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Autore: Nightkey    17/12/2016    0 recensioni
A diciannove anni, Rebecca Montagnani sa molte cose. Sa di avere le capacità per essere ammessa alla facoltà di Ingegneria, sa che per dover frequentare quell'Università dovrà andare a vivere in un'altra città e abbandonare i suoi vecchi amici, sa che d'ora in poi la strada per arrivare in cima non sarà affatto facile. Nuova vita, nuovi ambienti e nuove amicizie. Un nuovo mondo che schiuderà il suo cuore aprendolo all'amore.
La vita prende spesso delle svolte inaspettate. A volte occorre solo assecondarle e lasciarsi trascinare dal fluire degli eventi, perché vivere è anche sfidare l'imprevedibile.
Questa storia è stata scritta in collaborazione con un'altra autrice.
Tale storia appartiene all'IronìaNoodles team.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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«A tavola!»
sentii chiamare dalla veranda. Uscii stringendomi nella giacca, mentre si alzava una leggera brezza. Fuori, Carlo brandiva con temerarietà il suo forchettone mentre rigirava ancora le ultime strisce di pancetta sulla griglia rovente. Continuava a chiamare a gran voce i ragazzi dispersi per la casa, mentre gli altri gli giravano intorno nel tentativo di aiutarlo. Vidi Federico avvicinarglisi con una nuova teglia pronta per essere riempita di carne arrostita e Davide prendere il posto di Carlo per spegnere il carbone ardente. Le gemelle mi passarono davanti con dei mini vassoi strapieni di bruschette e li andarono a disporre sul tavolo, sorridendo soddisfatte per le espressioni compiaciute sul volto dei ragazzi che ne avevano apprezzato l'odore invitante.
«Ehi, che fine avevi fatto?» Eleonora mi raggiunse con una ciotola per mano, entrambe contenenti salatini vari. Raccolsi due arachidi e li sgranocchiai prima di rispondere. «Ho incontrato Federico in salotto e mi sono fermata a chiedergli come stesse.» Stetti per prendere una nocciolina, ma Elle allontanò la ciotola di proposito. Le lanciai uno sguardo contrariato. «Questo perché mi hai lasciato da sola con le bruschette e le gemelle.»
«Ma le ragazze sembrano simpatiche.»
«Ecco...» Arricciò il naso. «Non sono esattamente il mio tipo ideale di amiche.» Strano, non era da lei non apprezzare la gente in generale. Poi però ripensai a quel primo giorno all'Università e allo sguardo che mi aveva rivolto in un primo momento. Era reticente con chi ancora non conosceva, occorreva che le persone le dessero il tempo necessario per farsi apprezzare, per cui non badai alla sua avversione. Andò a posare le due ciotole sul tavolo ed io presi posto accanto a Dario.
«Sto morendo di fame» gli dissi a denti stretti.
«Siamo in due.» Mi sorrise con fare solidale, poi mi passò un panino. «Carlo, questa carne quando arriva?»
«Sta arrivando!» In poco tempo tutti i posti intorno al tavolo furono occupati, con Nino a capotavola e le gemelle alla mia destra che continuavano a chiacchierare animatamente con Federico, il quale sembrava essersi ormai del tutto ripreso e stuzzicava le ragazze con stupide battutine per farle ridere. Mi trovai a domandarmi cosa ci trovassero in lui per esserne così tanto attratte.
«Buon appetito, gente!» esclamò Cris sollevando un panino già imbottito. Le rispondemmo tutti in sincrono e, ad ogni nuovo boccone, sentivo il mio stomaco acquietarsi.
«Non mi hai mai detto com'è che vi siete conosciuti voi due, Dario.» Nino ci guardava sinceramente incuriosito, spostando lo sguardo dall'uno all'altra. Risi al ricordo del nostro primo incontro, ripensando a quanto mi fossi abbattuta prima di scontrarmi con lui. Dario mi guardò e mise su un'espressione offesa.
«Stai ridendo sul serio?»
«Be', è stato un incontro da non poter dimenticare.» Additai il suo petto, trattenendo un nuovo flusso di risate per l'espressione sciocca che aveva dipinta in volto. «Questo non puoi negarlo.»
