Fanfic su attori > James Franco
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Autore: BlackPearl    23/05/2009    16 recensioni
« Oh. Perfetto.
Prima le corse per prendere un taxi, poi il nonnetto idiota, dulcis in fundo James Franco, con il quale mi sono scontrata, e a causa del suddetto scontro il mio cellulare è morto.
E' uno scherzo? Dove sono le telecamere? »
[James Franco - Nuovo personaggio]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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James
~ Remember me


Remember, I will still be here

As long as you hold me, in your memory
~ Josh Groban



< Ma non ti preoccupare, ce la faccio! Se il dannato tassista si muove, magari, che la strada è libera chissà per quale fortuito caso ma lui sembra aspettare che appaia Gesù per oltrepassare i cinquanta.. - no che non sto zitta, guardi che quello che sembra star trainando un morto è lei, non io! - Oh, Matt, ti richiamo dopo..>

Mi sporgo avanti a guardare in faccia il tassista, sempre più isterica: < La prego, deve far presto! La vede quella lancetta? E' bene che superi i cento entro due secondi, perchè..>
< E' bene invece che lei scenda dall'auto, signorina. Io non vado più veloce di così, perciò se non le sta bene, la porta è quella lì.>
Prendo un bel respiro serrando le dita attorno alla borsetta. No, non lo prenderò a schiaffi.
Calma.

Guardo l'ora sul display del cellulare. Ho trentacinque minuti per arrivare all'aeroporto. Dio, non ce la farò mai. Accidentiii.
< Allora, che fa?> L'antipatico ultrasessantenne mi guarda truce dallo specchietto, in attesa di una risposta.
Bon, nonnetto, continua pure la tua processione in grazia di Dio e prega che nessuno salga mai su questo taxi per andare all'ospedale, sennò altro che funerale, ti si condanna per genocidio.
Per un attimo ho l'irrefrenabile voglia di fingere d'essere come Vincent in Collateral e minacciare 
Amplifon fino a farlo schiattare d'infarto miocardico, ma poi ci ripenso. Non ho nemmeno una pistola, d'altronde.
Sì, già, l'aeroporto.
Saluto Dentiera ferma e gengive protette con un grugnito e scendo dal taxi, sospirando.
Faccio mezzo passo e mi fermo al richiamo di Babbo Natale: < Signorina, me la deve pagare la corsa!>
< Cosa? Per cento metri?!>
Che pidocchio!
< E certo, non vado mica a rubare io!>
Vecchietto centenario in lizza per il Guinness World Record, viene trucidato da una giovane donna, che dopo aver sfoderato una serie di artigli alla Wolverine, avrebbe puntato direttamente al collo del nonno..
< Tenga i suoi soldi e se ne vada, Dio mio>
Benissimo. Breathe in, breathe out.
Ora, immagino che l'aeroporto debba essere da quella parte. Forse in mezz'ora a passo svelto potrei riuscire ad arrivare in tempo per prendere i biglietti.
Dio, menomale che ho messo scarpe comode, stamattina. A volte sono così sollevata dopo aver fatto una scelta giusta che passo i minuti a complimentarmi da sola.
Ebete, vero? Sì, lo so.
Gesù. Voglio un caffè.
Il mio corpo lo implora. La mia mente lo implora. Sono in astinenza, e tra circa dieci minuti mi verrà un attacco di panico.
Dio mio come sono drammatica.
Ho sempre detto che dovevano rinchiudermi in manicomio da quando ero piccola, ma nessuno mi ha mai creduto. Me ne rendo conto in momenti come questi, quando comincio a parlare da sola, magari in un'altra lingua. Faccio delle considerazioni e poi approvo, fiera di me. Avrò subìto qualche trauma, da piccola, non c'è che dire.
Ma certo. Dovevo anche perdermi, giustamente. Dovevo cercare col lanternino il viottolo più sperduto di Los Angeles e infilarmici dentro, per restare sola col mio cervello e chiacchierarcici tranquillamente.
Sbuffo, senza voglia di far niente. Ma che è, non c'è anima viva? Sta jeep non mi fa vedere niente... ah, ecco. Gente.
Guardo l'ora. Ho perso quasi cinque minuti, maledizione. Quasi quasi adesso chiedo a qualcuno se può indic.. ahi!
Un tizio è inciampato e mi è venuto a finire addosso, 
ma prima che possa cadere e diventare più scema di quello che già sono, mi afferra prontamente per le braccia.
Mi libero dalla stretta per prendere il cellulare, che è caduto a terra. Premo un tasto a caso ma lo schermo resta nero. Oh, no.
Tolgo velocemente la batteria, la rimetto, provo ad accendere e.. niente. Morto.

