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Autore: SumoNessuno    27/12/2016    0 recensioni
Quattro mercenari si muovono all'interno dei Regni della terra di Omnia per eliminare coloro che hanno commesso gravi peccati. Si fanno assoldare solo da chi ha un cuore abbastanza puro da permettersi di ascendere al paradiso dopo la morte, e uccidono solo chi è nel torto. Non sempre, capita che qualcuno di fastidioso intralci la strada.
Ma qualcosa di più grande li aspetta, e solo Morte sa di che si tratta.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Sumi ricordava perfettamente il giorno in cui incontrò Elisa, anzi il giorno in cui lei lo conobbe, quattro anni prima.
Era il guaritore e il capo religioso di un clan di barbari, il suo culto si fondava sull’adorazione dei Nove Dei che rappresentavano  gli avvenimenti della natura: I Primi Quattro,  ossia Gorgath, Mand, Yume e Betiy erano coloro che controllavano le stagioni, dalla  Primavera di Gorgath  all’Inverno di Betiy; I Minori Due Tuma e Poida invece erano il Sole e  la Luna; i  Secondari Tre erano Domino, Korf e Nepky e rappresentavano i regni  di Animali, Piante e Umani.
Il suo clan, i Barbari dell’Orso, era un gruppo di bruti  nomadi che si spostavano attraverso i Regni razziando i  villaggi di contadini che trovavano sul  cammino che Sumi leggeva nelle rune. Viveva per  servire  i suoi Dei  e per curare  le persone malate, il tutto con umiltà e  bontà. Era un uomo alquanto giovane per avere quel pesante incarico sulle spalle, a soli sette anni scoprì il dono della magia, a dieci già aveva la padronanza di molti incantesimi, a diciotto rase  al suolo un villaggio da solo e a venti  venne incaricato dal precedente sacerdote di continuare il suo compito, rinunciando per sempre  alla violenza. Era alquanto alto e di corporatura alquanto importante, in parte nascosta dalle tuniche e dalle lunghe vesti che era solito indossare. I lunghi capelli e gli occhi erano dello stesso color cioccolato, e la pelle alquanto chiara per essere un barbaro.
Ma un giorno qualcosa lo cambiò.
Una strana malattia si diffuse in tutti i regni, mietendo numerose  vittime. L’epidemia colpì pure il  Clan dei Barbari dell’Orso, iniziando a decimare i bambini e gli anziani. Sumi passava allora le  sue giornate a eseguire  rituali, fare incantesimi e pregare gli Dei affinché trovasse una  cura per la sua gente.
Ma  non vi fu mai una risposta.
Il Clan si stava rimpicciolendo ogni giorno di più, e quando l’ultimo cacciatore si ammalò  iniziarono anche  a morire di fame. Alcuni arrivarono a mangiare i cadaveri di color  che erano morti, aiutando il dilagare del morbo.
Fu allora che il Guaritore decise di andare contro al  suo credo. Iniziò  brutali esperimenti sui  malati e su coloro  che  erano ancora sani, finendo per impazzire.
Ogni giorno prendeva un malato  e tramite alcuni incantesimi gli strappava il cuore dal petto, lasciando il malcapitato vivo  e dolorante legato su di un tavolo. Con la magia sostituiva l’organo con oggetti incantati, trasformando la persona in un essere a metà  tra la  vita  e  la  morte.
Le persone che trasformava non avevano più  la malattia, e allora iniziò a uccidere chiunque incontrasse per farli diventare creature immuni a questa.
Finché il  morbo non colpì pure lui.
Macchie nere comparvero sulla sua pelle, sangue nero sgorgava dai suoi occhi e  lentamente i suoi muscoli si paralizzavano. Costretto ormai a strisciare  tra i cadaveri delle  persone che aveva inutilmente ucciso, tentò di pregare i suoi Dei ancora una volta.
Chiedendo perdono e salvezza, l’unica  risposta che  sentì  rimbombargli  nella testa fu : “Non puoi chiedere  il perdono per qualcosa  che non hai fatto.”