Socchiuse gli occhi, guardandomi dall'alto. «No, hai ragione, sento ancora dolore per quella testata.» Poi si lasciò sfuggire un sorriso e raccontò dell'inizio della nostra amicizia a Nino, che era rimasto ad ascoltarci senza riuscire a capire. Sorvolò sulle condizioni in cui mi aveva trovata, sulla mia rassegnazione, e gliene fui profondamente grata. Poi fu il turno di Elle e Cris di parlare del nostro primo incontro. Rivedere quelle immagini e riportare a galla quei ricordi fu molto più che piacevole. Fu magnifico. Ogni giornata di quegli ultimi due mesi sapeva di tutti loro e ripercorrere quelle ultime settimane insieme mi fece realizzare quanto fossi stata sciocca a preoccuparmi per tutta l'estate di quello che avrei dovuto affrontare. Adoravo i miei studi universitari, sebbene a volte, per il troppo studio, rischiassi delle crisi isteriche e l'ansia tornasse a far capolino soffocandomi sotto il suo devastante peso. Inoltre, nonostante sentissi costantemente la mancanza della mia famiglia troppo lontana da me, adoravo anche quei momenti trascorsi così, senza preoccupazioni, senza ansie, ma con una grande voglia di essere semplicemente me stessa. Mi resi conto di essere felice della svolta che aveva preso la mia vita e quella rivelazione mi strappò un sorriso che non riuscii ad abbandonare per tutta la durata del pranzo. Dopo un momento di pausa, Dario si schiarì rumorosamente la voce. Tutti ci voltammo automaticamente a guardarlo, allontanando i nostri piatti ormai vuoti da un bel po' e abbandonandoci sulle sedie. Si alzò in piedi per attirare ulteriormente la nostra attenzione, poi disse: «Signore e signori, è ora di giocare.»
Giocare?! Dall'altro lato del tavolo, anche Davide si alzò in piedi, imitando l'amico.
«Sono d'accordo.» Sparì dentro casa e, quando ne uscì, stringeva in una mano un sacchetto di tessuto. Lanciai un'occhiata confusa a Cristina e, in tutta risposta, lei scrollò le spalle, ignara quanto me di quell'iniziativa. Davide scosse il sacchetto, guardandoci. «Allora? Chi vuole pescare?»
«Di che si tratta?» Era stata la gemella con la felpa blu a parlare, Silvia. Mmh, non male l'idea di associare i nomi al colore delle felpe. Agitò ancora una volta il sacchetto prima di rispondere.
«Qui dentro ci sono sei foglietti e in ognuno di essi ho scritto uno dei giochi che facevamo da bambini. Dovremo semplicemente sorteggiarne uno.» Scambiai un'altra occhiata con Cristina, questa volta di incredulità. Non mi convinceva la proposta di voler giocare ad uno di quei giochi che un tempo mi facevano impazzire di gioia ma che avevo col tempo accantonato. Doveva esserci dell'altro sotto e i miei pensieri furono confermati qualche istante dopo.
«Il gioco sorteggiato subirà delle varianti però.» Davide riprese a parlare e tornai a poggiare il mio sguardo su di lui, curiosa di saperne di più. «Che genere di varianti?» intervenni. Lui ricambiò il mio sguardo e un sorriso scaltro gli increspò le labbra. «Sta ad ognuno di noi deciderlo. Direi che lo scopriremo a gioco iniziato.» La sua risposta vaga non mi soddisfò per nulla. Osservai Nino avvicinarglisi e infilare una mano nel sacchetto dell'amico. Ne estrasse un biglietto e dopo averlo letto, con fare plateale, dichiarò: «Si gioca a nascondino.» «Nascondino? Seriamente?!» Silvia incrociò le braccia sul petto, assumendo un'espressione corrucciata. Brontolò qualcosa alla sorella, di cui riuscii a cogliere solo un "non ci sto".
Federico intervenne, pulendosi le lenti degli occhiali con un angolino della maglia: «Andiamo, sarà divertente!» «Federico ha ragione» sottolineò Davide. «Non ve ne pentirete.»
«E se invece andassimo al lago?» suggerì Cristina. In risposta, si sentì un vociare confuso e indistinto fra coloro che volevano seguire Cris e coloro che invece erano d'accordo con Davide. Non saremmo mai arrivati ad una decisione in quel modo. «Che dite di metterla ai voti?» Quasi urlai per riuscire a farmi sentire sopra quel caos frenetico. Dieci paia di occhi si voltarono nella mia direzione, riflettendo sulla mia proposta. Per quanto mi riguardava, sarebbe stato indifferente, anche se avrei preferito fare entrambe le cose. Avevamo a disposizione ancora un intero pomeriggio e tutti i modi del mondo per poterlo impegnare. «Allora? Che ne pensate?» Vidi Carlo sussurrare qualcosa all'orecchio di Dario e ritrarsi subito indietro. L'amico annuì, per poi rivolgersi a me: «Non occorre, andremo al lago, affare fatto.» Davide sollevò le braccia al cielo, imprecando a denti stretti. «Scherzi? Ma se prima volev-» Dario scosse le spalle con indifferenza.
