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Autore: Alina Alboran    09/12/2016    2 recensioni
Dicembre è in corso, Natale è in arrivo e troppe difficoltà si presentano tutte assieme.
Stiles - padre single di due bambini - riscopre la magia del Natale, complici un medaglione prezioso e un uomo imprevisto.
[Sterek] [AU film The Christmas Secret]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The Christmas Secret

L’inverno è sempre stato la stagione preferita di Stiles e della madre. Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a sentire la voce dolce e melodiosa della donna che gli raccontava delle avventure di coraggiosi cavalieri che lottavano contro draghi feroci. E ricordava soprattutto la cadenza regolare e armoniosa della solita ninna nanna che gli cantava sempre prima di andare a dormire. Con gli occhi chiusi e con l’odore di freddo che riempiva la stanza da letto, Stiles stese il volto in un sorriso beato.
Poi aprì gli occhi e tornò alla realtà.  

Si vestì velocemente indossando i vestiti del giorno prima – non aveva tempo di lavare o stirare perciò se li sarebbe fatti andare bene – e sopra indossò la divisa della piccola locanda in cui lavorava da quando si era trasferito a Beacon Hills. Diede una veloce occhiata davanti allo specchio per sistemarsi alla meglio il ciuffo ribelle e scese al piano inferiore.        
«Papà. Papà. Papà!». Ashley correva intorno al tavolo mentre urlava per attirare l’attenzione del padre e distrarre Jace che stava cercando di finire i compiti prima di andare a scuola.         
«Ciao amore». Scompigliò i capelli al figlio con una carezza sulla fronte e poi prese la bambina in braccio, riempiendola di baci sulla guancia e sul collo e facendola ridere a perdifiato.       
«Papà!». Jace lo aveva rimproverato alzando leggermente il tono di voce perciò Stiles aveva fatto scendere la bambina e, intimandole di stare zitta portando l’indice alle labbra, cominciò a preparare la colazione in silenzio.           

«Cavolo». Si schiaffeggiò la fronte perché, come uno stupido, si era completamente dimenticato di avvisare Violet di fare da babysitter ai bambini fino a quando non sarebbe tornato lui a casa. Prese il telefono dalla tasca dei jeans e cercò il numero.         
«Maledizione», imprecò ancora una volta quando scattò la segreteria telefonica. A Stiles non rimaneva altro che lasciarle un messaggio vocale sperando che fosse libera.     
«Andiamo, bambini! A scuola». Aveva sparecchiato la tavola e lasciato le stoviglie a mollo nel lavandino, promettendosi di lavarle quella sera prima di andare a dormire.                 
«Mi raccomando. Finita la scuola aspetti tua sorella e poi tornate subito a casa, chiaro? Violet vi aspetterà». Il buffetto sulla guancia infastidì Jace che si ritrasse dalle carezze del padre e scese velocemente i tre gradini che separavano la veranda dal giardino. 
«Subito a casa». Gli confermò la piccola mentre lasciava che il padre le tirasse su la zip della giacca e le mettesse la sciarpa intorno al collo.         
«Andiamo, principessa».       

