Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Dexys    26/12/2016    0 recensioni
Cosa sono i Mastri? Non lo sapete? Anche Dex non lo sapeva, anzi, non credeva neanche alla magia, però, come vuole ogni buon fantasy, essa esiste. Sotto diverse forme, certo, però esiste. Cosa succederebbe se Dex venisse catapultata in una realtà nascosta, a cui appartiene ma che non conosce. Una realtà meravigliosa ma che nasconde un'oscura verità. Un essere assai malvagio sta invadendo i due mondi, magico e non. Riuscirà Dex a fermarlo?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Un aereoplanino mi sfiorò la testa e cadde a terra vicino a delle bambole di pezza. Chi fosse stato a tirarlo non lo seppi ma in quel momento non mi importava, qualcos'altro attirava la mia attenzione. Davanti a me si ergeva un enorme casa delle bambole, riprodotta nei minimi dettagli. All'interno vi erano delle statuine che raffiguravano delle persone. Una bambina, un un uomo che doveva essere il padre, e forse la madre. Però c'era qualcosa di strano, nella casa vi era una stanza dall'aria vecchia, spoglia. Il mobilio era quasi inesistente, tranne per una culla, una piccola e semplice culla bianca decorata con del pizzo un po' sporco.

Mi avvicinai a quello che sembrava essere un bimbo nella culla, a differenza delle altre statuine il bimbo aveva un 'espressione triste, quasi piangente. Serrava i pugnetti verso l'alto, quella bambolina era stata intagliata con una tale precisione. Provai a sfiorarla con un dito, leggermente per paura di romperla. Toccandola avvertii un senso di malinconia invadermi da dentro. Ritrassi subito la mano, come scottata. Mi ridrizzai e mi girai verso il vecchio proprietario della bottega.

«Questo cosa significa?» dissi con tono fermo, assumendo una posizione autoritaria. L'uomo fece un sorriso malinconico e guardò l'orologio da taschino che aveva appena tirato fuori dalla giacca color panna. Aveva qualche graffio qua e là ma per il resto sembrava ben tenuto, che fosse un cimelio di famiglia?

«Non credo che tu sia pronta per saperlo, ti consiglio di andare a casa, vi consiglio si tornarvene a casa per ora» parlò lui mentre raccoglieva l'aereoplano giocattolo caduto poco prima. Lo studiò come se nascondesse un qualche mistero e poi lo ripose al suo posto. Con quella frase credo volesse rispondere a tutte due le mie domande, anche se non demordevo.

«E la musichetta di prima? Insomma, almeno questo lo devo sapere» esclamai arrabbiata.

«Quale musichetta?» disse lui con aria innocente, anche se si vedeva da un miglio che non era vero. Voleva nasconderlo ma anche lui sapeva di cosa stavo parlando. Ero al limite della pazienza, strinsi i pugni e diventai rossa.

«Dex, forse è meglio andare» mi mise una mano sulla spalla Michael. Lo guardai e feci cadere la sua mano. Lui non fece niente per controbattere, ormai aveva capito che per me era importante. Io quella melodia l'avevo già sentita, non potevo fermarmi ora.

«No invece! Io voglio sapere, io devo sapere.» 

Calde lacrime mi rigavano le guance, sentivo il loro sapore salato sulle labbra. Alzi una mano forse il viso e le asciugai ma  ben presto divenne inutile, ormai stavo già piangendo. Non sapevo il perché di questo mio interesse verso qualcosa che forse avevo immaginato. Forse stavo diventando pazza.

Il mio cellulare prese a vibrare nella tasca dei pantaloni. Lo tirai fuori e con la testa china diedi un'occhiata sullo schermo acceso. Sulla schermata vidi quello che mi immaginavo: mia madre. Risposi.

"Denise Mastari! Dove ti sei cacciata?!" urlò lei dall'altro capo del telefono. Ovviamente era preoccupata, la sua unica figlia era dispersa in una grande città insieme a due suoi amici, tutti minorenni per giunta. Dovetti fare forza sulla mia calma per non far trasparire dalla mia voce il pianto che ormai era ben visibile agli occhi degli altri. 

«Scusa mamma, ora arriviamo» e con questo riattaccai, non aspettai neanche una sua risposta. Feci un respiro profondo e decisi di farla finita, ormai bisognava piantarla con tutto ciò.
Presi il giubbotto che per comodità mi ero tolta prima e guardai i presenti. 

