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Autore: belle_delamb    23/12/2016    1 recensioni
Parigi, 1889. In mondo popolato da macchine a vapore oscure minacce incombono sull’Esposizione universale. Il caso viene affidato all’agente speciale Annette Grace, appena tornata al lavoro dopo un incidente, e all’inglese Thomas Cooper. Ma chi è l’ideatore di tutto? Lo scienziato pazzo Jacques Germain? Oppure è qualcosa di più antico? E quando inizieranno a comparire creature magiche appartenenti al folklore le cose inizieranno davvero a complicarsi.
Partecipa al contest: Steampunk tendencies
Genere: Avventura, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alzai lo sguardo. Il dirigibile era pronto a essere mandato in aria, mancavo solo io. Ispirai a fondo per prendere coraggio, quindi percorsi rapidamente la passerella di legno. Gli stivaletti ticchettarono contro di esso. Mi tirai indietro una ciocca di capelli che mi era finita davanti agli occhi e ritrassi subito la mano, infastidita dal suo tremore.
-Mademoiselle Grace?- chiese la sentinella che stava all’ingresso.
-In persona-
-Monsieur vi sta aspettando-
-Portatemi da lui- e seguii la mia guida.
Mi condusse attraverso un breve corridoio con un tappeto rosso sul pavimento. Un enorme specchio faceva bella vista alla mia destra. Gli lanciai un’occhiata. Quel giorno indossavo la mia divisa di lavoro: un corpetto di cuoio con un colletto nero che mi circondava il collo lasciandomi libero il decolté. Sotto avevo una camicia bianca con le maniche lunghe e un paio di pantaloni blu attillati con strisce di cuoio. Gli stivali marroni mi coprivano il polpaccio. Avevo raccolto i miei capelli neri, con riflessi bluastri, in uno chignon. Gli occhiali scuri, da aviatore, erano tirati sulla testa. Nel complesso non era una brutta divisa.
-Per di qua, mademoiselle Grace – disse la sentinella, indicandomi un ingresso ad arco.
Monsieur mi aspettava seduto a un tavolo. Nessuno conosceva il suo vero nome e così tutti lo chiamavo semplicemente Monsieur. Non lo vedevo da circa sei mesi, ma non era cambiato molto. Stessa capigliatura rada e argentata, stessi occhi azzurri e attenti, stesso sorriso da far rabbrividire il peggior criminale. Avevo compreso la prima volta che lo avevo visto perché avevano messo quell’uomo a capo dei Servizi Segreti: avrebbe fatto paura a chiunque.
- Annette – esclamò, alzandosi e venendomi incontro –sono felice che finalmente tu sia tornata- mi prese entrambe le mani e se le portò alle labbra.
-E io sono ben felice della vostra accoglienza- dissi, con un sorriso, sperando che non si accorgesse del mio tremore.
-Mister Thomas Cooper, questa è Mademoiselle Annette Grace, la mia migliore agente- disse, rivolgendosi a un uomo che si trovava al tavolo. L’interpellato si alzò e si profuse in un profondo inchino. Osservai i suoi capelli biondi, i lineamenti mascolini, gli occhi verdi.
-Miss Grace, sono lieto di fare la vostra conoscenza-
-Ne sono maggiormente lieta io- dissi, facendo un inchino a mia volta e chiedendomi chi fosse.
-L’agente Cooper è arrivato qui dall’Inghilterra e collaborerà con noi per trovare il folle che minaccia Parigi -
-Perfetto, potete dirmi esattamente di cosa si tratta?-
-Mademoiselle non è ancora stata informata nel dettaglio del fatto- spiegò Monsieur, sedendosi.
Mi accomodai anch’io e mi misi ad ascoltare quello che era successo. La faccenda si poteva riassumere in poche parole. Due giorni prima era arrivata una lettera nell’ufficio di Monsieur, una missiva anonima che era stata messa tra le meno urgenti, come di solito succede in questi casi. Era stata seguita da un’altra lettera che aveva fatto la stessa fine. Poi la sera prima era scoppiato un violento incendio accanto alla Senna, laddove ci si stava preparando per l’Esposizione Universale. A quel punto un segretario di Monsieur aveva parlato delle lettere, dicendo che in una, che lui aveva letto per “sbaglio”, si esprimeva il desiderio di impedire l’Esposizione, costi quel che costi. Inutile dire che era successo il finimondo e in poche ore io ero stata chiamata per presentarmi al dirigibile di Monsieur, da lui usato quando si doveva parlare di qualcosa di delicato perché, sospesi in aria, c’era meno pericolo di essere spiati.
-Noi chiediamo il tuo aiuto, Annette – disse.
-Sono fuori dal giro da un po’ – mormorai –non so se sono in grado di affrontare un caso simile-
-Tu sei la migliore, abbiamo sentito tutti la tua mancanza-
E io avevo sentito la loro. Circa sei mesi prima avevo avuto un violento incidente mentre percorrevo Plaze de la Concorde con la carrozza a vapore. Il meccanismo che la faceva frenare si era bloccato e quella era finita contro uno degli edifici. Mi ero salvata per un puro miracolo, ma da allora non riuscivo a tenere ferme le mani, i medici avevano parlato di un danno al cervello e non erano stati ottimisti al riguardo, probabilmente non sarei più stata in grado di usare con precisione una qualsiasi arma. Monsieur si era subito premurato di avviare le indagini necessarie per accertarsi che non si trattasse di un sabotaggio ai miei danni, ma nulla aveva fatto pensare che fosse qualcosa di diverso da un incidente. Buffo, avevo affrontato mille casi difficili e poi per poco non morivo in una carrozza. Edouard avrebbe detto che se ne avessi presa una trainata da cavalli non sarebbe mai successo.
-La faccenda è molto complicata, Miss Grace – disse l’inglese, fissandomi –è necessario che si trovi in mano all’agente migliore-
Annuii. Ma io ero ancora la migliore? –Perché coinvolge anche l’Inghilterra?- domandai.
-Penso che voi siate al corrente degli omicidi che hanno sconvolto Londra solo qualche mese fa-
-Certo, Jack lo Squartatore, scomparso nelle tenebre a quanto si dice-
-Non proprio, noi della Polizia Segreta sospettiamo che ci sia ben altro sotto gli omicidi e questo ci è stato confermato esattamente una settimana fa: è arrivata una lettera in cui si annunciava che sarebbe stata attentata alla vita della regina Vittoria, la calligrafia era molto simile a quella delle lettere dell’assassino di prostitute e in esso si trovava anche una minaccia all’Esposizione-
-L’attentato alla regina c’è stato?- domandai.
-Per ora no, ma le calligrafie delle lettere sembrano corrispondere ad un’unica persona-
Monsieur fece segno ad Andromeda, l’automa che lo serviva, di avvicinarsi. –Volete qualcosa da bere?- chiese.
-No, grazie- dissi, non volevo che vedessero le mie mani tremare.
-Un whiskey- dichiarò invece l’agente Cooper, prima di continuare –chiunque sia il criminale spetta all’Inghilterra e alla regina il compito di punirlo-
-Questo è ancora da vedere- fu la secca risposta di Monsieur.
-C’è già qualche possibile colpevole?- chiesi, capendo bene quanto sarebbe stata inutile una lite tra i due.
-Nessuna prova che possa condurre a un soggetto in particolare- disse l’inglese.
-Noi un sospetto ce l’abbiamo- intervenne Monsieur –il dottor Jacques Germain, ben noto a Parigi -
-Non sarebbe la prima volta che cerca di sabotare qualcosa- mormorai. Circa due anni prima aveva fatto deragliare un treno. Del caso non mi ero occupata personalmente, intenta in un affare di spionaggio con la Germania, ma ne avevo sentito parlare spesso. Alla fine nessuno era riuscito a trovare abbastanza prove per condannare il dottore e così lui si trovava libero di fare quello che preferiva.
-Inoltre il dottor Germain è un fautore della monarchia, colpendo l’Esposizione potrebbe voler colpire il centenario della presa della Bastiglia- disse Monsieur.
Un possibile movente, erano infatti previsti festeggiamenti per il centenario e anche la costruzione di una piccola Bastiglia.
