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Autore: Misapoty    12/12/2016    0 recensioni
"Into my dreams" è una raccolta di One-shot di due folli universitari fuori sede che estrapolano dai sogni delle vere e proprie storie. Che siano scenari moderni o illusori, i protagonisti di ogni singolo capitolo prendono vita trasportando il lettore in mondi fittizzi, che possono prendere vita soltanto nei sogni di ciascuno di noi; una sorta di fuga dalla realtà e da tutto ciò che è ordinario.
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Incontri casuali - (parte 1) Quando decisi di iscrivermi all'università, una volta finito il liceo, pensai che finalmente sarei entrato in un ambiente più serio, o almeno così immaginavo. Mi ero ormai creato uno stereotipo di studente universitario di lingue: tipico ragazzo serio, diplomato con una media alta alle superiori, iper applicato nello studio. Da un lato pensai che tutto questo mi sarebbe stato utile, o almeno in qualche modo avrebbe cambiato il mio modo di studiare. Dall'altro, invece, temevo che così facendo avrei vissuto un’esperienza noiosissima e che non ce l’avrei fatta a resistere a lungo in un ambiente del genere, poiché io e lo studio non eravamo grandi amici. Tutte le mie convinzioni, però, svanirono appena cominciai a frequentare l’università, un posto ben più frenetico del previsto. Il primo giorno feci la conoscenza di due ragazze. Ci incontrammo per la prima volta al corso di letteratura inglese. L’aula era pienissima e gli ultimi posti liberi rimasti erano quelli della mia fila. «Guarda tu quanta gente c’è! Non lo trovi eccitante? Allora quando si comincia?!» esordì una delle due ragazze aguzzando la vista nella speranza, forse, di intravedere qualcosa di interessante sul fondo dell’aula. Era una tipa minuta, dai capelli corti e biondi. Anche avendo una corporatura così esile, aveva fin troppa energia nel suo modo di parlare. «Amy, non urlare. Non farti notare già il primo giorno. Siediti e rilassati.» disse l’altra ragazza invitandola a sedere. Amy si pietrificò dall'imbarazzo e arrossì, sedendosi senza dire nulla accanto all’amica che l’aveva ripresa. Quest’ultima, dai lunghi capelli corvini, era molto più alta di lei e decisamente più tranquilla, o almeno così sembrava. Si presentò poco dopo dicendo di chiamarsi Misaki e si dimostrò tutt’altro che tranquilla. La sua capacità di cambiare continuamente discorso era strabiliante. A quanto pare era l’unica che riusciva a calmare i bollori di Amy riportandola con i piedi per terra. Da quel giorno continuammo a seguire i corsi insieme, e mi toccò ammettere che la loro compagnia non era affatto spiacevole. Trascorsa qualche noiosa settimana di università, un giorno la nostra monotonia venne interrotta da una strana catena di eventi. Come ogni volta, io, Amy e Misaki decidemmo di tornare a casa insieme, avendo in comune un bel tratto di strada. Usciti dalla sede principale, ci ritrovammo nel bel mezzo di un acquazzone senza una precisa meta e nessuno di noi aveva intenzione di decidere sul da farsi. Dopo un po’, stanchi di bagnarci senza motivo a causa della pioggia, optammo per ripararci da qualche parte dove poter mangiare. Le opzioni erano varie, ma decidemmo che una rosticceria in cui poterci sedere andava più che bene. Ci dirigemmo in un locale vicino all’università, piccolo, ma fortunatamente munito di svariati posti a sedere. Era abbastanza rustico, uno di quei posti che non saltano facilmente all’occhio dei passanti, tipico rifugio di qualche universitario fuori sede in cerca di pausa e ristoro. Misaki ed Amy ordinarono in fretta e furia qualche stuzzichino da mangiare per colmare il vuoto allo stomaco. Più che vuoto poteva essere definito come buco nero, ma questo è un dettaglio. Mentre si rifocillavano con una grazia per nulla femminile, iniziarono a parlare delle serie TV che sarebbero dovute uscire a breve in questo autunno ed io, preso dalla noia, estrassi dalla tasca dei pantaloni il mio