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Autore: Elizabeth_2206    28/12/2016    3 recensioni
"Hallelujah ci porta attraverso un immenso spettro di luoghi emozionali, spiegando quanti tipi di alleluia esistono, e che tutte le alleluia perfette e infrante hanno lo stesso valore. E' un desiderio di affermazione della vita con entusiasmo, con emozione. Chiunque la ascolti chiaramente scoprirà che è una canzone che parla di sesso, di amore, della vita sulla terra. L'alleluia non è un omaggio ad una persona adorata, a un idolo o un Dio. E' un'ode alla vita e all'amore."
1900, Casa Hawkeye. L'arrivo di una persona cambia per sempre il futuro dei suoi abitanti. E' l'analisi dell'adolescenza di Riza e di come si trova ad interagire con tutti i tipi di amore che esistono. Il racconto di come le vite di quella ragazzina e di Roy Mustang si sono intrecciate per sempre.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Berthold Hawkeye, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hallelujah'
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Hallelujah

#6 - Wounds
And it’s not your cry that you hear at night,
It’s not somebody who has seen the light,
It’s a cold and it’s a broken Hallelujah.

L’inverno era ormai alle porte; i primi geli avevano lasciato un bianco velo sull’erba dei prati e gli alberi stavano abbandonando le ultime foglie. Il sole brillava spento, e sembrava ancora più debole e lontano di quanto non fosse, dalle finestre opache della cucina.
Roy, una tazza di caffè fra le mani e Alchimia Avanzata aperta sulla stessa pagina da un’ora, fissava il cielo plumbeo fuori dalla finestra, varcato ogni tanto da qualche filo di fumo nero in lontananza.
Riza era ancora a scuola, e lui si stava annoiando terribilmente. Quel mattino Berthold era stato ancora più freddo e spiacevole del solito, sbattendolo fuori dal suo studio in fretta con quel libro in mano. Lui, dal canto suo, s’era messo il cuore in pace e aveva cominciato a studiare.
Aveva più volte acceso la radio, ma tutte le trasmissioni parlavano della Guerra dell’Est, e Roy era decisamente schifato da tutta quella propaganda nazionalista, soprattutto dopo aver visto i carri dei feriti attraversare il paese, qualche settimana prima. Non si sarebbe dimenticato facilmente quei volti stanchi e spaventati, sporchi di sangue e lacrime, immobili di fronte alla morte che aveva bussato alla porta.
‘Questa guerra logorante sembra non portare a nulla. Ci dev’essere un modo per portarla a termine nel migliore dei modi, per limitare i danni e le vittime…’

Sbuffò e chiuse il libro, sollevando la tazza ormai vuota e posandola nel lavandino. Rifletté se lavarla o meno, per poi lasciarla lì.
Tanto se ne può occupare Riza.

Nemmeno a farlo apposta, la porta d’ingresso si aprì di colpo e la ragazza entrò in casa. Lasciò cadere la cartelletta di fianco alla porta e proseguì lungo il corridoio, senza nemmeno voltarsi.
Roy si voltò a fissare il vecchio pendolo del salotto e si accorse che si era fatto tardi, insolitamente tardi.
“S-scusa Roy ma non pranzo. C’è dello… dello stufato nella pentola, puoi scaldartelo.”

E sparì lungo le scale.
Roy si affacciò nel corridoio, seguendola con lo sguardo, per poi appoggiarsi al muro e grattarsi la testa, dubbioso.
Era strano per Riza comportarsi così; di solito apprezzava molto il momento del pranzo e faceva di tutto pur di mangiare in compagnia.
Immerso nei suoi pensieri, tornò all’ingresso e raccolse la cartelletta che la ragazzina aveva abbandonato lì. Fece per sollevarla, ma notò che era sporca di terriccio. La osservò meglio e si accorse che in alcuni punti la pelle era rovinata, consunta.
Ancora una volta si sorprese, considerando il fatto che Riza era una ragazza molto ordinata e teneva particolarmente a tutte le sue cose e le trattava con estrema cura. Rimise la cartella per terra e tornò in cucina, sempre riflettendo.
Infondo, se voleva mangiare doveva pure scaldarlo quello stufato.


