BLU
Siamo perduti.
Queste erano le parole che rimbombavano nella sua
testa da quel fatidico momento, ma solo ora, nella solitudine di quella stanza
a lui sconosciuta, Levi si permise di abbandonarsi all’unico pensiero che
davvero lo tormentava.
Sono perduto.
Neanche un giorno era passato da quella scelta e tutto
quello che Levi riusciva a vedere erano quegli occhi, i suoi. Nel buio,
sdraiato su quel letto incredibilmente scomodo, Levi pensò a quando, un tempo,
quegli occhi erano stati in grado di mostrargli un mondo migliore, una vita
migliore.
Erano già trascorsi 5 anni da quando la sua esistenza
era cambiata, ma ancora non riusciva a capacitarsi di quanto quel mutamento
avesse messo radici profonde in lui. Era stata l’arguzia che quell’uomo aveva
dimostrato? O era forse stato tutto solo per sfida? Poco importava ormai. Quel
giorno aveva ribaltato il suo destino. Da delinquente qual era, Levi era
diventato un soldato. Ordini, gerarchie, strategie… Quella non era mai stata la
sua vita, eppure un semplice uomo era stato in grado di cambiare tutte le carte
in tavola.
Semplice.
Ancora si chiedeva come avesse potuto considerare
Erwin un semplice uomo. Non lo era mai stato e forse, inconsciamente, Levi lo
aveva sempre saputo. Nel momento in cui Erwin aveva posato i suoi occhi su di
lui, nel momento in cui gli aveva dato la possibilità di una scelta, Levi non
aveva potuto fare altro che dire: “E va bene. Entrerò nell’Armata Ricognitiva!”
A quell’epoca il suo intento era stato un altro.
L’obiettivo era di uccidere l’allora Caposquadra, senza troppi ripensamenti,
senza troppi indugi. Quello che Levi non si era aspettato era di vacillare di
fronte alla volontà ferrea di quell’uomo. Erwin era pronto a tutto, anche a
estremi sacrifici, pur di raggiungere il suo scopo.
- 5 anni prima
Era notte fonda e la truppa dell’Armata Ricognitiva
aveva trovato rifugio tra le rovine di un vecchio castello. I giganti, quando
il sole calava, non si muovevano e l’unica preoccupazione di Levi, in quel
momento, era che Furlan e Isabel si sbrigassero a trovare quei dannati
documenti che il Caposquadra aveva portato con sé. Levi aveva acconsentito a
fare da palo, ma ora l’attesa stava cominciando a diventare snervante.
Tap tap
Merda,
muovetevi. Pensò Levi, inveendo
contro i suoi amici.
Questo era ciò a cui stava pensando proprio mentre il
diretto interessato compariva dinnanzi a lui. Erwin sembrava stupito di aver
trovato Levi in quella zona del castello, lontano da tutti gli altri, solo.
Quegli occhi inquisitori lo stavano scrutando con una curiosità che Levi non
era abituato a conoscere, senza accennare a distogliersi dalla sua figura. Levi
non aveva mai visto occhi del genere; non sapeva perché, non sapeva quale
storia fosse celata dietro quelle iridi chiare, sapeva solo che gli era
impossibile sostenere uno sguardo così acceso, ma allo stesso tempo così freddo
e calcolatore, e per questo, con stizza, girò la testa dall’altra parte,
maledicendosi per quella sua debolezza insensata.
“Che ci fai qui tutto solo? I tuoi uomini non sono con
te?” gli chiese il Caposquadra.
I suoi uomini? Come se quelli fossero stati i suoi
uomini. Non tutti vivevano come dei militari. Loro erano come fratelli, anche
se nessun legame di sangue li univa. Ma come spiegare qualcosa del genere a
qualcuno che probabilmente neanche si preoccupava delle vite dei suoi
sottoposti?
“Non sono i miei uomini…” fu tutto quello che disse,
perciò.
“Capisco…” e di nuovo Levi sentì quello sguardo
scottargli la pelle.
