Sgranò gli occhi e increspò le sopracciglia, quasi scioccato. «Marvyn non ha mai serate fortunate, mi rifiuto di crederlo! Non fraintendermi, amo quel ragazzo, in pratica siamo sposati, mi campa lui e stiamo parlando di un lattaio e un pizzettaro.»
«Da quando esiste la parola “pizzettaro”?» domandò la ragazza, alzando un sopracciglio.
«A me piace» s’intromise Cris.
Rafael lo indicò, sorridendo. «Visto? A Cris piace, quindi ora esiste.»
Becky continuò a fissarlo scettica e decise che era meglio ignorarlo. «Su, andiamo Cris» lo intimò, prendendogli una mano. Poi lanciò nuovamente un’occhiata truce a Rafael. «E tu metti in ordine prima di andartene!»
«È il tuo giorno libero?» chiese il moro.
Becky fece una smorfia. «Raf, ho tre lavori. Non ho mai un giorno libero.» Sbuffò, per poi continuare: «Tengo un corso di danza qui vicino, nella palestra di un mio amico.»
«Ah, ricordo» disse l’uomo, accarezzandosi il mento, pensieroso.
«Così non ho bisogno di affidare Cris a qualcuno, lo lasciano entrare e se sta in disparte, non dà fastidio.»
«Mi piace guardare le ragazze coi vestiti» confessò il bambino.
Rafael esplose in una fragorosa risata, quasi ricadendo sul letto. «Ragazzo mio, io ti adoro!»
Il bambino riccioluto fece spallucce, suonando però ancora innocente. «Ricambio, ma non sei il mio tipo.»
Rafael tentò di ricomporsi e tossì un paio di volte prima di parlare. «No, giusto. Aspetta ancora un anno prima di darti da fare, mentre per me magari facciamo ancora una ventina.»
«Sai, come padre saresti un pessimo esempio» fece notare Becky, quasi rimproverandolo.
«E tu come madre sei un discreto esempio» rispose l’altro noncurante, lanciandogli una frecciatina.
Becky gonfiò le guance, sentitasi punta nell’orgoglio. «Non sono sua madre!» si affrettò a precisare.
«Ed io non sono suo padre!» ribatté il moro. «Ma che ti piaccia o no, siamo gli esempi più vicini che abbia.»
Becky ci pensò su qualche istante, poi si voltò verso il nipote. «Cris, mi dispiace dirtelo, ma il tuo futuro è già spacciato in partenza.»
«Spacciato nel senso che probabilmente ti metterai a vendere erba tra qualche anno» precisò Rafael.
«Sì, esatto, però non dargli ascolto perché stiamo ancora fingendo di avere speranze nei giovani» gli diede corda Becky.
«Erba nel senso di fruttivendolo. Guarda che serve sempre» puntualizzò il moro, fingendosi (?) serio.
La castana chiuse il discorso con un gesto sbrigativo della mano. «Certo, certo, intanto iniziati ad alzare che il tuo coinquilino sotto sente la tua mancanza.»
«Quali dei tanti animali che vivono con me?»
«Quello che si spaccia per un umano.»
«Farò finta che tu stia parlando della tartaruga.»
«E chi fa finta» rispose la ragazza. Prendendo la mano di Cris e una borsa, si avviò verso l’uscita, parlando senza neanche voltarsi verso l’interessato: «Ricordati che domani voglio due bottiglie di latte per colpa del succo ai mirtilli. Ci vediamo!»
«Il latte…» ripeté il moro, mentre una preoccupazione finalmente riaffiorò nella sua mente. «Il latte! Che ore sono?»
Becky si assicurò di avere le chiavi di casa e aprì la porta. «Tranquillo, il vecchietto del numero cinque da cui lo prendi l’ha dato al tuo cane che l’ha distribuito. È meglio addestrato di te.»
Era vero. Il vecchietto dell’appartamento numero cinque di cui stiamo parlando, il cui nome è Pierino, era ovvero il proprietario di una mucca che teneva in campagna, la quale era la principale fonte di lavoro dei due: avevano messo a disposizione una bottiglia di latte giornaliera a un prezzo minore dei supermercati, così ogni mattina Rafael – e il suo bovaro Ernesto – distribuiva le bottiglie prima agli appartamenti dell’edificio e dopo di che andava in giro per il quartiere nelle case di chi aveva richiesto il servizio. I soldi venivano dati in anticipo per l’abbonamento e così Rafael era felice per aver posto un prezzo migliore rispetto alle aziende multinazionali e invece Pierino era felice per il gruzzoletto di soldi guadagnato senza molta fatica. Quel giorno, però, con tutto quello che era successo la sera precedente, Ernesto, non trovando il proprio padrone, da bravo compagno leale e intelligente, era uscito di casa ed era andato a prendere le bottiglie di latte da distribuire tutto da solo.
«Questo si sapeva. Be’, menomale. Allora divertitevi con le ballerine!»
«Ciao!» gridarono i due Sanchez prima di chiudersi la porta alle spalle.
 