-Di Jack lo Squartatore si era sospettato che avesse conoscenze anatomiche approfondite, se è un dottore, questo spiega … - iniziò l’agente Cooper.
-Oh no- lo interruppi –lui è un dottore nel senso di scienziato, non un vero medico-
L’automa tornò in quel momento, portando un whiskey e uno scotch.
-Comunque direi che si può partire indagando su di lui- dissi e proprio in quel momento notai qualcosa di nero correre per terra. Rapida lo colpii con la punta dello stivaletto. La cosa si ribaltò e potei vedere che era un ragno con degli ingranaggi laddove avrebbe dovuto esserci la pancia. –Abbiamo una spia- annunciai. Non vedevo più un ragno spia da quando avevo iniziato a lavorare nei Servizi, ormai non vengono più usati perché troppo delicati e visibili. La scoperta innervosì Monsieur che aveva sempre professato la totale sicurezza del dirigibile. Schiacciai il ragno con la punta dello stivaletto e sentii gli ingranaggi cigolare e poi cedere sotto il mio peso.
-Chiunque ci stesse ascoltando ha sentito fin troppo- commentò l’inglese.
Non potevo certo dargli torto. –Dovremo essere più prudenti in futuro- sussurrai.
-Noi inglesi siamo sempre prudenti, Miss Grace -
Non mi piaceva quell’uomo, troppo inglese. –Dovremo lavorare insieme quindi- dissi.
-Esatto, miss Grace, e sono ben lieto di poter lavorare con una ragazza come voi-
Ragazza, mi aveva chiamata ragazza, come a sottolineare la mia giovane età. Sapevo bene come mi vedeva la gente. Una ragazza dal pallore perlaceo, con sopracciglia arcuate, capelli corvini sempre raccolti in uno chignon. Una ragazza da non prendere sul serio. Nemmeno Eduard mi aveva mai presa sul serio. Prima mi aveva chiesto di fidanzarci, mi aveva coperta d’attenzioni, mi aveva resa felice anche se non lo amavo. Poi all’improvviso aveva mandato all’aria tutto e ora era fidanzato con un’altra. Mia madre aveva sentenziato con un odioso: “te l’avevo detto”. Io ci ero rimasta decisamente male.
-E io sono ben lieta di lavorare con voi, agente Cooper - dissi io, sorridendo.

M’incamminai lungo la strada. Maestosa la torre che stavano costruendo per l’Esposizione si stagliava contro il cielo scuro per lo smog. Dischi sospesi a mezz’aria sostenevano gli operai. Era impressionante vedere quell’opera imponente che veniva costruita pezzo per pezzo. E ancora più impressionante osservare la gente che passava lì intorno, tranquilla, le carrozze trainate da cavalli che percorrevano la strada, la monorotaia, tutto come se non ci fosse il rischio che da un momento all’altro ogni cosa finisse. Passai accanto a una coppia, marito e moglie, lei in un bell’abito bianco, così in contrasto con il nero della città, quasi un simbolo di purezza. Alzai la testa e osservai le bandiere della Francia che si muovevano al vento. Sospirai ed estrassi il Comunicatore, una scatola a vapore. Rapida digitai il numero di Victoria, mia amica d’infanzia nonché agente segreto a Londra.
-Ehilà- esclamò lei – Annette, è una vita che non ti sento-
-Potrei dire lo stesso di te-
-Hai pienamente ragione- disse, ridacchiando.
-Comunque un modo per farsi perdonare c’è-
-Quale?-
-Mi servono informazioni sull’agente Thomas Cooper -
Ci fu un attimo di silenzio.
-Victoria?- la chiamai.
-Ho sentito- disse lei –hai detto Thomas Cooper?-
-Esatto, cosa sai di lui?- domandai, sapendo già che la risposta non mi sarebbe piaciuta.
-Perché t’interessa?- Perché me lo chiedeva? –Devo lavorare con lui a un caso … c’è qualcosa che non va?-
-Nulla di grave, non di certo almeno- la sentii borbottare qualcosa.
-Non ti sento-
-Dico che devi stare attenta-
-Perché?-
-L’agente Cooper non è ben visto qua, un suo collega è morto in modo misterioso, hanno sospettato di lui all’epoca dei fatti-
-Un presunto assassino?-
-Non c’erano vere prove, ma forti sospetti-
-Del tipo?-
-Conto sulla tua discrezione: hanno trovato la sua pistola sulla scena del crimine-
Mi sentii mancare. –E perché non l’hanno arrestato?-
-Aveva denunciato il furto della pistola il giorno prima dell’omicidio-
-Forse era premeditato- mormorai.
-Oppure non era colpa sua- disse con voce poco convinta.
-Apprezzo le tue rassicurazioni, ma so bene che non è così- sospirai –cosa posso fare?-
-Nulla, stai solo attenta-
-Certo, non sei tu quella che deve lavorare con un assassino-
-Probabile assassino-
-Chissà perché la cosa non mi consola minimamente-
-Non consolerebbe nemmeno me al tuo posto, ma cerca di non dargli l’impressione che sai altrimenti è molto peggio, credimi-
Più facile a dirsi che a farsi. –Va bene, ci sentiamo-
-Fammi sapere se c’è qualcosa di vero nella storia dell’assassino-
-Certo, certo- riattaccai. Bene, anche un sospetto omicida come collega. Quel caso sarebbe stato arduo. Per ora comunque avevo in mente un piano: andare a trovare il dottor Jacques Germain nel suo laboratorio e iniziare a fargli qualche domanda, giusto per tastare il terreno. La cosa buffa era che si trovava proprio vicino al luogo dove si sarebbe tenuta l’Esposizione … caso? No, non ci credevo. Trovai l’edificio, vecchio e quasi decadente. Rapida andai alla porta e cercai inutilmente la targhetta con il nome del dottore. Poco distante c’erano due signori che stavano discutendo circa l’introduzione dell’elettricità che si sarebbe avuta all’Esposizione.
-Ridicolo, nulla potrà superare il vapore-
-Scusate- intervenni io –sapete per caso dirmi se qui lavora ancora il dottor Germain?-
I due si guardarono come se la cosa li sorprendesse. Fu il più anziano, un uomo alto con folti baffi bianchi, a parlare. –Non lavora più qui da molto tempo-
Mi sentii gelare. –Sapete dove si trova ora?-
Entrambi scossero la testa.
-Grazie comunque- feci per andarmene.
-Aspettate-
Mi voltai, questa volta era stato l’uomo più giovane a parlare. Probabilmente erano padre e figlio.
-In realtà penso che non abbia più un laboratorio, probabilmente lavora direttamente a casa ora-
-Ah … sapete per caso dove abita?-
E il giovanotto mi diede tutte le indicazioni del caso. Lo ringraziai con il mio migliore sorriso. Il luogo indicatomi era troppo lontano per andarci quella sera stessa anche perché il cielo cominciava a diventare scuro. Prima di proseguire lanciai un’ultima occhiata alla torre che ora sembrava molto simile allo scheletro di una piramide di ferro. Inquietante e maestosa al tempo stesso.

Fui svegliata da un urlo. Sbattei le palpebre e restai un attimo immobile nel letto, quindi mi alzai, barcollando leggermente. Un altro urlo, più acuto di quello precedente. Sembravano grida di donna. Grida lamentose. Mi affacciai alla finestra, in camicia da notte. Le mani dovettero tentare un paio di volte prima di riuscire ad aprirla, quindi allungai la testa nel gelido inverno parigino. Una figura pallida era rannicchiata a pochi metri dall’edificio. Sbattei le palpebre per abituarmi al buio. Era una donna dai lunghi capelli, vestita, nonostante il freddo, solo di un abito leggero. Altre persone erano affacciate per vedere cosa stesse succedendo. All’improvviso la creatura buttò indietro la testa e potei vedere due occhi rossi come braci e un viso che avrebbe fatto rabbrividire chiunque. L’essere, perché di donna non si poteva più parlare, balzò in piedi e corse via per sparire nelle tenebre.