Non capiva il  motivo di quelle parole, aveva ucciso  delle persone e le  aveva  fatte  diventare esseri vuoti, perché gli Dei gli dicevano questo?
Sentiva che le forze  lo stavano abbandonando, ma non poteva morire lì. Si trascinò fino a fuori l’accampamento, situato in un’ampia radura in mezzo ad una foresta, appoggiò la schiena ad un albero e con l’ultima energia rimasta pronunciò arcane parole magiche. In qualche secondo, tutto il  villaggio  iniziò  a bruciare in un fuoco verde.
- Adesso, Dei,  mi perdonate?
Lasciò  cadere la testa sul legno dell’albero, sbattendo lentamente le palpebre mentre fissava la sua vita bruciare. La paralisi iniziava a prendergli pure il tronco, e il braccio sinistro era ormai andato. Grumoso sangue nero scendeva copioso dai suoi occhi, ma si rifiutava  di morire  in quel modo.
Prese il coltello sacrificale che portava alla  cintura con la mano destra, e con estrema  difficoltà se lo portò fino al petto.
Prese un profondo respiro, chiuse  gli occhi e si infilzò la lama nel cuore.
“Non puoi chiedere il perdono per qualcosa  che non hai fatto”
Quelle parole rimbombavano nell’oscurità.
“Non puoi chiedere il perdono per  qualcosa  che non hai fatto”
Ma stavolta la voce non era eterea come  quella degli Dei, era una  voce  femminile che gli parlava chiaramente.
“Se ti salvo dalla morte, tu mi  seguirai?”
Chi era a parlare? E dove  si trovava in quel  momento? Era  circondato  dal buio più  assoluto, e gli  sembrava  di star fluttuando.
“chi  sei?” chiese insicuro.
“Tu rispondimi prima.”
Non riusciva a sentire nulla, né il dolore che poco prima lo attanagliava né la paura della fine. Che quell’oscurità fosse il regno dopo la morte, invece che la Foresta dei Sogni dei suoi Dei?
“Mi stai dicendo che sono morto?!” la sua voce  tremante tradiva il coraggio che fingeva di avere. Cercò di muoversi, di agitarsi, ma era come avvolto in mare di miele. Non sentiva i muscoli tendersi, gli occhi girare nelle orbite, l’aria passare nelle narici.
Era parte di quel buio.
“Non ancora. Sei bloccato in una sorta di limbo, in attesa di venire  giudicato da me. Posso offrirti una nuova vita, ma dovrai seguirmi.”
Quella voce rimbombava in tutta l’area, senza una precisa fonte, e si esprimeva con tono fermo e quasi severo.
Sumi non sapeva cosa fare, poteva essere giudicato da questa e aspirare a un oltretomba, oppure riprendere a vivere e cancellare il suo passato.
In  quel momento lasciò definitivamente il suo credo.
“Va bene, ti seguirò. Ma dimmi chi sei.”
Era sicuro di quello che diceva, voleva lasciarsi tutto alle spalle.
“Benissimo. Ti riporterò in vita, e in cambio voglio che tu mi aiuti a eliminare i peccati da questo mondo. Io sono Morte.”
Appena finì di parlare tutto sembrò precipitare. Il nero cadde verso il basso come vernice, lasciando posto ad una luminosa luce bianca che inondava ogni cosa.
Il mago si svegliò in un letto di paglia, il corpo era totalmente  indolenzito e riusciva a malapena a  muoversi. Girò con fatica la testa, cercando di mettere a fuoco ciò che vedeva. Ciò che all’inizio appariva come una tavolozza di colori di un pittore lentamente si trasformò  in una colorita tenda. Era alquanto spaziosa, oltre  al letto c’era un grosso tavolo in legno scuro che occupava il centro della  stanza  su cui vi erano riposte alcune boccette di vetro, contenenti chissà quali pozioni.
Sollevò a stento il braccio sinistro, che fino a  poco tempo prima non riusciva più a muovere, e notò con meraviglia che tutte  le macchie nere presenti sulla pelle erano scomparse, fatta accezione per una sul dorso della mano. Guardò pure la destra, e vide che pure su quella era presente un’unica chiazza scura.
