Il
conte Ranieri, dopo la morte del figlio e il trasferimento nella
cittadina ai
piedi del monte, aveva vissuto nella solitudine. Il solo essere ad
interagire
con lui era Fred che, in quanto unico membro della servitù,
si occupava
dell’elegante ma piccola dimora e cucinava per Lorenzo.
Le
uscite erano assai rare e, se anche qualcuno avesse voluto fargli
visita, il
conte si sarebbe opposto: era vecchio, stanco, deluso dalla vita. Di
aver perso
la maggior parte delle sue ricchezze non gli importava, ma
l’onore… quell’onore
di cui il suo cognome era stato privato a causa di suo
figlio…
Gli
avevano riferito, un mese dopo il suo trasferimento, che a Valle era
accaduta
una cosa strana: i popolani si erano diretti al castello per
saccheggiarlo, e
il castello non si era trovato. Sparito. Tra l’altro, la
dimora era enorme, da
sempre era stata visibile dal villaggio, e ora, invece…
niente. Fred era
rimasto colpito dalla cosa, ma Lorenzo ne era stato assolutamente
indifferente.
Non gli importava nulla di Valle, né del castello.
Un’altra
notizia che gli era giunta all’orecchio era che Lucilla
avesse trovato marito:
un esponente dell’alta borghesia napoletana, ricco, e molto,
ma non nobile. Il
vescovo aveva celebrato il matrimonio e la coppia si era stabilita a
Valle.
In
effetti, tutto ciò che Lorenzo veniva a sapere, lo sapeva
tramite Fred, unico
tramite tra lui e il mondo: il maggiordomo, che si recava al mercato
piuttosto
spesso per la spesa, aveva lì modo di udire parecchie
chiacchiere, con le quali
tentava – invano – di intrattenere poi il
“padrone”.
Una
mattina, però, Fred era uscito senza tornare. Solo la sera,
tardi, si era fatto
rivedere, e aveva un occhio bendato. Lorenzo non seppe di preciso cosa
fosse
accaduto, ma capì che qualcuno doveva aver nominato Stephen,
e che Fred avesse
picchiato questo qualcuno, che però gli aveva tirato un bel
pugno su un occhio.
Quando la benda fu rimossa, i due uomini si resero conto che la pupilla
era
rimasta dilatata.
Nel
1910, Lorenzo decise di andare a teatro assieme a Frederick. I due
formavano
una strana coppia, entrambi altissimi e molto magri, uno con i capelli
brizzolati e armato di un minaccioso bastone che serviva a farlo
reggere in
piedi, l’altro pallido, dalla chioma ormai bianca e sfoltita,
con quell’occhio
strambo. Se anche avesse incontrato persone conosciute tempo prima,
Fred non
sarebbe stato riconosciuto.
Chi,
invece, era nonostante tutto ancora riconoscibile, era Lorenzo, e
infatti il
barone Gaetani lo avvicinò, alla fine dello spettacolo.
Disse varie cose, che
Fred ascoltò poco: l’unica cosa che intese fu che
Elio, il maggiore dei
Gaetani, si fosse fidanzato con la figlia di Lucilla. Insomma, quel
titolo
nobiliare che non era riuscita a ottenere per sé, Lucilla
l’avrebbe ottenuto
per la sua discendenza. Il resto, invece, Fred non lo
ascoltò, perché troppo
occupato a osservare la baronessina: Virginia Gaetani aveva
un’espressione
sofferente e mortificata, insoddisfatta, e Fred ricordò
Steve, il suo Steve,
che tante volte aveva visto in quelle condizioni.
Successivamente,
lui e Ranieri sentirono parlare spesso della ragazza, che pareva fosse
impazzita; poi, nel 1913, la giovane scomparve a Valle.
Non
era la prima: da qualche anno, ormai, si parlava di uno spirito che
popolava il
Monte Janara, il monte in cui un tempo era sorto il castello, e questo
spirito
faceva sparire tutti coloro che “invadessero il suo
territorio” dopo il
tramonto. Certo, sembrava una fantasia popolare, ma la gente scompariva
davvero.
Una
sera del 1914, era dicembre, Lorenzo chiese a Fred perché
gli fosse rimasto
accanto.
