Fumetti/Cartoni americani > Batman
Ricorda la storia  |      
Autore: Bad Devil    25/12/2016    0 recensioni
“Tu hai bisogno di qualcuno che si prenda cura di te,” disse ad un tratto “e che sia chiassosa, perché riempia il vuoto che i tuoi silenzi lasciano.” Continuava a guardare le iridi blu dei suoi occhi, smarrendosi poi su ogni dettaglio del suo viso: dalle occhiaie profonde agli zigomi affilati, dal naso sottile alle labbra ancora sporcate di sangue sull’angolo.
“Ti serve qualcuno con cui tu possa sentirti a tuo agio e condividere gli interessi.”
“Non è quello che cercano tutti?”
“Tutti non nascondono unghie sporche di sangue, di tanto in tanto.”
[PRE-SLASH Scriddler / RiddleCrow ][Prequel][Menzione di Abuso e Violenza]
[AU - Parte della raccolta "Riddler's Box of Memories"]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: L'Enigmista, Scarecrow
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Riddler's Box of Memories'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo: “Downpour”
Autore: Cadaveria Ragnarsson
Fandom: Batman
Personaggi: Jonathan "Scarecrow" Crane; Edward "The Riddler" Nygma
Pairing: Pre-Scriddler
Genere: Malinconico, Angst
Rating: Giallo
Avvertimenti: Menzione di Abuso e Violenza
Disclaimer: I personaggi presenti in questa storia non sono reali, né di mia proprietà. Inoltre sono maggiorenni. Non ho nessun diritto legale su di loro a differenza degli autori e, dalla pubblicazione di questo scritto, non vi ricavo un benché minimo centesimo.

Note: Questa storia fa parte della raccolta "Riddler's Box of Memories", concettualmente basata sull'idea di Edward e Jonathan cresciuti insieme, prima di diventare i villains di Gotham.



Downpour

Era una regola universale, quella secondo la quale se una cosa avrebbe potuto andare peggio, peggio sarebbe andata. Inutile costernarsi o cercare di forzarsi in pensieri positivi, vi erano forze contro cui non si poteva combattere: Edward lo aveva imparato a proprie spese. Quel giorno era cominciato nel peggiore dei modi, tra il piccolo scontro verbale avuto con suo padre e l’aver dimenticato di portare con sé le giustificazioni scolastiche per le assenze dei giorni precedenti, opportunamente firmate con falsificazione e lasciate sulla scrivania. La mattinata era continuata come un interminabile tedio fatto di spiegazioni superflue e intollerabili chiacchiere che Jonathan non aveva contribuito a rendere più sopportabili, rimanendo addormentato per la maggior parte del tempo e abbandonando Edward alla propria solitudine. Non che questa gli pesasse, beninteso, ma stava iniziando ad apprezzare la compagnia altrui e come a tutte le cose piacevoli, anche a questa era stata semplice abituarsi.
Quando finalmente quelle ore erano giunte al termine, Edward si era rifugiato in biblioteca, pronto a rendere un paio di libri che aveva chiesto in prestito la settimana precedente e magari noleggiarne altri. Fu allora che il vociare concitato proveniente dalle finestre aveva interrotto la sua conversazione con Howard. Questi, dall’alto dei suoi quasi sessant’anni, si era spinto nuovamente gli occhiali che gli erano scivolati lungo il setto nasale, solo per sospirare sconfortato.

“Passano le generazioni, ma se devono picchiare qualcuno scelgono sempre il cortile sul retro.”

