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Autore: _Alexis J Frost_    13/12/2016    3 recensioni
{Gilgamesh x Enkidu; }
«Mio Re, è ora.»
L'odore dei fiori sopraggiunse. Rose, biancospini e lillà danzavano nell'aria, facendo sorridere il re ostile. La natura sprigionava la sua presenza, investendo ogni fibra del suo corpo che, impotente, non poteva fare altro che prostrarsi ad essa. I ricordi più belli stavano allegramente giocando con gli stessi che avevano indotto al pianto il suo cuore; tutto in una volta, tutto d'un tratto in un'improvvisazione sconvolgente dettata dal più abile degli attori,
il marionettista chiamato Destino che, dopo millenni, aveva finalmente restituito lui l'utopia del passato. Stava porgendogli quella parte di animo che aveva perduto con la morte dell'unica persona amata e di ciò che sempre aveva avuto.
«Quindi sei qui.»
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Archer/Gilgamesh
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Babilonia si prostrava dinnanzi i suoi occhi.
Era imponente e maestosa, esattamente com'egli ricordava. Ne sentiva ancora l'odore, il profumo esotico che impegnava le narici e scorreva nelle sue vene insieme col suo sangue.
Si diramava nel corpo e raggiungeva l'anima che, nonostante i millenni trascorsi, mai aveva perduto il ricordo della sua vera dimora, l'essenza del suo stesso essere.
A pieni polmoni il re faceva suo tutto ciò che avrebbe potuto catturare con i sensi; era un'antica legge sempre esistita nel cuore umano che comandava di curare l'animo con i sensi ed i sensi con l'animo.
Ciononostante, in quel caso la cura consisteva nell'assemblare pezzi di vetro sparsi con gli anni. Essa ricostruiva l'immensa figura dell'uomo dagli occhi di rubino ed i capelli d'oro.
Il Re degli eroi, padrone di ogni tesoro,  primo re incontrastato che ancora non aveva perduto la fiducia nell'antico popolo ora estinto. Lo stesso che il Graal stava concedendogli di osservare in ricordo di un'era la quale illusione era ora impregnata in gialle pagine di storia, macchiata d'inchiostro come una stampa malriuscita. Libri che della verità parlavano poco poiché ignoranti di eventi perduti, di verità celate e portate via con la morte e l'estinzione di ciò che era stato. Parole che sarebbero potute essere scritte se non fossero volate via come sabbia nell'ardente deserto, fuggite via dalla memoria secolare che invano stava tentando di stringere la mano al futuro.
La luna brillava lassù, era il diamante su un tappeto cobalto ornato da minuscole pietre.
La preziosa luce illuminava d'argento il paesaggio, rinvigorendo il re silente perduto nei ricordi.
Tutto era come allora. Il suo sguardo riusciva davvero a scorgere l'antico cielo. Della profana luna moderna, inquinata da sporchi terrestri ignoranti, non ve ne era più traccia. Lassù vi era la sua Luna. L'unica ed inestimabile.
«Mio Re, è ora.»
L'odore dei fiori sopraggiunse. Rose, biancospini e lillà danzavano nell'aria, facendo sorridere il re ostile. La natura sprigionava la sua presenza, investendo ogni fibra del suo corpo che, impotente, non poteva fare altro che prostrarsi ad essa. I ricordi più belli stavano allegramente giocando con gli stessi che avevano indotto al pianto il suo cuore; tutto in una volta, tutto d'un tratto in un'improvvisazione sconvolgente dettata dal più abile degli attori,
il marionettista chiamato Destino che, dopo millenni, aveva finalmente restituito lui l'utopia del passato. Stava porgendogli quella parte di animo che aveva perduto con la morte dell'unica persona amata e di ciò che sempre aveva avuto.
«Quindi sei qui.» Il re stava ancora dando le spalle a colui che gli aveva parlato. Lo stesso che stava sorridendo gentilmente, con occhi malinconici vaganti anch'essi nel passato.