«Sei
venuto in Italia per Lisa; dopo, sei rimasto per Stephen.
Perché continuare a
vivere con me? »
Fred
si era seduto, dato che ormai neanche si sentiva più un
cameriere: piuttosto,
si sarebbe detto un amico molto premuroso.
«Ho
rinunciato alla mia vita, quando sono venuto qui, per crearmene
un’altra, e
ormai non avrebbe senso abbandonarla.»
Lorenzo
sorrise. «E pensare che avremmo dovuto odiarci noi due! Siamo
sempre stati a
competere, anche se in silenzio… per le attenzioni di Lisa,
prima… per
l’affetto di Stephen, dopo… e ora non ho che te!
Una situazione assurda, a ben
pensarci.»
Fred,
in realtà, era convinto che il conte non avesse mai fatto
nulla per guadagnarsi
l’affetto del figlio, ma tacque. «Abbiamo amato le
stesse persone, e questo ha
creato un legame tra noi.»
La
mattina dopo, Lorenzo non si risvegliò, e Fred
scoprì presto di aver ereditato
la casa in cui avevano vissuto negli ultimi anni. Tuttavia,
l’uomo dubitava di
potervi vivere. C’era assolutamente una cosa che doveva fare,
e non era detto
che riuscisse a sopravvivere.
***
Fu
strano, dopo tanto tempo, tornare a Valle. Era il 1915 e nessuno lo
riconobbe,
dato quanto i segni della vecchiaia erano manifesti sul suo viso, ma
molti lo
guardarono a causa dell’occhio “strano”.
«E
quindi… cercate lavoro qui?» domandò
l’albergatore, alquanto stranito. L’uomo
che aveva innanzi gli pareva molto, molto avanti con
l’età! Chi l’avrebbe mai
assunto? «E che tipo di lavoro?»
Fred
alzò le spalle, rispondendo che aveva sempre fatto il
maggiordomo, ma volendo
poteva anche adattarsi ad altri mestieri. Insistette per pagare subito
la prima
notte di pernottamento, quello strano forestiero, e domandò
– nella maniera più
casuale possibile, secondo lui – se fossero vere quelle
“strane voci” che si
sentivano su Valle.
L’albergatore
parve stupito che quelle storie fossero giunte persino alle orecchie
degli
stranieri, e all’inizio tentennò, balbettando che
non era niente di che, o
meglio, niente di certo, però a dire il vero, ecco,
sì, delle persone erano
sparite. Sempre su quel monte, sempre dopo il tramonto e prima
dell’alba.
L’ultima era stata una baronessina, Virginia Gaetani,
scomparsa assieme agli
uomini che erano andati a cercarla, dato che la signorina era fuggita
di casa
(o, come avevano detto i familiari, “uscita per una
passeggiata”). I corpi non
si erano trovati, di nessuno, mai.
«E
la questione del castello, invece?»
Diamine,
il vecchio sapeva anche quello!
«Oh,
be, sono passati vent’anni… io all’epoca
ero solo un bambino, ma che il
castello esisteva lo ricordo bene. Poi accadde qualcosa, ora non
ricordo
neanche bene cosa, il figlio del conte che era un ragazzo diede
scandalo e la
sua fidanzata lo lasciò, lei era una Di Cosmo…
poi non s’è capito come, ma
forse in una rissa, il giovane fu ammazzato e il conte
lasciò Valle. Dal giorno
dopo, il castello non s’è più
visto.»
Fred
abbassò lo sguardo. Neanche si ricordava più cosa
avesse fatto il ragazzo,
eppure erano stati capaci di trattarlo come un criminale, di
condannarlo senza
neanche tentare di capirlo, di ammazzarlo, infine.
Aveva
dimenticato, l’anziano uomo, quanto fosse freddo quel paese,
soprattutto
durante la notte. Avanzare nel bosco era stato più semplice,
quando era
giovane, e ora gli facevano male le gambe, senza contare che in una
mano
reggeva una lanterna e che aveva dimenticato di prendere un bastone.