“Allora ti sei abituato alla vita militare?” aggiunse
Erwin e Levi cominciò seriamente a chiedersi se quella fosse davvero l’idea del
Caposquadra di fare conversazione. Perché? Non riusciva a capire che per lui
sostenere un dialogo era difficile già in condizioni normali, figurarsi in quel
caso?
“Tutti quanti non fanno altro che parlare di giganti
con un’espressione in volto che ti soffoca…” rispose Levi, cercando di mostrare
il suo disprezzo.
“Ovvio. L’Armata Ricognitiva attrae persone del
genere.”Aggiunse Erwin, quasi come se fosse la cosa più normale del mondo.
E ti pareva? Fu il primo pensiero di Levi. “Questo è poco, ma
sicuro. E poi, con uno come te alla guida…” Questa volta Levi non si risparmiò
la battuta pungente che aveva sulla lingua da fin troppo tempo. Non capiva che
cosa fosse che lo irritava in quell’uomo, ma non si sarebbe perso l’occasione
di fargli capire quanto lo infastidisse l’idea di dialogare con lui.
“Il combattimento di oggi è stato perfetto. Non avrei
mai immaginato di vederti sconfiggere un gigante dal comportamento bizzarro
alla tua prima spedizione. Con un combattente geniale come te, anche gli altri
soldati si sentiranno al sicuro.” Erwin continuò, come se niente fosse.
Cosa sta
cercando di fare? Pensa di adularmi in questa misera maniera? Oppure pensa
seriamente che io abbia intenzione di rimanere con loro, con lui? Si chiese Levi, non convinto delle parole del
Comandante. “Durante quel combattimento è stato divorato un soldato. Ho capito
come lottare contro quel gigante guardando i suoi movimenti mentre mangiava
quell’uomo…” rispose, ripercorrendo con la mente quello che era successo quel
giorno.
“Capisco… Come avrai già compreso, l’Armata
Ricognitiva è stata creata grazie a innumerevoli sacrifici. Ci sono ancora
troppe cose che non conosciamo del mondo esterno.” Lo sguardo di Erwin si fece
d’improvviso duro, distante, quasi come se stesse ricordando tutto quello che
aveva dovuto vedere nei suoi anni di attività, tutti gli orrori di cui era
stato testimone. Ora, però, quegli occhi che si erano persi nel corridoio tornarono
a posarsi in quelli di Levi con una ritrovata determinazione. “Tuttavia, se
tutto ciò servirà a restituire il mondo all’umanità… Allora nessuno rimpiangerà
di aver dedicato il cuore a questa causa. Nessuno.”
E questo cosa
significa? pensò Levi. Si era forse
sbagliato su Erwin? Aveva per caso dato un giudizio affrettato su di lui,
basandosi su informazioni fittizie? Era questo il valore che dava alle vite dei
suoi uomini? O era solo una giustificazione che lui stesso si dava per riuscire
a dormire la notte? A poco sarebbe servito porsi domande sulla vera natura di
quell’uomo enigmatico, visto che il suo destino era già stato segnato.
Forse, però…
“FRATELLO!! Scusa se ci ho messo tanto! Ho finito di
cambiarmi, perciò puoi entrare!” urlò all’improvviso Isabel dal corridoio.
Alla buon
ora! Levi quasi sospirò dal sollievo
nel sentire la voce della sua amica e se ne andò via con lei, senza degnare
nemmeno di un saluto il Caposquadra, ma percependone comunque lo sguardo sulle
sue spalle. “Che cavolo di scusa hai messo in piedi, idiota?” Le disse
nervosamente, non badando ai toni.
“Eh eh eh! Scusa! Vi stavate fissando senza dire una
parola, mi hai fatto prendere un colpo…” Rispose Isabel.
Se ne è
accorta anche lei, quindi… Quegli occhi…
Levi si ricordava benissimo di quel giorno. Ricordava il
dialogo avuto con Erwin, ricordava il suo sguardo caldo e le sensazioni che
aveva provato, ma ora non poteva far altro che sorridere amaramente per la sua
ingenuità. Come aveva potuto pensare che quelle poche parole avessero il motivo
profondo di ingannarlo? Come aveva potuto credere che quegli occhi fossero
freddi come il ghiaccio, quando nessuno lo aveva mai guardato con quel calore?
