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Autore: MerasaviaAnderson    27/12/2016    0 recensioni
•{Gallavich ~ Pericolosamente angst ~ Mickey!OOC ~ What if?}
Mickey ha convinto Ian a non arruolarsi nell'esercito.
Al Rosso non viene diagnosticato il Disturbo Bipolare.
Eppure, due anni dopo, una difficoltà molto più grande si abbatterà sui due amanti.
"Il mal di testa pulsava sulle sue tempie e ancora mezzo intorpidito si era deciso ad accendere il telefono, dove aveva trovato una numerosa serie di chiamate perse da praticamente ogni membro dei Gallagher e un’altra manciata da Mandy.
E lì ebbe la consapevolezza di non poter essere egoista: di non poter lasciare da solo Ian in una situazione del genere, di dover mettere da parte la sua sofferenza e tornare lo stronzo Mickey Milkovich che tutti conoscevano prima che quella fighetta avesse fatto breccia nella sua miserabile vita."
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Until the end of my days

Capitolo I:

NOT TODAY


“It’s gotta get easier, oh easier somehow, ‘cause I’m falling, I’m falling. And easier, easier somehow ‘cause I’m calling, I’m calling … and it isn’t over unless it’s over, I don’t wanna wait for that, it’s gotta get easier, easier … but not today, not today, not today.”
 
 
 
L’ospedale non gli era mai sembrato un posto più brutto, mai al mondo Mickey Milkovich aveva pensato di ritrovarsi in quel posto inquietante e frenetico con i familiari della persona che amava.
Stava seduto su una sedia, in mezzo a Lip e Debbie Gallagher, che aspettavano Carl che era andato a prendere qualcosa da mettere sotto i denti ai distributori, guardavano Fiona fare avanti e in dietro per il corridoio, non la smetteva mai.
Kevin e Veronica erano appollaiati in due delle ultime sedie, sussurrandosi qualcosa che Mickey non riusciva ad udire.
E nel frattempo Fiona continuava a tracciare il suo percorso tormentato, senza mai fermarsi un secondo.
Lui era preoccupato e il modo di fare della donna non faceva altro che metterlo ancora di più in agitazione.
«Cazzo, Fiona puoi smetterla?» sbottò, battendosi un pugno sulla sua gamba «Mi stai facendo arrivare il nervosismo agli estremi!»
Inutile. Quella scenata non servì a niente, se non a guadagnarsi un’occhiataccia dalla maggiore dei Gallagher, che riprese il suo percorso d’agonia.
Fottuti Gallagher.
Ed ecco Carl che spuntava dal fondo del corridoio, aveva le braccia ricolme di cibo impacchettato e dolciumi vari, le classiche schifezze che si possono trovare solo ai distributori automatici.
«Ho preso tramezzini per tutti!» annunciò, scaricando il carico su una sedia e afferrando un sandwich al prosciutto.
Kevin e Veronica ne presero uno a testa, Lip ne prese tre, due dei quali li passò a Mickey e Debbie.
Non che avessero molta fame, in quella situazione, dovevano semplicemente fare qualcosa prima di impazzire perché nessun medico si era ancora fatto vedere.
«Prendi un tramezzino, Fiona.» le disse Debbie, porgendogliene uno che, nonostante tutto la donna rifiutò … e in malo modo anche.
Attesa: una carogna.
Erano lì da più di due ore e non avevano alcuna notizia di Ian. Era ormai da un po’ di tempo che Ian Gallagher non stava troppo bene, aveva una stanchezza perenne addosso e sentiva tutte le parti del corpo doloranti, con l’aggiunta di una tosse terribile rimastagli dall’influenza avuta qualche settimana prima. Era svenuto anche quel giorno, poco prima di pranzo, ed era capitato già due volte in quella settimana, ma il ragazzo si era ripreso quasi subito e non aveva la minima intenzione di farsi portare al Pronto Soccorso.