Stiles amava la sua macchina, la amava veramente. Però quando era già in ritardo e questa non si decideva a volersi accendere, Stiles l’avrebbe distrutta volentieri.       
«Arriveremo tardi. Di nuovo». Jace, con la guancia premuta contro il finestrino, guardava fuori dalla finestra la loro vicina di casa.
«Secondo me è pazza».         
«È la signora-pipistrello». Stiles e Jace si girarono verso la bambina guardandola confusi.           
«L’ho chiamata così perché ci spia sempre». I due trattennero a stento una risata di fronte alla sicurezza di Ashley nel pronunciare tali parole. «Come i vampiri».   
«I vampiri non spiano nessuno, stupida!».   
«Ragazzi!».    
Girò nuovamente la chiave e finalmente sentì il rombo del motore: anche per quel giorno era riuscito ad accenderla.           
«Dovremmo comprarci una macchina nuova».        
Indignato Stiles lanciò un’occhiataccia al figlio dallo specchietto retrovisore.      
«Questa macchina è piena di nostri ricordi, davvero vuoi abbandonarla?». Anche la sola idea di portarla da uno sfasciacarrozze gli faceva accapponare la pelle. No, quella macchina era importante e non ci avrebbe rinunciato per niente al mondo. Cinque mesi prima aveva deciso di prendere in mano le redini della sua vita e di trasferirsi a Beacon Hills – città natale del padre che non aveva mai conosciuto – e quell’auto era l’unica cosa che si era portato dietro e che li ricollegava alla loro vecchia vita.        
«Papà, muoviti!». I bambini urlarono all’unisono e a Stiles non rimase altro che premere più forte il piede sull’acceleratore.        
Arrivarono davanti alla scuola dei due qualche secondo prima del suono della campanella, e Jace sospirò sollevato per essere arrivato in tempo anche quel giorno. Stiles aspettò di vedere i figli entrare nell’edificio scolastico e poi fece dietrofront verso il locale in cui lavorava. Beacon Hills era una città piccola in cui tutti si conoscevano tra di loro, ma nonostante questo durante il periodo natalizio diventava confusionaria come una metropoli e trovare un posto per parcheggiare era impossibile. Perciò, come al solito, parcheggiò la macchina nel vialetto di casa e da lì cominciò a correre verso il lavoro. Qualche minuto dopo ricevette una chiamata da parte del suo capo che gli chiedeva dove fosse.  
Il ragazzo aveva smesso di correre e adesso camminava velocemente e a passo spedito, esausto e con la gola che gli bruciava a causa del freddo penetrante di quella mattina.   
«Cinque minuti e arrivo. La macchina non ne voleva sapere di accendersi». Concentrato sulla strada da percorrere e sulle scuse da rifilare, Stiles non vide un uomo sulla quarantina che, sul marciapiede davanti ad un negozio, si stava stiracchiando godendosi i deboli raggi di sole mattutini.    
«Fai attenzione, ragazzo». L’uomo scosse la testa leggermente scocciato per essere stato quasi investito mentre Stiles si era limitato a una smorfia di scuse.           