amatissimo cellulare alla ricerca di qualcosa che potesse distrarmi. Per qualche strano motivo, finii nuovamente col cercare qualcosa nelle vecchie foto della galleria. In più, questa volta, notai che la mia collezione di foto dei libri che avrei voluto comprare aumentava a dismisura senza mai accennare a diminuire. Tra quelle miriadi di immagini si poteva trovare di tutto, o almeno tutto quello che destava il mio interesse: dall’esoterico al racconto di avventura fantastico, libri destinati a rimanere foto per un altro bel po’ di tempo a causa della mancanza di fondi, tra cui sbucarono anche gli innumerevoli manga e fumetti occidentali che avrei voluto comprare. Fumetti che, una volta individuati dal sottoscritto in qualsiasi fumetteria che si rispettasse, venivano minacciati con un “Tu sarai mio”. Tra di loro, in particolare faceva capolino il primo numero di “Adventure Time” che mi ero tanto ripromesso di comprare. Avevo persino già selezionato le variant tra le quali dover scegliere. «Adventure time? Strano vedere qualcuno interessato!» «Beh, avevo intenzione di prendere il primo volume, e penso lo farò a breve.» dissi. Mi girai e mi ritrovai faccia a faccia con una ragazza che stava cercando di guardare sul mio cellulare. Cappelli neri, lunghi, non molto alta e dalla pelle non troppo pallida. Probabilmente lavorava sul posto poiché indossava una divisa e aveva con sé un piccolo blocchetto. «Bene, allora siamo in due, ancora devo decidermi a prenderlo, ma in questi giorni sarà mio.» Si allungò e mi sfilò delicatamente il cellulare di mano sfogliando le varie immagini che stavo guardando. Fu sul punto di fare qualche commento quando fu chiamata dal retro del locale e corse frettolosamente via. Io ero ancora lì, immobile, a cercare di comprendere cosa fosse appena successo. Fui riportato alla ragione da Amy che continuava a indicarmi fuori cercando di comunicarmi che aveva smesso di piovere. Mi alzai e allungai la mano al tavolo per recuperare il cellulare. Con mio assoluto stupore constatai che non c’era. Lo aveva ancora quella ragazza. Mi diressi verso il retro del locale ma mi fermai poco prima. Un piccolo pezzo di carta catturò la mia attenzione, appoggiato con cura sul bancone insieme al mio cellulare. “Ci rivedremo prima o poi. O almeno spero. A...” «Ti vuoi muovere Shin, che stai aspettando?!» Amy alzò le mani al cielo agitandole per farsi notare. Misi nella tasca della giacca il biglietto e mi avvicinai a loro. «Perché ci metti sempre così tanto?» «Sempre a fare storie tu.» borbottai. Dopo aver pagato prendemmo le nostre cose e ci dirigemmo verso l’uscita, quando si avvicinò un altro gruppo di ragazzi. Tre ragazze e due ragazzi, per l’esattezza. Si presentarono dicendo che anche loro erano iscritti alla nostra stessa facoltà di lingue e ci chiesero delle informazioni riguardanti alcuni libri di testo. Ci fermammo a parlare con loro e finimmo con il sederci di nuovo in quel locale. A quanto pare quel posto ormai ci aveva incatenati. Ripresi il mio cellulare per l’ennesima volta, controllai non ci fosse nessun messaggio e lo riposi sul tavolo. «Shin, quanto costava il libro di letteratura?» «Sempre 30, non penso abbiano cambiato il prezzo dopo un giorno.» Misaki mi gettò un'occhiataccia ammonendomi dell'irritante sarcasmo appena usato e le risposi con un’alzata di spalle. Il ragazzo con cui stava parlando pareva l’unico interessato, e sembrava che ad Amy non dispiacesse affatto. Dopo che tutti i dubbi furono risolti, i ragazzi chiesero di unirci a loro per tornare a casa insieme. Amy fissò Misaki nel tentativo di convincerla con lo sguardo, e lei si girò verso di me per chiedermi un ulteriore parere. Non riuscii neanche a dire una parola, che Amy aveva già accettato con fare molto esaltato. «Bene, mi piace il tuo spirito!» disse il ragazzo ridendo. Amy arrossì di colpo quando si rese conto della sua reazione eccessiva, e rimase pietrificata dall'imbarazzo come suo solito. Uscimmo dal locale dopo quella che era