Quella volta, però, non sembrava riprendersi così in fretta, dunque avevano chiesto a Svetlana di badare a Liam ed erano corsi tutti con lui dietro l’ambulanza con il furgone di Kevin.
Cos’altro potevano fare?
Mickey voleva provare a distrarsi, a non pensare, ma studiare l’interno del suo sandwich non serviva a molto e quelle mura sterili e quel via vai di infermieri lo metteva sempre più in agitazione.
Videro un medico in camice bianco spuntare da lontano e dirigersi verso di loro, in quel buio angolo di corridoio in cui si erano rintanati.
Finalmente.
Non appena il dottore arrestò il suo cammino davanti a Fiona chiedendo se erano loro i parenti di Ian Clyton Gallagher, Mickey finì di studiare il suo tramezzino, che abbandonò mangiucchiato sulla sedia, e s'alzò con tale frenesia per parlare con quell’uomo.
«Come sta Ian?» s’affrettò a chiedere con voce roca e nervosa.
«Ora è stabile,» rispose il medico, gesticolando un poco mentre evitava chiaramente di guardare gli occhi di Mickey «ma come dicevo alla signorina Gallagher preferiamo ricoverarlo fino a che non ci accertiamo della sua condizione. Abbiamo eseguito davvero molti esami ed i risultati richiedono un po’ di tempo.»
«State dicendo che ancora non sapete ciò che ha?» domandò Mickey, il suo tono era arrogante, arrabbiato … e per giunta si guadagnò anche una gomitata da Fiona.
«Non sempre la diagnosi è semplice, signor …»
«Milkovich. Mickey Milkovich.»
«Lei non è un parente?»
«Chi se ne fotte, io voglio sapere come sta Ian!»
Altra gomitata da Fiona.
«Le chiedo di moderare i termini, signor Milkovich, sta già ricevendo delle informazioni che io non potrei riferirle. Ora, con tutto il rispetto, vorrei parlare in privato con la signorina Gallagher così che-»
«Avanti, dottore,» s’intromise Fiona stavolta «Che differenza fa? Tanto gli racconterò lo stesso per filo e per segno ciò che lei mi dirà.»
«D’accordo, allora.» l'uomo sospirò, alzando gli occhi al cielo «Seguitemi.»
A quel punto Fiona lanciò uno sguardo di intesa a Lip, che a quanto pare afferrò al volo e annuì.
Quel che volevano dirsi lo sapevano solo loro.
Fiona e Mickey seguirono in religioso silenzio il medico in una piccola stanza, dopo che li fece accomodare su due sedie, lui sedette davanti a loro, aveva uno sguardo severo, intransigente.
«I valori delle analisi di base che abbiamo fatto ad Ian risultano tutti fuori dalla norma.» disse con semplicità e rammarico «Dovremmo procedere con una TAC al più presto possibile.»
«Ma Ian come sta? La situazione è grave?» domandò Mickey, il suo volto era un misto tra terrore e dispersione.
«Quando è arrivato era in condizioni gravissime, adesso lo abbiamo stabilizzato e sta riposando, prima della TAC non possiamo sapere di preciso cos’ha, potrebbe essere una cosa risolvibile, come potrebbe essere un problema abbastanza importante.»
Il Milkovich riprese la parola, precedendo Fiona che anche lei era in procinto di chiedere qualcosa «E con problema abbastanza importante cosa intende, dottore?»

Mickey ebbe la risposta solo il pomeriggio successivo, dopo che quei dottori avevano iniziato a fare un’altra quantità massiccia di esami a Ian.
Tumore ai polmoni, IV stadio metastatico.
O qualcosa di simile.
Durante il discorso complicato del medico Mickey aveva smesso di seguirlo dopo che quella terribile frase era stata associata alle parole “incurabile” e “terminale”.
Vide solo Fiona Gallagher scoppiare in lacrime per la disperazione e il volto dispiaciuto del medico. Gli avrebbe voluto sputare in faccia, al medico.
Ma semplicemente si allontanò a metà discorso, ignorando Fiona e il dottore che lo chiamavano e Lip e il resto dei Gallagher che gli chiedevano cosa fosse successo.