Peter Hale era una persona un po’ con la testa sulle nuvole, amava divertirsi, passare il tempo con gli amici e mangiare ogni mattina le ciambelle decorate con salsa zuccherata di Betty. Arrivato alla soglia dei quarant’anni, con una figlia di ventitré che viveva con lui e un negozio da mandare avanti da solo, aveva deciso di mettere la testa apposto e di godersi la tranquillità che Beacon Hills offriva. «Se Malia ti becca a mangiare ti strappa la testa a morsi». Fu la risposta di Betty allo sguardo languido e affamato con cui Peter fissava la piccola scatola di cartone tra le sue mani.    
«Quante sono?».       
«Due».
«Bene». Prese la scatola e se la portò al petto, nascondendola con un lembo della giacca. «Vado dentro. Così finisco di mangiare prima che arrivi Malia». Betty rise e salutò l’uomo con un gesto della mano.
Peter non aveva avuto la fortuna di vedere sua figlia crescere, di sentirla pronunciare le prime parole, di minacciare il suo primo ragazzo o di consolarla alla prima delusione amorosa. Non aveva mai saputo che la sua avventura del college fosse rimasta incinta e che avesse cresciuto fino ai vent’anni la ragazza più bella e meravigliosa che Peter avesse mai incontrato. Un giorno di due anni prima, mentre lottava contro la serranda del locale rimasta incastrata, Malia si era presentata con il solito tatto che la caratterizzava, sussurrando le parole “Ciao papà” e facendo venire un preinfarto a Peter che, una cosa così, non se la aspettava proprio. E da allora non si erano più separati.  
«Papà!». Peter mandò giù l’ultimo boccone della seconda ciambella e si ripulì la bocca con la manica della maglietta.           
«Tesoro di papà». La ragazza lo guardò dubbiosa e sospirò chiudendo gli occhi, stanca di ripetere al padre le stesse cose ogni mattina.     
«Non devi mangiare dolci, il medico te l’ha detto chiaramente». Peter alzò gli occhi al cielo e, spingendola per le spalle, la portò dall’altra parte del negozio.  
«E non hai nemmeno fatto l’inventario. O ordinato le decorazioni di Natale di cui ti avevo parlato due settimane fa». Peter si tappò le orecchie con i palmi delle mani, fingendo di non volerla ascoltare.         
«E non fare così! In primavera vado al college e voglio essere sicura che te la caverai anche senza di me».        
Quando la madre della ragazza era morta e lei si era trovata senza nessuno al mondo, aveva preso i pochi risparmi che la donna aveva in banca e aveva comprato un biglietto aereo per Beacon Hills, la piccola città di cui sapeva il padre fosse originario. Non si era mai aspettata di incontrare davvero Peter né di vivere con lui, ma erano stati separati troppo a lungo e il richiamo del sangue che entrambi provavano non poteva essere ignorato.      
«Ora lo faccio».         
«Ho fatto io. Tu preparati per l’arrivo di Derek». A causa della nonchalance con cui lo disse in un primo momento Peter non ci diede peso, e solo dopo sembrò aver recepito le parole della giovane.
«Derek?». Ripeté incredulo. Non vedeva il nipote da quasi un anno e, quando avevano parlato l’ultima volta, gli aveva detto che era troppo occupato e non sarebbe tornato a casa per Natale.      
«Sì, Derek». Malia rise della reazione del padre. Non conosceva bene Derek – e come avrebbe potuto? – ma Peter le aveva parlato di lui talmente tante volte che conosceva anche il più insignificante aneddoto che lo riguardava.
Derek era stato per Peter il figlio che non aveva avuto, e prima della partenza del ragazzo per il college non c’era stato giorno che non avessero passato insieme. Talia e suo marito erano spesso fuori per lavoro, e perciò toccava a Peter portarlo al parco, aiutarlo con i compiti oppure portarlo agli allenamenti di baseball. Poi Derek era cresciuto ed era diventato un po’ più serio, un po’ come suo padre, e si era dimenticato dei pomeriggi spaparanzato sul divano assieme allo zio, della prima volta che gli aveva fatto assaggiare la birra e persino di quando gli aveva tenuto la testa per una notte intera mentre Derek vomitava quintali di alcool.       
«Ha chiamato l’altro giorno e ha detto che sarebbe arrivato a breve». Però, anche se Derek era cambiato, l’amore di Peter per il nipote non era mutato di una virgola.    

Alla fine del suo turno di lavoro Stiles cercò di riaccendere il telefono per chiamare a casa e avvisare che avrebbe ritardato di una mezz’oretta. 
«Maledizione». Il telefono era scarico e lui non aveva idea di come mettersi in contatto con la babysitter.
«Al, devo andare. Lo faccio domani l’inventario». L’uomo aveva scosso la testa e, con i pugni chiusi e posati sui fianchi larghi, lo avvisò che se avesse ritardato anche solo un’altra volta l’avrebbe licenziato.     
«Non succederà più». Fu la risposta sbrigativa di Stiles prima di aprire la porta di vetro e uscire in fretta.         
Arrivò in pochi minuti ma, quando vide chi si era appena chiuso la porta di casa sua alle spalle, avrebbe voluto fare dietrofront e ritardare ancora un po’.           
«Stiles!». Si avvicinò a passo lento e cauto. 
«Bella macchina». Il ragazzo aveva infilato le mani nella giacca per riscaldarsele.
«Già».
«Ragazzo, sei indietro di due mesi d’affitto e io ho bisogno di quei soldi». Stiles sentì il sangue affluirgli al volto e il respiro farsi più pesante.       
«Mi dispiace ma se non mi paghi in massimo tre settimane sarò costretto a sfrattarti». Annuì con gli occhi lucidi e il respiro spezzato.        
Rientrato in casa avrebbe voluto prepararsi una camomilla calda e accovacciarsi sul divano con una coperta addosso e i figli accanto. Ma poiché quella giornata era iniziata male e non poteva che proseguire sempre peggio, era stato accolto dalla sua ex fidanzata piuttosto che da Jace e Ashley.

