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Autore: Nirvana_04    30/12/2016    9 recensioni
FANTASY - STEAMPUNK
Il regno di Midra ha conosciuto i vantaggi portati dal progresso e dalle macchine, ma adesso è costretta a fare i conti con i fumi che sorvolano i suoi cieli; inoltre una minaccia giunge dal regno di Einath e dalla leggendaria Allana. La regina Elzeth è costretta a scendere a patti con chi, per anni, il suo esercito ha combattuto.
Il capitano Jude Hauk ama il suo villaero e adora la sua nave volante, la Marsadde. Ma ancor di più ama la libertà e l'ebbrezza di nuove sfide. Spinto dai suoi desideri personali, accetta di affrontare un nuovo viaggio affianco del generale Moris Lautner, l'uomo che per più di un decennio ha affrontato ai confini del cielo e del mare. Ognuno dei due tenterà di sfruttare l'altro, ma chi porterà a termine la sua missione?
Prima classificata al contest "Steampunk tendencies" indetto da Haykaleen sul forum di Efp
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cieli senza confini'
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Capitolo 1
Un insolito accordo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il villaero di Crowsand galleggiava pigramente sui venti di bonaccia, sopra i pascoli delle Montagne Cappello. Proprio sotto di esso scorreva il Taleth, il fiume più lungo che collegava i territori verdeggianti con quelli cinerei e pieni di vapori della costa sud-ovest. Stormi di corvi svolazzavano in cerca di cibo, sopra sotto e intorno alle case diroccate. Il villaero contava un agglomerato di ventuno abitazioni ospitanti altrettante famiglie, collegate tra loro da ponti di corda sospesi sopra prati e spuntoni di roccia.
Era gente semplice, quella di Crowsand: viveva della pesca del fiume, grazie alle lenze lanciate in basso per più di settanta metri di altezza; e si spostava di rado, grazie alle grosse ruote degli ingranaggi che non smettevano di mulinare sotto i tralicci di sostegno alla base delle costruzioni fluttuanti.
Jude lo ricordava bene il suo villaggio: povero e malridotto quanto la sua nave adesso.
La Marsadde era un galeone triremi, possente nelle sue forme quanto diroccato nelle sue fattezze: aveva vele quadrate posizionate sia a poppa che a prua della nave, levate lungo sia la falchetta che la carena, rendendola simile a un lungo pesce squamato. In tutti i cieli, dalle Montagne Cappello alla falesia di Capo Sventura, non c’era pirata o capitano di ventura che non conoscesse la sua nave o il suo nome: Jude Hauk. Persino il generale Moris Lautner sapeva chi era, e Hauk sapeva di lui: egli dominava i mari quanto lui i cieli. I due si erano incontrati in più di una circostanza nei loro anni di navigata lungo i confini dei loro elementi. Il generale tentava ancora, dopo un decennio a dargli la caccia, d’incatenarlo e impiccarlo per lesa maestà e tradimento alla corona. Moris Lautner, infatti, era anche il più alto in grado tra le guardie sotto il controllo dei reali della costa sud-ovest. In verità, erano anche sovrani di Crowsand, nonché i suoi siri, ma questo a Hauk non era mai importato: se qualcuno non si interessava di lui, egli non occupava i pensieri con le loro immagini.
Almeno, così era andata fino a quando un dispaccio della casa reale non era giunto fino a Borgfas, il villaggio in cui avevano abbordato quella notte per riparare la faglia alla stiva di prua.
Seduto alla sua scrivania, con le gambe sopra le carte eoliche e la schiena abbandonata contro l’alto schienale, Jude faceva dondolare la sedia sulla molla che fungeva da piede, in precario equilibrio. Fissava la pergamena con il sigillo reale e corrucciava sempre più la fronte mentre i suoi occhi si soffermavano sui punti salienti della missiva.
Qualcuno bussò e irruppe nella stanza. Hauk fece in tempo a nascondere quell’espressione impensierita prima di trovarsi il viso del suo secondo in comando che fumava e sbavava per la collera.
Siamo alle solite, pensò esasperato.
“Quell’ingrato di Wolk si rifiuta di venderci i pezzi di ricambio. Venderci! Sarebbe più contento se prendessimo la sua merce con la forza” sbuffò.
“Siediti.”
“Non voglio sedermi. Voglio potergli rasare quelli stupidi baffetti o, visto che non lo troveresti garbato, defilarci da qui nel più breve tempo possibile.”
“Sarebbe sgarbato partire dopo una visita così breve. Monna Catilde non si è offerta di prepararci un pasto caldo?”
“Motivo in più per alzare le vele e approfittare del vento in poppa” si lagnò scorbutico.
“Siediti, Arci” lo invitò con voce ferma. “A Wolk penseremo dopo.” Gli lanciò la pergamena contro il petto e incrociò le mani sulla pancia, tenendo d’occhio la sua espressione.
La faccia di Arci sbiancò per poi essere investita da una divertente dose d’incredulità. Jude rimase impassibile, ma l’espressione del suo secondo rispecchiava perfettamente i suoi sentimenti.
“Cosa intendi fare?” sbottò allarmato.
“Beh, è un invito reale. E poi, un giorno o l’altro sarei comunque passato dal castello. Anche se” ammise, “non pensavo di farlo dal portone principale.”
“Salpiamo per Midra?” scioccò Arci.
“Sarebbe sgarbato non andare a vedere cosa vogliono” ghignò il capitano.
 