«Lo sono sempre stato, Gilgamesh. Da anni di cui ormai ho perduto il conto, non ho fatto altro che attendere il momento in cui ci saremo incontrati. Il momento in cui avrei rivisto il tuo viso e seguito i tuoi ordini. O contestato, i tuoi ordini, poiché troppo folli e pericolosi. Il momento in cui avremo combattuto fianco a fianco sperando di non doverlo fare mai l'uno contro l'altro. Ho sempre aspettato. Sempre.»
Le immagini continuavano a susseguirsi imperterrite. Risa,  duelli e sguardi complici riemersero nei ricordi,  lacrime e morte gravarono ancora una volta sul cuore di pietra fintamente convinto di esser diventato immune. 
«Io ti ho sempre cercato ed ora appari qui, a Babilonia, proprio laddove ti avevo perso. Che strano scherzo del destino, non trovi?» L'ironia spiccava nel tono di voce mentre decideva di voltarsi verso l'unica persona per cui la pietra era stata distrutta, la stessa che col dolore aveva fatto si che si rafforzasse per poi, ancora una volta, annientarla.
Occhi dalle tonalità notturne e la brillantezza lunare lo accolsero, erano specchi d'acqua intinte di lacrime forzatamente trattenute. Lacrime che avrebbero espresso gioia e dolore; sollievo e paura. Enkidu era prostrato in ginocchio e sorrideva nonostante quel suo modo di trattenersi. La dolcezza di quelle labbra curvate all'insù era la stessa che i suoi ricordi rievocavano.
«Ogni fine ricomincia dal suo inizio. Un nuovo inizio riparte dalla fine. Dovevamo incontrarci qui, laddove tutto è iniziato e finito. Non poteva essere altrimenti, Gil.»
Il re ricambiò quel sorriso. Fu solo un accenno, forse fin troppo veloce ma inevitabile.
Tornare nella propria dimora non avrebbe avuto senso alcuno se non vi fosse stato lui, il suo Enkidu, la fedele metà del suo essere a cui la sua anima era legata da catene indistruttibili.
I suoi passi riecheggiarono, egli superò Enkidu e lo guardò con la coda dell'occhio. «Do, allora, il via a questo nuovo inizio. Mostriamo ancora una volta la potenza di Babilonia, ridiamole l'antico splendore.» Tornò ancora una volta a voltarsi verso di lui. Con sguardo autoritario e fiero osservò l'antico compagno. «Combatti ancora una volta al mio fianco, Enkidu. Non ho mai potuto combattere davvero senza la parte mancante del mio essere. Ma ora che sei qui, so per certo che tutto è al suo posto e vinceremo. Perché non accetterò un futuro in cui io e te, sempre vincitori delle nostre guerre, ne siamo i perdenti. Perchè Gilgamesh non perderà mai, soprattutto nel suo regno. »
«Vuol dire che non perderai mai e basta. Il mondo tutto è sempre stato il tuo regno.» Enkidu si alzò e gli si pose davanti. Sembrava divertito nel ribadire qualcosa che in passato era solito ripetergli spesso. «Combatterò al tuo fianco, Gilgamesh, e non perderemo. Gilgamesh non ha mai perso e non permetterò che questo accada.»
«Questo era ciò che volevo sentire.»
Enkidu scosse il capo e Gilgamesh comprese che nulla poteva nascondergli. Dopo millenni niente era davvero mutato. «Non fingere con me. So che vuoi che ti dica altro.»
«Non farlo. Voglio che tu mi dica queste parole quando avremo vinto.»
Quegli occhi lo osservarono con attenzione; Gilgamesh non sembrò preoccuparsene. Era abituato a quegli sguardi da parte di Enkidu e sapeva già quale sarebbe stata la sua prossima risposta.
«E sia, se è questo che vuoi. In fin dei conti, la nostra vittoria sarà già una risposta.»

Dimmi che non dovrò cercarti per così tanto tempo ancora una volta.
Se avessero vinto, niente li avrebbe separati ancora.


 

Buonsalve! A voi la mia nuova fic in onore di Fate/Grand Order Babylonia. Gilgamesh è tra i personaggi che più amo e la GilKidu è la mia otp. Era doveroso scrivere qualcosa in loro onore proprio in quest'occasione.
E nulla, spero vi piaccia. 
Alla prossima!


 
  
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