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Autore: Yvaine0    30/12/2016    0 recensioni
Questa è la storia di qualcuno che, semplicemente, è distratto; di qualcuno che è disattento e di qualcun altro che invece è fin troppo premuroso. È la storia di chi parla troppo, di chi nuota troppo veloce, di chi ha paura di parlare e di chi, invece, dice sempre le cose come stanno. È la storia di come la disattenzione di qualcuno può portare alla sofferenza di un altro e a volte, di conseguenza, alla nostra. È la storia di errori di distrazione notati un po' in ritardo, ma mai troppo. È la storia di chi ama, di chi ascolta e di chi parla, di chi sbaglia e di chi corregge, di scelte giuste ed errate. È la storia di Michael e Shae-Lee, di Calum, di Debbie, di Ashton, River e Luke.
«River sta con Luke. Ma allora perché sembra avere una cotta per Ashton?»
«È complicato».
«Allora spiegamelo».
«Ho un'idea migliore. Perché non mi spieghi perché Debbie ce l'ha tanto con me».
«Perché sei troppo distratto e non ti accorgi di come stanno le cose».
Michael si acciglia. Questo cosa dovrebbe significare? «E come stanno le cose?»
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton, Irwin, Calum, Hood, Luke, Hemmings, Michael, Cliffors, Nuovo, personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Chi non muore si rivede, eh? Scusate. Lascio qualche breve nota qui, nella speranza che nessuno voglia uccidermi e che qualcuno sia ancora disposto a leggere EDD. Questo sarà, in un certo senso, l'ultimo capitolo della storia. A seguire ne verrà un altro (che forse potrebbe essere diviso in due, in base a quanto verrà lungo), il cui scopo sarà concludere la vicenda e riempire, in qualche modo, i buchi che la trama ha lasciato.
Ve lo spiegherò meglio in una lunga nota allegata al prossimo capitolo (no, ragazze, non ho idea di quando possa arrivare), ma sono un po' in alto mare. Non scrivo praticamente più da quando ho iniziato l'università e questa storia non è più nelle mie corde, avendola io iniziata un sacco di tempo fa. Mi odierete, e già lo so, per come andrà a finire, ma sappiate che non sto abbozzando qui un finale in fretta e furia per concludere alla bell'e meglio: quello che succederà, qualunque cosa sia, è una situazione che avevo in mente fin dall'inizio o quasi. E' sicuramente una scelta discutibile e che può non piacere, ma tant'è. La mia scarsità di tempo libero e ispirazione non ha modificato in alcun modo la trama (anzi, averci pensato tanto tempo forse l'ha migliorata un pochino), ma solo il modo in cui ve la sottoporrò.
Spero che qualcuno abbia ancora voglia di leggere quello che sto scrivendo e, se è così, lo ringrazio moltissimo.
Vi lascio alla lettura, che spero essere almeno un po' piacevole, e vi auguro un felice anno nuovo!
Un abbraccio
Michela

(Se volete contattarmi, mi trovate qui e qui.)




13.

 

Quel lunedì Shae-Lee si presenta a scuola senza il solito sorriso smagliante. Cammina per i corridoi con le sopracciglia aggrottate e le labbra dischiuse nell'impegno di distinguere tra la folla qualcuno in particolare; è così presa dalla sua ricerca che non si accorge di Michael, quando lui le sorride nell'incrociarla. La sua insolita serietà lo sorprende tanto da scaturire una risatina nervosa: «Ehi, Shae, tutto bene?»

Al sentirsi chiamare, il suo sguardo viene calamitato da quello di Michael, mentre le sue guance si tingono di rosso e gli occhi si sgranano per l'imbarazzo. «Ciao!» Cavolo, non riesce a credere di non averlo notato, come si può essere così stupide? Si sforza di recuperare le parole che le sue orecchie hanno captato e di dar loro un senso, per non peggiorare ulteriormente quella che è già una gran brutta figura. «Sì, sì... tutto bene. Credo. Hai visto Debbie?» gli domanda, tornando a scrutare con attenzione i gruppetti di studenti diretti alle classi.

«No, sono appena arrivato» risponde lui; si gratta la testa e pensa che, in effetti, è sollevato di aver incontrato Shae-Lee al di fuori della glaciale supervisione della Signorina Rottermeier. Deborah lo mette a disagio e non è un segreto che lo detesti: meno si incontrano e meglio è, secondo lui.

