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Autore: saitou catcher    17/12/2016    4 recensioni
"Anna non vuole Hans, ma Hans è tutto ciò che le resta, e nemmeno se ne dispiace più."
Dopo la morte di Elsa e Kristoff, Anna cerca di andare avanti, e trovare una via nel caos che è diventata la sua vita. In tutto questo, Hans è al suo fianco.
(Anna/Hans; seguito di "Long Live The Queen", di cui è necessaria la lettura per la comprensione del contesto)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Hans
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La morte nel cuore

Il primo mese passa quasi senza che Anna se ne accorga.

Il primo mese non è altro che un rosario macabro di giorni annebbiati e notti incastonate tra un grido e l'altro, incubi che si aprono nella sua mente come squarci, e le soffocano ogni preghiera in gola. Il primo mese è una corsa a precipizio verso il vuoto, fatta di lacrime appese alle ciglia e mani che scavano sulle guance arabeschi di dolore, nel petto una voragine che un sussurro basta a colmare di fantasmi. Il primo mese è il ricordo del viso morto di Kristoff e del ruggito da belva ferita di Elsa, il ricordo del dolore e del sangue e del pianto, e Anna si sente uno spettro che vaga non visto per le strade di Arendelle, soffocato da un sudario di pianto e di colpa.

Il primo mese è orribile, e il primo mese è anche Hans, Hans che prende il controllo del regno, Hans che parla davanti ai ministri, con quella sua voce morbida e misurata, che trascorre le notti al suo fianco e le mormora all'orecchio che lei non ha fatto nulla di male. Il primo mese sono mani grandi e forti, che avvolgono le sue, scosse dei tremiti, mentre si aggrappano alle lenzuola, alla ricerca di un appiglio contro i ricordi.

Il primo mese è una danza estenuante sull'orlo del precipizio, ma in qualche modo, Anna riesce a reggersi in piedi. Grazie a lui.


 

Il secondo mese va un po' meglio. Appena.

Il secondo mese, Anna riesce a guardare in faccia la gente e a fingere di vederla. Riesce a camminare per i corridoi, incollandosi una parodia di sorriso sulla faccia. Talvolta, riesce persino a provare a sorridere davvero, tentativi patetici che le fanno mordere le labbra sino a sanguinare. Il secondo mese, è come vagare in una nebbia ovattata, che scherma i suoni e la vista, e Anna ne è grata.

Cerca di imparare ad essere una Regina. Non è facile, solo sedersi sul trono le da un'ondata di nausea, e la corona sulla sua testa le preme spietata le tempie, quasi a sibilarle tu non dovresti essere qui. Anna lo sa, e se potesse, volterebbe le spalle al trono e alla corona, e scapperebbe più lontano che può, come un tempo ha fatto Elsa, ma Anna non è Elsa e non si nasconde dietro una porta chiusa. Così siede sul trono e indossa la corona e ascolta i ministri, e in qualche modo, va avanti.

Il secondo mese è Hans sempre alle sue spalle, che le suggerisce la mossa giusta con gli occhi e con le labbra, che le toglie la corona dalla testa, quando Anna rientra affranta nelle sue stanze, che prende il suo posto quando la sofferenza è troppo forte e la inchioda al materasso. Hans è quello che la capisce con un solo sguardo, che le stringe la spalla quando è sul punto di crollare, passandole un po' di quella forza che lui non sembra mai esaurire. Hans è l'unica cosa rimasta a cui appoggiarsi, ora che tutto le è scappato da sotto i piedi, e la sensazione è confortante.

Grida ancora istericamente alla sola vista di un fiocco di neve, ma va avanti. In qualche modo, va avanti.