Non aveva realizzato concretamente ciò che era accaduto, semplicemente non voleva pensarci, convito che tra qualche istante si sarebbe svegliato da quell’incubo e avrebbe trovato Ian che dormiva profondamente al suo fianco.
Non fu così.
Si rintanò a casa, sbattendo la porta alle sue spalle, ignorando Iggy e gli altri suoi fratelli che si lamentavano e Mandy che gli chiedeva come stesse Ian. Aveva ignorato le numerose chiamate dei Gallagher – Ian compreso – e aveva spento il cellulare, perché rispondere a quelle chiamate avrebbe significato accettare la realtà, una realtà in cui l’unica persona che aveva mai amato sarebbe morta inevitabilmente.
Prese dal frigorifero ogni singola lattina di birra che vi era dentro e si chiuse in camera sua, con la musica a palla per non sentire Mandy che ancora da dietro la porta lo tempestava di domande, preoccupata.
Poche ore e molte lattine di birra dopo si ritrovò nuovamente sulla strada, barcollante e ubriaco, diretto al campo di baseball, dove poteva immaginare ancora un Ian Gallagher vivo che scopava con lui e non un freddo cadavere tra le sue braccia, consumato dalla malattia.
Il telefono era ancora spento.
Aveva gridato qualcosa, insultato qualcuno, era scoppiato in lacrime in un angolo, dove era certo che nessuno lo potesse vedere, maledicendo ogni singola parola che il medico gli aveva detto, anche se la maggior parte non le ricordava.
Maledisse anche se stesso, per trovarsi ubriaco in un posto del genere e non con Ian, a tenergli la mano e stringerlo forte a sé.
Roba da checche, insomma.
Dopo non seppe cosa successe, probabilmente si era addormentato perché alle prime luci dell’alba era ancora lì, disteso e dolorante su una panchina e avvolto in una vecchia giacca di Ian, che era praticamente enorme per un nano come lui.
Il mal di testa pulsava sulle sue tempie e ancora mezzo intorpidito si era deciso ad accendere il telefono, dove aveva trovato una numerosa serie di chiamate perse da praticamente ogni membro dei Gallagher e un’altra manciata da Mandy.
E lì ebbe la consapevolezza di non poter essere egoista: di non poter lasciare da solo Ian in una situazione del genere, di dover mettere da parte la sua sofferenza e tornare lo stronzo Mickey Milkovich che tutti conoscevano prima che quella fighetta avesse fatto breccia nella sua miserabile vita.
Tornò a casa, si fece una doccia rapida e cercò di vestirsi decentemente, per lo meno con dei vestiti puliti.
E adesso era lì, in preda al panico dietro la porta della camera d’ospedale di Ian, con lo sguardo stanco e le mani che tremavano dalla paura; ascoltava i Gallagher che erano all’interno della stanza dire qualcosa, anche se non comprendeva esattamente cosa, ma aveva sentito anche la voce di Ian tra quelle. Perché l’avrebbe riconosciuta tra tutte, la sua voce.
Preso dall’impeto aprì di scatto la porta, con uno strano fiatone legato all’ansia e subito si trovò lo sguardo dei Gallagher puntato addosso, stupiti. Assieme ad Ian c’erano solo Lip, Fiona e Carl.
«Mick … » fu un flebile sussurro proveniente dalle labbra del Rosso, che lo scrutava incredulo con gli occhi che erano improvvisamente diventati lucidi. «Mick?» lo chiamò di nuovo, ma lui restò ancora fermo, mentre Fiona mormorava qualcosa ai fratelli, che stavano uscendo dalla stanza.
Carl gli tirò una pacca sulla spalla e infine chiuse la porta, lasciandolo solo con Ian, con il suo Ian.
«Mick?» al terzo richiamo della sua voce spezzata non seppe resistere: si fondò ad abbracciarlo, a stringerlo forte al suo petto, a cullarlo tra le sue braccia nel vano tentativo di potergli salvare la vita, di togliersi dalla mente quella fottuta immagine di lui morto, che ormai lo perseguitava come una maledizione. «Dove sei stato, Mick?»
