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Autore: DonnieTZ    29/12/2016    2 recensioni
[SOSPESA]
Esiste un sottile velo fra ciò che è materiale e ciò che non lo è, fra la natura e le idee, eppure nessuno dei due mondi potrebbe esistere senza l'altro.
Il velo si è assottigliato tanto da spingere Lootah (mai chiamarlo "sciamano") a ricostruire un'antica tradizione: una cerchia di cinque esseri in grado di mantenere l'equilibrio. Se in passato le cerchie erano molte, la sua missione si rivela invece difficile: fra negromanti rinchiuse in manicomio, vampiri ormai estinti, fate impossibili da reclutare e mutaforma ingestibili, niente sembra andare come aveva previsto.
Soprattutto quando un'energia negativa minaccia di mandare in fumo tutti i suoi piani.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Wolfgang ha preparato il divano per Lootah tutto da solo. Continua a trovare affascinante il modo in cui possa diventare un letto, con la giusta quantità di spinte e pressioni, e se ne occupa ogni volta che può rubare a Esteban quell'impegno.
Ha fatto il letto.
E ha paura.
Lootah non è ancora tornato ed è uscito di mattina, con il sole che si stava alzando. Il tempo, per Wolfgang, non passa mai lentamente e per questo, più che per ogni altra cosa, ha molta paura. A volte capita che le palpebre si abbassino e siano passate ore, a volte capita così con i giorni. In passato, gli è capitato con gli anni. Semplicemente, quando il tempo non può finire, scorre come se non fosse possibile guardarsi indietro.
Quindi, quando avanza piano, ticchettando i suoi minuti, Wolfgang ha paura.
E Lootah non è tornato.
Queste due fastidiose, scomode consapevolezze si aggirano da qualche parte nella sua testa, gettandolo in un panico che nessuno può calmare, neanche Makiko.
«Buonanotte» gli dice, ferma nella cornice della porta come il soggetto di un quadro dallo sfondo scuro: la pelle bianca, gli occhi neri concentrati in uno sguardo profondo, il sangue spinto nelle vene a forza da quel suo piccolo cuore sfarfallante.
Wolfgang ha fame, è evidente dal modo in cui ne sente il profumo ferroso, da come ascolta il lieve rumore che si lascia dietro nella sua corsa e il pompare ritmico fra le costole.
«Buonanotte» risponde.
La camera si chiude nel suo buio, lui resta in sala, in piedi, a guardare come il cotone del lenzuolo si increspi di ombre, si pieghi in angoli netti e ruvidi, si contorca e si spezzi. Quando ha finito con il lenzuolo e le sue cangianti sfumature di bianco e grigio – e verde e blu, se guarda con attenzione –, allora passa al metallo nero del letto, sotto il materasso. Allunga le dita, lascia scorrere il polpastrello nei punti in cui c'è il bianco più bianco che abbia mai visto, anche se il metallo è scuro. Sa che lì si annida della luce e la tocca: è liscia, fredda, dura.
Improvvisamente ricorda che Lootah non vuole faccia così e la smette, sedendosi sul letto, in attesa.
Qualsiasi cosa sia successa a Lootah è sua responsabilità e pensa sia qualcosa di brutto davvero, perché non li lascerebbe mai soli, senza avvertire. La morte ha un contorno strano, quando finisce per soffermarcisi. A volte pensa che non importi: ora o fra minuti o fra anni, Lootah morirà. Moriranno tutti. E lui verrà ritrovato in un'altra stanza piena di libri e quadri, la pelle attaccata alle ossa, le gengive ritratte sui denti, come Lootah l'ha trovato tempo prima. E ci saranno altre persone al posto di quelle che ci sono ora.
Sono pensieri brutti, che si accavallano e si scontrano uno con l'altro, ma ci sono.
Sposta lo sguardo sulla porta.
Ha paura.
Lootah non è tornato.
Altre volte pensa che non vuole che le persone muoiano e lo lascino solo. Perché lui sarà solo per molto, molto tempo – non sa davvero quanto – e non vuole che quella sensazione gli si adagi negli organi interni come una malattia.
Il fatto è che tiene alle persone che ha attorno in quel momento della sua esistenza, ma sa che la loro rilevanza è dovuta tutta alla vicinanza. Se fossero lontani, se fossero sconosciuti, non importerebbe la loro vita tanto quanto la loro morte. Qualcuno, un'eternità indietro, gli ha detto che quella è cattiveria e non va bene, così lui cerca di non pensarci troppo.