 

Il terzo mese, Anna accoglie per la prima volta Hans nel suo letto. Non sa perché lo faccia: non è desiderio quello che la spinge a formulare quella richiesta, con l'arroganza di una regina, con la disperazione di una bambina abbandonata nel buio, o perlomeno non il desiderio comunemente inteso. E' il desiderio di qualcosa, qualunque cosa possa riempire la landa gelata che è ora il suo petto, perché adesso perfino il dolore sarebbe gradito. Perché, di punto in bianco, Anna non sente niente: la sua mente è ricolma di un bianco lattiginoso e sfiancante, su cui nessuna reminiscenza ormai fa presa. Anna non vuole Hans, ma ha tanto sperato e amato, perduto e sofferto, ha provato ogni stilla di emozione con un'intensità così lacerante che questo nulla polveroso la atterisce come l'uomo nero dei suoi sogni d'infanzia, e adesso vuole qualcosa che le restituisca una scintilla di calore, che le ricordi perché è ancora viva. E Hans è tutto ciò che le resta.

Anna non vuole Hans, vuole Kristoff e vuole Elsa e vuole cancellare gli ultimi cinque anni con un colpo di spugna, ma lo stesso si abbandona al calore di mani sconosciute fra seni e cosce, alla violenza di labbra che le marchiano il collo e le accarrezzano le guance, al sentore di uomo penetrante ed estraneo che il mattino dopo le rimane sulla pelle. Se chiude gli occhi e si concentra abbastanza, a volte quasi ci riesce, a fingere che sia lui, a convincersi che dietro le palpebre chiuse troverà capelli biondi e lineamenti marcati e un sorriso dolce, goffo, imbranato, a illudersi che troverà Kristoff, ma nemmeno lei crede più nella favole ormai. Così apre gli occhi e il mattino dopo maschera il passaggio di Hans sul suo corpo.

Anna non vuole Hans, ma Hans è tutto ciò che le resta, e nemmeno se ne dispiace più.


 

Il quarto e il quinto mese scorrono veloci. Anna quasi non se ne accorge; la primavera in arrivo non desta in lei alcuna reazione. Ricorda solo, con una stretta al cuore, come Kristoff fosse solito sparire per giornate intere, a primavera, per poi tornare con le braccia stracolme di fiori, per intrecciarglieli tra i capelli. E Elsa avrebbe sorriso in disparte, osservando la scena, e poi le avrebbe regalato un piccolo e perfetto fiocco di neve, scintillante come un ricamo di cristallo sotto i raggi del sole.

Sono ricordi che sembrano appartenere a un'altra vita, a un'altra lei, ma hanno ancora il potere di farle male.

"Pensi mai a quello che è stato?" chiede un giorno ad Hans. Sono seduti su un balcone, la luce del tramonto si estende con dita rosate sulla superfice cobalto del fiordo, e il vento sa di fiori.

Hans scuote appena la testa. "Non c'è nulla nel passato che ne valga la pena, Anna. Non pensare a ciò che hai perduto lungo la strada, pensa a ciò che hai fatto e a ciò che ancora potrai costruire. Il passato non ne vale mai la pena."

"Nemmeno il futuro" risponde lei con voce sorda, e le lacrime che le annebbiano di colpo la vista sono un'evento inaspettato e ormai raro. Non si da pena di asciugarle; sono il suo dolore, e il suo amore, e il ricordo che, in un'altra vita, lei è stata felice e amata e speranzosa. Le ricordano che ha cantato e riso, che un tempo il suo cuore ha battuto, e che per un momento, il destino le aveva dato ragione di pensare che la vita è sempre giusta.

Hans le stringe una mano, Hans che è tutto ciò che le resta e il motivo per il quale è qui. "Tu hai ancora un futuro, Anna" le dice. "Hai Arendelle di cui prenderti cura, e hai me, che ti sosterrò sempre. Non sei sola né perduta. Hai me e hai ancora un futuro."

Tutto ciò che ho è una corona rubata e un'armatura di seta, vorrebbe rispondere Anna. E tutto ciò che ho è la morte nel cuore, e te, o forse sono la stessa cosa.

Ma non dice nulla. Stringe forte la mano di Hans, e tiene gli occhi fissi sul tramonto.