Il giorno seguente a quella conversazione i suoi
compagni di una vita erano morti, abbandonati proprio da lui stesso per
l’orgoglio di portare a termine un patto che gravava su di loro da quando si
erano arruolati nell’Armata Ricognitiva. Levi, Furlan e Isabel, infatti, avrebbero
dovuto rubare delle prove scritte in possesso di Erwin per poi ucciderlo. Il
Caposquadra però portava sempre con sé i documenti più importanti e l’unica
soluzione era di scovarlo da solo durante la spedizione, tendergli un agguato e
scappare con quello che erano venuti a prendere.
Quello che non avevano messo in conto, però, erano la
pioggia e i fitti banchi di nebbia che si erano venuti a creare nell’area della
spedizione. Tornare indietro sarebbe stato impossibile, ma andare avanti tutti
insieme avrebbe potuto essere altrettanto rischioso. Dopo un acceso dibattito,
Levi aveva convinto i suoi due amici a rimanere con la squadra, in modo da
garantire loro maggiori probabilità di sopravvivenza, mentre lui sarebbe andato
da solo in avanscoperta per uccidere Erwin.
Le cose però erano andate diversamente. Dopo
l’abbandono di Levi, la squadra di Furlan e Isabel era stata fermata da un
gruppo di giganti e tutti erano stati divorati mentre Levi, accortosi troppo
tardi della presenza di quei mostri, non era riuscito a salvare i suoi amici
per un battito di ciglia.
Ricordava ancora lo sguardo di Furlan mentre stava per
essere divorato e gli occhi vitrei di Isabel, la sua testa ormai staccata dal
resto del corpo. Non se lo era perdonato allora, ma aveva imparato a
perdonarselo con il tempo… E con Erwin.
- 5 anni prima
“Loro sono morti per niente, Erwin? Erano pedine che
servivano per giocare la tua inutile partita del cazzo!” La rabbia ormai era
incontrollabile in lui. Levi aveva disarcionato il Caposquadra dopo che quest’ultimo
lo aveva raggiunto e ora lo stava minacciando con una delle sue lame. Erwin
sapeva. Sapeva di loro, del loro piano, dei documenti da rubare, eppure li
aveva ingannati. Allora aveva visto giusto. Come aveva potuto pensare anche
solo per un istante di essersi sbagliato? Il suo intuito era sempre stato
infallibile. “Ma hai perso.”
A quelle parole Erwin sembrò come destarsi da un lungo
sogno; con la mano sinistra afferrò la lama che aveva alla gola, la allontanò
da sé e cominciò a gridare. “Una partita inutile? Chi è che ha ucciso i miei
sottoposti, i tuoi amici? Io? Oppure tu? Pensi che se mi aveste attaccato
insieme adesso sarebbero ancora vivi?”
Se solo non
ci fossimo separati… Pensò Levi, con
le lacrime che ancora gli bruciavano gli occhi. “Hai ragione. E’ stata la mia
presunzione, il mio fottuto orgoglio…”
“TI SBAGLI!” Urlò a quel punto Erwin, avventandosi
contro Levi. “Sono stati i giganti! Da dove vengono? Per quale motivo esistono?