- Purtroppo non sono riuscita a toglierle tutte, ma poco male. Ti ricorderanno chi sei ora.
Si girò di scatto, causandosi uno strappo al  collo, e  vide che sull’uscio della tenda vi  era una giovane elfa, dalla corporatura  esile ma tonica, vestita con un giubbino di cuoio che  le andava a pennello; una cintura di pelle le pendeva  dalla spalla destra e le cingeva il petto, e su di essa vi erano riposti un paio di coltelli dalla lama lunga e  ricurva messi in bella mostra. I pantaloni aderenti mettevano in risalto le sue lunghe e affusolate gambe, e ai piedi indossava un paio di stivaletti di cuoio di ottima fattura.
i suoi capelli, di un colore castano come il legno, cadevano come  dolci onde sulle sue spalle formando come una cornice per un viso delicato e dalla pelle chiara, fatta eccezione per due occhi color smeraldo che sembravano brillare.
- Tu … Tu chi sei? – pronunciò quelle parole con un filo di voce roca, e  in un lampo la gola  gli si asciugò  completamente.
- Sono Elisa, Ranger del Clan elfico di AltoBosco. Ma  tu già mi conosci, mi sono fatta chiamare Morte.
Sentendo quelle parole Sumi capì subito che lei era colei che gli stava parlando nel limbo. Eppure era totalmente diversa da come se l’era immaginata, la voce gentile  e  il viso sorridente non potevano appartenere alla stessa persona che prima gli aveva parlato.
- è meglio se riposi adesso, ti verrà spiegato  tutto ma devi riprenderti. Non è stato un viaggio facile il tuo. – Si avvicinò con passo felpato, tolse delicatamente  la coperta da sopra di lui e scoprì  il  suo petto, completamente ricoperto da fasce tinte di uno spento rosso.
- Vanno cambiate, credo per l’ultima volta. Non trasudano più sangue come prima.
Estrasse con fulminea velocità  il pugnale dalla cintura e tagliò le bende, senza fendere la fragile pelle sottostante.
Il tessuto cadde sui lati  del corpo, mostrando la pelle sporca di sangue e con una grossa cicatrice ricucita sul cuore.
Elisa andò  a prendere altre fasce sul tavolo, tornò indietro e iniziò ad applicarle di nuovo sul corpo  dell’umano. Stendeva un pezzo e poi lo tagliava, poi ricominciava finchè  non creava più strati di tessuto.
Quando ebbe finito passò la mano a qualche centimetro dalle fasce, muovendola piano e recitando misteriose parole in qualche antica  lingua. Un leggero  fumo nero uscì dalle sue dita e  si posò sopra le bende, per  poi venire  assorbito dentro di queste e renderle dure come la pietra.
- Bene, ora dormi per un paio di giorni e poi vedremo di parlare per bene, ok? – gli disse sorridendo e con un tono tranquillo.
Gli tirò  le coperte fino al collo e uscì dal tendone senza  far alcun rumore, lasciandolo nuovamente solo.
Nuovi pensieri s’insinuavano nella sua mente, ma nemmeno questi riuscirono a tenerlo sveglio e, nel giro di qualche minuto,  si assopì in un profondo sonno.
Si risvegliò  tre giorni dopo,  nello stesso letto e nella stessa tenda. Si sentiva riposato e aveva riacquistato la sensibilità in tutto il corpo, difatti riusciva a muoversi tranquillamente. Riguardò  le sue mani, soffermandosi preoccupato  su quelle due macchie nere. Passò poi al petto, notò  che  non vi erano più le bende  e che aveva dormito senza alcuna maglia; la pelle aveva preso un colorito naturale e la cicatrice si era chiusa perfettamente. Si mise seduto nel giaciglio e osservò di nuovo il posto in cui  era: vide che il tessuto con cui era fatta la tenda aveva un intricato disegno di un’edera verde ricamato su uno sfondo arancio e che era di pianta ottagonale; ad ogni angolo vi era un palo in legno alto  all’incirca  due  metri, e al centro ve n’era uno alto almeno il doppio, che segnava il punto più alto del tendone. Il telo era stato messo su quest’ultimo e poi venivano tese delle corde dall’apice  fino ad ogni palo, per dare più  rigidità alla struttura. L’ingresso era un semplice arazzo di colore rosso  appeso al telo principale tramite sue  chiodi, e per entrare bastava spostarlo con una mano.