Aveva elargito l’informazione con un tono degno di una perla filosofica, scuotendo poi il capo e appuntando sul registro i libri sulla scheda di Nashton. Edward aveva posato i volumi sul bancone, avvicinandosi alla finestra per capire cosa stesse succedendo. Era stato un gesto più dettato dalla curiosità che dal reale interesse, ma avrebbe voluto restare sorpreso nell’apprendere che ragazzo finito a terra dopo un colpo al volto altri non era che Jonathan. Roteò gli occhi e sbuffò annoiato nel constatare che ovviamente si trattava di lui, così come il suo aggressore altri non poteva essere che Mark. Keeny si era rialzato in fretta, sputando sangue e saliva in terra, ma l’incertezza del suo incedere aveva permesso all’altro di colpirlo ancora una volta a pugno chiuso sullo stomaco. Edward aveva chiuso gli occhi, non dovendosi sforzare troppo per immaginare il dolore di una botta del genere, ma quando li riaprì si rincuorò del fatto che quello sembrasse essere il colpo definitivo. Mark si era allontanato dopo qualche istante, lasciando Jonathan in terra e con le braccia strette al busto. Inutile chiedersi quale fosse stato il motivo della loro lite, se così poteva essere definita, una ragione sarebbe stava valida quanto nessuna, per il quarterback. Edward ritornò quindi la propria attenzione al bibliotecario, effettuando il reso e facendosi segnare il volume che era interessato a prendere in prestito. Si congedò quindi abbastanza rapidamente, affrettando il passo per raggiungere il cortile e ricongiungersi a Jonathan che aveva avuto l’intenzione di aspettarlo fuori invece di accompagnarlo in biblioteca. Col senno di poi, non era stata una scelta troppo saggia. Lo trovò seduto su un gradino, ancora piegato su se stesso, anche se sicuramente meno in pena di quanto fosse stato gli istanti precedenti.

“Ho visto cos’è successo.” Gli disse Edward, annunciandosi a quel modo e restando in piedi dinnanzi a lui.
“Riesci ad alzarti?”

Il ragazzo aveva mormorato qualcosa di non troppo comprensibile, annuendo successivamente e alzando la testa, mostrando così il labbro rotto. In quello stesso istante iniziò a piovere. Il rosso si era lamentato cercando subito riparo sotto una tettoia limitrofa all’edificio, mentre Jonathan, quasi non la avvertisse, si era alzato in tutta calma, ripulendosi il volto con la manica della maglia.

“Ci conviene andare direttamente a casa mia.” aveva detto Ed, rinunciando così all’idea di pranzare in caffetteria come avevano concordato. “Sono senza ombrello.”

L’altro aveva annuito appena, iniziando a incamminarsi lungo il cortile, diretto all’uscita e totalmente incurante della pioggia che aveva iniziato a cadere con più insistenza. Camminarono a passo svelto, lungo la strada; Edward aveva cercato riparo sotto ogni balcone o struttura disponibile, ma con l’incedere dell’acquazzone servì a ben poco: arrivano entrambi a casa Nashton bagnati fradici. Il primo a entrare fu il rosso, intimando a Jonathan di restare all’ingresso. Era scivolato fuori dalle sneackers per non bagnare il pavimento, gettando poi la felpa zuppa in terra e andando al piano superiore per recuperare un paio di asciugamani. Quando fu di ritorno ne diede uno a Keeny, con cui subito prese a frizionarsi i lunghi capelli corvini ormai bagnati. Aveva tolto gli anfibi in modo da non allagare ulteriormente il pavimento e potersi muovere liberamente per casa, seguendo il rosso in cucina per rimediare qualcosa che potesse sembrare un pranzo.

“Latte e cereali?” offrì, incerto. Al suo assenso dispose due grosse tazze sul tavolo, prendendo una bottiglia di latte freddo, una scatola di cereali e due cucchiai. Keeny prese posto sulla sedia che occupava di solito, sospirando stancamente e poggiandosi l’asciugamano in grembo per prendere un pacchetto di sigarette ancora sigillato dalla tasca dei pantaloni.

“Cos’è successo?” Domandò quindi il rosso, più per far conversazione che non per reale interesse.

“Voleva una sigaretta, ma le avevo finite.” Rispose Jonathan tranquillo, accartocciando la plastica dell’involucro e prendendone una, presto accesa tra le sue labbra.

“Ma-” Versò una cospicua quantità di cereali nella propria tazza, aggiungendovi quindi del latte. Il sorriso di Jon fu una risposta più che esauriente. “Deficiente.”