 
 
 
Midra era un incanto, l’avanguardia tra le città del continente nord e di gran lunga superiore a quelle dei continenti sud.
Moris Lautner l’ammirava dalla ringhiera lucidata della sua nave, la Joyfall. Colei che lo aveva adottato e aveva segnato le tappe più importanti della sua vita si ergeva su una collina sormontata da palazzi vittoriani e grandi edifici pubblici – erano sede della marina e dei suoi reparti armati – con le loro grandi cupole e bianche facciate, che si gettavano direttamente sul mare. Sui fianchi del grande colle si snodavano le strade della città, strette vie imbiancate da marmi e affreschi di travertino, impreziosite da alte torri e guglie che sembravano staccarsi dal terreno e slanciarsi verso il cielo, dove i nivei vapori erano puntellati da sommergibili e mongolfiere. Dallo sfondo si staccavano le vette dei grandi camini delle fabbriche, che sostentavano la città e l’intero paese: avevano la migliore manodopera e le più sopraffine macchine per un lavoro di qualità e raffinatezza. E poi c’era la Torre di Guardia, intrecci di metallo che custodivano il palazzo sulla cima del colle.
La Regina Elzeth e la sua corte lo attendevano lì per quella mattina. Il dispaccio gli era giunto durante la sua missione diplomatica sulle Isole Minori, portato dalle brillanti libellule d’oro massiccio, le più veloci della loro serie.
La sua sovrana amava il verde e negli anni aveva lasciato che i colori della natura si facessero spazio tra i giardini reali, dove le opere dei più grandi architetti erano esposte. Uno strano miscuglio, a suo dire: il suo mondo era il blu del mare e il candore della sua città spezzettato solo dai tetti rossi e le facciate gialle dei palazzi della marina.
La Joyfall si fece largo tra le piccole imbarcazioni di pescherecci locali e attraccò nel grande porto. Moris Lautner batté la sua mano metallina sulla ringhiera – fatta di pelle rossastra e cavi blu che gli permettevano di muoverla come un arto vero – e poi percorse la passerella di legno per mettere finalmente piede a terra.
Midra si manifestò ai suoi occhi con i soliti rumori delle bancarelle, i commerci davanti all’ambasciata nel grande palazzo circondato dal portico e i tendoni delle trattative sul lungomare e intorno alla Piazza della Fontana, dove la statua del Re Geord il Vincente capeggiava in granito lucente, riflettendo i soffusi raggi di luce che si facevano strada tra le nuvole e i vapori.
Il generale si diresse di gran carriera verso la Porta del Commercio, da cui si accedeva alla città vera e propria. Egli lanciò uno sguardo al primo Ministro della Guerra, scolpito al centro del travertino, in alto al grande arco bianco, circondato da silfidi veneranti, e infine proseguì con passo marziale verso la carrozza che lo attendeva poco più in là. Trainata da cilindri ferrati, la sua vettura risalì il grande viale e si addentrò tra i giardini sempreverdi del palazzo reale: circondato da un’alta cinta muraria, il palazzo era l’emblema dell’innovazione di Midra, con una pianta quadrata sorvegliata da quattro torri della medesima forma a ogni angolo della struttura; su di essa dominava la Cuspide Bianca, l’immensa torre in cui risiedeva la famiglia reale.
Moris Lautner s’inoltrò lungo i grandi portici interni del cortile, e lì venne raggiunto dalla sua sovrana. Prontamente s’inchinò e abbassò la testa.
La bellezza della donna era leggenda tra i continenti. Si diceva che ella avesse sangue di silfide nelle vene: i suoi capelli erano capricciosi ricci infuocati, tenuti a bada in acconciature semplici che adornavano il suo lungo collo di porcellana; i suoi occhi erano neri e troppo profondi per scorgerne l’anima, ma le mani lunghe e sottili si agitarono con leggiadra fretta dinanzi al generale, come candide farfalle svolazzanti.
“Non è questo il momento, generale” tagliò corto la Regina Elzeth. “Ho nuovi ordini per voi e so già che non vi piaceranno. Inutile dover sopportare anche questo fastidioso cerimoniale.”
Il generale si tirò su rigidamente e, mantenendo la dovuta distanza, seguì la sua signora per i giardini.
Ella era una delle poche a saper apprezzare la necessaria bellezza del progresso e a venerare l’intramontabile ferinità della natura. Moris Lautner l’ammirava per questo, e la rispettava come nessun altro: la regina aveva scelto di votarsi al regno, rinunciando all’amore e ai vincoli famigliari; la sua famiglia era composta da cugini e zii, ma nessun figlio allietava le sue giornate o un marito riscaldava le sue notti. Ella era selvaggia e sapeva essere crudele tanto quanto le radici di quelli alberi che minavano alla sicurezza delle mura, facendo presa sui mattoni e conficcandosi nella pietra; era libera così come i cieli e i mari di cui ella aveva abbattuto i confini.
Così, il generale Moris Lautner rimase ad ascoltare le sue parole, e ciò che sentì fu tempesta e sobillazione.
“Generale, si sta preparando una nuova guerra, e stavolta la corona di Midra perderà” annunciò perentoria. L’uomo sollevò il capo e si accigliò davanti a tanta convinzione, ma rimase in silenzio. “Il popolo non ha più fame adesso, ma presto rimarrà senza vita.”
Camminò ed egli la seguì, confuso. Si avvicinarono alle fontane di palazzo e la sovrana immerse una mano nella conca a forma di conchiglia; quando la tirò fuori, dalle sue dita lattee iniziò a colare acqua nerastra. Sotto invito della donna, il generale si sporse e vide il fondo della vasca pieno di cenere e residui di carbone.
“Ciò che ci dà vita, sta anche per togliercela. E non solo” sospirò, “Einath sta cercando di stringere rapporti con il Sesto Cielo.”
Il generale parve non capire. “Il Sesto Cielo non esiste più. Le silfidi vivono solo nelle leggende.”
“Dovreste prestare più orecchie alle storie dei bordelli, generale” lo redarguì causticamente la sovrana, con tono pratico. “Qualcosa si muove in quel cielo, forze sono ancora in atto. L’aria del sud è diversa, è… pura. Possiede ancora vita, nonostante le sue terre aride e i suoi mari inospitali.” La Regina Elzeth si fermò e guatò il comandante della sua flotta. “Il regno di Einath ha deciso di dare credito a quelle voci e si è mossa prima di noi.”
“ Le silfidi sono state sterminate” obiettò perentorio Moris.
“Qualcosa hanno trovato, sennò come spieghereste le ultime incursioni nei mari di Midra da parte delle loro navi. Stanno rischiando molto, e per un motivo importante.”
Moris guardò il viso imperturbabile della sua signora e vi trovò la forza di chi ha già preso una dura decisione.
“Cosa possiamo fare, mia regina?” la interrogò, speranzoso nella sua rinomata saggezza.
“Noi, in quanto stato di grazia, davvero poco generale. Questo” sospirò altezzosa, “è un lavoro per pirati e corsari.”
 