Perché divorano gli esseri umani? Nessuno lo sa. Ne siamo completamente
all’oscuro. E fino a quando lo saremo, loro continueranno a divorarci. Non
riusciremo a uscire dalle mura.” Erwin sembrava delirante, la mano sinistra
sanguinava copiosamente mentre con la destra indicava la pianura che si
estendeva a perdita d’occhio attorno a loro. “Guardati intorno. In questo posto
non ci sono mura. Qui potrebbe esserci qualcosa in grado di portare un po’ di
luce sulla nostra oscurità. Tuttavia, ci sono persone che non vorrebbero farci
lasciare le mura. Loro vogliono stare dove il pericolo non può raggiungerli,
pensando esclusivamente al proprio profitto. Ciò è normale. Gli occhi della
razza umana rinchiusa dentro le mura da più di cento anni non riescono a vedere
dall’altra parte.” Ora Erwin sovrastava Levi, la sua imponenza ancora più
marcata dalle dure parole che gli stava rivolgendo. “Ma tu, Levi? I tuoi occhi
vedono? Vuoi uccidermi e tornare nel sottosuolo? Noi non molleremo,
continueremo ad andare fuori dalle mura. Perciò combatti insieme all’Armata
Ricognitiva! La razza umana ha bisogno della tua abilità!”
E in quel momento, esattamente in quel momento, il
Sole era tornato a splendere sulla pianura e aveva illuminato la figura solenne
di Erwin. I suoi capelli biondi mossi dal vento ora brillavano di una luce
diversa. O era forse Levi a vederlo sotto una luce diversa dopo quelle parole?
Perché questo
uomo riesce a confondermi così tanto? Perché sono pronto a seguirlo? Levi pensò e, dopo essersi arrovellato per qualche
istante, lasciò cadere la lama.
“D’ora in avanti non ci sarà più nessun accordo…” Il
sorriso e l’implicita promessa di Erwin ridestarono Levi. Forse, prima o poi,
sarebbe riuscito a lasciarsi indietro la sua vita, proprio come ora stava
facendo con i cadaveri dei suoi cari amici.
5 anni. 5 anni di vite perse, 5 anni di sofferenze, 5
anni insieme a lui. Ne era forse valsa la pena? Levi ormai non aveva più dubbi
a riguardo. Una vita di solitudine e di dolore era servita a incontrare lui, la
sua persona. Erwin.
Si girò nel letto, lo sguardo rivolto verso l’alto,
ripercorrendo gli eventi della giornata.
Il piano era risultato in una carneficina, i
sopravvissuti erano solo nove: lui stesso, Hanji, Flocke, Jean, Eren, Mikasa,
Connie, Sasha e… Armin.
Dopo il piano suicida ideato da Erwin per ingannare il
Gigante Bestia, Levi si era quasi arreso all’idea di perdere colui per il quale
viveva e combatteva da 5 anni. La strategia però non aveva dato i suoi frutti e
il Gigante Bestia era riuscito a scappare, nonostante Levi fosse stato in
procinto di ucciderlo.
Al ritorno sulle mura lo spettacolo che aveva trovato
era stato a dir poco agghiacciante. Eren stava minacciando con una delle sue
lame il corpo mutilato di Bertholdt, mentre l’ospite del Gigante Bestia
sembrava parlargli in tono concitato. Quando questi lo aveva visto, dopo un
momento di stupore iniziale dovuto al fatto che probabilmente non si capacitava
di come un singolo uomo fosse riuscito a tornare sano e salvo, aveva deciso di
scappare, lasciando Eren e Levi da soli sul tetto di legno di una delle case di
Shiganshina.
In un primo momento il suo istinto era stato quello di
rincorrere l’ospite chiedendo il gas rimasto a Eren, ma quello che era successo
dopo aveva immobilizzato entrambi. C’era qualcun altro su quel tetto che Levi
non aveva visto, un corpo terribilmente bruciato, i lineamenti non più
riconoscibili. Quel qualcuno aveva emesso un debole colpo di tosse e allora
Levi si era reso conto di chi fosse. Era Armin, le esili membra ridotte in
condizioni pietose, ma incredibilmente ancora dotate di vita.
Come può
essere ancora vivo? Come può resistere a una tale sofferenza? Aveva pensato Levi mentre Eren, raggiunto da Mikasa,
gli chiedeva il siero per permettere di salvare la vita del suo povero amico.
La decisione sarebbe stata abbastanza semplice, eppure Levi si era trovato a
essere riluttante; mentre stava per consegnare a malincuore il siero, però, era
accaduto qualcosa che rasentava il miracoloso.