“Si sarebbe preso l’intero pacchetto, lo sai anche tu.” Replicò tranquillo.
“E mi avrebbe pestato comunque.” Edward dovette ammettere che aveva ragione. Lo osservò in silenzio mentre inspirava profondamente dalla sigaretta, gocciolando acqua sul tavolo a causa dei capelli e della maglia fradici.

“Dovresti cambiarti.” Gli disse senza rifletterci, allungando al ragazzo un posacenere.

Keeny non aveva replicato, sbuffando appena del fumo e volgendo lo sguardo alla finestra, dove il violento scrosciare dell’acqua si manifestava rumorosamente contro i vetri. Lasciò cadere la cenere nel posacenere, inspirando ancora.

“Mi piace la pioggia.” Disse ad un tratto, con lo sguardo ancora rapito dalle gocce che rapide si infrangevano contro l’edificio.

“A me piace quando sono all’asciutto.” Replicò il rosso, affondando il cucchiaio nella tazza e portandoselo alla bocca, affamato.
Il sangue all’angolo della bocca di Jonathan ormai si era seccato, mostrando una piccola macchia rossastra là dove era stato colpito.
Dopo alcuni minuti Jonathan spense la sigaretta nel posacenere, volgendo lo sguardo al pranzo offertogli da Edward. Imitò i suoi gesti e in breve si ritrovò a riempire la tazza più volte, bisognoso di saziarsi.
“Finiscili pure” gli disse il rosso. “Ne ho un altro pacco in dispensa per domani.”
Jonathan non se lo fece ripetere un’altra volta e con un gesto rapido verso i rimanenti cereali nella tazza, inzuppandoli nel latte. Edward aveva riposto la propria tazza nel lavello, riempiendola d’acqua.

“Grazie.”

“Tsk. Non puoi vivere di solo caffè. Se salti ancora un paio di pasti sparisci; non che sentirei la tua mancanza, francamente fai già a malapena presenza in questo modo.”

“Wow, a cosa devo una risposta così passivo-aggressiva, Ed?” domandò sulla difensiva, inarcando un sopracciglio.

“Sto ancora pensando che ti sei fatto pestare per una sigaretta.”

“Non ti conoscessi meglio direi che sei preoccupato.” Edward si voltò verso di lui, accigliato e con le mani incrociate al petto.

“Offeso, semmai.” Replicò secco. “Dalla tua stupidità.”

“Edw-”

“No, senti, fai cosa vuoi. Se ti diverti così, buon per te.”
Jonathan sospirò stancamente, posando il cucchiaio e bevendo a piccoli sorsi il poco latte rimasto.

“Cambierebbe qualcosa se ti dicessi che è arrivato da me già sul piede di guerra perché il mio fidanzato non gli ha passato le risposte del test?” Edward rimase ad osservarlo un lungo istante, come cercando di capire se dicesse sul serio o meno.

“Dimmi che non è vero.” Chiese, speranzoso. Jonathan si rassegnò.

“L’ha detto alla fine.” Si giustificò per quella piccola menzogna.
“Ma in mia difesa posso dire che è stato il colpo che ho incassato peggio.”
Edward si imbronciò, evitando il suo sguardo mentre portava anche la tazza dell’altro nel lavello per lavarle entrambe.

“Ci mancava solo questa.” Sbottò ad un tratto, rimuginando sulle sue parole.
“Mi dispiace che per colpa mia ora tu sia accusato di quelle... cose.” Jonathan rise a quelle parole, scuotendo la testa.

“Non è colpa tua se sei ga-”

“Non intendevo quello.” Sbottò adirato. “E non sono gay.”

“Non sei nemmeno il mio fidanzato.” Replicò tranquillo Jonathan, osservando la schiena dell’altro, ora incurvata sul lavello per lavare i piatti.
“Non credo che importi a qualcuno che sia vero o meno.”

“Sì, ma già si accaniscono su di te, questa non ci voleva.”

