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Autore: Sophja99    19/12/2016    5 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo tredici

Sleipnir

 

Nel viaggio di ritorno non scambiarono più di qualche parola. Silye non pensava ad altro che tenersi stretta il libro, l'unico contatto che aveva con il suo passato ancora ignoto di cui era venuta a conoscenza solo da quella mattina. Rifletté su quante cose aveva appreso e scoperto in quel breve lasso di tempo: lei, che non aveva mai creduto alla moltitudine di leggende che da secoli giravano a Midgardr, ora si ritrovava catapultata in quello stesso oscuro mondo. Pensava che questo suo ignorare i miti e le storie che giravano per i villaggi del regno la distinguesse dalla massa di creduloni e superstiziosi che popolavano quelle terre e si era sempre sentita fiera per questo, ma adesso ogni sua certezza era crollata e si ritrovò a ritenere che forse, dopotutto, quelle persone non erano totalmente matte e lontane dalla verità.

Certo, doveva ancora abituarsi a quel nuovo modo di guardare al passato e a Midgardr e la sua mente, o almeno la parte di essa più cinica e con i piedi per terra, si rifiutava ancora con tutta sé stessa di lasciarsi fregare da quelle che avevano tutta l'aria di essere solo frottole. Eppure, con tutte le prove che Vidar le aveva fornito, come le visioni, il libro e l'incontro con l'elfo, l'avevano convinta della veridicità delle sue parole e di quello che lei aveva visto nei suoi ricordi.

«A cosa pensi?» chiese Vidar, quando erano ormai quasi arrivati.

Silye si soffermò a guardare il pelo grigio chiaro di Úlfur leggermente mosso dal vento. Le era rimasto fedelmente accanto per tutto il tempo, anche se talvolta si era allontanato ed era entrato nel fitto della foresta, attratto da qualche rumore provocato da altri animali. Silye non se ne preoccupava: sapeva che lui conosceva bene la strada per tornare a casa, forse anche meglio di lei, ma odiava quando accadeva perché la costringeva a rimanere sola con il dio. «Direi che ho abbastanza materiale su cui riflettere.»

«Hai ragione» ribatté con un tono più gentile del solito che sorprese la ladra. Fino a quel momento non lo aveva mai sentito dire una cosa del genere in modo tanto sincero.

Lo guardò con la coda dell'occhio: teneva le mani a pugni chiusi, i lineamenti del viso si erano induriti e aveva contratto la mascella. «Anche tu hai parecchi pensieri per la testa» notò lei, ma, come si era aspettata, non ricevette risposta.

Finalmente intravide le mura della casetta immersa nel fitto della boscaglia, ma si accorse che c'era qualcosa che stonava in mezzo a quello scenario, altresì tanto familiare. Un cavallo, le cui redini erano state legate al ramo di un albero vicino all'abitazione. Silye non aveva mai visto una bestia tanto grande e possente nel suo genere. Certamente ne aveva incontrati di cavalli, ed anche tanti, ma nessuno era minimamente paragonabile a quello che aveva davanti. Era di colore grigio scuro e sembrava essere stato diligentemente addomesticato dal suo padrone, perché non si dibatteva, né nitriva nella speranza di vederlo tornare, ma se ne stava tranquillo con il collo teso verso il suolo ad annusare la neve e cercare invano erba da mangiare, poiché era ancora coperta. Cercò di andare oltre l'aspetto e le evidenti doti dell'animale, per pensare a cosa significava vedere un cavallo sellato vicino a casa sua.

«Stranieri» disse, dando voce alle sue preoccupazioni e affrettando il passo. «C'è qualcuno in casa. Dobbiamo sbrigarci.»

Vidar la raggiunse in un lampo e le prese il braccio, impedendole di andare oltre. Lei si girò ed era già pronta a strattonarlo o a fargli una sfuriata, quando vide che lui stava sorridendo. Anzi, stava ridendo di gusto. Silye si irrigidì, stupita e arrabbiata allo stesso tempo da quella reazione. “Qualcuno è entrato in casa mia e starà rubando le poche cose che possiedo e lui se la ride?”

«Si può sapere che ti prende?» domandò, indicando poi il punto in cui la sua mano ancora stringeva il braccio della ladra. «Lasciami.»

Lui, terminata la scarica di risa, si affrettò a lasciarla andare. «Vedi, quel cavallo» disse «è il mio.»

«Tuo? Come mai lo vedo solo ora dopo tutto il tempo che ho passato con te?»

«Bé, quando ti ho incontrata, non era prudente farmi vedere a cavallo: avresti pensato che fossi stato un cavaliere del re. Dopo sei svenuta e ti ho fatto montare su di lui per riportarti a casa, ma eri priva di coscienza. Quando, invece, siamo andati alla ricerca del libro delle völve c'era ancora la tempesta di neve e non ti eri accorta di lui.»

Dovette dargli ragione su tutta la linea. «Posso... accarezzarlo?»

«Certo. È docile come un cagnolino. Era stato educato da mio padre» lo sentì interrompersi e deglutire. «È una delle poche cose che mi rimangono di lui, insieme alla sua lancia, Gungnir.»

Silye si avvicinò all'animale, timorosa. Non aveva mai visto un cavallo di quella stazza: la superava in altezza di diversi centimetri e lei non aveva una corporatura bassa, anzi.

Lentamente tese una mano, che appoggiò sul muso del cavallo, proprio sotto agli occhi. Questo nitrì dolcemente, apprezzando il gesto e facendole intendere che si era già guadagnata la sua fiducia. «È bellissimo. Come si chiama?» Quando l'animale aveva leggermente aperto la bocca, le era sembrato di notare qualcosa di inusuale, ma, come questo la richiuse, considerò quel pensiero solo una sua svista o frutto della sua immaginazione.