No. No. No! E ora? Come avverto Matteo? Non ho un soldo con me, accidenti!
Non credo che abbiano ancora inventato le cabine telefoniche con carta di credito..
< E accenditi!> Gli do due o tre colpi con la mano, imprecando a bassa voce.
< Non va?> Una nuova voce si fa strada tra le tante imprecazioni mentali, e come un'idiota ricordo di aver urtato qualcuno. O meglio, di essere stata travolta da qualcuno.
Solo allora alzo lo sguardo, desiderando di sprofondare da qualche parte.
Inarco le sopracciglia. Questo tizio lo conosco.
Faccio un mini-passo indietro e lo osservo meglio, poi mi riavvicino e sussurro, scioccata: < Ho le allucinazioni o sei davvero J- ?>
Avrei voluto finire di parlare, ma lui porta avanti una mano come a volermela posare sulla bocca, per farmi tacere. Poi accenna un sorriso.
Oh. Perfetto.
Prima le corse per prendere un taxi, poi il nonnetto idiota, dulcis in fundo James Franco, con il quale mi sono scontrata, e a causa del suddetto scontro il mio cellulare è morto.
E' uno scherzo? Dove sono le telecamere?
< Io.. > Chiudo la bocca prima di cominciare a dire scemenze. Ogni tanto Highlander, il neurone solitario, riesce a sbattere contro le pareti del cervello e a funzionare.
< Ahm, no, non va> Riesco finalmente a rispondere.
Serro le dita attorno al telefono, e sento di avere gli occhi lucidi. Che caspita piango ora?! Oh, Dio mio, aiutami.
Bah. Forse vorrei piangere perchè senza cellulare non posso avvertire Matteo, e senza avvertire Matteo nessuno dei due può andare a prendere i biglietti all'aeroporto, e senza biglietti restiamo a Los Angeles chissà fino a quando, e domani ho un matrimonio!
Sto per avere una crisi isterica.
< Mi dispiace. Dio, sono.. sono un elefante quando cammino>
No. Sei uno gnocco da paura, è diverso. Ma vabbè.
Tiro su col naso, pronta a replicare qualcosa (tranne quello che ho pensato, ovviamente).
< No, guarda..>
< Ti.. ahm.. aspetta.>
Figurati. Ho aspettato tutto 'sto tempo, vuoi vedere che non aspetto James Franco?
Con mio grande orrore vedo che tira fuori il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni.
< No! Non ti azzardare.. non devi!>
< Cosa? Come non devo? Te l'ho rotto!>
< No, no> Ma pensa se accetto i soldi, cioè.. no. Mi sentirei male. < No, guarda, al massimo mi fai un autografo, eh? Devo avere un'agenda da qualche parte..> Faccio per aprire la borsa, ma mi fermo quando lo sento parlare.
< Ma sì, te lo faccio l'autografo, quello che vuoi, però devo anche..>
< No>
< Sei cocciuta>
< Abbastanza, si nota?> Sorrido a trentadue denti, fiera di questa mia qualità.
< Beh, io lo sono di più, e non ammetto repliche - oddio, sta estraendo due banconote - fammi avere la coscienza a posto, dai>
Non gli permetto di estrarle del tutto, anzi, le metto di nuovo dentro, prendo il portafogli, lo chiudo e glielo restituisco.
Oh. Che ingiustizia, però.
Sono combattuta: da un lato vorrei fuggire a gambe levate e non mettermi in condizioni di accettare dei soldi da lui, dall'altra mi inchioderei quì perchè diamine, è James.
< Uh, l'insegna di Starbucks! Ho bisogno di un caffè. Anche due veramente>
Fuggo nel mio paradiso con la piccola minuscola speranza (idiota, credo) che lui non mi abbia seguito (sì, è decisamente idiota).