-Strana storia- commentò l’agente Cooper quando accennai al fatto della notte precedente. Ci eravamo incontrati per parlare dei dettagli del caso in un ristorante vicino al Louvre. In realtà non sapevo esattamente perché gli avevo raccontato quella storia, ma non ne avevo proprio potuto fare a meno.
-Molto strana-
-Mi ricorda una leggenda irlandese- disse, giocherellando con le posate.
-Conoscete delle leggende irlandesi?- domandai.
-Certo, mia madre era irlandese e io ci ho anche abitato per qualche anno-
-Deve essere un bel posto- dissi, non sapendo cos’altro commentare.
-Pieno di vegetazione e superstizioni e tra queste c’è la leggenda della banshee- si spinse un po’ indietro con il busto –creatura che piangerebbe per annunciare la morte di qualche personaggio d’illustre stirpe, il suo urlo è molto particolare e subito riconoscibile e a sua imitazione è anche stato composto un inno funebre-
-Leggenda interessante- dissi, facendo girare il calice che avevo in mano –ma Parigi è molto distante dall’Irlanda -
-Forse non abbastanza … ci sono state delle apparizioni anche a Londra – sussurrò in modo appena udibile affinché potessi sentirlo solo io –strane donne che lavavano panni insanguinati, cani che trascinavano uomini in fossi senza fine, un cavallo che prediceva il futuro, tutto ricollegabile a leggende irlandesi-
-Parlate sul serio?-
-Mai stato più serio in tutta la mia vita- mi si avvicinò, sporgendosi sul tavolo –credetemi, questa storia non mi piace per niente-
-Se non avessi visto quell’essere ieri notte non vi crederei-
-Ma lo avete visto-
Annuii. Gli credevo, era questo il problema. –Mettiamo caso che questa folle storia sia vera, creature fatate che giungono a Londra e a Parigi, cosa facciamo?-
-Bella domanda, ma non ho nessuna risposta-
-E poi potrebbe non c’entrare con l’Esposizione-
-Certo, ma il tempismo sarebbe pessimo, non trovate?-
-Già- sospirai sconfitta.
-Comunque io conosco una persona che potrebbe aiutarci-
-Dite sul serio?-
-Si tratta di un mio vecchio conoscente, William Yeats, è uno studioso del folklore irlandese, vuole anche pubblicare dei libri al riguardo anche se dubito fortemente che avranno successo, comunque possiamo metterci in contatto con lui-
-Perché no?- intanto altre idee non me ne venivano in mente.

William Yeats era un giovanotto affabile e dal spiccato accento irlandese. Dopo aver scambiato qualche parola nella sua lingua madre con l’agente Cooper iniziò a parlare in un buffo francese.
-Buongiorno, Miss Grace, è un vero piacere fare la vostra conoscenza-
-Molto gentile, Mister Yeats -
-Le domande che mi ponete sono singolari- la voce usciva smorzata dal comunicatore –non si sente parlare spesso di una banshee che non solo non si trova su suolo irlandese, ma il cui grido inoltre è sentito da chiunque-
-Credetemi, la cosa rende ancora più sorpresa me che di esseri simili non avevo mai sentito parlare-
-Qui in Irlanda li conosciamo molto bene, la leggenda dice che siano fanciulle morte nel fiore degli anni destinate ad annunciare la morte dei componenti delle maggiori famiglie-
-E una sua comparsa significa lutto?-
-Potrebbe, ma da quanto ho sentito non è la sola creatura che è apparsa-
-Lo scorso novembre a Londra un uomo è venuto a denunciare la comparsa di un cavallo parlante- intervenne Cooper.
-Si tratta molto probabilmente del pooka, folletto che ama prendere la forma di animali e che compare a novembre, se di buon umore può svelare il futuro a chi glielo chiede-
Ma come potevo credere a quelle storie? Forse ero impazzita, sicuramente l’incidente non mi aveva danneggiato solo le mani ma anche la testa se pensavo che un cavallo potesse davvero andare in giro a predire il futuro. Pura follia. Eppure la donna urlante, qualsiasi cosa fosse, l’avevo vista anch’io, su questo non potevo proprio dubitare.
-E cosa potrebbe significare tutto questo?-
-C’è qualcosa che li ha attirati prima a Londra e ora a Parigi – la voce sembrava un po’ più distante.
-Non procedere per enigmi, arriva al punto- disse Cooper, spazientito.
-Una strega, ecco cosa potrebbe averli attirati lì-
Ci mancava solo una strega in tutta quella storia assurda. –E come si uccide una strega?- chiesi, anche se quella domanda suonava incredibile.
-Dipende dalle storie, ci vorrebbe il suo sangue oppure … alcune leggende dicono che se si conosce il vero nome di una persona la si ha in proprio potere, proprio legata a questo c’è una storia che dice che chiunque si dedichi alla magia non può mentire sul proprio nome, ma deve usare dei trucchi per nasconderlo [1] -
Il vero nome? Saperlo. –Una pugnalata nel cuore sarebbe più semplice- -
Avvicinarla, Miss Grace, sarà molto difficile-
-Ci dobbiamo provare … e comunque io ho un’idea su dove andare- dissi, folgorata da un’improvvisa intuizione –se vuoi trovare un super cattivo devi rivolgerti a un altro super cattivo-
-Non vi seguo, Miss Grace – disse Cooper, guardandomi.
-Dobbiamo recarci in un posto- dissi senza riuscire a sopprimere un sorriso.

La carrozza sobbalzò sulla strada discostata. Al mio fianco l’agente Cooper si tenne al sedile e mormorò qualcosa in inglese che non riuscii a capire ma che intuii essere un’imprecazione.
-Manca ancora molto?- mi chiese.
-Dovremmo essere quasi arrivati- dissi io, spostando la tendina per guardare la strada. Il sole era tramontato e la via era buia. All’improvviso la carrozza si fermò con un sobbalzo e sarei caduta in avanti se Cooper non mi avesse afferrata per un gomito.
-Grazie- mormorai
-Dovere, Miss Grace -
No, quella era pura cortesia. Gli sorrisi e ottenni un suo sorriso come risposta.
-Io oltre a qui non vado- disse il cocchiere.
-Sono disposto a pagare di più- disse Cooper.
-Mi dispiace, ma oltre a questo punto non mi avventuro-
-Non importa- sussurrai all’inglese –non è molto lontano da qui-
-Certo, ma non è modo- commentò Cooper prima di pagare e scendere dalla carrozza.
Mi apprestai a fare lo stesso, ma non riuscii quasi a tenermi al bordo del veicolo a causa del tremore alle mani. Ispirai a fondo, spesso era l’agitazione a peggiorare la situazione.
-Volete una mano, Miss Grace?- chiese Cooper e notai il suo sguardo sulla mia mano.
-No, io … -
Lui fu più rapido e mi tenne per il braccio per darmi un sostegno. Il suo tocco mi fece sorridere, era gentile e saldo al tempo stesso. –Siete un vero cavaliere- dissi.
-Non esagerate, Miss Grace, non sono così gentile con tutte- e con un leggera risata si voltò e s’incamminò lungo la strada.
-In realtà è dall’altra parte- affermai, ridacchiando.
Cooper fece un giro su se stesso, lo sguardo azzurro sorpreso, poi si strinse nelle spalle –a volte l’istinto sbaglia-
-Già- anche il mio istinto aveva sbagliato consigliandomi di accettare la proposta di fidanzamento di Eduard. Un modo per iniziare una vita tranquilla con un uomo che pareva amarmi, lontana da assassini e folli. Mi sforzai per scacciare il pensiero e proseguire, avevo un compito da portare a termine.
Il dottor Jacques Germain abitava in una delle zone più degradate di Parigi, una di quelle in cui una signorina per bene non sarebbe mai passata. L’agente Cooper, al mio fianco, teneva la pistola stretta in pugno, pronto a usarla.
-Posto molto accogliente- commentò.
-Non tutta la città è così-
-Posso ben immaginare- -
Nemmeno Londra è tutta bella- borbottai. Avevo freddo.
-Siete stata a Londra?- chiese lui, apparentemente sorpreso.
-Ci ho vissuta da bambina, mia madre è inglese- -Non l’avrei mai detto- mormorò lui.
