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Autore: PawsOfFire    12/12/2016    5 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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Eravamo giunti da poche ore al nuovo campo e già stavo avendo problemi.
Aggirandomi tra le tende come un fantasma errante, studiavo la zona con vago interesse, impegnato più a non crollare dal sonno che a calcolare la distanza tra la mia tenda e quella dell’infermeria.
Non era molto diverso dagli altri: un’immensa pianta rettangolare delimitava i confini, cintata disordinatamente da massicci cumuli di terra schiacciata ed assi di legno che dovevano servire, teoricamente, ad impedire entrate ed uscite indesiderate.
Dall’ingresso una compatta fila di camioncini sfilava tra i sentieri di fango e nevischio, suonando stupidamente il clacson per avvertire gli altri del loro trionfale ingresso.
Era arrivato un rifornimento massiccio di alimenti.
Rape, per la precisione. Sei enormi vani di rape violacee e terricciose con le loro cime verdastre segnavano l’inizio della nostra ignobile fine.
Il Generale, seguendo il buon e pacifico esempio del nostro Fuhrer, aveva deciso di limitare il consumo di quella carne oramai rara a favore di un’alimentazione strettamente basata su verdure, in particolare rape, cavoli, patate ed asparagi bianchi che giungevano dalle nuove e floride terre polacche.
Fu un successone. Limitato l’uso del surrogato di tabacco nella divisione, il Generale si accingeva a stringere il cappio sui suoi uomini creando un disastroso malcontento tra le truppe ma ricevendo i complimenti per iscritto da una segretaria del grande capo delle SS* che aveva davvero a cuore l’ambiente e gli indifesi cuccioli di bosco.
Dunque, dopo dieci giorni passati a far scivolare nei nostri stomaci acqua sporca di rape, decisi di agire.
Chiamai i miei uomini in raccolta nella mia nuova e personalissima tenda sei posti che occupavo da solo. Dopo l’incidente di qualche sera prima avevo chiesto di essere trasferito, così mi avevano assegnato questa solitaria bellezza dove potevo regnare incontrastato.
Li misi in fila, sull’attenti.
“Soldati” dissi, passeggiando con sguardo torvo dinnanzi a loro per manifestare appieno l’influenza del mio grado su di loro.
“Oggi faremo una battuta di caccia. In tutta franchezza mi ci pulisco il culo con i nuovi ordinamenti.
La carne, il tabacco e la cioccolata sono i tre pilastri della vita militare. Assieme alle baldracche ed il Pervitin ** rendono questa vita del cazzo un po’ più sopportabile.
Il fumo è praticamente sparito, la cioccolata ha un sapore orribile, la carne bandita ed io non ho intenzione di sapere cosa succede nelle vostre tende.
Ci rimangono le pastiglie, a conti fatti. Quindi andiamo in quei boschi e cerchiamo di prendere quante più bestie possibili. No, Gerste, non intendo fare cannibalismo mangiando carne di soldati russi. Con questo è tutto. Obiezioni?”
Martin e Klaus alzarono timidamente la mano. Sicuramente avevano da avanzare codarde ipotesi di condanne a morte ed epiloghi vigliaccamente tragici. Li ignorai.
“Nessuno, ottimo. Lucidate le armi, partiremo tra un’ora
 
 
Sfruttammo quella giornata di intenso nevischio ed azioni militari sospese per cacciare.
Poco distanti dal campo vi era un fitto bosco di sempreverdi diligentemente posizionati a scacchiera, intervallati da piccoli massi freddi ricoperti di muschio.
Nascosto comodamente dietro un pino, fischiai un ordine al mio cane.
Fiete, il cane, aveva localizzato una tana dove alcuni conigli avevano trovato rifugio. Con la loro pelliccia bianca e gli occhi rossi, sembravano dei teneri demoni.
Guaendo rumorosamente la bestiola si accucciò poco distante dalla tana, scodinzolando nervosamente e puntando il muso verso il nostro prossimo pasto.
Diedi ordine di sparare. I conigli, spaventatissimi, balzarono via dalla tana.
Fu uno spettacolo incredibile. Non ne avevo mai visto così tanti in vita mia. Decine di leprotti bianchi che correvano maldestramente lungo le pendici delle soffici colline coperte di ovattata neve, sparendo tra le lunghe file di alberi a grandi balzi.
Non ci rassegnammo. Sparammo fin quando non esaurimmo le munizioni.
“Ottimo lavoro, soldati“ Constatai, alzandomi in piedi. Ero rimasto accucciato per parecchio tempo, così le mie ginocchia si erano intorpidite un po’.
Scrollandomi gli aghi di pino e la neve di dosso, realizzai di quale carneficina eravamo stati gli artefici.
