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Autore: Fonissa    30/12/2016    0 recensioni
"Il rosso è il mio colore preferito. Ma non il rosso di un pennarello o il rosso del tramonto, ma il vivido rosso del sangue che scorre. Quel bel colore che esce quando il mio coltello affonda nella carne delle mie vittime. Mi sento così bene quando lo faccio, mi sento finalmente me stessa.
Questo lato di me appena conosciuto... perchè non è venuto fuori prima? Eppure è questo che io sono. Non posso scappare a me stessa, devo accettarlo e andare avanti.
Io sono un'assassina"
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono seduta vicino alle scale del tombino da ormai motto ore. Mi sono svegliata alle sei del mattino con il timore che Hiroji avrebbe potuto trovarmi addormentata. Il topolino mi prende la manica con la bocca e me la tira, è il suo modo di incoraggiarmi a mangiare.

"Sei un vero amico, sai?" Lui fa un giro su se stesso e poi mi guarda. Io sospiro e prendo un po' di pane dalla mia borsa.

"Ancora non ti ho dato un nome -dico dopo il primo morso- ti piace Bianchino?" Appena pronuncio quel nome, il roditore si allontana di un paio di centimetri da me.

"Okay, hai ragione, non è stata una delle mie migliori idee. Che ne pensi di Akio?" Questa volta mi si arrampica fin sopra la spalla e si strofina contro la mia guancia. Sorrido accarezzandolo con un dito: Akio è il nome che i miei genitori mi avrebbero dato se fossi stata maschio. È tra quei pensieri che sento il tombino aprirsi. Getto il pane nella borsa e mi proteggo gli occhi, ormai abituati all'oscurità delle fogne, con il braccio, mentre le luce del sole entra e una figura scende le scale.

"Hi...Hiroji?" domando aprendo gli occhi.

"Hikaru!"

Si, è lui, è proprio Hiroji. È venuto veramente, sta scendendo in una fogna solo per vedermi. Pochi secondi e me lo ritrovo davanti

"Scusami, solo ora sono riuscito a venire. I miei genitori mi vedrebbero se scendessi qui con loro in casa, ho dovuto aspettare che se ne andassero. " mi spiega con un leggero affanno.

"Si, capisco." rispondo annuendo piano.

Per un pò di tempo siamo in silenzio e Hiroji abbassa la testa, come se stesse cercando le parole giuste per iniziare un discorso. Poi alza lo sguardo e lo incatena al mio, dicendo con voce sicura:

"Quel ragazzo che era entrato in quella casa abbandonata... l'hai ucciso tu?"

"Dove l'hai sentito?" rispondo con una naturalezza che spaventa anche me. Il fatto che Hiroji lo sappia non mi tocca per niente, diversamente da quanto mi sarei aspettata. Non riesco a spiegare perchè. È come se potessi davvero dirgli qualsiasi cosa dopo che mi ha visto uccidere quel pazzo a scuola, dopo che gli ho salvato la vita. Il destino ha scelto uno strano modo di legarci.

"L'hanno detto alla televisione. Quindi è vero."

"Si. Io stavo alloggiando in quella casa abbandonata mentre mi nascondevo. Il ragazzo è entrato, me lo sono ritrovata davanti all'improvviso e mi sono spaventata."

"Ti sei pentita? Sia per l'uomo a scuola, sia per il ragazzo... Ti sei mai sentita in colpa?"

Eccola, la domanda che temevo. Potrei semplicemente mentirgli, dirgli che i visi delle mie vittime mi perseguitano nel sonno, che ogni volta mi sono ripromessa di non uccidere più nessuno. Ma come potrei mai mentire a quei due smeraldi che mi guardano aspettando una mia risposta?

"No, mai. Nemmeno un pò." dico lentamente, scandendo bene le parole.

Hiroji sospira, poi si siede a terra con la testa contro il muro. Mi accomodo accanto a lui. La vicinanza mi fa arrossire, ma cerco di non darlo a vedere.

"Come fai ad uccidere le persone? Porre fine alla sua esistenza, vedere gli occhi delle vittime offuscarsi..."

Lui mi guarda. Ma non con spavento come farebbe la maggior parte delle persone. Nei suoi occhi c'è una luce che non avevo mai visto rivolta a me: curiosità. La voglia, leggermente sinistra, di sapere cosa c'è dietro. Hiroji vuole sapere come faccio ad uccidere. È una situazione irreale che qui, in questo momento, in questo tombino sporco e maleodorante, alla completa oscurità, sembra anche troppo normale. Ripenso a quando per me diventa tutto nero, al coltello che affonda nella carne e al colore e al sapore del sangue.

"Vorrei poterti dire che programmo tutto, che ogni volta so esattamente cosa faccio e come andrà a finire... ma la verità è che ogni volta mi lascio guidare dall'istinto, credo. Si oscura tutto intorno a me e agisco d'impulso. È come chiedermi come faccio a muovere il braccio: non lo so, lo faccio e basta."*

"Come qualcosa che è dentro di te."

"Esatto."

"Sai, diversamente dal resto della scuola, io non ho mai pensato che tu  fossi strana, e non lo penso nemmeno ora. I tuoi genitori... sono morti, giusto?" chiese abbassando la voce pronunciando le ultime parole.

"Uccisi da un ladro entrato in casa in piena notte. Ha risparmiato solo me, forse perché ero una bambina."

"Non l'hanno mai trovato?"

"No... io non riuscii nemmeno a vederlo in faccia, aveva una sciarpa fin sopra al naso e un cappello di lana. Riuscii a vedere solo qualche ciocca bionda."

Non avevo mai detto queste cose a nessuno... Non che qualcuno me le avesse chieste, a parte la polizia. Credevo che avrebbe fatto male, che non sarei riuscita a parlare o che avrei pianto. Invece è liberatorio, come se avessi scaricato un enorme peso dalle mie spalle. Hiroji mi guarda con gli occhi sgranati.

"Biondo? Quindi non era orientale."

"Ma conosceva perfettamente il giapponese. Io... Lo sentii dire delle cose a mia madre. Non compresi tutto a causa della paura, capii solo una frase: 'Dove l'hai messa? Dimmi dove sta, voglio portarla via.'"

"Probabilmente le stava chiedendo dove fosse la roba preziosa." Annuisco, con la testa poggiata sul palmo della mano. La schiettezza di Hiroji non mi ferisce, anzi, avrei sopportato di meno un giro di parole. Akio, sentendosi ignorato, mi sale di nuovo sulla spalla.

"E lui chi è?" chiede Hiroji divertito.

"Si chiama Akio, è un mio amico."

"Piacere Akio, io sono Hiroji." dice il ragazzo accarezandolo. Non so quanto possa essere espressivo il viso di un topo, ma l'animaletto sembra guardarmi come per dire 'E' questo il tipo di cui pari sempre?'. Io alzo gli occhi al cielo annuendo. Hiroji ride guardandomi, e io lo seguo pochi secondi dopo. poi lui guarda l'orologio e assume un'espressione dispiaciuta.

"Devo andare, i miei genitori tornano tra poco. Hikaru... domani loro non ci sono tutto il giorno. Vieni a casa mia, scommetto che non mangi come si deve da molto."

Il mio cuore perde un battito. Mi sta invitando a casa sua, si sta preoccupando per la mia salute. Annuisco lentamente mentre sento le mie guance andare a fuoco. Hiroji mi sorride, poi va' verso la scala che porta sopra.

"Allora ci vediamo."
  
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