Non glielo disse, che era stato al campo di baseball, ubriaco, a fare il depresso senza speranza. Non voleva che Ian lo vedesse sotto quella luce.
«Sono qui, sono qui adesso, cazzone.» provò a tranquillizzarlo, perché Ian Gallagher stava letteralmente tremando tra le sue braccia, come un bimbo di pochi anni, con lo sguardo fisso in un punto imprecisato del muro e gli occhi verdi gonfi di lacrime.
Non voleva morire, Ian.
E se proprio fosse dovuto accadere non voleva altro che trovarsi tra le braccia di Mickey, quelle forti che lo stavano stringendo in quel momento, che lo avevano rannicchiato al petto dell’amato, facendo in modo che si cullasse nel suo odore che tanto amava.
E per questo temeva che Mickey andasse via.
Dopo che Mickey lo tranquillizzò per un po’ ed Ian fu capace di tornare a respirare anche senza le sue braccia strette attorno al corpo, prese una sedia e si sedette accanto a lui, tenendogli stretta la mano fredda e beandosi dei suoi occhi verdi che lo fissavano con una strana luce.
Aveva due cannule nel naso, collegate ad una bombola di ossigeno che faceva un rumore strano.
«Non dici nulla?» gli domandò Ian, accarezzando la testa del ragazzo con la mano libera.
«Cosa si dice di preciso in queste situazioni?» gli chiese di rimando, quasi arrabbiato, sbattendo gli occhi per evitare di piangere davanti a lui.
«Piangi se vuoi, Mick. Tanto ormai lo fanno tutti.» gli disse Ian, in un tono così convincente che quasi stava cedendo a lasciarsi andare.
«No. No.» Mickey si strofinò ripetutamente il naso, tornando a guardare il fidanzato negli occhi «Come stai?»
«Sto meglio.»
«Cazzo, non prendermi per il culo, Gallagher.»
E stettero in silenzio, ad ascoltare l’uno il respiro dell’altro. Più affannoso quello di Ian, irrequieto quello di Mickey,
Il giovane Milkovich non voleva parlargli della cura, della terapia, della scelta che avrebbe fatto, di quello ne avrebbe parlato dopo con il resto dei Gallagher perché tirar fuori quell’argomento con lui gli faceva troppo male.
Gli faceva male immaginarlo morto, bianco come un cencio e gelido come la neve, tra le sue braccia macchiate di crimini.
Gli faceva male immaginarlo sofferente, in un letto di ospedale, senza i suoi amati capelli rossi e con una flebo di veleno attaccata al braccio.
Il medico era stato chiaro quando aveva definito il suo cancro incurabile e Mickey non aveva la più pallida idea di cosa dovessero fare, né di come comportarsi.
Stavano semplicemente avvinghiati l’uno all’altro, senza proferir parola, con il terrore negli occhi.
E Mickey voleva solo piangere e dirgli tutte le cose che non gli aveva detto, tutte quelle cose da checca che si dicono le coppiette, e che probabilmente non avrebbe mai potuto dirgli. Era troppo vigliacco, Mikhailo Aleksandr Milkovich.
L’avrebbe visto sfiorire davanti ai suoi occhi, non avrebbe mai avuto la possibilità di vederlo diventare uomo assieme a lui. Sarebbe rimasto solo in quella giungla chiamata South Side.
E così la prima lacrima scese dai suoi occhi cristallini, silenziosa come la malattia che gli stava portando via il suo amato.
E continuò a piangere, stringendo Ian Gallagher tra le braccia, che si era nuovamente ancorato al suo petto ispirando fortemente il profumo dei suoi vestiti puliti.
«Stai piangendo, Mick?» gli domandò il Rosso, con una voce stanca e leggermente affannata.
«No.» cercò di fingere un tono neutro, senza alcun successo.