-Perché?- chiesi improvvisamente curiosa.
-Non avete l’aria di un’inglese, tutto qua, sembrate in tutto e per tutto francese-
-Spero che questo sia un complimento- esclamai, fingendomi indignata.
-Il migliore che potessi farvi, credetemi- si fermò un attimo e con la mano si tolse il mantello che teneva sulle spalle.
-Cosa fate?- chiesi, subito guardinga.
-Non avete freddo?- chiese lui con un sorriso –Avrei giurato che stesse congelando-
-Effettivamente un po’ freddo ce l’ho- ammisi.
Cooper non aggiunse altro e mi depositò sulle spalle il mantello. Afferrai i lacci per legarmeli, ma a causa del tremore delle mani l’impresa risultò parecchio complessa.
-Questo però non è solo freddo- commentò Cooper, mettendo via l’arma e allacciandomi rapidamente il mantello.
-Mai depositare l’arma in un luogo a rischio-
-Mai lasciare una fanciulla in difficoltà senza aiuto- mi sorrise. Un bel sorriso, con denti dritti e bianchi. E una bella bocca, con la labbra carnose. Deglutii e cercai di non guardarlo negli occhi, anche se sapevo bene che da un possibile nemico non bisogna mai distogliere lo sguardo. –Cosa vi è successo?- chiese lui con voce dolce.
Per un attimo presi in considerazione l’idea di essere brusca, di rispondergli chiedendogli cosa in fondo gli importasse, ma poi sospirai. –Un brutto incidente- dissi solo.
-Mi dispiace- mormorò e mi parve molto più sincero di tutti quelli che me l’avevano detto fino a quel momento.
-Sono cose che succedono- bisbigliai.
Cooper aprì la bocca come se mi volesse dire qualcosa, poi tacque. -Andiamo- dissi allora io.
Lui annuì ed estrasse nuovamente la pistola. –Non vorrei far aspettare questo psicopatico, magari si arrabbia-
Mi sfuggì una risatina e c’incamminammo fianco a fianco lungo quella strada triste e buia. Dovevo ammettere che quell’inglese mi interessava sempre di più. Mi mordicchiai le labbra e mi tirai indietro i capelli. Non mi sentivo più così da quando Eduard aveva iniziato a corteggiarmi. Quasi non mi accorsi quando giungemmo a destinazione.
-Siamo arrivati- dissi.
La casa si mostrava decadente, un posto disabitato. Mi mordicchiai le labbra. Non era un luogo rassicurante. Io e Cooper ci lanciammo un’occhiata, quindi lui si fece avanti e bussò alla porta. Il suono delle nocche sul legno rimbombò nella via deserta. Mi guardai intorno, temendo che potesse uscire una creatura dall’ombra. Non successe nulla.
-Non c’è nessuno- disse Cooper, ma aveva appena finito la frase che si sentirono dei passi all’interno della casa. Uno spioncino si aprì con un sinistro cigolio.
-Desiderate?- chiese una voce.
-Siamo agenti del governo- disse Cooper, senza specificare –desidereremmo fare qualche domanda al dottor Jacques Germain -
Lo spioncino si richiuse e per un attimo temetti che non ci avrebbe fatto entrare, poi la porta si aprì, mostrando un uomo vecchio e pallido. Ci scrutò con i suoi occhietti piccoli e attenti, come se volesse analizzarci, poi si fece in disparte. –Se volete entrare-
Cooper entrò per primo, quindi lo seguii io. Eravamo pronti a qualsiasi cosa potesse succedere e soprattutto eravamo decisi a combattere. L’interno della casa era decorato con statue rappresentanti figure mostruose. La parete era tappezzata da una carta da parati scura, che rendeva l’ambiente più piccolo di quanto in realtà già non fosse.
-Siete voi Jacques Germain?- chiese Cooper.
-In persona- rispose l’uomo, chiudendo la porta e superandoci –venite-
Ci condusse in un salottino misero con due divani logori e un tavolino che un tempo doveva essere stato lucente, ma che ora era opaco. Lo scienziato si accomodò senza una parola e noi lo imitammo sul divano di fronte. Avevo immaginato una casa diversa, meno degradata, non so, magari con qualche elemento particolare che svelasse l’identità del suo proprietario, ma non c’era nulla in quel luogo che potesse far pensare che era abitata da un inventore.
-Vi offrirei qualcosa da bere, ma non penso che incontrerei i gusti di Madameiselle Grace – disse l’uomo.
Aggrottai le sopracciglia. –Come conoscete il mio nome?-
-Siete uno degli agenti segreti più conosciuti di Parigi, penso che dipendi principalmente dal fatto che siate una donna, ditemi perché avete fatto questa scelta? Perché non avete scelto di essere una fanciulla dedita solo alla casa?-
Cooper fece per intervenire, ma io lo fermai con un gesto. –Se io sono sincera con voi, dovrete promettere che voi sarete sincero con noi-
Lo scienziato esitò un attimo, poi annuì.
-Non siete costretta a farlo- mi sussurrò Cooper.
-Lo so- mi mordicchiai le labbra –mio padre era un agente segreto- dissi –da bambina mi portava sempre con sé, è stato lui che mi ha insegnato come si usa un’arma, l’ho fatto per lui, perché so che avrebbe preferito un figlio maschio e invece sono nata io-
-Vostro padre deve essere molto orgoglioso di voi-
-Lo spero, anche se non è possibile chiederglielo ora-
-Mi dispiace- disse Germain, comprendendo il significato delle mie parole –posso chiedervi com’è successo?-
-Una caduta da cavallo- ed era questo il motivo per cui io non andavo più a cavallo.
-Follia fidarsi di un animale- disse l’uomo, tradendo un accento, forse tedesco –le macchine sono il futuro, più precise, meno distruttive-
-Su questo punto sbagliate, ho avuto un incidente con una carrozza a vapore giusto sei mesi fa- dissi con un leggero sorriso.
-Questa è la causa del tremore?-
Mi sentii avvampare. Lo aveva notato? Era così facilmente visibile?
-Non è affar vostro- disse Cooper.
-Io posso aiutarvi, Madameiselle Grace -
-Ora tocca a voi rispondere alle domande- continuò Cooper, la voce incrinata dalla rabbia.
-Posso fermare il tremore, posso permettervi di combattere, posso fare di voi una vera arma da guerra- insisté lo scienziato.
-Basta!- urlò Cooper con tono autoritario –Ora siamo noi a fare le domande!-
-Sta a voi decidere, Madameiselle Grace … adesso sono disposto a rispondere a tutte le vostre domande-
Approfittai subito per cambiare discorso. –Sono state ricevute delle lettere in cui si parlava di un attacco all’Esposizione- esordii.
-E avete subito pensato a me?-
-Questa è la prassi- anticipai Cooper.
-Capisco … io non c’entro nulla con questa storia-
-Ma forse sapete qualcosa-
-Questo è possibile- sorrise, un sorriso che mi mise i brividi addosso. Non dubitavo che quell’uomo fosse stato accusato dell’attentato al treno, c’era qualcosa in lui di tremendamente sospetto.
-Vi ricordo che avete promesso di essere sincero- disse Cooper. Gli lanciai un’occhiata. I suoi occhi azzurri brillavano come se dietro ci fosse un fuoco ardente.
-Non conosco il suo nome, ma so ci sono strane voci in giro, si parla di stregoneria-
-E voi credete alla stregoneria, dottor Germain?- chiese il mio collega, spingendosi avanti con fare intimidatorio.
-Voi siete giovane, agente, se aveste vissuto quanto me sapreste bene che questo mondo riserva molte sorprese e poche di esse si rivelano piacevoli- sorrise –io però sono fiducioso-
-Al riguardo di cosa?-
-Del fatto che la scienza superi ogni cosa-
-Anche la stregoneria?- mormorai.
-La stregoneria appartiene al passato, la scienza al futuro, e il futuro vince sempre-
-Mi piacerebbe proprio sapere come la scienza possa sconfiggere la stregoneria- borbottò Cooper.