Con un sospiro di sollievo sento la sua presenza accanto a me mentre cerco un tavolo libero. Deh, almeno non sono sfigata fino all'ultimo. E' libero quello in fondo al locale, nel posto più appartato (l'ultima cosa che vorrei vedere adesso è una banda di fan eccitate come maialine in calore).
Ci sediamo, l'uno di fronte all'altra. Dio, tutto ciò è surreale.
Mio malgrado non riesco a ignorare i brividi che mi percorrono la schiena. James mi è sempre piaciuto, da quando avevo sedici anni e guardavo imbambolata Tristano e Isotta, sospirando ogni cinque secondi come una scema.
E ora ce l'ho di fronte, che mi guarda fisso con un sorriso di scuse appena accennato. Incrocio il suo sguardo e mi viene da ridere.
Non riesco più a trattenermi quando il suo sorriso si allarga, seguendo a ruota il mio. Ma quanto è carino quando sorride! Mi vien voglia di abbracciarlo. A dirla tutta lo violenterei senza ritegno, però siamo in un luogo pubblico, sapete com'è.
Ridiamo per qualche minuto, almeno scarico un po' di tensione, poi comincio a scuotere la testa quando lo vedo prendere di nuovo il portafogli.
< Dai> Mi dice, e per un momento sto per dire "sì, ti do tutto quello che vuoi", ma il neurone ha deciso di farmi la grazia, oggi, e mi salva in calcio d'angolo impedendomi di fare figure di cacca.
< No> Sorrido.
< Senti, fai finta che io sia uno qualsiasi, che ti è venuto addosso e ti ha rotto il cellulare, che faresti? Non li accetteresti?>
Ma sei tosto eh.
< Punto uno: Tu sei uno qualsiasi. Cioè, è vero che sei il mio uomo ideale, dolce, simpatico, intelligente, tenero, in gamba.. - ma cosa mi è saltato in mente? - ma sei uno qualsiasi, in fin dei conti. Non è che perchè reciti divinamente cambia qualcosa. Anch'io sono scema all'inverosimile, ma non sono nessuno.>
Lui ride, e credo che lo faccia perchè concorda con me. Sull'ultima frase specialmente.
< Punto due: No, non li accetterei. Oddio, se quello insistesse pesantemente fino a togliermi l'anima.. allora forse sì.>
< Ok, allora fa finta che io insista pesantemente fino a toglierti l'anima. O vuoi che lo faccia davvero?>
< No, macchè. Senti, comunque mi devi fare un autografo. E basta.>
Prendo la mia agenda, avvampando per questo mio demente tentativo di deviare il discorso, e gliela porgo con un pennarello indelebile.
Lo vedo giocare con delle chiavi, di una Mercedes credo, facendole ruotare attorno al dito, mentre comincia a scrivere qualcosa. Poi ritrae il braccio quando passa un bambino e le chiavi cadono a terra, accanto alla mia sedia.
< Uh, scusa, puoi prenderle?>
Mi chino senza farmelo ripetere due volte e con una mossa da contorsionista affermata le prendo senza problemi. Quando gliele porgo vedo che ha chiuso in fretta l'agenda, con un'aria innocente, e sta posando il portafogli.
Madonna se è cocciuto pure lui.
< Che hai fatto?> Prendo l'agenda ma lui mi blocca le mani con le sue. Marò, che mani.
< Niente, non aprire.>
< Cosa? Certo che apro> Inutilmente cerco di liberarmi dalla stretta (la verità è che uso il minimo indispensabile di forza. Chi vuole liberarsi da una presa così?)
< No, non aprire finchè non sarai.. a casa. O fuori. O comunque, lontano da me>
< Che?>
< Ti prego. Mettila nella borsa.>
< Tu non stai bene>