C’erano macchie di sangue ovunque. E, tra tutto quei piccoli puntini rossi, scorgevamo con difficoltà le livree bianche dei conigli che ruzzolavano giù dai lievi pendii del terreno.
Ci impegnammo per recuperare i deliziosi e mimetici bottini disseminati ovunque. Con tutto quel casino mi stupii di averne abbattuto solo cinque. Li posammo per terra, in fila, e scattammo una foto commemorativa.
Poi il dubbio.
“Adesso cosa facciamo con questi? Dobbiamo sbarazzarcene. Se dovessero scoprirci, Herr...”
Klaus tremava e non ne ero stupito. Dal freddo o dalla paura l’importanza era poca. Si era perfino rifiutato di partecipare alla foto di gruppo offrendosi di scattare la foto.
Una prova, la definiva. Se avessero sviluppato quel rullino sarebbe morto fucilato, diceva.
Uno lo mangiamo. Weisz, prepara lo spiedo”
“Ricevuto, Capitano!”
Avevo nascosto un bel coltello a serramanico in una tasca interna.
Facendo scattare la lama mi accinsi a pulire il coniglio. Lo avevo fatto più di una volta, piccoli trucchi di sopravvivenza militare. Con una piccola incisione sotto la gola, attraverso la pancia e sulle zampe si poteva sfilare la pelle, per…
“Capitano Faust”
“Sono impegnato. Se non mangio adesso questo fottuto coniglio rischio di impazzire”
“Mi duole immensamente interromperla, ma non crede anche lei che se accendessimo un fuoco qua, nell’ipotesi effettiva che attizzi, non sarebbe pericoloso? Ci vedrebbero tutti...il fumo”
Sbuffai. Aveva ragione ma non potevo comunque ammetterlo.
“Lo cucineremo nella mia tenda. Ho una stufa fantastica. Ci faremo un surrogato di caffè mentre aspettiamo che la carne cuocia. Ho delle mele selvatiche, potremmo farcirlo”
Così fu. Infilammo i conigli dentro un grosso sacco di iuta e silenziosamente scivolammo lungo i pendii del bosco, tornando alla minuscola conca pianeggiante dove sostava il campo base. A questo punto incaricammo Tom, particolarmente smilzo e non troppo alto, ideale per il ruolo, di arrampicarsi oltre la barricata e strisciare sotto le assi di legno per passare dall’altra parte senza essere visto. Sgattaiolando sotto i legni il salto era approssimativamente di un metro. A quel punto gli avremmo lanciato i conigli senza dare nell’occhio e saremmo passati dall’entrata fischiettando, come se nulla fosse accaduto.
E funzionò. Non avevamo i permessi per uscire, ma nessuno si accorse di noi. Solo il Dottor Biermann, intento a fumare dell’acre tabacco fuori dalla tenda-ospedale.
Era un genio incompreso, quell’uomo. Soffiava nuvolette di fumo forma di anello, osservando nostalgicamente il cielo. Congedai gli altri e mi diressi verso di lui.
“Il mio Capitano preferito. Passato il mal di stomaco?”
“Colpa della zuppa di rape”
“Peccato” Il dottore si schiarì nuovamente la voce prima di inspirare nuovamente dalla sigaretta.
Me ne offrì una, ma la rifiutai.
“Senta. Si ricorda del piede...dei trecento marchi...” Mi avvicinai a lui, rendendo la mia voce più flebile di un sussurrò. In risposta il medico si sporse appena verso di me, annuendo.
“Non li ho. Però abbiamo dei conigli”
“Conigli?”
“Abbattuti in giornata “
Biermann arricciò le labbra, corrugando la fronte in un’indubbia espressione pensierosa.
“Pensavo che, dopo settimane passate a mangiare rape, potesse essere un’offerta interessante”
Nei suoi occhi chiari si poteva scorgere l’ombra di una tacchinella ripiena ed una bottiglia di rosso d’annata. Due portate di cinghiale, una di cervo e qualche lepre arrosto. Una distesa di funghi che dal Reno scendeva fino al Danubio e da lì risaliva…
È fatta”
“Stanotte mi raggiunga in tenda. Faremo una partita a carte e le consegnerò il coniglio. Non lo faccia sapere in giro, il generale potrebbe insospettirsi”
“Si fidi di me”

 
 
Si creò un traffico illegale di carne.
Lepri, fagiani, cervi. Ogni uccello del cielo ed ogni pesce del mare.
Ogni sera, uscendo dalla mensa, mi ritrovavo attorniato da voci sussurranti provenienti da ogni anfratto del campo militare.
 “Ehi” mi sussurravano, nascosti tra le casse di legno e le ruote bucate.