«Sleipnir» rispose Vidar, accostandosi a loro.

«Non è un nome molto comune» fece notare lei. Iniziò ad accarezzargli anche il collo e, quando l'animale emise un altro nitrio, stavolta Silye capì di non essersi sbagliata. Aveva davvero visto dei strani segni incisi sui denti dell'animale. Indietreggiò all'improvviso, andando così a sbattere contro Vidar. Sentì la sua schiena aderire al petto del dio e si voltò per interrompere quell'imbarazzante contatto e frapporre maggiore distanza tra loro due. «Ma cosa...» iniziò a dire lui, ma Silye lo precedette.

«Perché il tuo cavallo ha dei simboli impressi sui denti?»

«Sono rune: dei segni magici. Non possono essere visti dagli umani, ma solo da individui forniti di magia o capaci di individuarla, come me e te.»

«E perché un cavallo dovrebbe averli?»

«Servono a potenziarlo. È per questo che appare più grande e forte di ogni altro cavallo normale.»

«E possono essere usate anche sugli umani e ogni altra creatura vivente?»

«Dovrebbero, anche se io non sono molto esperto sul loro funzionamento. Mio padre, per ottenere la loro conoscenza che è preclusa a tutti tranne che alle maghe, si impiccò sull'Yggdrasill. Infatti, per noi l'unico modo per imparare a comprenderle è uccidersi e rinascere; gli dei possono contare sulla propria immortalità dovuta ai frutti per avere la certezza di non morire effettivamente, ma gli umani e ogni altra creatura mortale non ci riuscirebbero.»

«E che tipo di poteri possono apportare le rune?»

«Da quanto mi ha detto mio padre, e non gli era permesso riferirmi troppi dettagli, possono rendere invisibili, più forti e recare il dono temporaneo della divinazione. Tu ce l'hai per natura, insieme alla conoscenze di tutti i simboli, e il potere conferito dalla runa è certamente inferiore al tuo: in parole povere, si avrebbero visioni molto meno vivide di quelle che hai tu.»

«E se la runa della divinazione potesse rafforzare ancora di più i miei poteri?» chiese, folgorata da quell'idea improvvisa.

Vidar meditò per qualche attimo con la fronte aggrottata e una mano affondata nei suoi riccioli biondi. «Potrebbe funzionare.»

«Dovrò solo capire come fare a usare queste rune. Posso provare a cercare un capitolo del libro in cui si parla di esse, sperando che ci sia qualcosa di utile» affermò la ragazza, tirando fuori il volume dalla sacca. Quando si girò per guardare di nuovo Sleipnir, rimase di stucco notando un particolare che doveva esserle sfuggito prima: il cavallo aveva otto zampe. «Che mi prenda un colpo...» sussurrò, a bocca aperta. Si disse che forse era lei che ci vedeva doppio o male, ma, quando riposò di nuovo lo sguardo sull'animale, le sue zampe rimanevano otto. «Da quando i cavalli hanno così tante gambe?»

«In realtà, solo Sleipnir le ha.»

«Questo è ovvio» affermò Silye, ancora sbalordita nel vedere il cavallo muovere simultaneamente tutti gli otto zoccoli. «Eppure, è impossibile che io non me ne sia accorta prima. Io... ero certa di aver visto solo quattro zampe.»

«Lo ricordi perché hai effettivamente visto così» spiegò Vidar. «Era un'immagine provocata dalla runa del camuffamento, che gli permette di mostrarsi come un normale cavallo, anziché nel suo vero aspetto. Dopo esserti accorta delle rune, in qualche modo la tua natura da völva deve averti permesso di guardare oltre l'apparenza.»

Silye richiuse la bocca, man mano che si abituava a vedere il cavallo sotto quelle sembianze. «Ho capito» affermò. Rivolse, quindi, la mente ai pensieri che più li premevano al momento. «Beh, ora vado ad occuparmi di questa storia.»

Entrò in casa, seguita da Úlfur che, stanco per gli eventi di quel giorno, si andò ad accoccolare sull'angolo che condivideva con la ragazza. Silye notò con dispiacere che nel tempo che avevano passato fuori, il fuoco si era quasi spento e la stanza era piombata ad una temperatura troppo bassa da poter sopportare. I denti le iniziarono a battere e, dopo aver appoggiato il libro sul tavolo lontano dal camino per evitare spiacevoli problemi, come l'eventualità che potesse prendere fuoco, andò ad attizzare le fiamme, aggiungendo un po' della legna lasciata a terra.

Il cane rimase a guardarla per tutto il tempo con un'espressione che faceva ben intendere la sua implicita richiesta. Come lo vide, Silye capì che aveva fame e prese un po' di pane avanzato dal giorno precedente. Úlfur si alzò subito e si sollevò su due piedi, reggendosi su di lei e tentando di afferrare il cibo che la ragaza teneva in mano. “Incredibile. Anche quando ha sonno, ha sempre voglia di giocare” pensò, notando come si era ripreso subito al solo vedere il pane. Gli porse amorevolmente la fetta. “Eppure, sa anche essere spietato quando andiamo a caccia. Spesso le apparenze ingannano.”

Rimase ad osservarlo finché non finì di mangiare. Quindi, prese anche lei l'unico piccolo pezzo rimasto da mangiucchiare, per poi aprire il libro e iniziare a sfogliarlo.

   
 
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