 

Il sesto mese, Hans le chiede di sposarlo, e il Consiglio la incoraggia ad accettare. Il sesto mese, Anna chiude gli occhi e si permette di ricordare la porta chiusa a chiave e la spada che incombe su Elsa. Il sesto mese, per la prima volta sussurra a sè stessa che forse non può fidarsi di Hans.

Il sesto mese è il mese in cui si rende conto che una vita senza Hans non è più possibile, che pensare di potersi svegliare al mattino senza le sue labbra tra i capelli e affrontare la giornata senza la sua presenza costante al proprio fianco non è possibile, che solo contemplare l'eventualità le fa sentire la gola arida e la testa vuota. Non è sofferenza quella che prova, perché la morte di Elsa le ha risucchiato via tutto il dolore che ancora poteva provare, è una rassegnazione imbevuta di fiele, al pensiero che, nonostante tutto, non può fare a meno di aggrapparsi alla speranza di essere amata da qualcuno.

E così accetta. Accetta, e prova a ricordare a sè stessa quel giorno d'estate in cui tutto è iniziato, in cui ha guardato negli occhi un principe cadetto credendo di scorgere in quello sguardo l'amore. Cerca di ricordare le confidenze, la gioia, l'innocenza, la speranza fiorita in fondo al petto- e conta poco, alla fine, che a quei pensieri si accompagni sempre il candore del ghiaccio e il sibilo della spada.

Il sesto mese è quello cui comincia a pensare che, se non può più avere quel che aveva un tempo, può comunque provare a costruire qualcos'altro.


 

I mesi che seguono sono vuoti e veloci, e Anna quasi si meraviglia di non trovare differenza tra un giorno e l'altro. Arendelle si è ormai ripresa dall'ultima catastrofe che l'ha segnata; gli occhi dei cittadini sono mille piccoli fari piena di confidenza e amore per lei e il suo giovane Re. Perché è così che Hans viene visto, perché la gente ha la memoria corta e depone sul trono colui che il giorno prima aveva gettato nella polvere. Ad Anna non dà fastidio, in realtà. Le fa piacere che almeno qualcuno possa dimenticare il marcio che c'è stato- che c'è- nella sua vita.

Hans, del resto, non le da' motivi per cui lamentarsi. E' il consigliere che qualunque regina vorrebbe, il marito che qualsiasi donna sognerebbe, sempre pronto e sorridente, sempre galante, compito, appropriato. E' quasi divertente, ora che può rendersene conto, osservare il camaleonte all'opera, cogliere i sottintesi nello sguardo sempre attento, sempre all'erta, contare gli artigli nascosti nel velluto. Hans non le da' motivi per lamentarsi, e lei gli è quasi grata per questo: sa che non avrebbe la forza di allontanarlo, in caso contrario, come non avrebbe la capacità di non condannare sè stessa.

I mesi che seguono sono veloci e non le lasciano addosso alcun segno, solo un profumo di menzogna vago e impercettibile che svanisce all'approssimarsi dell'alba, una risata che le sgorga inaspettata dal fondo della gola e le sparge in mezzo al petto briciole di speranza. Speranza che un giorno la sofferenza svanirà, che la lotta non sia stata vana, che il sapore caldo di Hans e la carezza verde dei suoi occhi possano un giorno diventare più che una bugia, che un giorno riuscirà a contemplare il bianco della neve senza urlare, speranza di poter ancora sperare.

Speranza di aver avuto ragione a bussare per anni a una porta chiusa, un giorno dopo l'altro.


 

Il nono mese, per ironia della sorte, è quello in cui si accorge di avere dentro di sè un bambino.

Non sa cosa pensare. Non sa cosa provare, perché il suo cuore non è altro che un gomitolo di dolori e ricordi tenuti insieme a stento, e lei lo sente vacillare sull'orlo dell'abisso. Sente che potrebbe cadere da un momento all'altro, ma finora è riuscita a trattenerlo, finora è riuscita a costringersi a vivere; ma adesso, adesso che ha la vita incastrata sotto la pelle e nel ventre, avverte più che mai di avere la morte nel cuore.