«Credo che ormai il tempo a nostra disposizione sia terminato. Sofia, Michael, ora andiamo» dissi fredda. Loro annuirono comprensivi. Poche volte mi avevano visto così seria, di solito ero sempre stata solare. Era dalla morte di papà che non mi comportavo così. 

Sentii qualcosa sfiorarmi una gamba e chinando lo sguardo vidi il gatto color sabbia guardarmi. Non sapevo identificare la sua espressione, in quel momento forse non sarei stata in grado, ma credo fosse un misto di tristezza e malinconia. Spostai la gamba indifferente, sperai di non averlo offeso più di tanto. Infondo era solo un gatto.

Presi a camminare verso l'uscita, convinta che ormai fosse chiaro ciò che stavo provando il quel momento. I miei due amici mi seguirono ma prima che potessi anche mettere piede fuori dal portone il vecchio parlò. 

«Sai bene che questa non sarà l'ultima volta che ci vedremo» 

«Sì, lo so» e con questo uscì in strada e la porta dietro di noi si chiuse senza far rumore. Lanciai un'occhiata sopra il portone. Un insegna che prima non avevo visto era ora ben visibile a carattere cubitale. In grassetto vi era scritto Mastro giocattolaio.

 

La neve che qualche ora prima era caduta si era sciolta, in quel momento la strada era popolata da un'immensità di pozzanghere. Camminavo a passo svelto verso il Duomo, il luogo prestabilito da mia madre. I miei amici mi seguivano sussurrando tra loro. Non era ben chiaro cosa si dicessero, forse parlavano di quello che era appena accaduto, sperai di sbagliarmi. 

Una luce accecante ci illuminò tutti e tre, i fari dell'auto di mamma ci rassicurarono. Per un momento dimenticai l'accaduto per rilassarmi.

«Mamma!» corsi verso di lei e l'abbracciai. Lei rimase per un attimo interdetta ma poi ricambiò in fretta l'abbraccio. La strinsi più forte che potei, avevo bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi in momenti del genere. La mia mamma era la mia ancora di salvezza. Lei che mi aveva consolato mentre piangevo, lei che mi aveva sgridato quando sbagliavo. Lei che mi teneva la bicicletta per non farmi cadere. Avermi cresciuta da sola davvero un atto di vero coraggio. La guardai per poi ritornare a stringerla a me. Non potevo immaginare una vita senza la mia mamma.

I miei amici erano imbarazzati, allora decisi di prenderli entrambi per la maglietta e stritolammo insieme la mia mammina. 

«Ehi ehi ehi, mi manca l'aria! Volete uccidermi con affetto?»    rise lei boccheggiando. Esclamammo in coro un "Ops" e la liberammo, a malincuore. Pensai che fosse meglio non raccontarle dell'accaduto, stessa cosa fecero Michael e Sofia. Con questo tornammo tutti a casa propria per farsi una beata dormita. O almeno loro.

 

La pioggia aveva prevalso sulla neve, le gocce scendevano piano sul vetro della finestra, in vento muoveva i rami degli alberi riproducendo ombre spaventose da far spaventare qualsiasi persona con una fervida immaginazione. I  mostri della notte volevano me, una semplice bambina impaurita da quello che sembrava essere solo un brutto sogno. 

Mi agitavo nelle coperte ormai in disordine, i cuscini a terra facevano sembrare me in preda a qualche avventura nel sonno. Lanciai un urlo. Non ero ancora completamente sveglia, sentivo costantemente delle mani afferrarmi per le braccia e per le gambe. Decisi di andare a prendermi un bicchiere d'acqua. Scesi piano le scale attenta a non svegliare mia madre. Per sicurezza non misi le pantofole. 

Il camino era acceso e dentro il fuoco scoppiettava allegramente irradiando un piacevole tepore. Mi avvicinai ad esso e alzai entrambe le mani per riscaldarmi. 

"Papà, raccontami un'altra storia!"

"Non ora, devi andare a dormire. Come farai ad essere riposata domani?"

"Dai, solo una! Raccontami quella della ballerina di porcellana!"

"Va bene. Allora...

Tanto tempo fa un uomo decise di creare un carillon per la sua piccola bambina.

La bambina amava la musica, ma era troppo piccola per suonare un qualche strumento, allora il padre suonava per lei. C'era un brano che la piccola amava più di tutti, era semplice, era una ninna nanna.