Non saprebbe dire quanto tempo sia passato, quando la vernice un po' scrostata della porta prende a vibrare appena e si sente il tintinnio delle chiavi e la serratura scatta. Non saprebbe dirlo, ma non gli importa: è ancora notte, fuori dalle finestre, e Lootah è tornato.
Lootah che non c'era e ora c'è, in un procedimento esattamente inverso rispetto alla paura.
«Sei qui» mormora Wolfgang, gli occhi ampi di bianco.
«Già» risponde Lootah, esausto.
Wolfgang non chiede dove sia Angelica, non fa una singola domanda, perché sente la testa vuota e leggera del lutto mancato, di chi sta superando una perdita mai avvenuta, di chi è sceso a patti con la mancanza e viene contraddetto dalla vita.
«Sono stato a schiarirmi le idee» spiega Lootah, riempiendosi un bicchiere con la bottiglia che tiene sotto il lavandino, liquido ambrato e vetro spesso. «Angelica non sembra incline a partecipare. Le ho dato un ultimatum, ma non sapevo come dirvelo. Non so come dirlo a loro
Wolfgang si alza per avvicinarsi e sentire l'odore familiare che associa al sangue dell'altro: il ricordo di una spezia dimenticata, il profumo di una terra lontana, l'impronta del sacrificio che lo rende leggermente amaro.
«Mi dispiace» sussurra, percorrendo con il dito il profilo del lavandino, tentato di aprire l'acqua e guardarla scorrere, infrangersi contro le dita, ricomporre il suo getto.
«Non è colpa di nessuno. La ragazza è spaventata, braccata da qualcosa che non può controllare e noi siamo in viaggio da troppo. Non avrei saputo da dove cominciare anche se lei avesse deciso di seguirmi.»
Wolfgang continua ad aggrapparsi alle insicurezze da soldato di Lootah, come fossero loro a renderlo reale, concreto, vivo. Quei dubbi resi parole solo con lui sono un segreto condiviso che diventa il nodo del loro legame.
«Come abbiamo pianificato» risponde, mentre ascolta il cuore di Lootah battere ritmico nel suo petto.
«Non è così semplice.»
«Non vuoi che lo sia» Wolfgang si avvicina ancora un po', gravitando attorno a Lootah perché sente di essere al sicuro da qualcosa che lo spaventa: la possibilità di perderlo o, forse, quella di perdersi o, ancora più a fondo, quella di essersi perso da tempo.
«Hai fame?»
«No» risponde.
Anche se ha fame, anche se sarebbe semplice dire sì e sentire di nuovo Lootah dentro, come una marea tiepida che sale, lasciandosi dietro un po' di calore. Wolfgang si rende conto che potrebbe essere solo il bisogno a legarlo all'altro, la meccanica necessità di riempirsi e sentirsi un po' più vivo, il suo sangue. Non è certo di considerarlo un problema – le certezze sono per chi muore giorno dopo giorno –, non sa bene che farsene di quel pensiero, né se esista più spazio impolverato nella sua anima per riporlo e dimenticarlo.
«Devi mangiare. Se ci metteremo in viaggio ne avrai bisogno.»
A quelle parole Wolfgang abbassa lo sguardo, un bambino sorpreso a mentire, una parte recitata che diventa vera o, ancora, una verità che deve essere additata come bugia per fare meno male. Ha perso il conto delle innocenze vere e di quelle artefatte, Wolfgang, come ha perso il conto degli anni e il ricordo dei nomi. Forse Lootah si accorge della sua fame per come gli sta vicino, forse è perché sa che Wolfgang continuerà ad averne finché non farà un pasto vero invece di quei rabbocchi che bagnano appena senza riempire. E non può, ovviamente. Non è questione di moralità, né una particolare propensione a resistere agli impulsi. Avrebbe già affondato i denti nella prima giugulare a disposizione, se non fosse per Lootah, perché gli ha promesso di non farlo, per il suo obiettivo ultimo e finale sancito da una promessa solenne.
Annuisce e prende tutto il necessario perché Lootah si cavi dalle vene un po' di sangue e lui possa berlo piano, in punta di labbra.
«Continueremo a cercare» dichiara Lootah, come se fossero tutti lì e lui stesse cercando di motivarli a proseguire.