Ritorniamo ora all’appartamento numero dodici del quarto piano.
Orwell presenti: Wade, Anthony, Philip e Theodore.
Grandpré presenti: Alexandre.
Erano tutti seduti e disposti attorno al piano della cucina che fungeva da tavolo, Alexandre e Wade opposti, Tony vicino al suo ragazzo e Theo di fianco a capo tavola – se così si poteva definire – mentre tutti rifiutavano il tè di Philip per rifocillarsi di caffè e il quintogenito degli Orwell, storcendo un po’ il naso, si versò fieramente il proprio tè nella tazza che Tony gli aveva appositamente dipinto per rimpiazzare quella rotta giorni prima. Prima di sedersi andò verso le ciotole dei gatti e, prendendo i croccantini da un’anta della cucina, le riempì, accarezzando il pelo lucido e nero di Ragnarock non appena si avvicinò al mangime, richiamato dal suono tintinnante dei bocconcini a contatto con le scodelle metalliche. Dopo di che, quando anche il Ferale Magnus si avvicinò, prese la palla di pelo bianca in braccio e gli posò un bacio sul capo prima di rilasciarlo a terra.
Wade osservò la scena come se fosse spaventato dal Ferale Magnus e detto sinceramente faceva bene, ma fu Theo a parlare, con un’espressione di pure disgusto in volto: «Vorrei farti notare come sia stato poco igienico e la tua non necessità di andarti a disinfettare immediatamente mi lascia perplesso.»
Phil roteò gli occhi, sbuffando. «Non sono mica bestie, Theo.»
«Potrei obiettare e probabilmente lo farò» rispose il minore.
Phil si apprestò a prendere dei dolcetti alla cannella da offrire, ma Xandre, sebbene un po’ in imbarazzo, lo fermò. «Scusami ma preferirei che non toccassi nulla di commestibile dopo aver accarezzato i gatti» confessò, rientrando un po’ la testa nelle spalle, sperando di non aver ferito i sentimenti dell’altro.
Il moro purtroppo s’intristì e andò a sedersi tra Wade e Theo, col capo chino sulla propria tazza. Xandre lanciò un’occhiata preoccupata a Tony, ma l’altro fece un gesto sbrigativo con la mano, intimandogli di lasciar perdere.
«Bene, mio caro Xanax» iniziò Wade, solenne e con un sorriso malizioso in volto.
«Ti prego non chiamarmi così» lo interruppe l’unico biondo.
Wade lo ignorò. «Dobbiamo ricapitolare cos’è successo ieri sera per quanto sia possibile dopo tutto quello che abbiamo bevuto e quindi abbiamo bisogno di fare una bella lista!»
 
Lista degli avvenimenti più importanti della serata karaoke del 09/10/2016, a cura di Wade Orwell, con vari interventi della gang del bosco:
Ora, sappiamo tutti che l’ambulanza era arrivata di fronte al locale per rianimare Tony, che è dovuto stare circa una buona mezz’ora con una bombola d’ossigeno attaccata; nel frattempo i partecipanti della festa si stavano godendo la versione umana e originale di Ken cantare Barbie Girl ignorando tutti i riferimenti sessuali al suo interno.
 
«Quali riferimenti sessuali?» domandò Xandre.
«Appunto» fece Wade, sghignazzando.
«A parte che non canterei mai qualcosa che ha come tema una Barbie!» protestò il biondo.
«E invece» intervenne Tony.
«Che cos’hai contro le Barbie?» chiese Philip, contrariato.
«Tutto molto bello ma torniamo alla mia lista» continuò Wade.
 