sembrata un’infinità di tempo e ci incamminammo verso casa. Fortunatamente un pezzo di strada era comune anche ai nostri nuovi "amici", e quindi ci fu l’occasione di parlare meglio. Il primo ragazzo, di cui ormai Amy era rimasta palesemente affascinata, si presentò come Simon, non troppo alto, dalla corporatura normale e dai capelli leggermente rasati. A seguire, al suo fianco, c’era Yuki. A differenza di Simon, aveva i capelli ricci e folti ed era leggermente più alto di lui, e indossava un giubbotto verde alquanto insolito abbinato a un cappellino grigio. Amy cercava di tenere loro il passo, così da potergli continuare a parlare, ma a causa della sua piccola statura sembrava una maratoneta a un passo dal collassare nell’intento di arrivare il prima possibile al traguardo. Io e Misaki li seguivamo osservando divertiti quella scenetta comica affiancati dalle tre ragazze. Misaki si affrettò a rompere il ghiaccio tartassandole di domande su serie TV e tutto ciò che le passava per la testa, e in questi casi niente poteva fermarla. La prima ragazza, Veronica, sembrava seguire il discorso con grande attenzione rispondendo con precisione alla raffica di domande di Misaki. La seconda, Monica, rimase sbalordita tanto quanto me dalla velocità con cui entrambe cambiavano ripetutamente discorso. In effetti, Misaki era sempre stata famosa per la sua parlantina, ma non mi sarei mai aspettato di trovare qualcuno al suo pari. Ogni tanto Veronica spronava l’ultima ragazza del gruppo, Sefora. Indossava una felpa grigia, e si era rintanata all’interno del suo cappuccio. Interveniva poco o nulla con fare molto distratto per poi ritornare ai suoi pensieri. Di colpo riprese a piovere, ma per mia fortuna ero ormai quasi arrivato. Amy, approfittando della pioggia, tirò con sé Simone alla ricerca di un riparo. Sembrava quasi una scenetta romantica, ma il tutto era reso comico dall’immagine di una piccoletta dalle guance divenute color porpora nel tentativo di trarre in salvo un ragazzo del doppio della sua statura. Mi salutarono tutti rapidamente e fuggirono anche loro alla volta di un riparo. Mi sbrigai a trovare le chiavi di casa, ma prima che potessi infilarle nella serratura del portone mi sentii tirare. Mi girai e vidi una ragazza dalla felpa grigia con il capo chino. Era Sefora. Era rimasta indietro rispetto al resto del gruppo. Alzò lo sguardo e per la prima volta in quella giornata la osservai meglio. Capelli rossicci, occhialoni enormi che le donavano molto e dalla statura esile celata dalla felpa di almeno due taglie più grandi della sua. Mi poggiò le mani al petto porgendomi un cellulare, poi scappò anche lei all’inseguimento del gruppo. Io rimasi lì, imbambolato, sull’uscio del portone. Controllai il cellulare, e rimasi stupito. Era il mio. E solo in quel momento ricordai di aver stupidamente lasciato il cellulare sul nostro tavolo, quando ci trovavamo ancora nel locale. Non avevo neanche fatto in tempo a elaborare il tutto, o magari provare a ringraziarla, che ormai lei era già andata via. Senza farmi ulteriori domande, tornai a casa cercando di non pensare a quanto fosse appena successo. Incominciai a sentirmi stanco e quindi decisi di andare a dormire subito. Mi risvegliai tardi, con forte mal di testa. Fortunatamente era sabato e non ero costretto ad andare all'università. Mi alzai dal letto cercando di mettere a fuoco la mia vista appannata e mi accorsi di aver dormito vestito e di aver lasciato le mie cose in punti sparsi della stanza. Quando il mal di testa si decise a darmi tregua, cercai di ricomporre cosa fosse successo il giorno precedente. Mi ritornò subito alla mente il biglietto che la ragazza del locale mi aveva lasciato cercando di ricordare dove l’avessi riposto, ovvero nella tasca della giacca. Mi avviai barcollando ancora assonnato verso la giacca abbandonata per terra poco distante dal comodino. Infilai la mano nella tasca, ma il biglietto non c’era più.
   
 
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