«I bambini erano soli a casa. Di nuovo. È così che li cresci, Stiles?». Non lo aveva nemmeno salutato, accusandolo sin da subito. 
«Papà, hai visto! C’è mamma!». Si abbassò per baciare la guancia della figlioletta.          
«Ho visto, amore».    
«Ci ha anche comprato il gelato». Solo dopo che Jace glielo aveva fatto notare vide due buste della spesa ricolme.           
«Perché non andate in soggiorno e io vi preparo due coppe di gelato?». I bambini si erano volatilizzati immediatamente lasciando soli i genitori.    
«Non saresti dovuta venire senza avvisare, non ti è permesso». Non la stava nemmeno guardando in faccia, tenendosi occupato rimettendo apposto la spesa.    
«Mi ha chiamato Jace. Erano soli. Di nuovo». La donna lo aveva afferrato per un braccio, obbligandolo a girarsi verso di lui e a incatenare il suo sguardo al suo.      
«Che cosa vuoi, Lydia?». Era esasperato e non aveva voglia di stare dietro ai suoi capricci.        
«I miei figli». Fu la riposta concisa della rossa.       
Stiles scoppiò a ridere. Una risata triste e dolorosa. 
«Adesso vuoi i tuoi figli? E quando ci hai lasciati da un giorno all’altro, prendendo oltretutto tutti i miei soldi, non li volevi?».        
«La tua babysitter, quella bambina, non è venuta e tu non rispondevi al telefono». Aveva ignorato la sua domanda, replicando e accusandolo ancora una volta di non essere un buon padre.  
«Sai una cosa, Lydia? Mi hai stancato! Ora tu esci da casa mia e non ti fai mai più rivedere». L’aveva presa per un gomito e l’aveva accompagnata alla porta cercando di essere il più discreto possibile e non far insospettire i bambini.           
«Non avrai nemmeno una casa in cui vivere. So dello sfratto».      
«Sparisci», ringhiò Stiles spingendola fuori.
«Non finirà qui, Stiles. Te la farò pagare!». Quelle furono le ultime parole che l’uomo sentì prima di allontanarsi e ritornare in cucina per preparare ai figli le coppe di gelato.

Quella sera dopo essersi fatto la doccia Stiles si sentiva spossato da quella giornata, dai problemi economici che lo affossavano e dalle minacce di Lydia. Scostò le coperte pesanti e si alzò dal letto, prendendo da uno scaffale il bauletto in miniatura che si portava dietro sin da quando era bambino.
Lo aprì e rimase a lungo a fissarne il contenuto, prendendo infine un medaglione d’oro che si rigirò per diverso tempo tra le mani, lasciandosi trasportare dai ricordi di quando era piccolo.         

Era la vigila di Natale e Stiles aspettava impaziente che la madre gli desse il permesso per poter aprire i regali.
Aveva nove anni ed era pieno di vita e di speranza.
«E va bene». La donna scosse la testa e tirò fuori dalla tasca del suo vestito un piccolo contenitore di velluto nero con sopra un fiocco rosso.     
«Era di tuo padre e adesso vorrei che fosse tuo». Stiles spalancò gli occhi e prese il regalo incredulo e tremante. Non aveva mai conosciuto il padre, anche se Claudia gli parlava spesso di lui, e avere qualcosa di suo lo emozionava talmente tanto da non riuscire a trattenere le lacrime di commozione.
«Tuo padre ti amava ancora prima che nascessi». Con quelle parole impresse nella mente Stiles aprì la scatola, rimanendo incantato dal medaglione che vi era dentro. Lo prese con cura e lo poggiò sul palmo aperto della mano per poterlo ammirare meglio. Su un lato vi era disegnato in rilievo un bellissimo lupo che sembrava stesse ululando alla luna, mentre nell’altro lato vi era una serratura in miniatura.           
«È bellissimo». Tirò su con il naso quando la madre gli allacciò il medaglione al collo.    
«Quando guarderai la luna ricordati che non sarai mai solo, figlio mio. Io e tuo padre veglieremo su di te per sempre».        