Erwin.
Eccolo. Sulle spalle di Flocke, sanguinante e pallido
come mai lo aveva visto, ma vivo.
Vivo? Era l’unica cosa che risuonava nella sua testa. Il
respiro del Comandante era debolissimo, appena percettibile, ma c’era.
Ripensando a quei fatti, Levi si rese conto del perché
della sua riluttanza a lasciare il siero a Eren; anche se solo nel suo
inconscio, Levi aveva un’unica persona che avrebbe voluto salvare e, per quanto
fosse crudele ammetterlo, quella non era né Armin né nessun altro soldato. Era
il suo Erwin. L’Erwin a cui era legato da anni, tanto da intendere qualunque
suo stato d’animo, qualunque sua intenzione, solo con uno sguardo. L’Erwin che
tanto gli aveva insegnato in quei pochi anni insieme.
Sì, perché, ora che ci pensava, quei 5 anni erano
stati tanti, ma davvero troppo pochi. La vita gli aveva tolto tanto, la
famiglia, la casa, gli amici, ma Erwin era stato in grado di restituirgli tutto
senza chiedere niente in cambio, solo la sua lealtà.
Come avrei
potuto non darti la mia lealtà? Come avrei potuto deluderti, dopo tutto quello
che avevi fatto per me?
Eppure la lealtà e l’amore nei suoi confronti non
erano bastati. Quel mondo crudele gli aveva tolto l’unica sua ragione di
vivere, di vivere per davvero. E l’aveva fatto nel modo più atroce possibile,
costringendolo a scegliere tra due persone morenti e per cui, a prescindere
dall’esito, si sarebbe sentito tremendamente in colpa.
Non voleva ricordare l’orrendo litigio avuto con Eren
e Mikasa e nemmeno ripensare a quanto si era mostrato debole davanti a loro,
stremato dal combattimento e dal carico emotivo di una scelta che sarebbe
gravata solo sue spalle.
Lacrime di frustrazione cominciarono a pungergli gli
occhi mentre rivedeva davanti a sé i due corpi malandati e l’astuccio con il
siero nelle sue mani. Provò a chiudere le palpebre nel tentativo di scacciare
via quelle immagini, ma nonostante tutto loro continuavano a ritornare.
Perché mi hai
lasciato qui, da solo?
Ma la verità era solo una. Era stato lui stesso a
lasciarlo andare via e ora, nel buio di quella stanza, si ritrovava ad
affrontare le conseguenze della sua scelta. Aveva sbagliato? Aveva fatto la cosa
giusta? Sarebbe mai stato in grado di perdonarsi?
Non troverò
mai una risposta a queste domande. Avrei bisogno delle tue parole, ora. Forse
sarebbero in grado di lenire questo dolore nel petto che non accenna a
diminuire.
Il senso di colpa lo stava attanagliando e le lacrime
cominciarono a scendergli piano sulle guance. Quello che aveva fatto era
sbagliato, lo sapeva. Levi era un soldato e da soldato avrebbe dovuto comportarsi.
Avrebbe dovuto prendere il siero, iniettarlo a Erwin e lasciare che divorasse
Bertholdt, diventando a sua volta il Gigante Colossale. Avrebbe dovuto salvare
il Comandante dell’Armata Ricognitiva, un uomo adulto, con esperienza e in
grado di essere una risorsa ancora più fondamentale di quanto già non fosse
stato. Avrebbe dovuto agire anche per il suo egoismo, per avere il suo
Comandante accanto per altri 5, 10, 15 anni o per tutta la vita che sarebbe
stata loro concessa.
Avrei dovuto…
Eppure in quell’occasione tutta la sua preparazione e
tutta la sua volontà non erano bastate per permettergli da fare la scelta più
giusta, quella più egoista.
Ogni persona
è schiava di qualcosa o di qualcuno. Anche lui lo era. Queste erano state le parole di suo zio Kenny, poco
prima di spirare. E quali parole potevano adattarsi meglio a quella situazione?