Si era chiesto più volte se portare qualcosa da mangiare o meno a Riza, ma alla fine aveva deciso di lasciarla stare. Evidentemente non aveva avuto una bella giornata e preferiva restare sola.
Però, Roy continuava a sentire un senso di fastidio nel petto, come se ci fosse qualcosa che non andava. C’erano troppi elementi che non quadravano nel comportamento di Riza, e non poteva ignorare il fatto di essere preoccupato.
Decise di andare in bagno e sciacquarsi il viso, per cercare di riprendere lucidità, ma mentre usciva dalla stanza sbatté contro Riza.
La ragazza emise un lamento sommesso e si scostò in fretta, voltando il viso verso la porta.
Ma era troppo tardi.
Roy le afferrò il mento con una mano e le girò il volto verso di lui, con uno sguardo impassibile.
“Che cos’è questo?”

Riza abbassò lo sguardo e restò zitta, mentre il labbro inferiore le tremava.
Un ematoma violaceo si allargava nel suo zigomo destro, accompagnato dai segni di un’abrasione.
Vedendo che Riza non rispondeva Roy ripeté la domanda.
“Un livido.”
“Ma davvero, Riza? E sentiamo, come te lo sei fatto?”

La ragazza fissò il vuoto di fronte e a sé, e Roy capì che non avrebbe cavato un ragno dal buco. Mollò il viso e le afferrò un braccio per smuoverla, ma non appena lo toccò Riza emise un gemito soffocato che le fece tremare le labbra.
Lui la fissò interdetto, poi alzò delicatamente la manica della maglia di Riza. Sul suo avambraccio scoprì un livido ancora più violaceo e gonfio, che doveva farle terribilmente male.
Sospirò e si passò una mano sul volto. Poi le indicò il bordo della vasca da bagno.
“Siediti qua e non ti muovere.”

Si girò e dal mobiletto del bagno estrasse del disinfettante, una pomata, delle garze e un asciugamano pulito. Cominciò disinfettando l’abrasione sul viso, per poi spalmare la pomata sui lividi. Infine con cura le fasciò il braccio, attento a non farle troppo male. Le chiese atono se fosse ferita da qualche altra parte, e lei sollevò la gamba sinistra, per mostrargli un’altra abrasione nel ginocchio.
Roy scosse la testa, e alzò gli occhi per guardarla, ma lo sguardo di lei era fisso nel vuoto e le labbra sigillate.
Finito il lavoro, si alzò e rimise a posto i medicinali. Riza scivolò silenziosamente fino alla soglia della porta, borbottò un ‘grazie’ e sparì.
Roy si sedette sul bordo della vasca e appoggiò le mani fredde sulla fronte, come a cercare di raffreddare la rabbia che gli stava cominciando a ribollire dentro.
‘Mio Dio, chi può avere fatto una cosa del genere…’




La cena fu incredibilmente silenziosa. Riza spiluccò solo qualche boccone del piatto che Roy le aveva messo davanti, e Roy dubitava che fosse per la scarsa qualità della sua cucina. Nessuno disse nulla fino a che Riza non gli chiese se poteva portare lui la cena a suo padre, per quella sera. Roy accettò senza problemi e Riza si ritirò nella sua stanza, augurandogli la buona notte.
Dopo aver lasciato un piatto nella stanza di Berthold, che nemmeno si era accorto del fatto che a portargli la cena fosse stato Roy e non Riza, il ragazzo si ritirò a sua volta in camera.
Indossò il suo pigiama a righe blu e azzurre, per il quale Riza spesso lo aveva preso in giro, ma che non sapeva fosse un regalo di sua zia,
la quale lo aveva cresciuto dalla morte dei suoi genitori.
Fissò nello specchio del comò il suo riflesso alla luce della luna, ma lo vide vuoto, come se ci fosse qualcosa che mancava.
Strinse le spalle e si sdraiò nel letto, le mani dietro alla nuca e lo sguardo verso il soffitto. Il sonno avrebbe faticato ad arrivare, quella sera.



Il vento gelido soffiava forte fuori dalla finestra, facendo sbattere le imposte fra di loro. Roy guardava la luna, nascosta a tratti dai battenti, che brillava solitaria nel cielo. L’unico rumore che si udiva era il fischio freddo del vento.
Ad un tratto dei gemiti si unirono a quel suono lugubre, come ad aggiungere note stonate ad una melodia bizzarra.
Roy si voltò verso la porta socchiusa, fissando il corridoio oltre all’uscio. Si alzò silenziosamente e uscì dalla stanza.
In corridoio i gemiti si facevano più forti, e Roy, suo malgrado, li riconobbe. Serrò le mani a pugno, perché non tremassero, e si avvicinò alla porta della stanza di Riza.
Quando socchiuse la porta per entrare, i gemiti si fermarono di colpo. Fissò la stanza, immersa nell’oscurità, e cercò di orientarsi.
Intravide il letto, e su di esso una figura raggomitolata su se stessa, che tremava debolmente. Si avvicinò a lente falcate e si adagiò sul bordo del letto, abbassando con il peso il materasso.
Vide il corpo di Riza stringersi ancora di più, e notò che tra le mani la ragazzina teneva qualcosa.
Alzò lentamente una mano e le accarezzò la testa, pettinandole i corti capelli biondi.
A Riza scappò un gemito, e riprese a tremare più forte.
“Ti prego, Riza. Dimmi cosa succede.”