 
 
 
Ed ecco infine Midra, il simbolo del successo utopico di qualche vecchio barbuto, che aveva pensato che ferro e macchine a vapore potessero portare ricchezza e innovazione. Il cielo era sempre inscurito da grossi nuvoloni carichi di pioggia, le case si scorgevano tra tentacoli di nebbia che invadeva la terra a tutte le ore del giorno e della notte.
Jude non riusciva ad apprezzare i rumori delle fabbriche, l’odore di carbone e marcio che si respirava nelle periferie; per non parlare di ciò che si poteva scorgere nelle vie della malavita, dove gente con arti menomati elemosinavano e si mettevano in fila, per poter riuscire ad accaparrarsi una di quelle protesi meccaniche, così da potersi nuovamente vendere come manodopera per quelle fabbriche che già una volta si erano portate via una parte di loro.
La Marsadde cominciò a planare, avvolgendo in una spirale aerea l’intera collina di Midra, da cui solo pochi alberi superstiti erano scampati alla deforestazione e allo sradicamento di massa; e tutti erano proprietà privata della corona, iniziò a sbuffare lui. Sotto suo ordine diretto, Arci fece virare la nave tra gli zeppelin dell’ambasciata di Zurog e le mongolfiere giunte dal sud; scorse uno strano bagliore sulla fiancata di un dirigibile e capì che anche i corsari dell’ovest erano stati chiamati sotto il simbolo di quella strana tregua voluta da Midra.
Il capitano Hauk fece gonfiare la vela sull’albero maestro e aizzò il suo stendardo al vento, in modo che tutti potessero vederlo. Poi guardò giù e ammirò il porto, quel lordume di oli di balena e liquidi di scarto delle navi della marina; inquadrò subito la nave del generale e, spinto da un colpo di antica rivalsa, s’impossessò del timone e ormeggiò la Marsadde affianco della Joyfall.
Infine Jude Hauk e il suo secondo in comando scesero con eleganza dalla nave e lasciarono che la gente di Midra si scansasse a loro passaggio, mentre pirati e corsari approdavano in città e loro risalivano per primi il viale verso il grande palazzo reale.
 