“Che importanza ha?” domandò Jonathan seccato.
“Non potresti ma essere il mio fidanzato, comunque.” Edward si voltò piccato, voltandosi appena per guardarlo oltre la spalla.

“E perché mai, sentiamo?”
Jonathan rise, felice di essere riuscito a provocarlo.

“Beh, prima di tutto perché non mi interessano le relazioni. E poi...” Edward lo guardò accigliato, avido di risposte.
“Poi diciamoci la verità: più che un fidanzato potresti essere una moglie trofeo.” Voleva essere una specie di complimento, ma quando schivò a malapena il cucchiaio che Edward gli aveva lanciato addosso, ebbe la sensazione che non fosse stato recepito come sperato.
Lo raccolse da terra e glielo mise di nuovo nel lavandino, sorridendo appena.
“Intendevo dire,” provò a metterci una pezza “che quelli come te stanno con gente ricca o importante, alla loro altezza. Qualcuno che non li faccia sfigurare, ma a cui possano attribuire un valore aggiunto.” Edward non rivolse lo sguardo su di lui nemmeno per un istante, seppellendo il proprio imbarazzo in una risata nervosa e in un’eccessiva forza nell’uso della spugna.

“Che ne sai.” Borbottò ancora un po’ seccato.
“Magari ho aspettative differenti da quelle che credi, ma bel tentativo.”

“Non ti volevo offendere” si affrettò ad aggiungere Jonathan, scostandosi dal volto le ciocche bagnate del suo ciuffo. L’asciugamano aveva assorbito la maggior parte dell’acqua, ma i fili corvini ne avevano ancora parecchia intrappolata tra di essi.
“Penso che tu abbia ambizioni migliori, che non volere una relazione con me.”

“Dovrebbe essere una mia decisione.” replicò calmo il rosso, riponendo le stoviglie ora pulite nello scolapiatti e asciugandosi le mani sui jeans ancora umidi.
“Comunque tranquillo. Non sei esattamente il mio tipo.”
Jonathan rise a quelle parole, accendendosi un’altra sigaretta. Inspirò profondamente, soffiando via il fumo pochi istanti dopo.

“Oh, sentiamo, perché?” Chiese divertito, stando al gioco.

“Innanzitutto perché mi piacerebbe stare con una persona intelligente.”
Aveva puntualizzato sarcastico, con un pizzico di cattiveria, in riferimento agli ultimi avvenimenti.

“Colpo basso.”

“Poi vabeh, sei molto alto e per il momento potrebbe tornarmi utile, qualora dovessi prendere qualcosa dagli scaffali più alti, ma...” gli concesse un mezzo sorriso.
“Posso ottenere lo stesso risultato arrampicandomi su una sedia.”

“Quindi sono stupido e inutile. Grazie Edward, tu sì che sai come far sentire speciale una ragazza.”

“Finisci sempre i biscotti.”

“Anche ingordo.”

“E hai delle mani bellissime, ma santo cielo pulisciti le unghie ogni tanto!”
Jonathan inarcò un sopracciglio, non più sicuro del tipo di gioco che stessero conducendo.
Il rosso aveva mosso qualche passo in sua direzione, trovandosi presto di fronte a lui.
“Attiri un sacco di guai.” Mormorò quindi, continuando la lista e alzando il volto per poter incrociare il suo sguardo, più in alto del proprio per via della differenza evidente di statura.
“Sei molto silenzioso. Troppo silenzioso.” Aggiunse, con una punta di irritazione.
“Dormi continuamente a lezione.” Avanzò ancora di un passo.
“E, mio dio, smettila di prendere in mano tutti i ragni che trovi. E’ disgustoso!”

Jonathan inspirò dalla sigaretta, in ascolto. Non era sicuro di capire dove tutta la conversazione sarebbe andata vergere. Fino a quel momento aveva incassato le sue pacate offese senza batter ciglio, ma come tutto il resto, anche queste avrebbero finito con l’alimentare le sue insicurezze.

“Tuttavia...” Edward sembrò più impacciato in quel momento.
“Non stai con una persona solo per quello che può offrirti, non è così?”