Avrebbe
potuto usare quello di Lorenzo, che gli era stato lasciato…
Durante
il cammino, Fred ripensò alla sua vita in quel posto:
all’uomo che l’aveva
accompagnato a bordo di un carretto malmesso, alle persone che aveva
conosciuto
al castello, a Lisa, ovviamente, a Lorenzo, al suo adorato
Steve…
Dei
lupi ulularono. Fred deglutì, e tuttavia continuò
ad avanzare.
Gli
ululati cessarono, ma l’uomo si sentiva osservato e avvertiva
la presenza
silenziosa delle bestie nascoste, da qualche parte, attorno a lui.
Oltre al
canto dei grilli, era ora udibile quello di una donna. Una sirena,
pensò. Una
sirena che mi chiama come fossi un marinaio, e che mi farà
passare a miglior
vita. E non era tal pensiero a ferirlo, quanto quello di aver
sbagliato: se lo
spirito della montagna era una donna, allora lui aveva sbagliato: il
vecchio,
infatti, si era lanciato in quella folla spedizione nella speranza di
vedere il
fantasma di Steve; se poi quella storia si fosse rivelata falsa, bene,
si
sarebbe recato al castello – che avrebbe trovato –
e avrebbe dato degna
sepoltura al cadavere abbandonato tanti anni prima. Ammesso che ci
fosse
rimasto ancora qualcosa, di quel corpo.
Il
canto cessò, e questo causò un cambiamento tanto
brusco da far tremare Fred,
che fu costretto ad abbandonare i propri pensieri e a guardarsi
intorno: ci
volle un po’ per identificare la figura che gli era apparsa,
perché era notte,
ma poi la luce della luna lo aiutò.
La
conosceva. O meglio, la ricordava. Quella era la baronessina Gaetani.
Eppure,
l’ultima volta gli era apparsa una sofferente bambola di
porcellana; ora,
invece, era una donna… e tutto sembrava, fuorché
infelice.
Virginia
Gaetani, dal canto suo, gli rivolse uno sguardo curioso, ma non
perché avesse
memoria del suo viso: semplicemente, non si aspettava
d’incontrare un uomo
tanto anziano, e ora si sentiva spaesata.
«Mio
buon signore, cosa fare in questo bosco?» domandò
la giovane, almeno
apparentemente con gentilezza. Il vecchio tremò. Essendosi
finalmente fermato,
aveva più freddo: gli pareva di sentire il gelo nelle ossa.
«Io…
cercavo un castello» borbottò, timoroso.
«Vivevo qui, da bambino… poi mi sono
trasferito altrove ma ecco, dato che non ho più un
lavoro… ho pensato di
tornare a Valle, perché certamente al castello dei conti
fanno comodo delle
braccia in più.»
Per
una questione di delicatezza, colei che era stata riconosciuta come
Virginia
Gaetani evitò commenti sull’evidente
inutilità di braccia anziane. «Dunque, non
sapete nulla di quel che è accaduto al castello?»
domandò, invece. L’altro
disse di no.
«Ecco,
caro signore… al castello viviamo solo io e il conte, mio
marito. Non abbiamo
bisogno di servitù… »
iniziò, ma poi parve pensierosa. In effetti, una persona
che potesse dare una mano… anche se quell’uomo era
tanto vecchio…
«Cosa
vorreste in cambio del lavoro? Denaro? O vi accontentereste
di… »
«Vitto
e alloggio, non chiedo altro.»
Ancora
la contessa tacque, meditabonda. Le regole erano che gli intrusi
venissero
uccisi, ma quell’uomo era un forestiero, neanche
sapeva… era tanto ingenuo, e
vecchio, le faceva pena, insomma, e poi la carne dei vecchi non era
buona, l’aveva
detto tante volte, suo marito…
«Vedete,
signore, temo che mio marito si opponga, perché conducendovi
al castello
infrangerei alcune regole. Tuttavia, le infrangerei anche
allontanandovi da me;
vedete, l’unica cosa da fare sarebbe… oh, ma
qualcosa in voi m’ispira simpatia.
Non credo che riuscirei ad uccidervi.»