«Ho cambiato idea. Potremo sempre giocare una volta tornati, no?»
«Sono d'accordo con Dario. Vada per il lago» sentii dire a Federico, mentre anche il resto dei ragazzi gli faceva eco. Davide rimase spiazzato per l'improvviso disertamento dei compagni. Frustato, si lasciò trascinare in casa da Carlo. «Accompagnami a prendere lo zaino, su.» Nino e Luca li seguirono a ruota e quando ritornarono ognuno di loro portava uno zaino in spalla. Mi chiesi perché mai ne avessero bisogno per una semplice breve gita al lago. «Aspettate, abbiamo un problema, me ne ero dimenticata.» Cristina si dondolava sul posto, improvvisamente turbata da qualcosa. «Vale a dire?» domandò Elle.
«Il bosco manca di sentieri da poter seguire.» Cris ci rifletté su. «Avremo bisogno di qualcosa per segnare il cammino.» «Ho io la soluzione.» Nino frugò nel suo zaino e ne tirò fuori un coltellino da scout. «Con questo posso lasciare un segno di riconoscimento sui tronchi degli alberi man mano che avanziamo.» Vidi Elle contrarre improvvisamente le labbra, contrariata. «Saranno dei taglietti piccoli e leggeri spero, vero?» Da quando la conoscevo, aveva sempre dimostrato di essere molto sensibile alla salvaguardia della natura e quella proposta doveva infastidirla parecchio, ma cercò di non darlo molto a vedere. Una volta che Nino l'ebbe rassicurata, ci mettemmo in cammino. Per tutto il tragitto dalla casa di Cris al lago, tenni d'occhio Nino e il suo coltellino. Cercavo di memorizzare al meglio gli alberi su cui incideva, studiandone la forma, la posizione e lo spazio intorno. Dubitavo che quei semplici segni ci avrebbero aiutati sulla via del ritorno, quindi avevo bisogno di un'ulteriore garanzia che non ci saremmo persi. Scrutavo minuziosamente ogni particolare, ogni dettaglio che avrei potuto facilmente memorizzare. Nel mentre ne approfittavo per godere di quel meraviglioso squarcio di natura. Mi ritrovai ad immergermi in quel paesaggio selvaggio, indomato, ammirandone il fitto sottobosco e ascoltandone ogni suono e cercando al contempo di indovinarne la provenienza. Mi sarebbe piaciuto goderne appieno, ma le voci dietro di me intaccavano quella quiete altrimenti paradisiaca. Sentivo le ragazze chiacchierare animatamente e raccontare aneddoti del loro periodo liceale. Sebbene a diversi metri di distanza, le loro voci mi giungevano chiaramente e riuscii a catturare squarci della loro conversazione. Udii Cristina raccontare ad Elle di come avesse conosciuto le due gemelle e di come, dopo essersi ritrovate a collaborare per uno stesso progetto di scienze, fossero diventate inseparabili nonostante l'iniziale astio reciproco. Sorrisi immaginando tutte loro come delle quattordicenni alla presa con calcoli del tutto nuovi. Per un momento mi ritrovai a chiedermi se anche a me sarebbe potuta succedere una cosa del genere con Federico. Era vero, non andavamo affatto d'accordo. Eppure le parole di Dario continuavano a ronzarmi in mente. "Non è affatto male quando impari a conoscerlo." Saremmo davvero potuti diventare amici se gliene avessi dato la possibilità? In fondo sapevo che non fosse un cattivo ragazzo, ma c'era qualcosa nel modo in cui parlava, in cui si atteggiava, che mi spingeva ad allontanarlo da me. «Guardate!» La voce di Silvia richiamò la mia attenzione. Cercai con lo sguardo il punto da lei indicato e quando capii a cosa si riferisse, mi lasciai sfuggire un "wow" silenzioso, meravigliata. A soli pochi metri di distanza, sulla nostra destra, la superficie cristallina del lago scintillava sotto i tenui raggi del sole, increspandosi di tanto in tanto per dei movimenti subacquei. Delle ninfee decoravano lo specchio d'acqua distribuendosi in modo casuale, attorniate da delle libellule svolazzanti. Corsi alla sponda, inginocchiandomi sui ciottoli lisci e levigati dalle acque dolci. Sotto il mio riflesso, scorsi un pesciolino avvicinarsi al pietrisco e poi tornare nuovamente