Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: Bens_S    22/12/2016    5 recensioni
La ragazza trattenne il respiro e in un attimo scoccò la freccia, che sfiorò appena la sua guancia prima di colpire il fianco della cerva che aveva davanti, l’animale provò a scappare ma le zampe le cedettero. La giovane si avvicinò alla sua preda, era molto fiera di sé stessa per quel colpo, non avrebbe neanche dovuto inseguirla per mezzo bosco.
Si avvicinò all’animale, che tentava ancora di rialzarsi e fuggire, e la osservò morire lentamente; Poi estraendo la freccia si distrasse guardando i propri artigli. Erano orribili.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 
 
La ragazza trattenne il respiro e in un attimo scoccò la freccia, che sfiorò appena la sua guancia prima di colpire il fianco della cerva che aveva davanti, l’animale provò a scappare ma le zampe le cedettero. La giovane si avvicinò alla sua preda, era molto fiera di sé stessa per quel colpo, non avrebbe neanche dovuto inseguirla per mezzo bosco.
Si avvicinò all’animale, che tentava ancora di rialzarsi e fuggire, e la osservò morire lentamente; Poi estraendo la freccia si distrasse guardando i propri artigli. Erano orribili. Per non parlare della coda, delle orecchie e delle zanne. Aveva pensato così tante volte di tagliare tutto da rendere l’idea quasi un’ossessione, e ci aveva anche provato, ma senza successo.
Il dolore era stato troppo forte per permetterle di continuare, aveva anche sperato di farsi aiutare da qualche membro del villaggio ma nessuno osava avvicinarsi a lei, figurarsi parlarle.
Ripensò a sua madre, doveva aver avuto una vita veramente infelice: stuprata da una tribù di demoni e poi obbligata a crescere la loro progenie. Era normale che vedendola così simile a loro avesse iniziato a maltrattarla e poi avesse deciso di allontanarla da casa.
La ragazza digrignò le zanne, avrebbe almeno voluto sapere il proprio nome. Sin da quando ne aveva memoria ricordava di essere sempre stata chiamata “mostro”, “abominio” e con altri appellativi simili. Probabilmente al momento della nascita le era stato dato un nome, sarebbe stato illogico il contrario, ma non riusciva proprio a ricordarsi di essere mai stata chiamata con esso.
Si caricò la cerva sulle spanne e iniziò a camminare. Era più grande e forte di tutti gli esseri umani dell’accampamento in cui era cresciuta, ma nonostante tutte le deformazioni il suo corpo manteneva un non so ché di umano. Forse era anche questo a farla soffrire ulteriormente: il sapere di non essere del tutto un mostro.
Da piccola si era anche illusa che strappando via gli artigli, tagliando la coda e le orecchie  avrebbe potuto ingannare gli altri. Infondo parlava come loro, ragionava come loro e soffriva come loro. Ma quel maledetto di suo padre, chiunque egli fosse, non gli aveva donato altro che dei geni mostruosi, erano la peggior eredità che potesse lasciargli.
Senza rendersene conto aveva già oltrepassato il bosco e ora si trovava ai margini dell’Accampamento. Una cinquantina di anni prima dei soldati avevano costruito in quella zona  un piccolo accampamento, che poi era stato abbandonato in fretta e furia per una ragione ormai dimenticata, e in seguito era stato occupato da un piccolo gruppo di girovaghi. Con gli anni le tende erano state sostituite da case e a tanti anni di distanza dell’accampamento originario non restava altro che il nome.
Camminò spedita verso la via principale, in pochi minuti un acre odore di paura si diffuse nell’aria, alcuni umani dovevano averla notata.
Pensò che almeno quell’odore avrebbe un po’ coperto la puzza di urina e sporcizia che aleggiava nel villaggio. Aprì la bocca per sentire anche sul palato l’odore di quella paura, che, come un virus, si stava diffondendo per tutte le vie. Era un odore piacevole infondo, per un attimo fu disgustata da sé stessa per quel pensiero. Tentò di concentrarsi solo sulla strada che stava percorrendo.
Quando si trovò davanti alla casa della madre non provò nemmeno a bussare, adagiò semplicemente la cerva davanti alla porta di casa. Andandosene notò con la coda dell’occhio delle catene adagiate non molto lontano dall’entrata dell’abitazione.