Non lo dice ad Hans. Si alza di notte, una notte fredda e rarefatta, una notte d'autunno in punta di piedi sulla soglie dell'inverno( e si sforza di non guardare i cristalli di ghiaccio incrostati sul vetro, chiude gli occhi di fronte alle volute argentate che il gelo le strappa nell'aria)e quasi prima di rendersene conto, è in piedi di fronte alle tombe di Elsa e Kristoff.

Non sa perché sia lì. Non sa che cosa stia sperando- perché il suo cuore è debole e sciocco, e ancora non ha disimparato a sperare- sa soltanto che la vista di quelle lapidi grigie e uniformi le sta smuovendo qualcosa dentro, qualcosa di freddo e acre e affilato, che le occlude la gola e le appanna gli occhi. Sa soltanto che in questo momento vorrebbe essere altrove, vorrebbe essere chiunque altro, ma non è mai scappata da sè stessa, e non scapperà ora. Accarezza con la mano la superfice liscia e gelida sotto cui giace sua sorella,

e le pare quasi di udirne il respiro.

"Mi manchi" sussurra. Non l'ha mai detto ad alta voce, in questi nove mesi- ma forse è giusto che le parole sgorghino adesso, dopo nove mesi in un recesso buio e freddo della sua mente. "Mi manchi più di quanto avrei creduto possibile."

Stringe le dita sulla pietra, come un tempo ha stretto le mani di Elsa scossa dagli incubi, e un singhiozzo risuona nell'aria.

"Non voglio che mi manchi. Voglio riaverti qui, come un tempo. Voglio abbracciarti, e dirti che va tutto bene. Era una menzogna per te, non è vero? Ma io non sapevo di mentire" esala, disperata. "Io volevo soltanto vederti felice, io volevo aiutarti. Volevo... ma non ci sono riuscita. E adesso sei morta, come i nostri genitori, come Kristoff, e io non posso più bussare alla tua porta, non posso più venirti a prendere sulla cima di una montagna. Non voglio che mi manchi, Elsa. Non voglio più soffrire, non riesco più a soffrire. Sono così stanca... e tu mi mancherai sempre."

Appoggia la fronte alla lapide, il vento che soffia contro la pelle scoperta della sua gola, freddo e delicato come le dita di Elsa, come i suoi abbracci ormai lontani. Chiude gli occhi, e le lacrime le scivolano lungo le guance, la voragine nel suo petto si crepa e si allarga, e ogni stilettata ha il volto sfumato di sua sorella.

"Avrei potuto salvarti?" mormora, rivolta alla pietra, al nulla, a Elsa. "Ci sarei mai riuscita? O era già troppo tardi, e il mio peccato è stato non lasciarti andare?"

Aspetta la risposta, ma non c'è risposta. Solo il silenzio, e il freddo.


 

Una settimana dopo, annuncia ad Hans la lieta novella e spia la sua reazione. C'è quasi una scintilla di panico, in fondo ai suoi occhi, ma Hans non sarebbe Hans, se non fosse in grado di piegare i suoi sentimenti al punto di scordarsene. La stringe tra le braccia, la bacia, e quando si discosta, la gioia sul suo volto appare così genuina che Anna quasi potrebbe credergli.

"Amore mio, questa è una splendida notizia." La guarda, d'improvviso fa un passo indietro, una note di diffidenza nella sua voce. "Anna, stai bene?"

Soltanto una settimana fa, Anna avrebbe risposto di sì, avrebbe sorriso, e si sarebbe tenuta stretta quel poco che ancora le restava. Una settimana fa, avrebbe finto che non ci fossero tombe nella sua vita. Ma adesso non è una settimana fa, e Anna non ha più bisogno di menzogne.

"Mi hai amata davvero?" chiede. Vede Hans- il suo sposo, il suo re, il suo sostegno, tutto ciò che le è rimasto- sussultare, quasi la domanda fosse un affondo vibrato nella carne, e previene la sua replica, perché è la verità che vuole adesso. "Anche solo per un momento, mi hai mai amata davvero?"