indietro con i suoi movimenti fluidi. Sorrisi estasiata. Non avevo mai visto un lago, non da vicino perlomeno. «Ti piace?» domandò Cris, inginocchiandosi al mio fianco. Annuii, senza tuttavia riuscire a distogliere lo sguardo da tutto quello splendore naturale. «Luca, vieni a farmi una foto!» sentii gridare Elle da qualche parte alle mie spalle. «Luca?» Quando non ricevette risposta, aggiunse: «Aspettate... dove sono finiti i ragazzi?» Mi sollevai sulle ginocchia fino a tirarmi su del tutto. Mi guardai intorno, notando che effettivamente nessuno di loro era con noi. Vedevo Elle, Cris e le due gemelle, ma dei ragazzi non c'era traccia. Che fine avevano fatto? Erano rimasti nel bosco? Non mi ero neppure accorta che non ci avessero seguite fino alla sponda del lago. Stetti per avvicinarmi ad Elle, quando qualcosa di freddo mi colpì la nuca. Un colpo troppo rapido per riuscire a percepirlo in tempo. In pochi istanti mi ritrovai la schiena percorsa da flutti d'acqua gelida, mentre dei brividi di freddo mi percorrevano espandendosi ovunque. Spostai i capelli inumiditi che si erano appiccicati alla pelle, solo per riuscire a recuperare un residuo di gomma rimasto appeso alla nuca. Era della gomma di palloncino. Non feci in tempo a realizzare cosa stesse accadendo, che vidi le ragazze venir bombardate da una raffica di gavettoni. «Maledetti» dissi digrignando i denti. Ecco che fine avevano fatto i ragazzi.
«Cosa sta succedendo?» sentii gridare ad una delle gemelle, senza riuscire a distinguere di chi si trattasse. Ero troppo concentrata ad osservare gli alberi frondosi del bosco dinanzi a noi.
«Attenzione!» Da dietro un tronco massiccio uscì Davide. Aveva una bandana da pirata legata sulla fronte con un grosso nodo e in una mano teneva un gavettone dall'aria minacciosa. «Che il nascondino abbia inizio!» In quel momento una tempesta di gavettoni minacciò di finirci addosso. Scattai in avanti, ruzzolando di lato e provando a correre verso il bosco. Quella zona era troppo scoperta e avrebbe giocato unicamente a nostro sfavore. Avevamo bisogno di nasconderci dietro i fusti degli alberi per poter scansare la nuova raffica. Elle mi seguì, incespicando sulle foglie bagnate e rischiando per ben due volte di scivolare sul terriccio umido. Un altro palloncino mi colpì, questa volta sul busto, bagnando la mia giacca ormai fradicia. «Ecco quali erano le loro varianti» sussurrai infastidita ad Elle. Teneva il mio passo, proprio dietro di me. Mi lanciò uno sguardo determinato, prima di iniziare a fare uno slalom tra i vari alberi, senza allontanarsi eccessivamente dal lago. Capii la sua intenzione e la seguii sorridendo. Zigzagando in quel modo, le probabilità che riuscissero a colpirci diminuivano drasticamente. E quella tecnica funzionò, fin quando non inciampai su qualcosa e quasi finii con la faccia nel fango. «Merda.» Riuscii a evitare per un pelo l'impatto, aggrappandomi ad un ramo basso. «Becks, hai trovato un loro zaino!» strillò Eleonora. Quindi era lo zaino il qualcosa in cui ero incappata. «Già, era tutto calcolato» bofonchiai sarcastica. «Passamelo, dai.»
Stetti per afferrarlo, quando ci raggiunse una voce dall'alto. «Ehi, che diamine state facendo? Quello è mio.» Sollevai lo sguardo e vidi un Carlo tutto indaffarato con i suoi gavettoni, arrampicato proprio sull'albero sopra di noi. Percepii dei passi frenetici avvicinarsi a noi e automaticamente il mio corpo si contrasse per la tensione nell'attesa di un nuovo attacco. Quando finalmente le vidi farsi largo fra le fronde basse, mi rilassai. Cristina, Silvia e Giulia erano proprio davanti a noi, con i vestiti completamente inzuppati e i capelli disordinatamente legati sul capo. «Abbiamo sentito la voce di Elle e siamo corse subito qui.» Cris aveva il fiatone e si piegò sulle gambe per riprendere fiato. «Ci eravamo inoltrate troppo nel bosco e i ragazzi ci hanno facilmente individuato.»