Si fermò a osservarle e ripensò a quando sua madre la teneva legata con esse, come se fosse un cane da tenere fuori. La ragione era semplice: aveva paura di dormire sotto lo stesso tetto con la propria figlia, ma non aveva ancora sufficiente coraggio per cacciarla da casa.
Aveva vissuto in quelle condizioni dai sette fino ai dieci anni, poi la donna aveva semplicemente aperto le catene; L’aveva guardata per un lungo instante, dopodiché era tornata in casa, chiudendo a chiave la porta.
Non servivano parole, il messaggio era arrivato forte e chiaro. Per un po’ la bambina aveva tentato di allontanarsi il più possibile da quel maledetto villeggio e di dimenticare quella che era stata la sua miserabile vita, ma ovunque andasse le persone che incontrava  fuggivano spaventate.  Aveva deciso di tornare nell’unico posto che potesse chiamare casa e aveva deciso di tentare di far cambiare idea alla madre sul suo conto. Quando era piccola doveva averle voluto bene, anche solo per un istante, e quell’affetto sarebbe potuta tornare.
La ragazza da quel momento in poi aveva avuto come unica ragione di vita: l’abizione di essere accettata nuovamente dalla madre. Si era adoperata per dimostrarle di poter essere utile, di non essere un mostro. Aveva rubato un vecchio arco da un altrettanto vecchio cacciatore, e si era molto impegnata per imparare a usarlo. Con gli artigli e le zanne sarebbe comunque stata un’abile cacciatrice ma quell’arma rappresentava la sua umanità. Con l’arco serviva concentrazione e precisione, non forza bruta e istinto. La obbligava a concentrarsi su sé stessa, sulla forza da utilizzare, sul proprio respiro e la propria postura, ma anche sul mondo che la circondava.
Quasi tutte le prede che cacciava le portava alla madre, teneva per sé solo lo stretto necessario per sopravvivere. Senza di lei probabilmente la donna sarebbe morta di fame da tempo; Grazie ai suoi doni tutto il villaggio andava da lei per scambiare la carne con ogni genere di bene. Ma non era ancora sufficiente per la sua accettazione, la madre continuava a rifiutarsi di aprire la porta di casa e al massimo le urlava qualche insulto prima di ritornare al silenzio più assoluto.
La donna era terrorizzata da lei, vedeva in quel giovane ibrido le terribili bestie che l’avevano violentata, ma nonostante questo non riusciva ad allontanarla del tutto, lei era pur sempre sua figlia. Quindi la teneva in una sorta di limbo senza fine: non la rifiutava del tutto ma nemmeno l’accettava, e poi i doni della giovane le erano molto utili. Le permettevano di non spaccarsi la schiena tutto il giorno nei campi e di vivere al sicuro nella propria casa, lontana da tutti i mostri del mondo esterno. In fondo era il minimo che la ragazza potesse fare, lei gli aveva donato la vita e l’aveva tenuta con se addirittura dieci anni.
Mentre la giovane percorreva la strada di ritorno un uomo attirò la sua attenzione: era vecchio, mal vestito e puzzava di sudore, ma non di paura. Si fermò a osservarlo, lui stava sellando di un piccolo cavallo e sembrava non curarsi di lei.
“Smettila di fissarmi”, la sua voce era roca, quasi fastidiosa.
La ragazza si immobilizzò, era esterrefatta, nessuno le aveva mai parlato in quel modo.
“Cosa non hai capito di quello che ho appena detto?”, ora la guardava beffardo. L’uomo era conscio di quanto fosse strano per la giovane sentirsi rivolgere la parola, nei piccoli borghi era sempre così per gli ibridi. Lo divertiva infinitamente osservare una bestia tanto grossa e possente diventare completamente inoffensiva grazie a una semplice frase.
La guardò più attentamente: era più alta di un uomo adulto, la spessa pelle coriacea la proteggeva dalle intemperie e questo poteva spiegare i leggeri vestiti che aveva addosso. La pelle era di un bel grigio perla, aveva i capelli neri e gli occhi scuri. Tutto sommato era un bell’ibrido, peccato che non ci fosse mercato per i mezzi demoni, ci sarebbe voluto molto lavoro per riuscire a venderla. Goniarch sorrise tra sé e sé, era appena andato in pensione e ancora pensava come un mercenario.