Fred
abbozzò un sorriso. Si domandava come potesse fargli del
male quella creatura
minuta, ma alla morte era pronto. «Signora contessa, la mia
vita vale poco e
potete prenderla. Tuttavia, se solo poteste lasciarmi almeno parlare
con vostro
marito… se solo potessi vederlo, e implorarlo di esaudire il
mio desiderio… Se
egli dirà di no, mi ucciderete comunque e senza che io tenti
di resistervi.»
Se
la contessa avesse conservato il buon senso degli umani – o
meglio, se l’avesse
avuto: perché anche prima, era stata un po’
svitata – si sarebbe posta qualche
domanda su quell’uomo; tuttavia la donna aveva un modo
d’interpretare la realtà
tutto suo, e che gli altri si adattassero alle sue
“regole” le pareva logico. «Non
voglio, comunque, che voi pensiate a me e mio marito come degli
assassini,
perché non lo siamo» si preoccupò di
precisare, «è solo che non siamo umani.
Siamo morti, e i morti devono pur tutelarsi, in qualche modo.»
***
Da
quanto aveva avuto la certezza che la contessa e il marito fossero
morti, le
speranze di Fred erano rinate. Durante il tragitto che portava al
castello,
Virginia – che egli non rivelò di aver
riconosciuto, anche perché la donna non
sembrava voler accennare alle sue origini, né al suo nome
– gli parlò molto,
facendo domande su quell’occhio e sulla sua vita in generale.
Egli, per ragioni
di sicurezza, preferì mentire.
Rivedere
il castello fu un colpo al cuore, e ancor più sconvolgente
fu udire quella voce
tanto amata, quella voce familiare…
La
contessa gli aveva chiesto di aspettare nel corridoio, e si era chiusa
in uno
dei salottini col marito, che egli però non era riuscito a
intravedere. Poiché la
discussione della coppia fu animata, Fred poté
però ascoltare e lo riconobbe. Lì
dentro doveva esserci Steve, che non voleva intrusi nel suo castello.
«Mio
caro, io non ho il cuore di far del male a quell’uomo,
né di rifiutarlo come
nostro maggiordomo. Se sei convinto delle tue idee, parlagli
direttamente e fa’
quello che devi, ma senza di me.»
La
porta si aprì, facendo sobbalzare Fred che ormai aveva il
cuore in gola. La
contessa lo invitò silenziosamente a entrare, ed egli
avanzò piano. Il conte
era in piedi davanti a una finestra, gli dava le spalle. Si
voltò dopo qualche
minuto di assoluto silenzio, evidentemente infastidito, e la scena che
si trovò
davanti lo lasciò interdetto.
Nel
rivedere Steve, Fred cadde inginocchiato sul pavimento e pianse.
Poiché il
ragazzo pareva non conservare memoria di lui – e
più tardi l’avrebbe capito,
Steve non conservava memoria alcuna della sua vita – il
vecchio fece passare la
commozione per disperazione, disse che sarebbe stato lieto di servire
quella
coppia finché fosse rimasto in vita, che mai si sarebbe
mosso dal castello, che
avrebbe obbedito solo a loro, senza chiedere altro; e per quanto il
conte non
riuscisse a capire il perché di tale desiderio, si
ritrovò infine ad
acconsentire, perché impietosito.
«E
sia: resterai al nostro servizio. Ma bada bene, potrebbero capitarti
compiti
poco piacevoli.»
«Non
importa, signore.»
La
contessa appariva raggiante, e invitò l’anziano
uomo a rialzarsi.
«Il
vostro nome?» domandò, curiosa, mentre lo
accompagnava a vedere la sua stanza.
Il
vecchio rifletté. Non poteva dire la verità,
Steve non ricordava e forse, a
questo punto, era meglio che non ricordasse. L’avevano tanto
fatto soffrire in
vita, povero ragazzo… rivelare il suo nome, avrebbe potuto
forse far
riaffiorare delle memorie. Meglio evitare. A lui bastava potergli stare
accanto, non era importante che il ragazzo lo riconoscesse.
In
un attimo, ripensò alle persone che aveva conosciuto a
Valle, al nome di colui
che lo aveva accompagnato a Valle, tanto, tanto tempo prima.
«Mi
chiamo Endrio, signora.»
La
contessa sorrise. «Benvenuto, Endrio.»