-Ho fatto degli esperimenti e io posso aiutarvi- lo sguardo dello scienziato era fisso su di me –Madameiselle Grace, io posso fare di voi una vera macchina da guerra-
Mi sentii rabbrividire. Perché io? E poi i suoi occhi si spostarono sulle mie mani tremanti. Ora sapevo perché.
-A Miss Grace non serve essere trasformata in una macchina da guerra- intervenne Cooper, con fare protettivo.
-Questo non sta a voi deciderlo- disse l’uomo, lo sguardo fisso su di me –anche perché forse non esiste altro modo per sconfiggere la creatura che vi ha mandato quella lettera-
-Cosa volete fare?- domandai, curiosa.
-Ho una macchina che potrebbe esservi utile, ma dovrò renderla un tutt’uno con voi, posso comunque assicurarvi un successo-
Fidarmi? Non era forse pura follia? Scossi la testa. –Mi dispiace, ma non penso che sia necessaria una misura così drastica- non ancora almeno.
-Pensateci bene, Madameiselle Grace, quest’occasione può essere l’unica che avrete-
-Andiamo, Annette – disse Cooper alzandosi.
Restai sorpresa dal fatto che usasse il mio nome di battesimo, poche persone con cui avevo lavorato lo avevano utilizzato. Nonostante ciò mi alzai. Non mi fidavo dello scienziato. Non mi fidavo di nessuno in realtà.
-Vi prego di pensare alla mia proposta- disse Germain mentre noi uscivamo dalla stanza.

Camminavamo fianco a fianco senza parlare. La mano sinistra di Cooper era posata sul mio gomito, un sostegno e una guida in quella notte buia e solitaria.
-Sarà difficile trovare una carrozza da queste parti- mormorò.
-Credo che troveremo qualcosa alla fine della via-
-Lo spero, questo posto non mi piace- voltò leggermente la testa verso di me, quindi tornò a guardare di fronte a sé –cosa ne pensate di quest’incontro?-
-Non so, non penso che lui c’entri qualcosa-
-Però sa-
-Forse tra cattivi si riconoscono- dissi, ridacchiando.
-Forse … non avrete intenzione di accettare la sua proposta, vero?-
Non risposi subito e mi limitai a camminare, ascoltando il rumore del ticchettio dei miei tacchi contro il marciapiede. Non potevo accettare. Già, ma da non potere a non volere la strada era lunga.
-Non accetterete?- insisté Cooper, insistente come un avvocato.
-No- mentii –non accetterò-
- Quell’uomo non mi piace e io raramente sbaglio-
-Non piace nemmeno a me- dissi e fui sollevata dal vedere in fondo alla strada una lanterna che illuminava una carrozza. Era la stessa che ci aveva portati. –La nostra salvezza per tornare a casa- dissi, sforzandomi di sorridere.
-Meglio raggiungerla allora, prima che sparisca nelle tenebre-
Aumentammo il passo e fui ben lieta che l’argomento precedente fosse caduto nell’oblio. Lasciai che Cooper mi aiutasse a salire in carrozza, quindi mi abbandonai contro il sedile. Improvvisamente mi sentii stanca. Percepii l’inglese accomodarsi al mio fianco, lo sentii assumere una posizione più comoda, quindi dare un indirizzo al cocchiere.
-Miss Grace?-
-Sì?-
-Mi scuso per avervi chiamato per nome prima-
-Non importa- dissi sorpresa.
-Non so, mi è venuto naturale, non ci ho pensato neppure un attimo-
-Non mi sono offesa- dissi, girando la testa per guardarlo negli occhi.
-Ne sono lieto- disse con un sorriso
Sorrisi anch’io. Mi tirai indietro una ciocca di capelli. –Se volete chiamarmi Annette in privato potete farlo- mormorai.
-Bene, Annette, puoi chiamarmi Thomas -
Annuii, ricordandomi improvvisamente di come Eduard mi aveva parlato quando mi aveva proposto il fidanzamento. Molto più impacciato dell’agente Cooper e molto meno affascinante, ma anche lui mi aveva chiamata per nome. Annette. E io avevo sorriso proprio come stavo facendo in quel momento. Ma quel tempo ormai era passato. Nel retro di quella carrozza tra me e l’agente Cooper, o meglio Thomas, si era istaurata un’intimità che presto sarebbe terminata. E poi lui se ne sarebbe andato una volta terminato il caso, lasciandomi sola proprio come aveva fatto Eduard. Ero destinata alla solitudine.
-Mi permetti di essere indiscreto?- domandò.
-Dipende quanto-
-Voi immaginate la vostra vita sempre così? Intenta a rincorrere i cattivi?-
Risi. –No, un giorno lascerò questo lavoro … sempre se trovo qualcuno disposto a sposarmi- quest’ultima frase fu una sorta di provocazione, volevo proprio sentire cosa mi avrebbe risposto.
-Non penso che quest’ultimo punto sia difficile da soddisfare-
-Non a tutti piace avere come moglie un ex agente segreto- nemmeno Eduard ne era rimasto felice quando lo aveva scoperto. Per lui ero solo una ragazzina dolce e indifesa, non poteva concepire che sapessi usare un’arma e conoscessi segreti di Stato.
-Non a tutti gli uomini piace sposare una vera donna, molti preferiscono una bambolina-
Aveva ragione. –Diciamo che le bamboline sono molto ambite-
-Delusa in amore?-
Esitai un attimo. Confidarmi? In fondo era un semplice sconosciuto. Ma poi cedetti. –La parola amore in questo caso è un po’ esagerata, fu un semplice fidanzamento-
-Un uomo molto fortunato-
Avvampai. Perché mi sentivo in imbarazzo con lui? –Un uomo poco stabile, direi, ha rotto il fidanzamento dopo due mesi-
-Folle-
-Solo calcolatore, non appena ha saputo del mio lavoro, beh, è andato su tutte le furie, mi ha detto che non si adatta a una fanciulla e via dicendo- mi strinsi nelle spalle. Le donne lavoravano nei servizi segreti da sempre, non c’era nessuna novità, io non ero la prima e non sarei stata neppure l’ultima.
-Ripeto, un folle-
Sorrisi. Mi sentivo bene con lui, a mio agio. Più che con Eduard.
La carrozza sobbalzò e si fermò. Eravamo arrivati. Thomas pagò, quindi mi aiutò a scendere come aveva fatto all’andata.
-Abitate qui vicino?-
Eravamo laddove si sarebbe tenuta l’Esposizione. Lo scheletro della grande torre ci fissava. –Abbastanza, a circa un isolato-
-Vi accompagno-
-Non è necessario-
-Sì, invece, c’è poca gente in giro, è pericoloso-
-Se insistete-
-Se insisti- mi corresse e mi offrì il braccio.
C’incamminammo lungo il marciapiede. Era una sera tiepida nonostante fosse inverno. Il cielo era nuvoloso e un grande dirigibile volava proprio sopra le nostre teste.
-Ho sentito che all’Esposizione ci sarà una riproduzione della Bastiglia – disse Thomas.
-Oh sì, per il centenario della Rivoluzione- esclamai –anche se non penso che verrà molto apprezzato- avevo sentito molte polemiche al riguardo. Forse l’attentatore in realtà era mandato da un qualche monarca che non vedeva di buon occhio questa iniziativa. Non espressi però questo pensiero, dopotutto Cooper lavorava per una regina e questo non potevo dimenticarlo, nonostante quello che pensavo di lui.
-Un elogio a molto sangue versato, non mi sembra una cosa esaltante-
Non commentai, dopotutto non potevo del tutto dargli torto, anche se per me la presa della Bastiglia era prima di tutto un gesto di liberazione da parte dei francesi.
- Annette – esclamò una voce familiare e il mio cuore ebbe un tuffo.
Di fronte a me c’era Eduard. Non era cambiato molto dall’ultima volta in cui lo avevo visto. Stessa pettinatura da dandy, stessi abiti neri, stesso mantello ampio, stesso bastone da passeggio con il serpente argentato. Sfortunatamente però questa volta aveva un’accompagnatrice. La squadrai come solo una donna furiosa può fare. Bionda, alta, occhi azzurri sbarrati, un abito di mussolina bianco, un nastro verde intorno alla vita non sottile, guanti in pizzo. Nel complesso sembrava una bambola.