Erwin era schiavo di uno scopo più grande di lui, scoprire cosa ci fosse in
quella maledetta cantina, un segreto che avrebbe cambiato le sorti
dell’umanità, secondo il parere del Comandante.
Avrei dovuto
pensare all’umanità o, al massimo, a me stesso, per una sola volta. E invece,
in quel momento, l’unica cosa che sono riuscito a fare è stato pensare a lui. A
quanto 5 anni con lui mi abbiano reso più libero di quanto non fossi mai stato
in tutta la mia vita. Ero un delinquente, ma lui ha visto attraverso quella
coltre, mi ha guardato dentro, come nessuno aveva mai osato o saputo fare. Sono
diventato un soldato, grazie ai suoi insegnamenti, ma negli ultimi istanti della
sua vita l’ho deluso.
Ti ho deluso,
vero? Era quella la domanda che più
lo tormentava. Erwin sapeva quello che Levi aveva fatto? Poteva vederlo
rigirarsi nel letto, il cuscino ormai impregnato di lacrime e le lenzuola
avvinghiate intorno al suo corpo, mentre non riusciva a prendere sonno? Eppure
Levi, più si torturava sulle sue azioni, più si rendeva conto che quella scelta
era stata giusta. Non per l’umanità, non per l’Armata Ricognitiva, non per
Levi. Per Erwin.
Levi aveva perso tutto in passato e adesso si
ritrovava di nuovo solo. L’unica vera ragione di vita gli era stata tolta con
una ferocia difficile da comprendere. Levi ci era abituato o, almeno, pensava
di esserlo, ma quel dolore nel petto era qualcosa di insopportabile. L’idea di
vivere ancora in un mondo senza la luce che lo aveva guidato di nuovo nel mondo
esterno gli faceva venire la nausea, ma, nel profondo, lui sapeva.
Questa
potrebbe davvero essere la scelta più sbagliata che io abbia mai fatto, ma almeno
saprò di aver salvato Erwin dal diventare un mostro, un mostro vero.
Erwin aveva rinunciato al suo sogno e sarebbe stato
pronto a rinunciare anche alla sua vita, Levi gli aveva già dato il suo addio,
ma il destino aveva deciso di giocargli un ultimo tiro mancino. Il desiderio di
salvare se stesso non era stato abbastanza forte per annientare la volontà di
compiere un atto di pietà nei confronti di chi si era già rassegnato a un
volere più grande della propria comprensione e che aveva avuto il peso di
migliaia di morti sulle sue spalle.
No. Non si sarebbe mai perdonato una cosa del genere.
Non dopo tutto quello che Erwin aveva fatto per lui. Avrebbe vissuto senza di
lui, senza più vedere quegli occhi, senza più sentire quel calore che solo lui
poteva dargli… Senza avergli mai detto quello che veramente provava.
Come farò
ora? Sono perduto…
- Il giorno dopo
Che ore sono?
E questo letto? Dove so…
Il letto sfatto, la maglia sudata, il cuscino bagnato…
Erwin…
Non era un incubo. Era tutto reale quindi?
Si alzò incespicando e si diresse verso il piccolo
bagno che era presente in quella casa. C’era uno specchio, ma quello che vide
riflesso gli fece desiderare che non ci fosse mai stato.
I capelli neri erano arruffati, il viso era pallido,
scarno, malaticcio e alcune parti del corpo mostravano ancora i segni della
battaglia. I vestiti sarebbero stati da buttare non appena fossero tornati
indietro e Levi percepiva un fastidio pungente a pensare di avere addosso
qualcosa di così sporco. Ma quello che più lo aveva turbato erano gli occhi. Le
sue iridi grigie, già normalmente piccole, erano soffocate dal gonfiore delle
palpebre e dal rossore che le accerchiava. Era tutto vero e la notte insonne
che aveva passato era stata interrotta solo da momenti di dormiveglia in cui
tutto quel che era riuscito a fare era stato urlare in preda al panico, con gli
occhi pieni lacrime, mentre si ridestava da quel continuo incubo.