 “Hai della pernice? Posso darti del tabacco. Tabacco vero”
 “Desidero mangiare merluzzo prima di morire. Ho delle bende, possiamo barattare”
Ehi, ehi ehi. In un battibaleno mi ero ritrovato il magnate delle carni.
Tutta colpa di Biermann che, ingenuamente, aveva deciso di dividere quel dannato coniglio in cambio di mezza brocca di vino vero.
Doveva essersi lasciato sfuggire qualcosa in preda agli effluvi alcolici.
Piccoli, insignificanti particolari che conducevano a me.
Li ritrovavo in tenda, in missione, ovunque.
Perfino dentro al carro armato.
“Ehi” mi chiamavano, mettendosi in collegamento con noi.
 “Hai del coniglio? Non mangio carne da una vita”
Era Becker che parlava. Un capocarro insignificante di cui probabilmente continuerò ad ignorare l’esistenza come ho sempre fatto.
 “Siamo in missione, soldato” Chiusi la comunicazione all’istante mentre quello tentava disperatamente di convincermi a cedergli il coniglio nonostante avesse, perfettamente davanti agli occhi, il lungo e minaccioso cannone di un T-34 pronto ad aprire il fuoco...
Avevamo passato quel dannato ponte mai bombardato e nessun aereo russo era più tornato sull’obbiettivo con l’intenzione di demolirlo. Non era una posizione particolarmente importante ma, in qualche modo, necessaria e di utilità assoluta.
Davanti a noi si stagliava una distesa di capannoni, fabbriche dismesse dalle lunghe ciminiere in mattoni traballanti che minacciavano di cadere da un momento all’altro.
Addentrandoci tra quel reticolo di strade di gelida terra brunastra capimmo subito di cosa si trattasse: una vecchia e dismessa fabbrica di armi.
Carapaci abbandonati di carri armati giacevano accatastati dentro i capannoni, tra i nastri di montaggio e strani apparecchi tecnologici. A giudicare dai gusci ossidati doveva essere passato molto tempo da quando la fabbrica era stata occupata ed i lavori cessati. Una piccola vittoria prima che i russi si spostassero abbastanza lontano da permettersi di tornare a produrre carri con una frequenza disgustosamente elevata. Tutto il materiale utile era stato prelevato: rimaneva un gigantesco cimitero di metalli consumati dal tempo ed occupati da uccelli o piccoli animali selvatici.
Per un po’ ci illudemmo di essere soli. L’aria rarefatta e pesante si condensava sui nostri volti spiritati, ghiacciandosi all’istante. Riemersi dalla mia postazione armato di binocoli per osservare eventuali movimenti. Le lenti si appannarono, così come i miei occhiali.
Maledissi il mondo prima di rientrare, chiudendo quel minuscolo sportello che divideva me dall’immensità del cielo.
Attivai la comunicazione con gli altri. Il morale dei miei uomini era basso, ma quello degli altri era forse peggio: neanche quando quattro furgoni sovietici ed un paio di carri sfilarono davanti ai nostri occhi loro si rassegnarono. Non era uscirne vivi che importava a loro. Era quella maledetta carne che contava.
“La prego, Capitano. Ho freddo...una mina anticarro ha fatto saltare in aria il nostro...fianco...sopravvivrò per quel coniglio o la perseguiterò negli inferi...” miagolavano, cercando di smuovere quella briciola di sentimento che mi era rimasta.
Così, mentre i carri sotto il mio comando continuavano a disobbedire e morire nel tentativo di corrompermi, decisi di proclamare l’anarchia e di agire da solo.
Facendo scivolare in gola altro Pervitin, promisi a me stesso che non avrei più toccato un fottuto coniglio in vita mia.
Un furgone da incursione ci tagliò la strada. Un passeggero alquanto coraggioso aprì il finestrino, dirigendo la testata di un Panzerfaust verso di noi.
Ci passammo sopra. Letteralmente. Sotto il peso dei nostri cingoli il mezzo roteò sulla sua stessa asse prima di ribaltarsi completamente.
Il nostro obiettivo era il T-34 che, come una sentinella, proteggeva l’ingresso del capannone principale.
Doveva essere stato appena prodotto, quel carro. Ergendosi prepotentemente nella pianura il cannone ruotava piano, cercando di prendere la mira sulla parte bassa dello scafo.
Dovevo aver esagerato con il Pervitin. Con il cuore a mille non riuscivo più a sentire nulla, nonostante Tom stesse urlando dall’interfono, implorando una deviazione. Abbandonai la mia postazione e scivolai da lui.
 “Andremo dritti verso di lui e gli sfonderemo il culo. Martin...Klaus. Caricate”
A posteri fui sollevato dal fatto che Tom non avesse eseguito gli ordini.