-Messer Grange – mormorai.
-Da quando sei così formale?- chiese Eduard, puntando lo sguardo su Thomas. Il mio compagno di passeggiata lo fissò con i suoi occhi che sembravano di ghiaccio. –E chi è questo tuo amico … il tuo nuovo fidanzato?-
-Non sono affari vostri, Mister Grange – rispose Thomas con voce fredda.
-Era solo per fare conversazione- rispose lui, offeso –comunque questa è Liejutte, mia futura sposa- e questa volta puntò lo sguardo su di me.
La ragazza mi sorrise, un sorriso finto, come quello di una bambola. Per un attimo dubitai che potesse comunicare. –Con chi ho l’onore di parlare?- chiese poi con voce oltremodo finta, smentendo la mia ipotesi.
Era necessario che mi presentassi? Per nulla. –Nessuno d’importante- dissi, quindi tirai di lato Thomas e proseguii lungo la strada.
-Un vecchio conoscente?- mi chiese Cooper.
- All’incirca – scossi la testa –hai avuto il dispiacere di conoscere il mio mancato marito-
-Quel damerino?-
-Non farmelo notare, è già abbastanza penoso così-
-Ma poi che bastone ha?- chiese ridendo.
-Quello lo ha ereditato dal padre che a sua volta lo ha ereditato da suo padre e via dicendo, un vero obbrobrio-
Ridemmo insieme.
-Credimi, quel bastone lo ha comprato a poco prezzo-
-Dice che il serpente è in oro bianco-
-Come la sua testa-
Ridemmo ancora più forte e le nostre risate rimbombarono nella strada vuota. Improvvisamente mi resi conto che da molto tempo non mi sentivo così bene, così a mio agio con me stessa e con il mondo che mi circondava. Mi dispiacque quando arrivammo davanti a casa mia.
-Vuoi che ti accompagni fin dentro?- mi chiese lui.
-No, c’è mia madre in casa- e non aggiunsi che non le sarebbe piaciuto sapere che avevo concesso a un uomo appena conosciuto di chiamarmi per nome.
-Ci vediamo domani?-
-Certo- anche perché il caso non era ancora risolto e questa era un’ottima scusa per passare del tempo con lui. Per un folle attimo immaginai che mi avrebbe baciata, là, sulla porta di casa, come due amanti. Si limitò invece a farmi il baciamano, ma la cosa non mi dispiacque comunque. Entrai in casa sotto il suo sguardo attento e l’osservai incamminarsi lungo la strada da dietro una finestrella. Il suo portamento era dritto, fiero. Mi piaceva.
La voce di mia madre che mi chiamava mi fece sobbalzare. Rapida tirai la tenda e mi voltai.
-Sì, sono io, maman - dissi e salii rapidamente le scale.

Altre urla squarciarono la notte. Questa volta non mi alzai per controllare. Non riuscivo a prendere sonno e continuavo a pensare a quello che era successo quella sera, a Thomas, che conoscevo così poco eppure mi piaceva così tanto, a Eduard, mio vecchio amore, alla sua fidanzata, così bionda e così rosea, a Jacques Germain, quel vecchietto che mi aveva fatto quella proposta, diventare un’arma vivente. Non sarebbe stato poi così male. Ma no, non dovevo pensarci, probabilmente era solo un modo per ingannarmi. Ma se c’era anche solo una possibilità … no, non dovevo proprio pensarci. Mi rigirai nel letto. La luce della luna filtrava tra le tende della finestra. Le urla diventavano sempre più acute. Evitai di chiudere gli occhi altrimenti avrei rivisto quella parodia di donna che ululava nei miei ricordi. Infilai la testa sotto il cuscino, sperando così di attutire il suono, ma quelle grida erano davvero laceranti. Quanto doveva soffrire quella creatura per urlare in quel modo e sicuramente doveva avere un gran mal di gola. Io dal canto mio avrei solo desiderato trovare requie nel sonno, soprattutto perché nella solitudine della notte iniziavo a pensare che in fondo la proposta fattami dallo scienziato non fosse così assurda, che forse era l’unico modo per uscire da quella situazione. Sospirai. Dubitavo che il sonno quella notte sarebbe venuto. Scivolai giù dal letto. Le urla della creatura finalmente erano finite. Scalza, con i piedi nudi a contatto con il pavimento gelido, andai alla finestra, dove mi sedetti sul davanzale. La notte era buia e mi metteva addosso una strana tristezza. Dovevo fare qualcosa, dovevo risolvere quel caso, dovevo sentirmi nuovamente utile, altrimenti sarei impazzita. Appoggiai le mani contro le mie ginocchia. Tremavano visibilmente anche così. Distolsi lo sguardo e fissai la strada buia, chiedendomi che tipo di creature potesse mai nascondere. E fu scrutando l’oscurità che presi la decisione finale. Mancava poco all’alba quando uscii di casa, stretta nel mio pesante mantello. Avevo un obiettivo, questo era già qualcosa.

Il dottor Germain mi fece entrare senza chiedermi nulla, come se già sapesse che sarei venuta. Mi aiutò a togliermi il mantello e m’indicò una porta.
-Andiamo direttamente nel mio laboratorio- disse.
Entrai senza dire nulla.
-Non ci metteremo molto- mi rassicurò lui.
-Il tempo che serve- mormorai. Ormai non aveva più importanza. Mi sfuggì un sospiro. Il laboratorio era piccolo, con un enorme scaffale su cui si trovavano diverse ampolle e un lettino.
-Non sarà nulla di doloroso- continuò.
Nemmeno questo aveva importanza. Improvvisamente tutto aveva perso la sua importanza e io mi sentivo più sola che mai. –Devo sedermi?- chiesi indicando il lettino.
-Oh, no, mettetevi con le spalle verso di me, sarò da voi tra un attimo-
Ubbidii seppur svogliatamente. Non avevo altra scelta in fondo. Restai immobile ad aspettare l’imprevedibile. Ciò che seguì avvenne rapidamente. Mi fu appoggiato qualcosa sui fianchi e legato rapidamente, qualcosa di estremamente pesante.
-Ben presto non sentirete nessun peso- mi rassicurò il dottore con tono professionale.
-Lo spero, altrimenti mi verrà un bel mal di schiena- scherzai.
Mantenne la promessa. Poi passò alle mie mani. M’infilò dei guanti di metallo, simili ad artigli per bloccarne il tremore, quindi attaccò con dei pezzi di cuoio due lunghe lame ai miei polsi. Improvvisamente mi sentii bene come non mi sentivo più da molto tempo. Osservai le mie mani ora tenute immobili. Era strano vederle così ferme. Mi ritrovai a fissarle e a sorridere. Sembravo un automa, ma la cosa non mi dispiaceva per nulla.
-La scienza vincerà sulla magia- esclamò il dottore, osservandomi.
-Voi sapete qualcosa, vero?- domandai.
Lui sorrise. –In giro ci sono delle voci, si dice che una strega è arrivata a Parigi per colpire prima che Venere e Mercurio si uniscano nel cielo-
Aggrottai la fronte. –Un evento astronomico?-
-Sì, il mondo esoterico gli da strani significati, a parer mio non è nulla di così straordinario-
-Quando?- mormorai.
-Tra poche ore-
Mi sentii gelare. –Perché non l’avete detto subito?-
-Dovevo essere certo che sareste riuscita a sconfiggerla-
-E ora la sono?-
-Certo, i miei esperimenti vanno sempre a buon fine-
Avrei voluto fidarmi, ma raramente ciò che facevo io andava a buon fine. Il dottor Germain parve leggermi nella mente.
-Guardatevi allo specchio e poi mi direte cosa ne pensate-
-Dove trovo uno specchio?- domandai.
Per tutta risposta lo scienziato spostò una tenda e io mi potei vedere riflessa. Restai a bocca aperta, sorpresa, improvvisamente mi mancavano le parole. Non sembravo più io la persona specchiata lì. Dietro di me, allacciata alla vita da spessi nastri di cuoio, un’enorme coda di legno con in cima un enorme pungiglione d’acciaio. La cosa incredibile era che la sentivo come se fosse una parte di me.