“Perché fai quella faccia?” le chiese, il vecchio sapeva che era infantile giocare in quel modo con lei, ma era fottutamente divertente parlare con quella che poche settimane prima sarebbe stata una sua possibile preda.
La ragazza deglutì, era sconcertata da quella situazione surreale, poi rispose:
“Nessuno mi aveva mai parlato come state facendo voi ora, siete qui da molto?”
“Sono arrivato solo oggi, vengo da un piccolo villaggio di nome Bruvac, è a pochi chilometri da qui. È ovvio che nessuno ti abbia mai parlato, in fondo sei il mostro del villaggio”
La giovane restò impassibile, lei stessa si considerava un abominio e non era un mistero che anche gli altri lo pensassero. Tuttavia non le piaceva come stava evolvendo la conversazione, ma non voleva scappare. Non sapeva quando qualcuno le avrebbe nuovamente parlato e voleva godersi il più possibile quel momento.
“Fammi indovinare: sei stata allontanata dalla tua stessa madre e il tuo unico sogno è di farti accettare da lei, so che infondo speri che lei ti perdoni per essere nata in questo modo”. Goniarch riprese a sistemare la sella del pezzato. Sentiva gli occhi attoniti della ragazza puntati su di lui, di nuovo si sorprese dell’effetto che semplici parole potevano avere su qualsiasi creatura. Certo, con i mezzi demoni era molto più facile, a differenza di molti altri ibridi loro avevano le stesse capacità intellettuali di qualunque umano, sapevano parlare e imparavano piuttosto in fretta a vivere come gli umani.
Questa era la ragione per cui erano difficili da vendere: così forti e intelligenti erano molto abili a progettare delle fughe, e non servivano certo pochi uomini per fermare uno solo di quegli ibridi. Era più facile arruolarli in qualche banda mercenaria o nella guardia cittadina, qualche moneta e un po’ di accettazione funzionava sempre con quelle bestie. Certo, la popolazione non doveva venire a sapere di avere degli sporchi ibridi a loro difesa, ma nelle battaglie facevano decisamente la differenza.  E poi tutti, con il giusto compenso, si potevano comprare, persino dei mostri del genere. Grazie al cielo era molto raro che un mezzo demone venisse alla luce; Gli stupri da parte delle tribù dei demoni erano piuttosto comuni ma era molto raro che una donna sopravvivesse dopo quelle violenze.
La ragazza agitò la coda nervosamente, quella situazione era decisamente troppo strana.
“Come fate a saperlo? Siete forse un mago?” disse queste ultime parole quasi ringhiando ma l’uomo non sembrava per nulla spaventato dalla giovane. Aveva combattuto contro belve peggiori e un cucciolo arrabbiato non poteva che farlo sorridere. Era normale che diventasse aggressiva alla prospettiva di avere un mago davanti a lei, in fondo tutti quei muscoli non sarebbero bastati contro la giusta magia.
“Siete tutti uguali, avete tutti la stessa storia. Le vostre madri in un primo momento decidono di tenervi, è normale. Sin dall’infanzia gli viene insegnato che un figlio è il dono più grande che gli Dei possano fargli, indipendentemente dal modo in cui viene concepito e in più quasi tutti gli ibridi appena nati sono molto simili a normali bambini umani. Ma crescendo iniziate a cambiare, assumete comportamenti che loro non possono capire, sapete cose che nessuno vi ha mai insegnato e i cambiamenti fisici aumentano sempre più velocemente. In rari casi le madri uccidono i figli, ma solitamente si limitano ad allontanarli. Ma voi, povere anime perse, non avete altro che il vostro villaggio e il più delle volte vi comportate come ti stai comportando tu ora. Anche nel mio villaggio c’era un ibrido come te, un piccolo mezzo barghest, e anche lui si comportava più o meno come ti stai comportando tu ora. Lo hanno venduto piuttosto bene da quel che so”
La ragazza afferrò l’uomo per una spalla, non voleva fargli male, desiderava solo trattenerlo. Aveva appena finito di sistemare la sella sul suo cavallo e sembrava intenzionato ad andarsene.