La ragazzina non disse nulla, ma si girò completamente verso di lui. Gli occhi erano pieni di lacrime e il naso arrossato.
Roy le sorrise debolmente e tornò ad accarezzarle la fronte.
“C’entra con quei segni, vero? Non puoi raccontarmi cosa è successo? Tenersi tutto dentro fa male.”

Riza lo guardò con titubanza, indecisa se lasciarsi andare oppure no. Negli occhi di Roy rivide quella scintilla luminosa che tempo prima l’aveva convinta ad affidarsi a lui, a quelle braccia forti che l’avevano allontanata da ogni paura. Ora sapeva cos’era: fiducia.
Una parola speciale, con un significato che lei stava ancora scoprendo.
Si mise seduta, le spalle appoggiate allo schienale del letto, gli occhi fissi in quelli di Roy.
“Tutto è cominciato stamattina, mentre ero a scuola. Stavamo preparando i canti per la Festa d’Inizio Inverno di domani, e alcuni dei miei compagni hanno cominciato ad infastidirmi.”

Riza guardò verso la finestra, nell’oscurità della notte, e Roy decise di non interromperla, anche se stavano cominciando a formarsi alcune domande nella sua testa.
“All’inizio non gli prestavo molta attenzione: dicevano le solite cose su mio padre, la mia casa, il fatto che stessi spesso da sola. Poi uno di loro si è voltato verso gli altri, e ha detto che l’indomani sarei stata l’unica ad essere sola alla festa, perché nessuno sarebbe venuto ad assistere alla mia esibizione.”

Roy strinse le mani a pugno; Riza davvero sopportava quel genere di cose tutti i giorni, senza mai fiatare? Come poteva riuscirci?
La ragazza singhiozzò e attirò nuovamente la sua attenzione.
“Io… non so esattamente perché, ma in quel momento mi sono sentita abbastanza ferita. Così gli ho risposto che non sarei venuta da sola. E me ne sono andata.”

Strinse le labbra in una smorfia e scosse la testa.
“Sulla strada del ritorno, alcuni di questi ragazzi mi hanno seguita. Dicevano che non credevano a ciò che avevo detto, e che avrei dovuto dimostrargli che non sarei stata sola. Io mi sono voltata dall’altra parte e li ho ignorati, ma uno di loro non l’ha presa molto bene. Mi ha… mi ha spinta a terra, ho battuto il braccio contro un sasso che si trovava lì, ed è così che mi sono ferita anche il ginocchio.”

Roy annuì pensieroso, guardandola mentre, con le lacrime agli occhi, si apprestava a raccontare la parte peggiore della storia.
“Una volta caduta a terra, anche gli altri si sono avvicinati. Gridavano insulti di ogni genere, molti nemmeno ho capito cosa dicessero. Uno di loro mi ha lanciato un sasso, che mi ha colpita sul viso. Anche allora, non ho pianto, nemmeno per un secondo.”

Lo sguardo che Riza aveva negli occhi in quel momento era di determinazione, una luce splendente che pareva poter ardere all’infinito.
Improvvisamente, si rabbuiò, e ricominciò a tremare.
“Ero… ero ancora a terra, quando uno di loro si è avvicinato. Io mi stavo sistemando la sciarpa, controllando che non si fosse rovinata. Lui l’ha afferrata, blaterando qualcosa sul fatto che non prestavo loro abbastanza attenzione. E lui… lui l’ha…”

Estrasse le mani da sotto le coperte e mostrò a Roy ciò che da prima stava stringendo. La sciarpa azzurra che lui le aveva regalato quasi un anno prima, per il suo dodicesimo compleanno, era ridotta in stracci. Strappata in più punti, sporca di terra e fango.
“Io… io non ci ho visto più. Mi sono alzata, e l’ho… l’ho colpito. In faccia. Ho ripreso la sciarpa, la cartellina e sono corsa a casa. Mi faceva male tutto e avevo le lacrime agli occhi e…”

Vedendo che si agitava, Roy la zittì con un dito e le passò le mani sulle spalle.
“Shhh, tranquilla, non fa nulla. Si risolverà tutto.”
“Tu dici?”