 
 
 
Moris Lautner se ne stava rigido ai piedi del trono, il corpo indirizzato verso la sua regina e il capo voltato verso l’uomo abbandonato contro una delle alte colonne di quarzo e granito della lunga Sala delle Cerimonie: i lunghi stivali neri, che gli arrivavano fin sopra le ginocchia, erano prigionieri in un’armatura di metallo e possedevano delle fibbie appuntite all’altezza delle caviglie; i calzoni e il panciotto color fango erano sormontati da un lungo soprabito scuro sfilacciato e consunto, con il colletto alto e un fermaglio d’oro sporco che glielo fermava a metà sterno; un fazzoletto bianco, che era la camicia, fuoriusciva da quella tenuta oscura. Il viso era come sempre coperto fino al naso da quell’odiosa bandana nera, e l’ombra creata dal tricorno sbiadito dal fuoco offuscava i lineamenti del suo volto; i guanti armati e l’orologio da taschino luccicavano nella luce, grazie all’immenso lucernario in vetro che sormontava le loro teste, e da cui era possibile vedere i dirigibili volare pigramente sopra il cielo della capitale. Ciò di cui Moris era sicuro, però, – che riuscisse a vedere o meno – erano quei piccolissimi occhietti neri che ricambiavano il suo sguardo.
“Einath cospira sotto la veste di svampita gentilezza che ci offre” proruppe la Regina Elzeth. “Voci sono giunte alle mie orecchie: il regno del sud ha stretto un’alleanza con il popolo del Sesto Cielo. Se i loro accordi non vengono fermati, Midra si ritroverà chiusa tra due fuochi.”
“La flotta è pronta, mia Regina” s’inchinò prontamente un comandante della marina. “I cacciatori del regno sono stati richiamati al servizio. Se una guerra si sta preparando, noi saremo pronti a vincerla.”
“Ma io non voglio una guerra, comandante” lo interruppe la donna seduta sul trono. I capelli rossi erano legati in una lunga treccia che scendeva lungo il sottile collo albino e si attorcigliava intorno al ventre, ribelle e felino come la sua persona. “Voglio solo la vittoria, e la desidero senza spargimento di sangue tra i miei sudditi.”
Moris si accigliò.
“Che tipo di vittoria auspicate, mia signora?” prese parola un cacciatore, la faccia deformata da cicatrici da ustione, e i pochi capelli che gli restavano erano chiodi esili su una testa altrimenti calva.
“Non intendo iniziare io a invadere il regno di Einath, sebbene i suoi sovrani sperino in una mia mossa.”
“Che ci facciamo, allora, noi qui?” sbottò un uomo con una gamba di ferro e parte del volto nascosto in una maschera d’ottone.
Moris lo riconobbe, allarmato: era il Corsaro Kabart, nemico giurato della corona; solo il mese prima aveva affondato un veliero della marina reale.
Il generale era stato talmente preso dalla presenza del Capitano Hauk da non rendersi conto che metà della sala ospitava la peggior feccia dei mari.
“Voi siete la mia mossa, Kabart” rispose Elzeth, in tono informale.
“Mia Regina?” sobbalzò un suo sottoufficiale.
“La famiglia di Midra ci sta chiedendo di combattere la guerra al posto del suo esercito. Se verremo scoperti e annientati, la corona non subirà conseguenze.” La voce di Hauk troneggiò per l’intera sala, ironica e schietta.
“Tutt’altro, Capitano” obiettò la sovrana, ergendosi dal suo scranno. “Se voi fallite, Midra perderà ogni cosa. E il popolo avrà perso la sua ultima difesa contro i suoi oppressori.”
Moris Lautner lanciò uno sguardo corrucciato verso il Capitano, ma tutto ciò che riuscì a scorgere del suo viso fu la luce che brillò nei suoi piccolissimi occhi neri.
La sfida era stata accettata.
   
 
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