“Immagino di no, ma forse sono troppo tutto quello che hai detto, per capirci qualcosa.” Allungò il braccio per far cadere la cenere nel posacenere, senza mai lasciare il suo sguardo.

“Tu hai bisogno di qualcuno che si prenda cura di te,” disse ad un tratto “e che sia chiassosa, perché riempia il vuoto che i tuoi silenzi lasciano.” Continuava a guardare le iridi blu dei suoi occhi, smarrendosi poi su ogni dettaglio del suo viso: dalle occhiaie profonde agli zigomi affilati, dal naso sottile alle labbra ancora sporcate di sangue sull’angolo.
“Ti serve qualcuno con cui tu possa sentirti a tuo agio e condividere gli interessi.”

“Non è quello che cercano tutti?”

Tutti non nascondono unghie sporche di sangue, di tanto in tanto.”

Tutti non nascondono i lividi sotto strati di correttore.”
Edward tacque qualche istante, prima di sospirare in palese disagio. Era evidente che ormai non stessero più giocando da un po’.

“Perché ho la sensazione che tu abbia descritto te stesso, nel dirmi di cosa ho bisogno?”
Domandò quindi Keeny con fil di voce, esitando fino all’ultimo prima di porgergli quella domanda. Edward aveva appoggiato le mani sulle sue spalle, lentamente e con esitazione, prima di alzarsi sulle punte e compensare alla loro differenza di statura. Il più grande si era irrigidito sotto la sua delicata presa, ma né si era sottratto, né aveva aggiunto altro.

Sembri un gatto bagnato.

Jonathan ebbe la sensazione che quelle parole furono sussurrate contro le proprie labbra. D’istinto inclinò di poco il capo e si abbassò per andargli incontro, mentre la presa di Edward si faceva più stretta. Si guardarono ancora, col volto distante pochi centimetri l’uno da quello dell’altro, così vicini da poterne sentire il respiro sulla pelle. Edward faceva scorrere lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra, soffermandosi sempre più a lungo su quest’ultime, desiderandole sulle proprie ogni momento più del precedente. Jonathan non sembrava star ponendo particolare resistenza, ricambiava il suo sguardo con curioso smarrimento, lentamente avvicinandosi e chiudendo la piccola distanza che li separava. Era così vicino che poteva avvertirne già il calore sulle proprie labbra... Edward socchiuse gli occhi e gli andò incontro, vicino, sempre più vicino, esitando nello stesso istante in cui avvertì le labbra dell’altro sfiorare le proprie, quasi impercettibilmente.
L’istante successivo si separarono rapidamente l’uno dall’altro, quando il rumore della porta di ingresso li aveva risvegliati entrambi. Si guardarono, condividendo preoccupazioni e timori, solo per scoprire che la persona appena rincasata altri non era che il padre di Edward.
L’uomo era entrato in casa sbattendo la porta con rabbia, gocciolando acqua sul pavimento con non curanza.

“P-papà?!” Solo allora l’uomo parve notarli. Squadrò il figlio con cipiglio severo, volgendo poi lo sguardo a Jonathan, ora nuovamente con la sigaretta alle labbra.

“E lui chi è?”

“Jonathan. Keeny.” Replicò Edward, cercando di mantenere la calma.
Non era successo niente. Non aveva visto niente.
“Andiamo a scuola insieme.” Se avesse visto qualcosa, se ne sarebbero accorti: la sua reazione sarebbe stata furiosa.
L’uomo grugnì qualcosa in risposta, entrando in cucina per squadrarli entrambi.

“Vado a fare una doccia e riposare, attacco il turno alle otto.” Informò Edward.
“Vedi di pulire lo schifo che c’è all’ingresso e guai a te se doveste mai svegliarmi.”
Il rosso annuì rapidamente, ben conscio di quale fosse la minaccia celata da quelle parole.

“Vuoi qualcosa in particolare, per cena?”