Così Ian si sporse verso il suo viso, portando su di esso le sue mani e asciugandogli amorevolmente le lacrime.
«Se lo dici a qualcuno ti ammazzo.» borbottò Mickey, per poi posargli un bacio sulla fronte e una carezza nei capelli rossi.
«Sarebbe sicuramente una morte migliore di quella che mi spetta.» sospirò Ian, rassegnato, lasciando di stucco il compagno che sgranò gli occhi e smise di accarezzargli la spalla.
«Ian, mi dai un momento? Devo prendere un po’ d’aria, okay?» aveva una voce distrutta, soppressa, le sue mani tremavano, erano le mani di un uomo che aveva solo voglia di piangere e distruggere ogni cosa che lo circondava.
Non appena uscì fuori dalla porta con passo instabile, nel corridoio vi trovò i Gallagher che parlottavano tra di loro.
Aveva bisogno di sapere.
«Ditemi solo cosa ha deciso.» mormorò, totalmente devastato e voglioso di sapere quanto tempo avrebbe potuto ancora passare con Ian.
«Di cosa, Mickey?» chiese Fiona.
«Vuole curarsi o no?»
«Il medico ha detto che la chemioterapia potrebbe dargli qualche mese in più, ma c’è una metastasi al cervello e una all’altro polmone … » fu Lip a rispondergli, mentre si asciugava le lacrime dal viso. Mickey non aveva mai visto Lip Gallagher piangere in quel modo. «Questo spiega i mal di testa forti, la tosse, la stanchezza, i forti dolori ovunque e anche la bronchite che si è preso il mese scorso. Lo abbiamo beccato troppo tardi. È inevitabile che accada.» Fiona stringeva a sé Carl ed entrambi provavano in ogni modo possibile ad essere forti.
«Okay, ma lui cosa cazzo ha deciso?» del volto di Mickey Milkovich non era rimasto altro che una maschera di dolore e frustrazione.
«Il medico ci ha spiegato che qualsiasi tipo di terapia non sarebbe efficace, potrebbe solo dargli qualche mese di vita in più e lui non vuole neanche iniziare a curarsi.» confessò Lip, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento, versando qualche lacrima. «Dice che sarà solo inutile.»
«CAZZO!» urlò, sbattendo un pugno contro il muro.
Non riuscì a trattenere le lacrime e repentinamente si rifugiò di nuovo nella stanza di Ian, l’unica persona al mondo davanti a cui avrebbe potuto piangere.
Non gli importava cosa avrebbero pensato i Gallagher.
Appoggiò la fronte contro il muro, dando le spalle al ragazzo che vedendolo in quelle condizioni era già in procinto di scendere dal letto.
«Sta’ fermo Ian, cazzo!» si sbatté la testa contro la parete, nel vano tentativo di placare quel dolore.
Avrebbe voluto solo spaccarsi quella testa contro il muro e cercare di comprendere perché, sia lui, sia i suoi fratelli non si fossero accorti di quello che gli stava accadendo.
Era troppo tardi.
Sentì lo sguardo preoccupato di Ian posarsi su di lui, represse la sua voglia di andare a riempirgli la faccia di pugni e baciarlo al tempo stesso.
Tutto inutile.
Non sarebbe mai andato via.
«Ti hanno detto che ho deciso di non curarmi, i miei fratelli?»
Mickey si voltò, all’orlo della disperazione.
«Perché, Ian?»
«A cosa servirebbe, Mick?» gli domandò, con lo sguardo affranto «Sono solo un paio di mesi!»
«Un paio di mesi con me, Ian! Con la tua famiglia!»
«UN PAIO DI MESI COME, MICK?!» tentò di urlare, allo stremo delle forze e con le lacrime agli occhi «SENZA CAPELLI, BLOCCATO IN UN LETTO E SOFFERENTE? A VOMITARE TUTTO IL GIORNO CON TE A FARMI DA INFERMIERE?!»
Mickey si avvicinò, tentando di calmarlo, letteralmente terrorizzato da quella situazione del cazzo che lo stava avvolgendo e risucchiando in un tunnel che gli sembrava senza uscita.