Sorride tenero e io mi sciolgo. Quasi non mi accorgo quando molla la presa e aspetta che io faccia come ha detto.
< Fatto>
La cameriera giunge giusto in tempo per salvarci dall'imbarazzo. Riconosce subito James, e arrossisce. < Oh, Mr Franco.. prego, ordinate pure. Offriamo noi>
Azz.
James mi lancia un'occhiata vincente, e io capisco che si riferisce al fatto che lui effettivamente non è uno qualsiasi.
Ordiniamo entrambi un cappuccino alla vaniglia.
Mi appoggio con le braccia al tavolo e mi stringo la vita, aspettando qualcosa. Che posso dire? Di solito ho una parlantina tremenda, anche con gli sconosciuti. E ora non riesco a dire nulla all'uomo della mia vita.
Questa è sfiga pura, al 100%, senza additivi nè conservanti.
Uhm.. < Che ore sono?> Ma certo, la domanda più vecchia del mondo. E anche la più stupida, senza ombra di dubbio.
Mi indico il polso giusto per fargli notare che non ho l'orologio e che non sono pazza. E poi l'orologio di Starbucks è troppo lontano.
< 'e quaranta> Risponde lui.
La depressione mi affligge inesorabilmente: avrei dovuto essere all'aeroporto cinque minuti fa. Mi passo le mani sul viso in cerca di una soluzione.
< Hai un appuntamento?>
Con te? No, purtroppo.
< Lo avevo. Dovevo essere all'aeroporto cinque minuti fa, per prendere dei biglietti urgentissimi che mi avevano fatto il favore di conservare, ma ho avuto qualche.. imprevisto. Dannazione.>
< Ho avuto tanti soprannomi, ma nessuno mi aveva mai chiamato imprevisto> Sorride, e non posso fare a meno di imitarlo. Ha un sorriso troppo contagioso. < Sei piuttosto calma, però.. può darsi che alla fine non sia stato così terribile questo imprevisto. Magari non saresti arrivata in tempo lo stesso>
< Oh, grazie tante. Certo che son calma. Non posso fare la nevrasterica davanti a te, scusa. Anche se sento che sto per lasciarmi sopraffare dallo sconforto..>
< Dove devi andare?>
< A casa>
Sembra un attimo perplesso. < Dove abiti?>
< In Italia, e domani a quest'ora dovrei essere a un matrimonio, ma l'ultimo volo decente per l'Italia partiva stasera, e io non ho i biglietti. Gli ultimi due erano quelli che avrei dovuto prendere prima.>
Fa una mezza risata incredula. < Oh mio Dio. Mi dispiace da morire. Santo cielo, e sei ancora a parlare quì con me? Vieni, ti accompagno all'aeroporto, facciamo qualcosa, vediamo se è possibile averne altri, io..>
Gli prendo le mani e lui si zittisce. Scuoto la testa. < Stavolta non servirà a nulla. Anche se non sei uno qualunque. E se ti chiedi perchè sono ancora quì.. beh. Mi tranquillizzi. A questo punto dovrei già essere su tutte le furie, col cuore a mille, i capelli dritti in testa e l'ottanta per cento di rischio che mi venga un infarto, e invece sono con te, davanti a una tazza di caffè alla vaniglia. In un'altra dimensione. E' patetico, vero?>
Lui mi guarda per un po' senza dire niente, le mani ancora tra le mie. < Ti ho rovinato un weekend e tu dici che ti tranquillizzo? Sicura di star bene?>
< Benissimo> Gli sfioro l'orologio con l'indice. < Che bello che è> E' un Gucci della collezione Pantheon.
< Lo vuoi?>
< Che?> Lo guardo sbigottita.
< Sì, dai. Non hai nè orologio nè cellulare, te ne serve uno> Comincia a sfilarselo contro la mia volontà, nonostante appunto cerchi di fermargli le mani.