«Sono sollevato. Niente...» la frase si incastra appena, c'è troppa ombra sulla parola successiva.
«Demone» conclude Lootah.
Niente negromante, però, significa niente controllo. Niente controllo significa niente missione. Niente missione vuol dire che il suo desiderio non verrà esaudito.
Per il resto del tempo – veloce e sfuggente, perché a Wolfgang sembra passare solo un istante che ha già un bicchiere in mano – stanno in silenzio. Sono seduti sul bordo del materasso sottile, nella quiete della notte, gravati più dal futuro che da un passato incontrollabile.
«Gus sta facendo progressi. Mi ha scritto oggi» lo informa Lootah, premendosi il cotone disinfettato sul braccio.
Wolfgang beve il primo sorso. Caldo e viscoso, all'inizio sa solo del sapore ferroso del sangue, ma quando scivola sulla lingua e poi giù, lungo la gola, si lascia dietro il retrogusto di Lootah che è soltanto suo, che nessun altro avrà mai. Wolfgang chiude gli occhi un istante, abbandonandosi a quella consistenza che non è fatta solo di densità, ma di emozioni, paure, speranze, ricordi. Sono recenti e appiccicosi: la sensazione impotente di non poter convincere Angelica, l'inebriante idea del potere e la nota acida del fallimento; ma ce n'è di più vecchi, come sempre. Ci sono anche loro, seduti su un materasso ricoperto di sete polverose, Wolfgang con i denti a lacerare la carne del collo di Lootah per poi berne avidamente, tanto, troppo. Fino a sentire la punta legnosa del paletto vicino allo sterno, in una minaccia quieta da parte dell'altro. Ci sono loro, che si incontrano giorno dopo giorno, con Lootah che gli insegna nuovamente a parlare, a leggere, a scrivere, a pensare, finché quelle piccole capacità scontate non tornano a galla. C'è una richiesta ferrea a cui Lootah è costretto ad acconsentire.
«Posso fare io quello che fa lui.»
Wolfgang sa che Gus era la prima scelta di Lootah, sa che poteva esserci lui, lì, in quel momento, a bere da quel bicchiere, e il pensiero è una punta di rabbia che si allarga. Beve ancora, sperando di tenerla giù a galleggiare nel sangue. Dovrebbe ringraziare Gus per aver indirizzato Lootah da lui, per avergli rivelato il suo nascondiglio, il suo volontario isolamento non come espiazione di una colpa, ma come solitaria contemplazione del tempo, in una tomba di musica classica che non aveva più la forza di far suonare, pagine che non aveva più lucidità per leggere e dipinti che non riusciva a più a vedere.
«È meglio così.»
Wolfgang si chiede se quel discorso lo abbiano già fatto o se lui l'abbia solo immaginato, ma Lootah gli sta riservando uno sguardo di rimprovero che risponde alla domanda. Entrambi conoscono Gus, il sacrificio per un bene superiore non è esattamente nelle sue corde.
«Devo dormire» dichiara poi Lootah, quasi a se stesso, la voce stanca.
Wolfgang sente l'alba, da qualche parte, iniziare a pizzicare di luce. Finisce di bere, lava il bicchiere con cura, finendo per perdersi nel modo in cui l'acqua e il vetro sono fatti della stessa identica luce, ma uno è solido fra le sue dita mentre l'altra continua a scorrere, morbida e fredda. Quando ha finito – lunghi minuti in cui ha sentito Lootah muoversi, spogliarsi, lavarsi e prepararsi a dormire – striscia nel letto.
«Posso spegnere?» domanda Lootah, il dito posato sull'interruttore.
«Sì» risponde Wolfgang.
E cala il buio.
Hanno tende pesanti alle finestre e, in quella parte di mondo, tapparelle serrate. Quando Makiko o Esteban si sveglieranno, Lootah scuoterà Wolfgang per farlo dormire nell'altra stanza. Fino ad allora sono solo loro, lì, come ogni alba, due o tre ore in cui Lootah è solito dormire e Wolfgang annullarsi nella quiete.
Quel giorno, però, il respiro di Lootah resta leggermente controllato e Wolfgang si gira su un fianco, a coglierne la sagoma nel buio, saggiandone il calore.
«Devi fare scelte difficili, ma non sei da solo a compierle, Lootah. Non sei da solo» mormora.