Purtroppo il padre sapeva che presto sarebbe venuto a mancare, quindi decise di mettere la melodia preferita della figlia all'interno del carillon, in modo che la bambina potesse sempre ascoltarla anche quando il suo babbo non ci sarebbe stato più. Impiegò sessanta giorni e sessanta notti per costruirlo. Ed eccola alla fine, una bellissima ballerina di porcellana in tutto il suo splendore. 

Ormai di quel cimelio non si hanno più notizie, si dice anche che in realtà la melodia non sia neanche stata completa-"

Un rumore interruppe lo scorrere dei miei ricordi. Cercai la causa di esso, camminai verso la cucina. Strano ma vero il responsabile era ancora lì ad aspettarmi. Fece un sonoro miagolio.

«Ancora tu? Come sei entrato?» sussurrai chinandomi ad  accarezzandolo. Facendo le fusa indicò la finestra aperta sopra il lavello. Da lì entrava il vento freddo della notte, infatti rabbrividii. Forse era opportuno chiuderla. Mi rialzai e la chiusi, cercando di fare il meno rumore possibile. Come era arrivato fino a me quel gatto color sabbia?

«Senti, ora sono stanca, ti riporterò domani dal tuo padrone. Questa notte, ma solo per questa volta, dormirai con me. Chiaro?»  

Lui fece un felice miagolio in risposta.

Rubai da un dei cassetti della mia camera una vecchia coperta che ormai non usavo più e la sistemai a mo' di cuccia. Presi un piatto e vi ci versai del latte fresco. Pensavo che fosse a posto per una notte. Lanciai un ultima occhiata al micio e decisi di ritirarmi per il resto della nottata nel mio letto. Salii piano le scale. Sperai con tutto il cuore che mia madre non si svegliasse e lo scoprisse. 

«Buonanotte» sussurrai certa che non mi avesse sentito. Le palpebre si fecero  si fecero più pesanti e in fretta mi addormentai, rassicurata dalla presenza del miciotto a farmi compagnia.

 

Mi svegliai. Mi ritornò subito alla mente l'accaduto di ieri, il vecchio, il gattino, l'escursione notturna. Mi venne subito un forte mal di testa. Mi portai subito una mano alla tempi, cercando inutilmente di alleviare il doloroso martellare. Provai anche a contare fino a cento ma niente. Decisi che forse era meglio mangiare qualcosa e con questo mi misi le ciabatte e scesi in cucina. Di mia madre neanche l'ombra, sicuramente era già a lavoro. Quella donna aveva una forza, alzarsi presto la mattina, lavorare... Che figlia ingrata che ero.

Presi una fetta di crostata del supermercato e la addentai appoggiandomi al bancone. Era domenica, niente scuola. Non avevo compiti poiché li avevo già finiti qualche giorno prima. Insomma: che si faceva in quella giornata?

Guardai il cellulare e notai subito numerose chiamate perse dai miei amici. Sarebbe stato meglio se li avessi richiamati rassicurandoli, ma ne avevo la forza. Spensi l'apparecchio con un groppo alla gola e mi diressi in sala. Il camino era spento, ma comunque non faceva molto freddo. Per essere Dicembre il clima era abbastanza mite, a parte per la neve e la pioggia di ieri. 

Inciampai nella stoffa di una coperta e caddi a terra. Aspetta...

Cavolo!

«Micio! Bel gattino, dove sei?!» mi rialzai lo cercai per tutta la casa. Mi sistemai i capelli che nel frattempo avevo ordinato in una semplice coda, anche se qualche ciuffo era sfuggito. 

Del gatto neanche l'ombra, che se ne fosse andato?

Con questo pensiero sospirai e raccolsi gli oggetti per terra. Mi rattristava non averlo neanche visto la mattina, ovviamente mia madre non l'aveva neanche notato tanta la fretta con cui ci metteva per uscire e andare alla panetteria in cui lavorava, si, lavorava anche di domenica purtroppo.

Mi dirigetti  in cucina lentamente. Mi sentivo così sola, senza nessuno con cui parlare per tutto il giorno. Ma infondo non era quello che volevo? Non avevo risposto apposta a Michael e Sofia proprio per non parlare con loro. Lanciai un altro sospiro.

«Almeno c'era quel gatto sbruffone a farmi compagnia prima» sussurrai convinta che nessuno mi avesse sentito. Tanto ero sola casa.

«Sbruffone a chi, eh?!» esclamò adirata una voce maschile. 

Mi girai di scatto per ritrovarmi davanti a me un ragazzo arrivato dal nulla. Rimasi paralizzata quando capii che lui era reale.

Urlai. 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Dexys