“Sai fare qualcosa che abbia un buon sapore?” Rispose secco l’uomo senza nemmeno guardarlo. Aveva preso una lattina di birra dal frigo e con la stessa calma con cui era arrivato si era congedato. Solo dopo che ebbe chiuso la porta del bagno, Edward sembrò rilassarsi, seppur evidentemente ferito dalle dure critiche del padre. Nessuno dei due sembrava propenso a voler discutere di quanto fosse accaduto o quasi accaduto poco prima. Forse non sarebbe stato necessario parlarne, forse era stato un bene che fossero stati interrotti.

“Sentiti libero di andartene quando ti pare.” Disse Edward ad un tratto, superando Jonathan per chinarsi a prendere degli stracci da sotto il lavandino. L’altro era rimasto ad osservarlo qualche istante, mentre con rabbia ammucchiava pezze su pezze, volendo soltanto asciugare il pavimento e le scale al più presto.
“Scusa per prima, non so cosa mi sia preso.”

Jonathan aveva stirato un mezzo sorriso, riflettendo su tutta la situazione. Edward aveva cercato di baciarlo, no, era inesatto: Edward aveva considerato l’idea di baciarlo e lui non si era tirato indietro. Se non fossero stati interrotti, sicuramente gliel’avrebbe permesso. Era un qualcosa di inaspettato, che però aveva accolto senza particolari problemi, con sua somma sorpresa. Spense la sigaretta nel posacenere e, certo che il signor Nashton non fosse tornato sui propri passi, Jonathan si avvicinò al ragazzo ora in piedi di fronte al lavello, intento a riempire una piccola bacinella con dell’acqua. Gli posò una mano sulla spalla per avere la sua attenzione e nell’istante in cui Edward si era voltato, Jonathan aveva catturato le sue labbra in un bacio, premendole contro le proprie. Il rosso si era irrigidito sotto la sua presa, aveva squittito per lo stupore e la rapidità del gesto ma non vi si era sottratto, serrando solamente la presa sulle pezze che stringeva tra le dita. Jonathan lo lasciò andare poco dopo, con addosso un po’ del disagio che prima l’aveva fatta da padrone. L’altro, di fronte a lui, era rimasto a scrutarlo enigmatico, perché nemmeno tra un milione di anni si sarebbe aspettato che l’occasione prima sfumata si sarebbe riproposta così presto, specie per volontà altrui. Guardò oltre le sue spalle per accertarsi che fossero soli, solo per poi posare una mano sul volto di Jonathan e spingersi nuovamente contro le sue labbra, attirandolo a sé semplicemente passandogli un braccio intorno alla vita sottile, questa volta con più sicurezza di quanta mostrata pochi minuti prima. Edward aveva desiderato quel bacio per giorni; se l’era immaginato più volte, sin da quando i suoi sentimenti nei confronti del ragazzo erano diventati contrastanti. Keeny lo confondeva con la sua aria distaccata e quel sorriso meraviglioso; anche se continuava a trovare la sua presenza irritante, il rosso non poteva negare nemmeno a se stesso di essere attratto da lui fisicamente e soprattutto emotivamente. Per l’impeto con cui lo aveva attirato a sé, Keeny fu costretto ad appoggiarsi al lavandino alle sue spalle, solo per poi guidare una mano sul suo fianco, inclinando il capo e schiudendo le labbra nell’avvertire la lingua del rosso contro di esse. Smise di pensare, accettando con piacere la dolce sensazione di avere la mente completamente vuota, concentrata unicamente sulle sensazioni che stava provando. Edward era impacciato, cielo, lui lo era anche di più, ma non per questo si tirò indietro, agendo d’istinto e sfiorando la sua lingua con la propria fino ad accoglierla nella propria bocca, spingendosi contro di lui ed intrappolandolo contro il ripiano della cucina.
Si separarono l’uno dall’altro lentamente, col respiro spezzato e una sensazione di languido calore lungo il corpo, smarriti l’uno nello sguardo dell’altro in cerca di un segno che dicesse loro che avevano sbagliato a spingersi così in là, che era una pessima idea e avrebbe rovinato le cose.
Un segno che mai arrivò. Edward aveva riso nervoso, poco dopo, sfiorandosi le labbra con due dita e portando via a quel modo l’umido lasciato dalla saliva di entrambi, appena percepibile.
Jonathan percepiva il suo imbarazzo, quasi al punto da provarlo in aggiunta al proprio, ma fu solo capace di distogliere lo sguardo, cercando in ogni modo a non pensare a quanto un semplice gesto come quello fosse riuscito a sconvolgerlo così intimamente. Il suo unico conforto era stato realizzare che, durante il loro bacio, Edward si fosse irrigidito contro la sua coscia, in istintiva ricerca di sollievo. Era normale, naturale, una semplice reazione fisica a quel tipo di stimolazioni, ma era evidente che un episodio del genere avrebbe cambiato le cose tra di loro.
Jonathan non era certo di essere pronto a farsi determinate domande e a riceverne le risposte.
Di fronte a lui Edward si era voltato nuovamente verso il lavello, tornando a miscelare qualche goccia di detergente per pavimenti nella piccola bacinella, al fine di rimuovere le macchie di acqua sporca dall’ingresso e dalle scale.