In una proiezione di sé, si guarda alzare le dita e far scorrere i polpastrelli lungo la guancia di Lootah, ma è solo uno dei possibili futuri immediati. Un futuro che non si avvera, perché Wolfgang resta immobile e Lootah scivola lentamente nel sonno.
 
Wolfgang viene svegliato da voci e rumori. È ancora sdraiato nel divano divenuto letto, ma si alza appena sui gomiti per guardarsi attorno. Lootah è seduto sul bordo, la treccia un po' scompigliata e la maglietta stropicciata. Ha ancora addosso il calore del sonno.
Wolfgang sposta lo sguardo dalla sua schiena alle persone in pigiama, in piedi nella stanza, illuminate dalla luce del lampadario. Sembrano una foto ingiallita come quelle che gli ha mostrato Gus, quando Wolfgang si è deciso ad uscire dal suo nascondiglio e l'altro ha voluto aggiornarlo su tutta la storia che si era perso. Esteban continua a fare domande, sommergendo i presenti con la sua voce, agitando un po' le mani, pieno di curiosità.
Una di loro, vestita di nero, lo sguardo combattivo, è Angelica.
«Devo parlare con lui» dice, astiosa, mentre Makiko richiude la porta a doppia mandata senza proferir parola.
Wolfgang percepisce il battito accelerato dei cuori, l'agitazione, la sua stessa aspettativa. Guarda Angelica un istante soltanto e sa di appartenergli come un malato alla malattia, come il giocattolo preferito nelle mani del bambino che lo possiede.
«Andate di là, ne parliamo dopo» dice Lootah.
Makiko obbedisce, mentre Esteban impiega qualche attimo più del necessario, scrutando Lootah e poi Angelica, dubbioso. Anche Wolfgang si muove per alzarsi, ma Lootah gli afferra il braccio e lo stringe in una morsa, per imporgli di restare seduto sul letto.
Quando un po' di tempo si è accumulato nell'aria, quanto basta perché tutto torni alla tranquillità, Lootah si alza per andare verso la cucina.
«Hai cambiato idea?» chiede, senza guardare Angelica.
Wolfgang fa scorrere lo sguardo da lui a lei. Non si è mossa, ma ha nello sguardo un'ombra di rassegnazione che diventa sempre più evidente. Pensa per un attimo ad ucciderla, guardare la sua pelle bianca tingersi di grigio, percepire il battito rallentare e fermarsi. Lo fa con tutti, quando ha la possibilità di conoscerli un po' meglio, e non sa bene perché quella sia la prima fantasia che ha sulle persone, ogni volta.
«Devi togliermi questa cosa da dentro» dice, risoluta.
«Allora tu devi fare qualcosa per noi» risponde Lootah, finendo di preparare il caffè per poi posarsi contro la cucina, le braccia incrociate sul petto.
«Bene. Dimmi cosa devo fare. Basta che me lo togli.»
Wolfgang si apre in un piccolo sorriso al pensiero che Lootah abbia il potere di trovare i punti di pressione delle persone e premerli fino a mandarle in pezzi. Si sente potente, anche se quel potere non è suo.
«Prima lui deve mangiare sul serio. E ci servi tu per questo.»
Angelica sospira a quelle parole, chiudendo gli occhi in un gesto sfinito.
«Che cosa vorrebbe dire?» domanda poi, sempre più rassegnata, spostando lo sguardo su Wolfgang.
E lui può sentirlo, il sorriso inquietante che gli tende le labbra, ma non gli importa, non davvero.



 
Ciao!!
Sono imperdonabile! A mia discolpa, Wolfgang è davvero difficile da scrivere. Se nei primi capitoli è apparso del tutto innocente e un po' svampito, qui volevo che risultasse molto più complesso di così. Una complessità che spero sia stata già accennata da Makiko, ma che qui volevo rendere in tutto e per tutto. Non so se ci sono riuscita, lascio a voi l'ardua sentenza. XD Fra l'altro l'ultima parte non l'ho praticamente riletta perché dovevo, dovevo, dovevo pubblicare!
Insomma, SCUSATE, per il ritardo. Spero di essere più costante da questo punto in poi...
Per il resto: cosa ne pensate, vi piace, non vi piace, mi odiate per il ritardo?
Come sono andate le vostre feste, sopratutto?
Alla prossima e GRAZIE per essere passati e per essere pazienti. 
DonnieTZ


 

 

   
 
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