< Ma sei impazzito? Costerà minimo tremila dollari, cioè, no, James.. eh certo, poi ti parlo come se fossi un amico di vecchia data..>
Lui si fa una risata. < Non c'è problema, chiamami pure James. Io non so ancora il tuo nome, però>
< Non ha importanza, tanto lo dimenticherai.>
< Non credo proprio> Tra le note della sua voce sento il tac dell'orologio, che ha chiuso attorno al mio polso.
< Ti prometto che non lo venderò su eBay> Dico, seria. Poi scoppiamo a ridere insieme.
< Ora hai qualcosa che ti ricorderà me> Sussurra, dolcissimo.
Mi spiace interrompere l'atmosfera, ma ho bisogno di dirlo: < E tu ti ricorderai di una pazza scalmanata che ti ha fatto perdere quasi un'ora della tua vita e ti ha portato via qualcosa tipo quattromila dollari.. mi sa che non c'è paragone>
< No, ricorderò una bellissima giovane donna che invece di denunciarmi per danni morali e prendermi a stangate ha preferito passare del tempo con me, a ridere e ad arrossire, a farmi complimenti e a incatenarmi col suo sguardo, segnando inevitabilmente questa giornata>
< Se questo è un sogno, vi prego non svegliatemi> Mormoro più a me stessa che a lui, stringendo forte le sue mani.
< Non lo è> Replica. La sua voce così dannatamente sexy e profonda mi fa tremare dalla testa ai piedi. Poi, inaspettatamente, quasi a conferma di quello che ha appena detto, lo vedo avvicinarsi, e per un attimo, un breve attimo, sento il tepore delle sue labbra posarsi sulle mie.
< Cosa.. cosa ti hanno messo nel caffè? Hashish? Marijuana? Cocaina?> 
< Sei tremenda, lo sai?> Replica, scuotendo la testa.
< Ho capito! Crack, vero?>
< Di stare zitta e baciarmi non se ne parla, eh?>
Deglutisco a vuoto. Abbasso lo sguardo e, al solito, il sangue comincia a colorarmi le gote.
< Che carina che sei quando arrossisci. Non vedo ragazze arrossire da secoli>
Non so che fare. Si è completamente capovolta la situazione.
Cioè, mi ha baciata. Lui.
Ma perchè, poi? Non sono cose che si fanno con degli sconosciuti, credo. O forse sì. In effetti era sulla "lista di cose da fare prima dei trenta".
< Scusa, mi è venuto d'istinto. Non credevo di sconvolgerti>
Cos'è, legge anche nel pensiero ora?
< Dopotutto, hai detto che sono il tuo uomo ideale..> Sorride sornione.
< Non ti montare la testa, ciccio> Gli do un buffetto sulla fronte. Ecco, ho quasi ripreso la mia verve.
Che poi, voglio dire. Dovrebbe aspettarselo, almeno un minimo. E' naturale avere una sorta di cedimento quando sbatti contro la realtà che normalmente è dura e fredda e invece adesso è calda e accogliente. L'angolino freddo e remoto è, appunto, remoto. Del tipo che chissene, io resto quì e il matrimonio si appende, come si dice al mio paese.
Sì, vabbè. Sto di nuovo parlando da sola. Fortunatamente non ad alta voce.
< Non so che dire.> Dico, senza pensarci (stavo zitta, poi). I miei occhi si perdono inevitabilmente nei suoi, mentre mi riapproprio della sua mano.
Poi mi sporgo appena, e gli do un bacio sulla punta del naso.
Sapete, io ci credo negli amori così.
Gli amori più belli, a mio parere, sono quelli non confessati, quelli lievi come un battito di ciglia, quelli talmente fragili che se dici una sola parola già li hai sciupati. Sono questi gli amori che ti rimangono nell'anima e scavano un solco, molto di più degli amori consumati e vissuti. (*)