«Posate immediatamente quello zaino o giuro che farete una doccia fredda di gavettoni proprio adesso!» La voce di Carlo ci raggiunse nuovamente, più indignata che mai. Cris e le gemelle sollevarono lo sguardo, poi tornarono a guardarci. «Wow, la stanno prendendo sul serio» disse allora Giulia inarcando un sopracciglio. Continuai quello che avevo iniziato prima dell'interruzione: afferrai lo zaino e, come previsto, trovai l'interno stracolmo di gavettoni. Ne tirai fuori parecchi alla volta, distribuendoli alle ragazze, fin quando nello zaino non rimasero altro che stupide cianfrusaglie. Mi tolsi la giacca ormai inzuppata e me la strinsi intorno alla vita, riempiendo il cappuccio della mia dose di armi. «Ecco, adesso si gioca in due.» Un sorriso furbo e determinato prese vita sul mio volto, mentre anche le ragazze si preparavano a giocare. Poi, rivolgendomi ancora a Carlo: «Tieniti pure lo zaino!» Lo abbandonai ai piedi dell'albero e mi allontanai in fretta, seguita dalle ragazze. Due gavettoni quasi riuscirono a raggiungerci, mentre sentivo Carlo continuare a gridarci contro, infuriato. «Siamo in netto svantaggio, loro hanno ancora tre zaini» osservò Silvia. Cris le diede una gomitata scherzosa, sorridendole scaltra. «Ce li faremo bastare.» Ci fermammo in una zona appartata e nascosta, al limite del bosco. «Ho un'idea» disse Elle. «Siamo in svantaggio, è vero, ma anche noi possiamo adottare le nostre varianti, no?» Un ghigno si disegnò sul suo volto e in quel momento capii che il suo piano sarebbe stato grandioso. «Dobbiamo farli uscire allo scoperto e spingerli verso il lago.» Annuii. Avrebbe potuto funzionare. «Okay, ci proveremo.» Vidi la determinazione anche sul volto delle altre e, dopo aver acconsentito al piano, ci sparpagliammo. Elle scomparve dietro un arbusto e le gemelle avanzarono caute, ritornando nel fitto del bosco. Restavamo solo io e Cris. «Nessuna pietà» le dissi scherzando. Le allungai un pugnetto e lei ricambiò, facendo combaciare le sue nocche con le mie. «Nessuna pietà.» Rispose al mio sorriso, dopodiché si dileguò anche lei, sparendo dalla mia vista. Mi incamminai verso il confine del bosco con passo felpato, ben attenta a non far rumore nel calpestare le foglie e a non inciampare. Sentii delle risate provenire da un punto non troppo lontano. Erano i ragazzi, dovevano avere colpito qualcuno. Tesi le orecchie nel tentativo di riuscire a individuarne la fonte, lasciando che i miei sensi mi guidassero. Ad un tratto vidi Nino, accovacciato su un grosso ramo di un imponente albero. Mi chiesi se tutti i ragazzi fossero arrampicati da qualche parte e se quella fosse la loro strategia d'attacco. Da quella posizione era impossibile che riuscisse a scorgermi, nascosta com'ero dietro due tronchi ravvicinati, ma anche le mie possibilità di farlo cadere nel lago da lì erano pari a zero. Tuttavia avrei sempre potuto distrarlo facendogli terminare le munizioni, per poi bersagliarlo io stessa. Sì, quella era un'idea fattibile. Girai intorno ai miei due alberi, stando sempre ben attenta a non farmi notare. Mi accucciai dietro ad un cespuglio compatto e presi la mira. Tirai il gavettone nello stesso momento in cui uno colpì me. Distratta da quell'improvviso attacco, il mio palloncino si afflosciò contro la corteccia, richiamando l'attenzione di Nino. Ma non me ne preoccupai, perché non feci in tempo a riprendermi, che ne sentii arrivare degli altri. Provai a coprirmi il volto con un braccio, mentre con l'altro raccolsi uno dei miei gavettoni e lo lancia senza sapere esattamente dove stessi mirando. Intravidi due corpi avvicinarmisi, uno distante, l'altro fin troppo vicino al punto in cui mi trovavo. Quando riacquistai finalmente il pieno controllo della mia vista, riuscii a distinguere un paio di occhi verdi che ben si armonizzavano con la natura circostante. Poi udii la sua voce: «Dovresti prendere meglio la mira, Chika.»
  
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