Mi sentivo improvvisamente il capocarro più figo degli ultimi cinquant’anni.
Più del solito, si intende. Ci posizionammo strategicamente dietro un capanno e, ruotando la torre, riuscivamo ad avere il muso coperto e la perfetta visuale sull’obiettivo.
“Non avevo forse ordinato una carica? Tom? È un ammutinamento, questo?”
“Capitano, lo abbiamo in pugno. Si fidi di noi”
“Caricate, cazzo, Caricate e muovetevi!”
Un carro leggero piombò velocemente alle nostre spalle.
Fu un attimo e nessuno lo vide.
Straziò l’aria con una serie di colpi. Potevo sentirli rimbalzare tra le spesse pareti del nostro Tiger, graffiando la corazza con un tintinnio metallico.
 “Bene, Weisz. Ora siamo morti. Non si distragga. Stia fermo.
Ci sta distraendo, vedete? Se cambiamo obiettivo siamo finiti! Siamo completamente scoperti...”
L’incrociatore prese una via traversa. Avevo una gran voglia di fare l’eroe e, a posteri, fui contento di come i miei uomini riuscirono a tenermi a bada.
Finalmente Martin e Klaus si decisero a fare fuoco. L’impatto fu violento ed investì il T-34 nemico in una nuvola di fuoco.
Ammaccato ma ancora funzionante, il mezzo arretrò un poco mentre i suoi uomini si preparavano a colpire.
“Veloci, veloci!” Il mio tono fu quasi implorante. Era la nostra occasione.
Strinsi i denti quando partì la seconda carica. Il nemico arretrò ancora, macchiando il cammino con una scia di liquido vischioso e nerastro.
Avevamo preso il motore. Con un ghigno mi preparai allo spettacolo del carro fumante quando, inaspettatamente, il T-34 decise di dirigere l’ultimo colpo verso la torre del capocarro prima di saltare in aria.
 
 
Passai tre giorni in uno stato di dormiveglia. Ogni volta che chiedevo dei miei uomini il dottor Biermann mi zittiva, inducendomi nuovamente nel sonno.
Al quarto giorno in infermeria finalmente ebbi abbastanza forze per potermi rendere conto cosa era successo. Avevo un’antiestetica fasciatura alla testa ed una nel torso, talmente stretta che per qualche secondo temetti di aver perso le viscere.
“Buongiorno, Capitan Faust. Si sente meglio oggi?” Il dottore si avvicinò al mio lettino, osservandomi da dietro le lenti con uno strano sguardo di apprensione.
“Uno schifo, ma sarebbe potuta andare peggio. I miei uomini...
“Capitano...” Il medico si sedette nella brandina vuota accanto alla mia.
Mi porse una sigaretta, ma la rifiutai. Schioccò la lingua mentre l’accendeva, inspirando profondamente prima di soffiarmi tutto il fumo in faccia. Tossii.
“Ho due notizie. Una buona, forse due. Ed una molto, molto cattiva. Anzi, due cattive”
“Iniziamo dalle buone”
“La prima, Herr Faust, è che può considerare il suo debito nei miei confronti estinto. Nella sua assenza mi sono permesso di prendere in prestito alcuni conigli. Se vuole dopo le passerò una coscia arrosto sottobanco”
Avrei davvero voluto spaccargli la sua faccia da culo con un pugno, ma non avevo nemmeno le forze per sollevare la schiena. Ci provai, ma uggiolai di dolore e dovetti sdraiarmi nuovamente.
“L’altra notizia?”
“I suoi uomini stanno bene. Tutti e quattro. Se non fosse intervenuto il Capitano Becker sicuramente sareste morti”
“Capitano?”
“È stato promosso ieri per il coraggio mostrato sul campo di battaglia. Pensi, ha abbattuto un T-34 ed i due incrociatori!”
“Era il nostro T-34! Lo abbiamo abbattuto noi, quello!”
“L’altro. Per un coniglio ha deciso magnanimamente di non prendersi il merito...”
Sbuffai, implorando qualcosa per poter dormire ancora, magari in eterno, ma lui me lo negò.
“Facciamola finita e mi dica le cattive notizie.”
“Il suo cane ha cagato nella mia tenda”
“Si prenda tutti quei cazzo di conigli ma per favore mi dica le cose importanti!”
I suoi occhi si illuminarono per un secondo.
Poi parlò.
“La Furia è stata distrutta”






Note finali:
* Himmler amava davvero tanto gli animali, specialmente i cerbiatti, e detestava la caccia.
** Metanfetamina.  Per i loro uso massiccio sui tank tedeschi e austriaci le tavolette di Pervitin furono soprannominate Panzerschokolade, "cioccolato per carri armati".
   
 
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