< Ti va una passeggiata?> Mi domanda poi, cogliendomi di sorpresa.
< E se ci vedessero? Non sarebbe un problema?>
< Che ci vedano pure. Possono solo essere invidiosi> Mi offre la mano, che non esito a stringere.
E così andiamo, un passo dopo l'altro, verso Playa del Rey.
Parliamo appena, vicini come siamo. I nostri sono sussurri che si confondono nel vento.
Ogni tanto ci fermiamo, ascoltiamo il silenzio.
Non mi sono mai sentita così in pace.
Poi, nel bel mezzo di questa favola, si sente uno squillo. Viene dal suo cellulare.
Chiude gli occhi, sospira.
Non piangere perchè è finito, sorridi perchè c'è stato.
E io sorrido.
Mi guarda, e non c'è bisogno che dica nulla.
Gli sfioro la guancia con due dita, continuando a sorridere.
< E' durato poco, ma è stato bellissimo>
Lui schiude le labbra per dire qualcosa, poi le richiude. Lo fa un paio di volte, e scuote la testa, sembra quasi di vedere una marea pensieri girargli vorticosamente in testa.
< Shhh, non pensare> Sussurro, poggiando la fronte alla sua.
E' questione di un attimo.
Le sue labbra sono sulle mie, di nuovo, e stavolta le sento ardere. Passione, rabbia, impeto.
Sono io ad allontanarmi e ad allontanarlo. Se continuasse ancora sarebbe troppo difficile sorridere e far finta di nulla.
Faccio un passo indietro, le mani ancora nelle sue.
< Difficile da ricordare, impossibile da dimenticare> Mormora. Non potrei essere più d'accordo.
Con questa frase ci lasciamo, voltandoci le spalle a vicenda. Mi impongo di contare fino a cento e di non voltarmi indietro.
Prendo la prima traversa a sinistra, poi una a destra.
Faccio un lungo respiro. Nella mente scorrono veloci le immagini di quest'ultima ora e non posso fare a meno di sorridere.
Beh, in verità potrei mettermi a saltellare su un piede solo, per quello che è successo, ma è meglio evitare.
Ahm.. sì. Dove sono?
Svolto ancora a sinistra e vedo l'aeroporto.
Maledetto bastardo. Quà stava.
Dio, ora mi tocca risolvere questo casino del volo. Mi porto una mano sulla fronte, e l'orologio, che mi va largo, ci sbatte contro. 

< Le quattro e un quarto.> Dico, tra me e me.
Cosa? Le quattro?
Mi porto una mano alla bocca, e guardo di nuovo l'orologio.
Non mi dire che non ho messo l'ora legale, e che avevo la dannata ora avanti.
No.
Sono una povera scema, in pratica.
Uhm.
Mica tanto però.
Mi sa che in fin dei conti, dovrebbe accadere più spesso.








Ok, non so da dove mi sia uscita. Giuro, è un delirio totale.
Ma la Dod mi ha costretta nonchè minacciata e perciò l'ho pubblicata.
Quindi, prendetevela con lei se avete conati di vomito ininterrotti o simili.
Detto ciUò.
Questo è l'orologio del buon James, nel caso vi interessasse. Non so minimamente se lo ha davvero, eh.

Ah. (*) <-- Queste sono parole di Sherezade. Me le ha scritte in una recensione, e le ho trovate semplicemente meravigliose.
Ovviamente James non mi appartiene (magari ç_ç) e non mi è passata nè mi passerà mai nemmeno per l'anticamera del cervello l'idea di volerlo offendere.
James, sei un ammmmore <3

Vi saluto e vi abbraccio,
Sara.

 
   
 
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