Dopo di che quelli dell’ambulanza furono trascinati dentro a cantare e ballare.
Sappiamo anche del tentato stupro consenziente da parte di Alexandre su Tony, sebbene Alexandre si sia rifiutato di dare i dettagli che in seguito sarebbero stati chiesti a Tony, che tanto non riesce a star zitto e canterà tutto.
Arrivati alla gara di shots, possiamo affermare che andò avanti per molto e a turno i partecipanti si spogliarono e si offrirono come ripiano per servirsi di vari tequila, sale e limone. A vincere fu Heather, quella del quinto piano, ma Wade ci tenne a mettere per iscritto che vinse solamente per sua benevolenza, perché far perdere le signore presenti sarebbe stato poco galante. Certo, Wade, ci crediamo tutti.
Sappiamo anche che la già citata Heather si strusciò con un certo infermiere per gran parte della serata fino a che non sparirono entrambi, a questo punto vi sono varie opzioni che teniamo a far presenti:
  • Ricordiamo la possibile esistenza dei rapimenti alieni;
  • Uno dei due è probabilmente morto, tanto i serial killer esistono ancora oggi;
  • Philip Orwell ci tenne a censurare in seguito altri possibili opzioni perché riteneva che la cosa stesse diventando troppo cruda.
Jaden Reed del quinto piano reclutò quella che reputiamo una delle coinquiline dell’appartamento numero otto, che fu la vera vincitrice della gara di alcolici, peccato che si fosse conclusa prima e non poté ufficializzare il suo titolo.
Siamo sicuri che a un tratto il nipote di Becky Sanchez salì sul palco per esibirsi in un karaoke e tutta la sala lo acclamò e trasportò sulle spalle. C’è anche la possibilità che si fosse rubato una bottiglia dal bancone, Tony si segnò un promemoria per andare a controllare.
Ci fu una gara rap in spagnolo che quasi finì in una rissa e a quel punto i tizi dell’ambulanza si ricordarono di aver lasciato il loro veicolo in mezzo alla strada.
L’ambulanza era sparita e per tutta la serata non si seppe più che fine avesse fatto.
 