Provò ad alzarsi in piedi, ma non appena si staccò dal letto ricadde indietro sulla coperta di lana, capendo che doveva ancora riprendere dimestichezza con le gambe e l’equilibrio.
Mentre cercava di rimettersi a posto sotto la coperta entrò una ragazza, anche  lei era un elfa ed era molto simile a Elisa, anzi se non fosse stato per i capelli corti era perfettamente identica.
- Oh ti sei svegliato finalmente! – disse euforica – Così mia sorella ha scelto  te eh? Chissà perché. Io comunque sono Francesca, ma tu puoi chiamarmi anche Carestia. – si  avvicinò a lui e gli porse la mano da stringere con semplicità, mentre  mostrava un innocente sorriso.
Lui le strinse la mano con incertezza, fissandola un po’ stupito.
- Piacere  Francesca, sono Sumiri e … e non so perché sono qui.
-Oh è semplice, mia sorella  sta reclutando quattro persone per poter  purificare  questo mondo dai peccati che lo affliggono. – disse sedendosi a terra, accanto al letto. Il tono con cui lo disse fece sembrare l’argomento una cosa leggera, quasi uno scherzo.
- Ehm, come? -  chiese  pensando di aver capito male.
- è semplice, devi solo uccidere le persone che hanno commesso peccati molto gravi. Se riesci a prendere un po’di soldi è anche meglio.  – disse ancora con leggerezza.
- Continuo a non capire. – rispose ancora, confuso.
- Oddio si vede  che esci da quattro giorni di dormita pesante! – enunciò, quasi  esasperata – ti vado a chiamare  mia sorella, ha un po’ più di pazienza  con le persone. – si alzò da terra con un salto e uscì dalla porta quasi correndo.
Sumi si passò le mani sul  viso, cercando di far mente locale su ciò che gli era appena stato detto. Appena tolse i palmi da davanti gli occhi si ritrovò Elisa seduta su una sedia  accanto a  lui, come se fosse lì da chissà quanto tempo a fissarlo.
- Buongiorno! – disse sorridendo
- Buongiorno – rispose fallendo nel riprodurre lo stesso entusiasmo. – Tua, ehm … sorella, credo, mi ha detto delle cose  ma non le ho capite poi molto.
-  Non è così brava a spiegare, né a capire le cose. È molto migliore nel metterle in pratica. – rispose pensando molto alle parole che usava. – comunque ora ti spiego cosa è successo. Innanzitutto ti dico  che io sono stata scelta per rappresentare la Morte tra i mortali, mentre mia  sorella Francesca è stata scelta per rappresentare la Carestia. Il nostro compito è quello di trovare gli ultimi due Cavalieri dell’Apocalisse per poter eliminare un grosso male che si annida in questo mondo, e per farlo dobbiamo innanzitutto eliminare coloro che hanno commesso gravi peccati nella loro vita. Quando sono stata scelta per questo compito, mi sono stati dati dei particolari poteri che mi rappresentano, e in particolare posso scegliere  di condannare o assolvere un’anima morente. Eravamo nelle vicinanze del Clan dei Barbari dell’Orso quando ho percepito una particolare anima spegnersi, la tua. – con queste ultime parole, il volto di Sumi improvvisamente s’incupì.
- Perché la mia è particolare?
- Perché tu sei stato scelto per rappresentare il Cavaliere di Pestilenza. L’epidemia che si è diffusa  è stato l’inizio dei tuoi poteri che si sono risvegliati, ma tu non sapendolo non hai potuto controllarli e si sono rivolti contro di te.
- Chi lo sceglie? – la voce dell’umano si era fatta dura  - Chi sceglie a chi affidare questo compito?!