«Ian … » fu l’unica cosa che riuscì a mormorare, notevolmente scosso.
Il suo nome. Lui. L’unica cosa capace di poterlo far stare meglio.
«Il poco tempo che ho lo voglio vivere con te, con i miei fratelli, con le persone che amo. Felice, in pace con me stesso. Voglio fare tutte le cose che non ho mai fatto e morire con il sorriso sulle labbra, senza il rimpianto di non aver vissuto la mia vita quanto più ho potuto. Anche se ho paura. E non voglio …»
«Non è finita, Ian.»
«Non voglio vivere il resto dei miei giorni in un ospedale, Mick.» i suoi occhi brillavano di terrore puro «So che su di te posso contare, che tu non sarai come i miei fratelli. Portami via.»
Mickey annuì e prese il volto di Ian tra le mani, facendo congiungere le loro fronti e chiuse gli occhi … perché il volto così bello e sofferente del ragazzo per cui aveva messo a repentaglio tutto il suo mondo gli faceva troppo male.
Gli faceva male pensare che, quel volto, presto non l’avrebbe rivisto mai più.
«Ti amo, maledetto cazzone suicida.»
Gliel’aveva detto e si sentiva più leggero. Non si era sentito particolarmente strano, come pensava … forse solo un po’ più mammoletta di quanto già non fosse.
Il Rosso non rispose, limitandosi ad annuire e ad accarezzare le mani del compagno, che continuava a dondolarsi in quella lenta agonia.
«Perché non ci hai detto che stavi così male, Ian?» gli domandò, stringendoselo al petto con una forza che quasi faceva male, con una terribile rabbia intersecata nell’anima.
«Non credevo fosse così grave.» ammise, con la voce che faceva fatica «Avevo intensificato gli allenamenti negli ultimi mesi, pensavo di star male per quello. Mi sono beccato la febbre e poi lo stress, vivere in una famiglia incasinata come la mia …»
«Ti eri preso la bronchite e anche quella è stata una conseguenza dello schifo che hai nei polmoni.» gli disse amareggiato, stentando a crederci anche lui. Aveva passato tre giorni, assieme a Fiona, a fargli impacchi d’acqua fresca sulla fronte per fargli abbassare la febbre alta, era persino andato lui stesso a comprargli lo sciroppo per la tosse, l’aveva sentito delirare per la temperatura troppo alta e lui lo prendeva in giro, assecondandolo nei suoi discorsi assurdi. Gli aveva persino chiesto di spogliarsi e aveva fatto allusioni poco caste davanti a Fiona e lui avrebbe voluto solo diventare invisibile. «Siamo stati dei coglioni a non accorgercene subito che c’era qualcosa che non andava.»
«Mi dispiace, Mick. La colpa è solo mia.»
«Non dire cazzate.»
«Ho una paura assurda. Cazzo, ero io quello che voleva andare a giocare al soldato Ryan con un fucile in Afganistan e adesso me la faccio sotto per un fottuto cancro.»
«Smettila di fare la testa di cazzo, Ian.» lo rimproverò, rude, scuotendo la testa arrabbiato. Non accettava discorsi simili da lui e il solo ricordo di quando gli aveva detto che stava per arruolarsi gli faceva venire i brividi.
Se lo immaginava già con un proiettile in testa o preso come ostaggio da qualcuno.
Ma glielo aveva impedito, picchiandosi a sangue nella sua stanza per poi ritrovarsi a scopare pesantemente, con Ian che gli diceva nell’orecchio che non sarebbe andato da nessuna parte.
«Ho paura che le ultime scelte che farò in questa vita di merda saranno sbagliate, ho la sensazione di non aver vissuto al meglio.»
Mickey lo fece alzare, per guardare i suoi occhi color smeraldo e gli prese il volto terrorizzato tra le mani, guardandolo con convinzione e una sicurezza tale da sembrare assurdamente credibile.