-La potete anche muovere-
-Come?- mi sfuggì dalle labbra, ma in quel momento bastò che muovessi i fianchi perché la coda si muovesse. Non era pesante, anzi, era come se fosse una parte di me, un altro arto.
-Vi abituerete in fretta-
Sì, forse aveva ragione … ma io non avevo tempo per abituarmi. E proprio in quel momento sentii un enorme boato. –Devo andare- dissi.
-Aspettate, dovete fare un po’ di pratica-
-Non c’è tempo- dissi –dove ha colpito?- domandai, ma già lo sapevo e corsi fuori prima di ricevere la risposta.
-Aspettate, non potrete arrivare in tempo- urlò dietro di me lo scienziato. No, non potevo. Mi fermai improvvisamente consapevole che ero troppo distante.
-Possiamo usare il mio dirigibile- disse a quel punto il dottor Germain.
-Avete un dirigibile?- domandai sorpresa.
-Ho molte cose- fu la laconica risposta.
Qualche minuto dopo eravamo sul dirigibile, diretti sul luogo dell’attacco.

Il sole iniziava a sorgere quando arrivammo sul posto. Lo spettacolo che mi ritrovai davanti mi fece gelare il sangue dalle vene. Sfere di fuoco piovevano dal cielo e parte della torre in costruzione era stato incendiato. Nella strada un gran numero di persone correva su e giù, poliziotti puntavano le loro armi verso l’alto, senza sapere esattamente dove colpire. Nemmeno io, sebbene mi trovassi sul dirigibile, riuscivo a vedere da dove provenisse l’attacco. Fu il dottor Germain a indicarmi il punto. La strega si trovava sul tetto di uno degli edifici e da lì controllava il suo operato con un sorriso divertito. Indossava un lungo abito verde e aveva i capelli biondi racconti in uno chignon. Una maschera nera m’impediva di scorgerne i lineamenti, ma questo non aveva importanza. Ispirai a fondo e mi preparai a colpire. Avevo il cuore in goa e un vago senso di nausea. Una tremenda domanda mi opprimeva.
-Non temete, ce la farete-
Sobbalzai, sorpresa dalle parole dello scienziato. Era come se mi avesse letto nel pensiero. –Come potete esserne così sicuro?- domandai.
-Perché io ho fiducia nella scienza-
E come non averne fiducia anch’io? Ispirai a fondo e annuii. –Sono pronta- dissi solo.
-Ricordate che avete tutte le possibilità di farcela- affermò l’uomo prima di aprire la porta del dirigibile.
-Devo saltare?- chiesi, improvvisamente spaventata.
-Usate la coda-
La coda? Non pensavo che avrei mai sentito quella parola rivolta a me. Ispirai a fondo e mossi i fianchi affinché la coda si appoggiasse a terra. Un’altra profonda inspirazione e mi diedi la spinta necessaria per saltare giù. La sensazione di volare nel vuoto fu disorientante e terrorizzante. Atterrai sull’edificio che si trovava sotto il dirigibile. La caduta fu attutita dalla coda e solo in un secondo momento mi ritrovai a terra in ginocchio. Le lame che avevo agli avambracci si andarono a conficcare nel tetto, procurando due profonde ferite. Mi rimisi in piedi con qualche difficoltà.
-Guarda chi si vede- esclamò una voce melensa.
Alzai la testa e vidi la strega. Il suo sguardo mi fece rabbrividire. Non mi piaceva quella donna. Sorrisi e mi finsi sicura di me. –Finalmente c’incontriamo-
-L’agente Grace -
Come sapeva il mio nome? Ma aveva forse qualche importanza? Sì, ricordai, il nome in Irlanda aveva una sua importanza. Quindi la strega aveva un vantaggio su di me. Stranamente non ebbi paura della cosa, ero ben armata e pronta a reagire a qualsiasi attacco. Inoltre avevo una determinazione senza paragoni. Ispirai a fondo e mi preparai a colpire, muovendo la coda. La strega però fu più rapida. Fui gettata a terra con violenza. Un forte dolore mi percorse la schiena. Restai alcuni istanti immobile prima di riuscire a mettermi seduta.
-Agente Grace, è un piacere vedervi- disse la strega, fissandomi con lo sguardo scintillante.
-Come fate a sapere il mio nome?- chiesi tirandomi su con difficoltà.
-So molte cose io- disse lei, ridacchiando –per esempio so che avete avuto un grave incidente, talmente grave da rendere impossibile qualsiasi vostro futuro nello spionaggio attivo-
Mi sentii gelare, ma in fondo la cosa non era poi così strana, il fatto era su tutti i giornali quando era successo. E anche il mio nome non era in fondo così segreto, avevo partecipato a qualche evento pubblico. Però da nessuna parte c’era scritto che a causa dell’incidente il mio futuro nello spionaggio attivo era compromesso, di questo ero sicura. Strega lo era, certo, ma non credevo che fosse in grado di conoscere il passato di una persona con uno sguardo, a meno che non lo conoscesse già prima. Arretrai. Certo, mi conosceva, magari era a Parigi già da tempo, sotto mentite spoglie. Ma come saperlo? L’unico modo era toglierle la maschera, ma per poterlo fare prima avrei dovuto avvicinarmi abbastanza. Era un rischio, ma dovevo tentare. Mi gettai avanti di scatto, senza pensare alle conseguenze. La strega parve sorpresa e riuscii a ferirla a un braccio con uno dei pugnali prima che se ne rendesse conto. Gettò un urlo e indietreggiò, fissandosi l’arto ferito con gli occhi sgranati, come se non riuscisse a crederci. Dallo strappo dell’abito usciva un rivolo di sangue di un rosso innaturale, tendente al verde.
-Come … - iniziò, furiosa, poi le sue mani si unirono e in mezzo ad esse si formò una palla di fuoco.
Mi lanciai di lato appena in tempo per non essere colpita e per un attimo temetti che la coda, di legno, prendesse fuoco. Inciampai e barcollai, rischiando di cadere dal tetto. Cercai di non guardare gli svariati metri che mi allontanavano dal suolo e vinsi una vertigine. Balzai in avanti ed evitai, seppur con difficoltà un’altra palla di fuoco. A quanto pareva la strega era parecchio arrabbiata con me. Con un movimento dei fianchi riuscii a spostare la coda in avanti e la lama, simile a un pungiglione, andò a conficcarsi poco distante da dove si trovava la strega. Ci voleva solo un po’ più di precisione. Saltai di lato aiutandomi con la coda. Dovevo toglierle la maschera, se il nome era potere io dovevo vederlo in viso. Ci voleva però una distrazione, anche piccola, bisognava solo che qualcosa attirasse la sua attenzione per qualche istante e tutto sarebbe stato a posto. Mi guardai intorno alla ricerca di un oggetto che la potesse disturbare, ma nulla colpì la mia attenzione. Ci voleva qualcosa, ci voleva … e fu in quel momento che vidi Thomas dall’altra parte del tetto. Nella mano destra teneva una pistola. Ecco la distrazione che mi serviva. I nostri occhi s’incrociarono per un secondo e potei percepire un leggero annuire da parte sua. Sapeva quello che doveva fare e l’avrebbe fatto. Sorrisi, sentendomi profondamente sollevata dal poter contare su di lui. Bastò uno sguardo tra di noi e io mi gettai contro la strega, mentre lui sparò. La donna sobbalzò, presa alla sprovvista dal doppio attacco. Io le afferrai la maschera e gliela tolsi. Un viso familiare mi apparve davanti, anche se inizialmente non riuscii a capire esattamente di chi si trattasse. La strega si girò rapidamente e con una sfera di fuoco colpì Thomas che barcollò e cadde. Lanciai un urlo e colpii la creatura con uno dei pugnali. Lei gemette, ma non indietreggiò e improvvisamente compresi perché quel volto mi era così familiare: era la fidanzata di Eduard. Solo che quando l’avevo incontrata con il mio mancato sposo era più simile a una bambola che a un essere vivente, mentre adesso era ben viva. La colpii con l’altro pugnale.