Lo sguardo speranzoso della ragazzina fece sorridere Roy, che le scompiglio i capelli con affetto.
“Ma certo che sì. Se vuoi, potrei anche riparare la sciarpa con l’alchimia.”

Riza si fissò le mani, giunte sulle gambe, e sospirò piano.
“In realtà… preferirei che non lo facessi.

Roy capì e annuì, ma era comunque deciso a fare qualcosa per lei.
“Allora, domani ti accompagnerò io alla festa. E che non osino dire nulla; altrimenti gli impartirò io un po’ di sana e buona educazione.”

Riza lo guardò a bocca aperta, con gli occhi sorpresi ma speranzosi.
“Davvero lo faresti, per me?”
“Mi sembra ovvio.”
“Oh, grazie Roy, sei… sei il migliore.”

Il ragazzo si alzò dal letto e sgranchì le braccia.
“Lo so, modestamente. E se vuoi avvicinarti almeno un minimo alla mia perfezione, dovrai dormire un po’. Quindi, adesso nanna. Altrimenti domattina ci scambiano per morti viventi.”
“Buonanotte, Roy.”
“Buonanotte, piccola Riza.”

La ragazza lo seguì con lo sguardo finché non usci dalla stanza e chiuse la porta dietro di sé.





L’indomani, sulla strada verso il paese, Riza fissava il cielo limpido sopra di lei. Era dello stesso colore dell’abito che aveva deciso di indossare, uno dei suoi preferiti. Al suo fianco, Roy indossava il completo che aveva sfoggiato per il suo compleanno, coperto da un cappotto blu scuro.
L’aveva presa a braccetto, come fanno gli adulti; e di questo Riza si sentiva incredibilmente orgogliosa.
Quando arrivarono alla piazza del paese, incrociarono la combriccola che il giorno prima aveva assalito Riza. Roy notò con piacere che uno di loro portava un medicamento sul naso.
Si scambiò con Riza uno sguardo di intesa, e poi scoppiarono a ridere.
Era davvero felice.
Roy notò che quelli continuavano a parlottare tra loro, e decise che in seguito avrebbe chiuso i conti.
Nessuno poteva permettersi di fare del male a Riza.

Più tardi, quando ormai lo spettacolo canoro era cominciato e Roy si godeva l’immagine di Riza allegra nel suo vestito azzurro che cantava, nessuno si accorse che mancavano un paio di ragazzi, sul palco.
Se li avessero cercati con attenzione, li avrebbero trovati dietro alla scuola, appesi al cancello per i calzoni, mentre imploravano di essere tirati giù.













Note dell'Autrice:
Eccoci giunti alla fine del sesto capitolo che - lo so già - è stato incredibilmente lungo. Ci ho lavorato davvero molto e sono abbastanza soddisfatta di come è venuto; ma ovviamente potrei sbagliarmi. Se ci fossero cose non chiare, sono sempre disponibile per eventuali chiarimenti.
Che altro dire; in questo capitolo si tratta un problema abbastanza complicato, che è quello del bullismo: avendo messo Riza in una scuola pubblica (scelta che è sicuramente discutibile) ho pensato che, viste le particolarita della situazione familiare di Riza, lei non passasse inosservata. Almeno non in questo. Spero di non aver banalizzato questa tematica, davvero. E' una cosa parecchio importante, per me.
Riza soffre molto il fatto che gli altri ragazzi facciano a pezzi la sciarpa che Roy le ha regalato. Se ci pensiamo, ognuno di noi ha quell'oggetto che gli è stato regalato da una persona cara, o che nella propria vita ha un'importanza particolare, e che non vorremmo mai vedere rovinato, o distrutto da qualcuno. Ovviamente, potreste avere opinioni differenti.
Infine, la citazione. Il pianto che viene sentito alla notte è quello di Riza: così come l'Halleujah freddo e spezzato.
Approfitto per augurarvi un buon 2017, visto che molto probabilmente il mio prossimo aggiornamento avverrà nel prossimo anno (cavoli, siamo già qua? fatemi tornare a giugno...).
A presto!
-Elizabeth
   
 
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