«Vivrai una vita bella, Ian. Te lo prometto.» lo disse mentre gli accarezzava le guance e i capelli … suonò come un giuramento, più che come una promessa. Qualcosa per cui ne andava la sua stessa vita.
Ian sorrise tristemente, socchiudendo gli occhi e stringendo la mano di Mickey sul suo volto e facendo un gesto che lo lasciò spiazzato, terrorizzato, confuso: la baciò.
Non appena le labbra di Ian Gallagher avevano schioccato un bacio sul palmo della mano di Mickey Milkovich lui si sentì l’uomo più strano del mondo.
Non avrebbe mai immaginato che un gesto così semplice e strano lo facesse rimanere in quel modo, gli facesse quell’effetto.
Qualche volta era stato lui a munirsi di un coraggio immane e regalargli qualche bacio che andava fuori dall’ambito del sesso, ma Mickey era terrorizzato dalla realtà, dall’ammettere che ormai lui ed Ian erano una coppia di fatto e non solo due ragazzini che si incontravano solo per una sana scopata.
Perché quello scintillio che avevano negli occhi quando si guardavano aveva fatto scoppiare qualcosa, così … tra una scopata e l’altra.
Si erano innamorati. Ma non un amore di quelli che dura un paio di mesi e poi passa, no. Un amore di quelli forti, contorti, così potenti da poter opporsi anche a tutto l’odio che c’era nel mondo.
L’amore più integro e puro che potesse esistere. Terribilmente tossico per entrambi.
Lo stesso amore che adesso sarebbe stato spezzato dalla morte, che si stava insinuando piano nelle loro vite, fino a travolgerle completamente.
«Morirò comunque, Mick.»
«Non oggi.» mormorò con la voce spezzata e il terrore nell’animo, appoggiando la fronte alla sua e scuotendo la testa «Non oggi, Gallagher.» ripeté, facendogli un’altra carezza, più per tranquillizzare se stesso che Ian «Cazzo, non oggi.»
 
 
 
FINE CAPITOLO I

 
 

Note d’Autrice:
Salve, sono più o meno nuova di questa sezione, visto che ho pubblicato solo due storie e questa è la mia prima long sui Gallavich o su Shameless US in generale.
È stata un’ardua impresa, ma alla fine ce l’ho fatta e adesso eccomi qui a pubblicarla.
Ammetto che sono un po’ spaventata perché, come potrete leggere nella presentazione, delle necessità di trama mi hanno portato a rendere alcuni personaggi (Mickey specialmente) un po’ troppo OOC del previsto, proprio come in questo capitolo nelle scene Gallavich, che sono state davvero strazianti e bellissime da scrivere.
Certo, in molte scene della terza/quarta/quinta stagione abbiamo potuto constatare quanto il nostro Milkovich in fondo in fondo sia un tenero agnellino che si scioglie davanti agli occhioni di Ian, ma giuro che ho provato in ogni modo di mantenere parte del suo carattere originale, spero di esserci riuscita, anche se in parte.
Purtroppo sono le primissime storie che scrivo su di loro e ancora non ci ho preso proprio la  mano.
Ci tengo a precisare che ogni capitolo farà riferimento a qualche verso di qualche canzone, come questo, associato a “Not today” degli Imagine Dragons, gruppo che io A D O R O .
Parlando della trama, come potrete ben notare si distacca notevolmente da quella originale, Mickey ha convinto Ian a non arruolarsi nell’esercito sotto falsa identità e il nostro Rosso non è bipolare.
La tematica trattata è molto delicata e spero che, dopo aver fatto ricerche su ricerche sulla pneumologia, riuscirete a cogliere i messaggi all’interno della trama, il motivo di alcune mie scelte (che di volta in volta spiegherò) e apprezziate il mio scritto.
Come sempre, sono disposta a rispondere ad ogni genere di curiosità riguardanti la storia e spero di ricevere recensioni sia positive che costruttive.
Grazie per aver letto,
al prossimo martedì con il secondo capitolo!
Merasavia Anderson.

 
   
 
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