Elisa distolse lo sguardo, rimanendo in silenzio per qualche istante.
-  Non lo so.
A quella  risposta Sumi tirò un profondo sospiro di sollievo.
- Sempre meglio che “Gli Dei”. Preferisco non sapere  da dove derivi questo incarico. Puoi continuare.
- Come stavo dicendo, la tua anima  stava abbandonando il regno dei vivi quando io l’ho fermata, intrappolandola in un limbo per decidere se  assolverla e farla ritornare nel tuo corpo o condannarla all’oltretomba. Fortunatamente hai fatto la scelta  giusta. – concluse ritornando sorridente.
- Quindi cosa  devo fare?
- Da domani inizierai ad allenarti al combattimento, credo che tu sia un mago giusto?
- Sì, ma ho usato la magia principalmente per guarire, è da anni che non la uso per combattere …
- Non ti preoccupare, imparerai di nuovo.
Detto questo Elisa si alzò in piedi e si incamminò verso l’uscita. Con il braccio destro scostò l’arazzo e poi si voltò verso Sumi.
- Domani ti sveglierai alquanto presto e passerai la mattinata a ri-allenare i muscoli. Poi dovrai costruirti un bastone magico e inizierai a lanciare incantesimi. Preparati! – disse  disinvolta, per poi uscire  dalla tenda.
Sumi rimase lì nel letto a pensare, immergendosi nei meandri della sua mente fino a che non fu troppo stanco per continuare a preoccuparsi. L’ultimo dubbio che gli venne fu “Ma quando è  stata l’ultima volta che ho mangiato?” e poi crollò esausto.
Dal giorno successivo iniziò il suo allenamento, da lanciare incantesimi a combattere  corpo a corpo. Imparò inoltre a combattere con il bastone e ne creò uno tutto suo, fatto di legno di quercia al cui apice vi era incastonata una sfera di resina magica, che risplendeva alla luce del sole si illuminava ogni qual volta Sumi utilizzava un incantesimo. Decise inoltre di mettere sul fondo una lama di una vecchi falce, riforgiata dal fabbro del Clan Elfico per essere indistruttibile e per non perdere mai l’affilatura.
Passavano i mesi e il rapporto tra l’umano e le due elfe si stringeva  sempre di più, e in breve tempo divennero amici molto stretti.
E ora erano lì, appena dopo una missione per il Re in persona, a prepararsi per andare a prendere la lauta ricompensa che li spettava.
Non si sarebbe mai immaginato di arrivare fino a quel punto, ma fortunatamente qualcuno lo aveva salvato tempo addietro dal nulla.
Elisa aveva finito di  sistemare le sue cose nella borsa e aveva iniziato a smontare la tenda quando un sottile suono la fece fermare. Nessuno oltre lei sembrava essersene accorto, eppure lei aveva chiaramente sentito qualcuno che estraeva una lama dal fodero non molto lontano dal campo. Guardò i suoi compagni e vide che tutti erano impegnati a mettere a posto, e quel rumore doveva per forza  essere di qualcuno che si aggirava nel fitto della foresta. Tenendo salde le mani sui suoi coltelli si incamminò verso l’oscuro  bosco con passo lento, guardandosi attorno a ogni falcata. All’improvviso si abbassò di colpo, schivando il fendente di una spada che le passò  a  pochi centimetri sopra  la testa. Estrasse i pugnali e scattò in avanti tenendo le lame davanti a sé. Queste cozzarono contro la spada  di prima, producendo un suono che mise sulla difensiva anche  gli altri Cavalieri. Con un salto mortale  all’indietro Elisa si allontanò  dal nemico, e ora poteva vederlo per intero: era  un guerriero coperto da un’armatura nera come  la notte e che brandiva una lunga spada d’acciaio scintillante.
- Chi sei!? – gli intimò Morte.
- Tempi oscuri stanno arrivando, e voi non siete concentrati. – rispose una voce maschile grave e imponente, rimanendo freddo e distaccato -  Ci incontreremo di nuovo, e per allora spero potremo combattere dalla stessa parte.