“Ma perché qualcuno pagherebbe per comprare dei mostri come me?”
Il vecchio sorrise, era veramente buffo che tra tutte le informazioni che le aveva detto quella fosse l’avesse colpita più delle altre. Ma se vieni trattato da mostro per tutta la vita alla fine ti convinci di esserlo.
“Vedi ragazza, ogni cosa ha la sua bellezza ma non tutti la vedono. Tu probabilmente ti vedi come un verme schifoso, ma solo perché non hai mai visto altro oltre al tuo villaggio”.
Goliarch montò in sella e fece segno alla ragazza di farlo passare, era stato divertente parlare con l’ibrido per un po’, ma con tutte quelle bestie aveva chiuso e non voleva farsi tentare ulteriormente da una preda tanto facile. Sarebbe bastato dirle di seguirlo e probabilmente lei lo avrebbe fatto senza obbiettare. Era come tutti gli altri: un cucciolo perso alla ricerca di una famiglia. Molti suoi colleghi catturavano gli ibridi con armi e catene, a lui bastavano poche parole e un sorriso affettuoso.
Fece partire il cavallo prima di avere dei ripensamenti, ma nonostante la decisione presa il dubbio lo attanagliava. Ripensò a sua figlie, le aveva promesso di lasciare il lavoro per aiutarla con i campi; La povera ragazza aveva appena perso il marito e con due figli piccoli da crescere non riusciva proprio a fare tutto da sola, inoltre vendere quell’ibrida avrebbe comportato moltissimo lavoro e un pagamento relativamente basso. No, non ne valeva la pena.
La giovane lo seguì fino fin dentro il bosco, non era mai andata così lontano dal villaggio. Lui le aveva intimato di andarsene più volte e la ragazza aveva finto di farlo, per poi seguirlo senza farsi notare. Il vecchio sembrava interessarsi a lei come mai nessuno aveva fatto e non voleva che se ne andasse. Ma la verità era che anche lui non la voleva, e lei stava per perdere la via di casa per nulla. Si fermò e tornò indietro, anche lui alla fine era come tutti gli altri.
Aveva camminato per diverse ore nella foresta e ora le prime stelle della sera si erano fatte strada nel cielo. Delle urla in lontananza attirarono la sua attenzione.
Corse il più velocemente possibile e quando arrivò al margine del bosco fu sconvolta da quello che vide:
una tribù di enormi demoni aveva attaccato il villaggio, l’odore acre del sangue impregnava l’aria e le urla delle persone le rimbombarono nelle orecchie.
Non aveva mai visto bestie del genere, erano creature spaventose. Erano alti almeno due metri e mezzo, la pelle blu che contrastava con gli occhi gialli, inoltre avevano folte criniere nascondevano le orecchie a punta. Persino da così lontano riusciva a vedere le enormi zanne nelle bocche di quegli esseri, per non parlare degli artigli.
Questa volta non si erano limitati a stuprare qualche donna e rubare un po’ di provviste, volevano distruggere l’intero villaggio e uccidere ogni singola persona presente. Non capiva del perché di quella scelta, non aveva senso ma d’altro canto demoni e umani erano nemici per natura.
La ragazza non riusciva a distogliere gli occhi da quel massacro. Era bellissimo.
Era come se la stessero liberando da quel malsano legame che l’aveva legata al villaggio per tutta la vita. Era come se stessero riportando un po’ di giustizia nel suo piccolo mondo, quelle schifose persone non le avevano dato altro che sofferenza ed era giusto che provassero la stessa cosa. Vedendo tutta quella distruzione non poté che provare un grande senso di gratitudine, ora capiva che loro l’avevano salvata dalla sua stessa miserabile vita. Era come aveva detto il vecchio: ogni cosa ha la sua bellezza ma non tutti la vedono. E loro erano la cosa più bella che avesse mai visto.
Decise che il suo nome sarebbe stato Ekbanok. Era l’unica parola che conosceva nella loro lingua, significava “figlia”.
 

 
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Bens_S