-Dejuliette- esclamai, ricordando il potere del nome.
-Pensi che sia stata così stupida da dire il mio vero nome, agente Grace?- esclamò lei, con tono confidenziale prima di buttarmi indietro con una tale forza che mi fece dolere tutto il corpo.
Quindi quello non era il suo nome. Certo, sarebbe stato troppo semplice se fosse stato così. Chiusi un attimo gli occhi.
-Non mi sembra il caso di perdere ulteriormente tempo con te, dopotutto ormai è ben chiaro chi ha vinto, sia dal punto di vista professionale, sia da quello sentimentale-
L’ultima parola mi fece bollire il sangue nelle vene. Mi aveva portato via il fidanzato, poco importava che io non avessi mai amato Eduard, quella era un’offesa che nessuna donna avrebbe mai potuto perdonare. Ispirai a fondo, dovevo mantenere la calma.
-Mi dispiace, agente Grace, ma in fondo io e te ci assomigliamo … posso darti del tu, vero? Siamo entrambe donne che cercano di sfondare in campi di uomini- mi si avvicinò e il rumore dei suoi tacchi contro il tetto divenne insopportabile –non puoi nemmeno immaginare quanto sia sessista il mondo magico- scrollò le spalle –pieno di uomini che non comprendono il potere femminile, nonostante sia ben più antico del loro- rise, facendomi rabbrividire –mai sentito parlare delle antiche sacerdotesse? Quelle che veneravano la Madre Terra, quelle che si concedevano a chi volevano senza appartenere a nessuno? Loro erano donne libere, ma gli uomini questo non potevano permetterlo-
-Vuoi tornare a quel periodo?- domandai sarcastica.
-Non si torna mai indietro, io voglio creare un nuovo momento storico in cui le donne possano dominare sugli uomini- sospirò –sai, per renderlo possibile ho bisogno di donne come te, per questo ti ho studiata, volevo capire se fossi pronta ad aiutarmi nel mio progetto-
-Suppongo di non esserla-
-Nessun rancore, ma ormai sei contaminata da questo modo di pensare e non posso permettere che questa mentalità danneggi il mio nuovo mondo- sorrise, mostrando dei denti aguzzi –soprattutto dopo tutto ciò che ho fatto per introdurmi in società, ho recitato per anni il ruolo della dama innocente, questo per poter visitare l’Europa e poter capire da dove iniziare, quale luogo fosse più bisognoso delle mie cure-
E aveva deciso di partire da Parigi, che bella notizia! Mi mordicchiai le labbra, alla disperata ricerca di una soluzione. Dovevo prendere tempo. –Hai mantenuto una buona copertura-
-Grazie- disse lei, sorpresa –ammetto che non sia stato semplice, sono una ragazza di campagna io, cresciuta nei boschi irlandesi, mia nonna mi ha insegnato a parlare con il piccolo popolo, a diventare loro amica e, cosa più importante, a comandarli- c’era qualcosa di spaventoso nel suo sguardo.
-Quindi questo piano ha origine antica- mormorai.
-Riporto semplicemente le cose al loro stato originale-
In qualche modo aveva ragione. Mi tirai un po’ su per accorgermi che la mia coda si era rotta e pendeva senza vita. Un punto per la strega.
-Il mondo era delle donne e deve continuare a essere delle donne-
Mi misi in ginocchio. Avevo ancora i pugnali ai polsi. E poi mi venne l’illuminazione. In fondo la soluzione di quella storia l’avevo sempre avuta. Mi sollevai.
-Mi piacerebbe poter avere più tempo, ma sfortunatamente non ne ho- sollevò una mano e la puntò verso di me.
- Juliette – dissi con un filo di voce.
La strega si fermò, sorpresa e io approfittai di quel momento. Mi buttai in avanti e la colpii con entrambe le lame. Osservai il sangue rosso che ricopriva l’acciaio e gocciolava anche addosso a me. Una delle due l’aveva colpita dritta al cuore. Finimmo entrambe a terra, lei ferita mortalmente, io sfinita dalla stanchezza e dal dolore che mi percorreva tutto il corpo. L’ultima cosa che vidi fu la scintilla di vita negli occhi della strega che spariva, trasformandoli per sempre in occhi vitrei da bambola. Poi tutto divenne nero.

Faceva freddo quel giorno. Mi strinsi un po’ di più nel mio scialle mentre zoppicavo verso la stazione. Le mani dal secondo incidente avevano finalmente imparato a stare al loro posto e ormai tremava solo leggermente. Mi fermai e mi guardai intorno. Ci misi un attimo a riconoscere Thomas, dovevo ancora fare l’abitudine alla mano meccanica che gli era stata messa in sostituzione della sua dopo che questa era stata gravemente bruciata.
-Sapevo che saresti venuta- disse lui.
-Non potevo certo mancare- feci un paio di passi verso di lui, poi mi fermai, improvvisamente dubbiosa sul da farsi.
Thomas però non indugiò un attimo e mi strinse forte a sé. –Non pensavo che mi sarebbe dispiaciuto lasciare Parigi -
Ridacchiai, non sapendo cos’altro fare. Mi sentivo tremendamente in imbarazzo.
-Non ti piacerebbe venire a Londra?- mi chiese.
-Non ho nulla a Londra -
-Se vuoi puoi averlo-
-Cosa vuoi dire?-
-Ho ricevuto un messaggio dalla regina Vittoria, ti vuole conoscere-
-Davvero?-
-Nei servizi segreti di Londra c’è un posto per te, se vuoi accettarlo-
Andare a Londra? Lavorare per la regina? Non era malvagia come idea, anzi, era immensamente affascinante. Andare a corte, indossare bustini e crinolini come una dama, stare magari anche al fianco di Thomas. Ma era ciò che desideravo davvero? Volevo lasciare Parigi? Volevo davvero andare via dal luogo in cui ero cresciuta?
-Dammi del tempo per pensare- dissi.
-Va bene, ma non metterci troppo, non vorrei che la regina cambiasse idea-
-Non penso che ci metterò molto- mormorai.
-Allora va bene-
Ci fu un lungo momento di silenzio. Imbarazzati non sapevamo cosa dire, poi si sentì il richiamo del treno che avrebbe portato Thomas lontano da me.
-Fammi sapere com’è andato il viaggio- mormorai.
-Promettimi che penserai a quello che ti ho detto-
-Prometto- mormorai.
E lui mi trasse a sé senza dire altro. Il bacio arrivò tanto imprevisto quanto desiderato. Lasciai che mi prendesse il viso tra le mani a coppe, l’arto meccanico freddo contro la mia pelle, e ci separammo solo quando ci fu l’ultima chiamata per il treno di Thomas.
-Pensaci- mi sussurrò lui, un attimo di sparire tra la folla. Mi allontanai dalla stazione sorridendo. Mi sentivo strana. E proprio mentre percorrevo le vie di Parigi, soprapensiero, sentii il Comunicatore vibrare. Ridacchiando, certa che fosse Thomas, lo presi tra le mani, ora leggermente tremanti, ma non per un motivo fisico, e lo aprii.
-Non hai resistito molto senza sentirmi- dissi.
- Annette – non era Thomas.
- Eduard?- domandai.
- Annette, non sai quanto sono felice di sentire la tua voce- disse –tu non puoi nemmeno immaginare dove sono-
-Effettivamente no-
-Mi trovo in ospedale, sono stato ferito quando Liejutte è impazzita-
-Davvero?-
-Non puoi immaginare come sto-
-No, non posso-
-Puoi venirmi a trovare, Annette? Magari potremo scordare il passato, potremo riprendere tutto ciò che abbiamo lasciato a metà, non di fretta però e … -
Non lo lasciai terminare, chiusi il Comunicatore e scoppiai a ridere, quindi feci un giro su me stessa e corsi verso la stazione. Forse ero ancora in tempo.

Note
[1] In varie culture è presente l’idea che chiunque conosca il vero nome di una persona l’ha in proprio potere. Si pensi inoltre alla storia di Tremotino, il cui nome deve essere indovinato affinché la fanciulla possa tenere il proprio figlio.
   
 
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