Chi è
quest’uomo che mi osserva dallo specchio? Perché mi sono ridotto così? Non
posso farmi vedere in questo modo. Nessuno dovrà vedermi così.
Si tolse i vestiti, lasciandoli su una sedia, e il suo
sguardo tornò allo specchio. Era pieno di ferite, ma a quello avrebbe pensato
al ritorno. Si infilò nella doccia, rabbrividendo sotto il getto di acqua
gelida. Non sapeva che ore fossero, ma sapeva che avrebbe dovuto sbrigarsi. Si
lavò completamente, cercando di pulirsi per quanto fosse possibile in quel
posto abbandonato da ogni forma di vita umana.
Mio Dio che
schifo. Dovrò rimettermi quei cazzo di vestiti sporchi. Fu quello a cui pensò, adocchiando gli unici vestiti
sulla sedia. Si rassegnò a indossarli, pensando a quando sarebbe stato a casa
sua e a quando avrebbe potuto lavarsi come lui intendeva. Una volta vestito,
riprovò a guardarsi allo specchio.
Si potrebbe fare
di meglio, ma per oggi accontentiamoci di questo.
Uscì da quella casetta, guardandosi attorno,
respirando l’aria fresca e immergendosi in quel silenzio. Non gli sembrava di
vivere più nello stesso mondo in cui fino ad allora aveva vissuto. Le case, le
strade, gli alberi e persino la stessa aria gli apparivano… Diversi. Era
rimasto tutto come prima, questo lo sapeva, ma, nel profondo, quello che
osservava era cambiato irrimediabilmente.
Dovrei
esserci abituato, ormai. Eppure non mi sono mai sentito così solo in vita mia. Pensò, avviandosi per incontrare i sopravvissuti alla
carneficina del giorno precedente. L’intento era di scoprire, finalmente, che
cosa fosse contenuto nel seminterrato di casa Jaeger, dopo aver deciso dove
seppellire il corpo di Erwin. Avresti
dovuto essere con me in questo momento. Quella cantina era il tuo sogno, il tuo
scopo, e ora mi sento in colpa a vedere con i miei occhi quello che invece
avresti dovuto vedere tu.
Un guscio vuoto. Ecco come si sentiva. D’ora in poi
sarebbe sopravvissuto, certo, quello gli era sempre riuscito bene, ma non
avrebbe mai più vissuto appieno la sua vita. Ogni risultato sarebbe stato
raggiunto per dovere, ma nulla gli avrebbe mai più portato quella soddisfazione
che sentiva ogni volta che quei momenti erano condivisi con Erwin.
Erwin. La sua presenza l’avrebbe accompagnato per
tutta la vita. Se ne rese conto per davvero in quell’istante, mentre le gambe
gli si erano fermate all’improvviso in mezzo alla strada, ma in realtà lo aveva
sempre saputo. Dal momento in cui quegli occhi così vivi lo avevano fissato, il
suo mondo era cambiato. Tutto aveva cominciato a ruotare intorno a lui e la
vita aveva assunto un significato particolare insieme a lui.
Mi hai
mostrato qualcosa di diverso. Mi hai tolto dai bassifondi, accompagnandomi in
superficie, ma quello che hai fatto per me è stato molto, molto di più. Mi hai
fatto vivere di nuovo e ora dovrò imparare a sopravvivere da solo. Ma quello
che hai fatto per me, no… Quello non lo dimenticherò mai.
Chiuse gli occhi. L’immagine che gli ritornò in mente
era quella che tanto tempo fa gli aveva riempito il cuore. Il cielo oltre le
mura, quando lo aveva visto per la prima volta, uscendo dai sotterranei durante
la spedizione con Erwin.
E, per la prima volta dopo quella tragedia, sorrise.
Gli occhi chiusi, una lacrima solitaria che scendeva sulla guancia destra, il
cuore ancora pieno di lui. Alzò la testa al cielo e riaprì piano le palpebre. E
lì, finalmente, vide.
Il cielo.
I suoi occhi.
Blu.