Hans rimane in silenzio per una manciata di lunghi istanti. E' la prima volta che Anna lo vede ponderare la risposta a una domanda, che lo vede incerto, esitante, senza trucchi da esibire e parole dorate con cui acceccare. E' la prima volta che lo vede sincero.

"Ho amato quello che potevi darmi" risponde alla fine, e le sillabe cadono nello spazio fra loro come gocce di pioggia sull'erba. "Ho amato ciò che avresti potuto farmi essere. Ho amato ciò che sono stato accanto a te- non un risparmio, uno scarto, un nessuno. Un re. Qualcuno. Hans." La guarda dritta negli occhi, e non c'è più nulla di regale o minaccioso in lui, solo un bambino che ha tentato per tutta la vita di non essere un'ombra. "Se questo vale qualcosa, allora ti ho amata ogni singolo istante della mia vita."

Anna non dice nulla. Non serve. La verità può essere più terribile di una bugia- ma, alla fine dei conti, è sempre migliore.


 

Suo figlio le sorride dalla culla. E' piccolo, dolce, innocente. Non ci sono spettri di ghiaccio e sangue nel suo passato, non ci sono ombre fatte di ricordi nel suo futuro. E' un bambino. E ha tutta la vita davanti a sè.

Anna non sa cosa ne sarà di lui- nato da un amore crudele, da un amore sbagliato, concepito nell'inganno e benedetto da sangue fraterno. Non sa come gli narrerà una fiaba triste di porte chiuse, errori e tradimenti insaguinati, di un padre che sarebbe dovuto essere diverso, di una sorella tradita e che ha tradito. Non sa come gli dirà che, per lei, il candore della neve equivale al rosso del sangue. Non sa come gli dirà tutto questo.

Ma una cosa la sa. Sa che gli racconterà di una principessa che bussò per anni davanti a una porta chiusa e offrì la schiena a una spada, in nome dell'amore, di una regina di ghiaccio che quell'amore ha salvato, anche se solo per pochi istanti, di un montanaro coraggioso che sfidò la tormenta per tornare da lei. Sa che gli dirà che la speranza esiste, che le macerie possono essere fondamenta, che non c'è ragione di mentire, perché la verità sarà sempre la cosa migliore che abbiamo. Sa che gli dirà che la vita può fiorire ovunque- anche in chi ha la morte nel cuore.

Suo figlio le sorride dalla culla- e per la prima volta da mesi, Anna sorride a sua volta.


 

Allora, bella gente!

Torno dopo una lunga assenza su questo fandom, che è veramente una manna quando si tratta d'ispirazione. Come ho già spiegato nell'introduzione, questa storia è il seguito di "Long Live The Queen", ed era una cosa che mi frullava in testa già da tempo, anche se inizialmente, il punto focale doveva essere la relazione tra Anna e Hans dopo l'uccisione di Elsa. Devo dire che, malgrado questa roba sia un rigurgito di sofferenza, ha finito col prendere una piega molto più positiva di quella che avevo in mente: questo perché, nonostante tutto, la caratteristica fondamentale di Anna è la costanza nel credere nel meglio che la vita può offrire, nel cercare il buono anche dove non sembra esserci. Mi sembrava coerente col suo carattere che riuscisse a trovare una forma di equilibrio anche dopo tutti i traumi che ha passato- e il risultato è che Hans, mio fiore all'occhiello, qui si è trovato messo un po' sullo sfondo. La cosa non mi dispiace, perché l'altra fanfiction che avevo scritto su Anna illo tempore (alludo a "Vivere per amare") era piuttosto insipida. Ciò detto, spero questa storia riscuoterà qualche consenso, perché è una delle poche cose che ho scritto che davvero mi soddisfano. Non lesinate sulle recensioni!

I remain, gentlemen, your obedient servant

Catcher


 


 


 


 


 


 


 


 


 

 

  
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