“Dammi uno straccio. Ti aiuto a pulire.”

Senza aspettare una sua risposta, Keeny gli aveva già sfilato la pila di pezze dalle mani, precedendolo verso l’ingresso della cucina. Il signor Nashton era stato incurante nei confronti del pavimento, lasciando tracce del suo passaggio dall’entrata al soggiorno, e poi su per le scale fino alla porta del bagno. Aveva già una pessima opinione dell’uomo, gli erano bastati gli sporadici episodi raccontatigli da Edward per formularla e, quanto appena avvenuto non solo non lo aveva sorpreso, anzi era riuscito solamente ad accrescere il suo disprezzo nei suoi confronti.
Il ragazzo gli aveva confidato, in passato, di averci messo un po’ a realizzare che quell’atteggiamento non fosse normale, Jonathan invece non aveva avuto problemi a riconoscere i tratti distintivi dell’abuso nei suoi gesti. D’altra parte lui aveva avuto una Maestra, in quello. Mary Keeny era stata sadica e crudele nei suoi confronti sin da quando aveva avuto la capacità di comprendere e ricordare, sebbene non avesse mai provato il caldo affetto genitoriale, Jonathan si era sempre rifiutato di idealizzare il comportamento della donna e di normalizzarlo.

“Non devi farlo per forza...” ci tenne a precisare il rosso, ora accovacciato a terra per portar via le prime macchie. Jonathan era stato solo capace di scrollare le spalle e fare lo stesso, qualche metro più in là, con la pezza bagnata tra le magre dita.

“Non vorrei che la mia sposa trofeo si affaticasse.” Aveva detto con leggerezza, senza pensare al fatto che avesse implicato che Edward ora fosse suo. Non lo era, certo che no. Non era nemmeno certo di volerlo, perché in fondo un bacio non provava niente. Forse aveva solo bisogno di metabolizzare quanto accaduto, con la certezza che tutto fosse come prima tra loro, nonostante il bacio. Aveva bisogno di sapere che avrebbero potuto ancora continuare a stuzzicarsi con battute caustiche e orrendo sarcasmo, a prendersi in giro per i reciproci difetti e mancanze, continuando a passare il tempo insieme. Quella piccola fuga dalla realtà che Edward gli offriva ogni giorno era stata la prima boccata d’ossigeno nei suoi diciassette anni, non voleva nemmeno pensare al fatto che la possibile evoluzione del loro rapporto potesse portargliela via.

“Sei un idiota.”
Quell’insulto, alle sue orecchie, suonò come la migliore delle lusinghe.

“Oh. Niente più passive-aggressive Edward, vedo.” Replicò alle sue spalle, sorpreso.
“E’ questo il ringraziamento che merito?”

“No, ma resti un idiota.”

“Mi sembra giusto.”







End
Cadaveria†Ragnarsson


  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Batman / Vai alla pagina dell'autore: Bad Devil