Improvvisamente la porta si spalancò e Wade pregò tutte le religioni affinché non si fosse rotta nuovamente. Peggy Orwell entrò come una furia dentro l’appartamento, imbronciata.
«Non ci posso credere!» sbraitò, iniziando a camminare su e giù per la stanza.
«Mi sta venendo il mal di testa» disse Philip.
«Sai cos’ha fatto tuo fratello?» chiese in collera a nessuno in particolare.
«Che è anche tuo fratello, da quel che so» le ricordò Tony.
Peggy finalmente si fermò, ma in compenso prese a gesticolare violentemente. «Ieri sera ci stavo provando col barista per farmi dare da bere gratis e-»
«Ok dillo che hai fatto in modo che mi rompessi il braccio apposta perché così almeno potevi provarci col mio rimpiazzo» brontolò Tony.
«Ti rendi conto che Ira vive nel condominio da tipo mesi, vero?» s’intromise Theo.
Peggy alzò un sopracciglio. «Chi diavolo è Ira?»
«Il barista, Peggy. Quello che mi sostituisce» rispose Tony, incredulo.
«Come si vede che stai sempre a casa» aggiunse Theo e tutti sghignazzarono.
La corvina ci pensò qualche istante, poi decise che non valeva il suo tempo e tornò a gesticolare. «Chi se e frega. Comunque sia, dovevi per forza scegliere un sostituto gay?»
Tony corrugò la fronte, perplesso. «Ira è gay?» domandò, incredulo. «E comunque tengo a precisare anche la mia predilezione anche verso le belle ragazze.»
Alexandre fece palesemente finta di non sentire e di essere improvvisamente attratto dai dolcetti alla cannella di Philip.
«A quanto pare sì, visto che voleva palesemente provarci con Robin» informò. «Quello stronzo però l’ha liquidato per andarsene con… quante ne erano? Due? Tre ragazze? E mi ha lasciata sola!» spiegò, alzando la voce di un’ottava arrivata all’ultima frase e battendo un piede per terra. «Così ho dovuto per forza trovare qualche sostituto che mi pagasse e alla fine ho trovato questo tizio che penso fosse un infermiere e che ci ha dato un passaggio con l’ambulanza. Mi voleva portare a casa sua, ma come se non bastasse quello stronzo di Robin si imbuca con le altre oche per farsi accompagnare!»
«Peggy cara, io non vorrei allarmarti, ma non penso che quello fosse un infermiere perché tutti quelli chiamati a soccorrere Tony poi sono venuti con noi a farsi una gara di shots e sono rimasti a piedi senza ambulanza» la informò Wade.
Peggy assottigliò lo sguardo e storse la bocca. «Be’, allora non ho la minima idea di chi fosse, ma tanto non importa, perché questo tizio a un certo punto vomita mentre guida e tipo che schifo?! Ci siamo dovuti fermare e questo qui scende a casa sua e ovviamente non andavo con lui neanche morta, così Robin ha dovuto guidare l’ambulanza fino a casa di una di quelle tizie e non vi dico cosa odiavo di più tra la loro voce e la sirena che avevano acceso. E ho dovuto dormire a casa con loro! Mentre chissà cosa facevano nell’altra stanza! Che schifo!»
Theodore fece una smorfia di disgusto, sentendo immediatamente il bisogno di buttarsi dentro una lavatrice. «E sei tornata a piedi?» chiese, sperando di allontanare il discorso.
Peggy sbuffò. «Certo che no. Ho ripreso l’ambulanza e che Robin si attaccasse.»
Alexandre per poco non si strozzò col dolce che stava mangiando e si voltò di scatto verso la ragazza, preoccupato. «C’è un’ambulanza rubata qui sotto?»
«Ma no» Peggy lo rassicurò, facendo spallucce e mettendo le braccia conserte. «Quando sono scesa è passato un tizio che mi ha chiesto quanto volevo per vendergliela. Ho sparato un numero, ho incassato i soldi e lui se l’è portata via.»
A Wade s’illuminarono gli occhi e si sporse un po’ sul piano. «E quanto ti sei fatta dare?»
La quartogenita gli lanciò un’occhiataccia. «Non sono affari tuoi! Sono io quella che ha passato una serata di merda, mi merito una ricompensa!» esclamò, andandosi a buttare sul divano. «Phil, vieni qua, devi aiutarmi a scegliere i filtri per i miei selfie mentre guido l’ambulanza.»
 
Quando Rafael si alzò dal letto per andare a pisciare, si ricordò finalmente di Tempest Brennan, la quale dormiva distesa sul pavimento del bagno decisamente non suo, abbracciata al gabinetto. E ci teniamo a precisare che se ne ricordò solo perché la vide e perché la natura lo aveva chiamato.
La osservò per qualche istante, indeciso sul da farsi; le punzecchiò un braccio per vedere se era ancora viva. Quella mugugnò cose incomprensibili, ma era ancora viva, oppure si stava trasformando in uno zombie.
Rafael si grattò la nuca, storcendo il muso. «E ora che me ne faccio di te?»



 


p a n d a bitch.
UE' BEI UAGLIONI COME STATE. IO MALE. ADDIO.
Bene, mi vado a fare un viaggio, quindi come regalo vi lascio questo capitolo.
Non ho la minima idea di cosa dire. Era Rafael a fare il rap spagnolo, sì
Cosa ne sarà di Tempest? Lo scopriremo? Può darsi.
PIUTTOSTO AMMIRATE BECKY, GUYS.
E il Ferale Magnus, ma quello sempre.
Ricordo che potete venire in pagina Come una bestemmia. per parlarmi di tutto quello che volete; mentre per qualsiasi altro social network dove potete contattarmi e seguirmi, sono pandamito. Potete trovarmi anche nei link dei cuori nel mio profilo, anche se effettivamente dovrei aggiornarlo ma ok.
Questo link invece è per seguire la storia su wattpad e per il resto... boh, bao, volete essere aggiornati sulla mia vita?
Sì? No? Eccovi la mia vita: università, lavoro, ansia & stress. Fine.
Baci e panda, Mito. Sperando di sopravvivere.
   
 
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