Stiles si asciugò gli occhi colmi di lacrime e si allacciò il medaglione, accarezzando per l’ennesima volta il disegno in rilievo.
«Avevo bisogno di te, mamma. Perché te ne sei andata?». Sospirò pesantemente e ritornò a letto con il cuore un poco più leggero.    
Quello che Stiles aveva appena ricordato era stato l’ultimo Natale passato con la madre, che poi si era ammalata di demenza ed era morta nel giro di pochi mesi. E da allora Stiles era stato sballottato da una casa famiglia all’altra fino all’età di diciott’anni, quando si era finalmente trovato un lavoro per potersi mantenere da solo e uscire definitivamente dal sistema. 

Come ogni mattina Peter aspettava in piedi davanti al suo negozio l’arrivo di Betty e delle ciambelle che tanto amava, e che erano l’unico strappo alla dieta ferrea imposta da Malia.      
«Consegna speciale per Peter Hale». Le ciambelle erano davanti al suo volto, ne percepiva l’odore anche tramite il sacchetto in cui erano incartate, ma quella decisamente non era la mano di Betty. Si scostò di lato per vedere chi potesse essere tanto peloso, rimanendo a bocca spalancata quando incrociò gli occhi verdi del nipote tanto simili ai suoi.   
«Derek». Gli prese le ciambelle dalle mani e si sporse per abbracciarlo, emozionato di stringere tra le braccia il nipote tanto amato.   
«Arrivi e non mi dici niente? Vuoi forse farmi venire un altro infarto?». Derek scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.           
«Un preinfarto non è un infarto, zio». Rise superandolo ed entrando nel negozio che, per lungo tempo, aveva considerato casa sua. Inspirò a fondo, godendosi l’odore che aveva accompagnato la sua infanzia e adolescenza.           
«Derek». La sua attenzione fu catturata dalla cugina che stava risalendo le scale dal magazzino. «Sono felicissima di rivederti». Come prima il padre, anche Malia alzò le mani in alto per farsi abbracciare dal cugino. Derek non era un tipo da coccole, non lo era mai stato e crescendo lo era diventato sempre meno, ma alla famiglia non si poteva negare niente perciò strinse i denti e rispose all’abbraccio. 
«Anche io». Si guardò intorno. «Questo posto è esattamente come l’ho lasciato».           
«Allora, com’è New York? Dai, Derek, non farti pregare». Nel frattempo Peter aveva messo il cartello “chiuso” e Malia lo stava trascinando in casa al piano di sopra: uno dei vantaggi di lavorare in quel negozio era avere all’interno una scala comunicante con l’appartamento in cui vivevano.
«New York è bella ma non credo ci ritornerò».       
«E come mai?», chiese Malia riempiendo tre bicchieri di eggnog.  
«Mi hanno licenziato». Derek abbassò lo sguardo e sorseggiò lentamente la bevanda.     
«Perché non rimani qui a darmi una mano con il negozio? Malia tra poco andrà al college e ho bisogno di aiuto». Il moro si portò una mano alla nuca, grattandosela imbarazzato.       
«A dire il vero papà mi ha già organizzato un colloquio presso un’impresa a Los Angeles. Non è un lavoro prestigioso come quello che ho perso, né retribuito allo stesso modo, ma per il momento dovrebbe andarmi bene». Peter non insistette e Derek gliene fu grato.     
«Ma ora raccontatemi di voi! È un anno che non ci vediamo».      
«Papà, tu intanto tira fuori le ciambelle. Lo so che sono nascoste nella giacca». Peter mise il broncio per essere stato scoperto ma fece come la figlia gli aveva detto.      
«Voi ve ne dividete una ma l’altra è tutta mia». Si affrettò a chiarire quando vide che Malia aveva intenzione di tagliarla in pezzettini più piccoli.

 

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Note: Questa è una AU natalizia ispirata al film “The Christams Secret” che, mentre lo guardavo, vedevo sempre e solo gli Sterek. E beh… non mi sono potuta trattenere xD 
La storia sarà divisa a più capitoli – credo sei – e spero di concluderla entro il 30 Dicembre. Spero che questo primo capitolo vi piaccia! Aspetto di ricevere il vostro parere!      

Ma voi... il titolo lo vedete con un carattere figo? Perché io sì ma qualcun altro no (Stranger -.-)

P.s: Sono tutti umani!
Alina_95

 

IMPORTANTE: Guardate Yuri on Ice!!

   
 
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