- Ti ho fatto una domanda – si impose  l’elfa
- Lo scoprirai.  Sappi solo che non siamo nemici, stasera  ho voluto sperimentare la vostra prontezza, e a parte  te  gli altri non valgono molto. – rispose vaneggiando.
Il  soldato stava mettendo via la spada quando fu circondato da un denso fumo nero che gli impediva di vedere. Fece un passo indietro e  un forte dolore lo colse al fianco, facendolo barcollare. Tastò il punto dolorante, e  si accorse che in quei pochi millimetri dove due pezzi di armatura si congiungevano stava sanguinando parecchio. Si voltò di  scatto impugnando di nuovo la sua lama, fece un passo ancora e pure sull’altro  fianco si aprì un profondo taglio, che lo fece piegare  in due. Guardò davanti  a sé  e vide che il fumo era  sparito, e ora una lama ricurva brillava alla luce della luna davanti al suo elmo.
- Non prenderti mai più gioco  di me o dei miei amici  o finirai molto male. – lo minacciò Elisa  con  uno sguardo infuocato e reggendo il pugnale con mano ferma.
- Sei tanto attaccata a loro, ma sai bene che alla fine  non potrai risparmiare nessuno. Mi fai pena. – le rispose acido.
L’elfa fece mezzo passo indietro, poi tirò un forte  calcio sotto il mento dell’uomo, facendolo ribaltare.
- Vattene e non farti più vedere – lo intimorì.
Senza dire  nulla si alzò in piedi e  barcollante scomparve tra gli alberi del bosco. Elisa rinfoderò le sue lame e fece ritorno all’accampamento dove i suoi compagni la stavano aspettando con le armi sguainate e pronti ad agire.
- Che è successo!?- chiese Francesca stupita non appena vide la sorella sbucare fuori dall’oscurità del bosco.
- Nulla, uno si era perso e voleva fregarmi dei soldi. – disse  quasi ridendo. – ma piuttosto, perché voi non siete intervenuti?
- Ci hai sempre detto di aspettare il tuo segnale prima di agire,  così  siamo rimasti in attesa. – rispose Jessica appoggiando la sua grande ascia a terra.
Elisa guardò con la coda dell’occhio il buio del bosco, pensando a cosa  quel cavaliere gli avesse detto poco prima.
“Tu  non sai quanto noi valiamo” pensò dura.
- Allora mi ascoltate quando parlo! – disse riacquistando buon umore. – muoviamoci a mettere via tutto che un grosso sacco d’oro  ci aspetta!!!
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- li hai trovati? – la grave e severa voce del Comandante rimbombava in tutta la sala.
- Sì Comandante Krept, avevate ragione  … - Il  cavaliere era inginocchiato davanti al tavolo del  Comandante e gocciolava sangue  dalle fessure dell’armatura, mentre parlava colto da  un profondo senso di vergogna.
- Te l’avevo detto di non metterti contro di loro, idiota! – gli urlò addosso il grosso uomo, seduto sulla  sua sedia. – Pensi che sono pronti a combattere in questa Guerra?!
- Penso di sì, ma non combatteranno mai per noi.
- Oh credo che invece accetteranno. – disse Krept, mettendosi comodo sulla sedia. – Perché se non lo faranno li ucciderò uno ad uno.
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Angolo dell'Autore:
Cialve di nuovo a tutti!
Allora, il secondo capitolo è uscito in fretta perchè l'avevo già scritto prima di far uscire l'uno, quindi non aspettatevi troppo che escano velocemente '^^
precisazione1: Morte può assolver/condannare le anime solo se sono sufficientemente vicine a lei  (in termini proprio di metri), e non è l'unico potere che ha.
precisazione2: la lama di falce  del bastone di Pestilenza non è attaccata come su una normale falce, bensì la lama segue il bastone. non so spiegare bene come, ma diciamo che la base è piatta ed è direttamente attaccata al vertice del bastone. segue la sua linea, così : o-----------
... non so nemmeno disegnare con word. ottimo.
va beh, vi invito come sempre a lasciare  una recensione per sapere che ne pensate, al prossimo capitolo!
   
 
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