Dopo aver lanciato una veloce occhiata al corridoio, giusto per mostrarsi solidale nei confronti della sua ragazza – uno svolazzare nel petto a quella definizione gli ricorda quanto sia cotto di lei e patetico –, torna a guardarla: questa mattina ha i capelli raccolti in una coda di cavallo, ma qualche ciuffo biondo cenere, troppo corto per essere imprigionato, si arriccia sulle tempie. La trova bellissima, ma decide di non dirglielo per non sembrare ancora più patetico di così. Però lo è, è bellissima anche imbronciata con i capelli arruffati.

Oggi Michael è di buon umore: l'appuntamento a casa di Ashton durante il pomeriggio è un fuori programma che, invece di preoccuparlo, lo eccita da morire. Ha come l'impressione che abbia un'ottima notizia per loro, che qualcosa di fantastico stia per succedere; magari non sarà così, ma nell'attesa di scoprirlo Michael è felice. Si sente come un bambino la mattina di Natale: è curioso di sapere questa novità al punto tale da aver già inviato non meno di sette SMS in disperata richiesta di anticipazioni – proprio non sta nella pelle e il fatto che il suo amico sia muto come una tomba aumenta a dismisura il suo interesse: sarà di certo qualcosa di grosso!

Shae-Lee, invece, oggi è preoccupata. Al suo risveglio ha trovato un SMS da Jessie, la nuova signora Melvin, che diceva più o meno questo: “Ciao, Shae! Penso che l'appuntamento di D. ieri sera non sia andato affatto bene. Secondo suo padre è successo qualcosa di grave – di sicuro esagera, ma tieni gli occhi aperti e stalle vicino. Buona giornata! xx – J.”

Ora, il problema principale è che Shae-Lee non ha idea di che cosa Jessie stia parlando. Debbie ha avuto un appuntamento con qualcuno? Con chi? Le viene in mente Calum Hood, ma scarta subito l'ipotesi, perché ormai l'hanno capito tutti che non vorrebbe aver nulla a che fare con lui per nessun motivo. Si sente tradita da quel segreto, anche se proprio non vuole ammetterlo, e al tempo stesso è preoccupata dal non aver trovato la sua migliore amica ad attenderla al solito posto questa mattina. Forse è solo in ritardo, si dice, ma ha la sensazione che qualcosa non vada e il messaggio di Jessie non la fa sentire affatto più tranquilla.

Si mordicchia le labbra e cerca di mantenere la calma, annuendo: «Sono sicura che vada tutto bene» cerca di convincersi, mentre ancora setaccia il corridoio in cerca di Debbie.


 

«Loveday! Cercavo proprio te. Hai un minuto?»

È l'intervallo tra la prima e la seconda ora e River sta temporeggiando, percorrendo corridoi totalmente fuori strada nella speranza di non incappare in Luke; è talmente lontana dai percorsi ordinari che invece che di fronte all'aula di inglese si trova nei pressi degli spogliatoi, dove viene sorpresa dal richiamo del professor Toomey. Si avvicina a lui con le guance arrossate, mentre annuisce timidamente. «Certo, eccomi». Le restano ancora sette minuti prima che la lezione inizi, se il professore rispetta la promessa di occuparle solo un minuto non dovrebbero esserci problemi.

L'uomo giocherella col fischietto, mentre, in preda a quello che sembra imbarazzo, cerca le parole giuste con cui farle quella proposta. «Ho bisogno del tuo aiuto».

E nel momento stesso in cui lo sente, River sa già in che direzione procederà quella conversazione: Luke.

«Hemmings ha troppo talento perché lo sprechi così. Sembra nato per nuotare: ha la corporatura adatta, il temperamento adatto, la faccia adatta... è tutto adatto. Non ho ben chiaro il motivo per cui non si sia presentato agli allenamenti per così tanto tempo né perché non voglia partecipare alle selezioni, ma non posso permettere che non partecipi alle gare. Puoi metterci una buona parola per me?»

Mettere una buona parola per lui. Se solo il professore sapesse che al momento a lei risulta incredibilmente difficile scambiare una parola qualunque con Luke...

«Io...» River temporeggia, non sapendo bene come rispondere.

Ma Toomey insiste: «Nessuno in questa scuola ha più influenza di te su di lui, Loveday, tutto il corpo insegnanti se ne è reso conto. Se solo provassi a convincerlo...»

«Non so se è il caso» borbotta lei, torturandosi le mani. Come può affrontare un simile discorso con lui, quando tutto ciò che le viene in mente pensando a Luke è un bacio che nemmeno c'è stato?

«Okay, non mi lasci altra scelta, ho capito: se lo farai, il tuo voto nella mia materia potrebbe crescere a fine anno. Non posso proprio lasciarmi sfuggire il talento di Hemmings».

River non sa bene se scoppiare a ridere o a piangere. Come reagire a quell’insistenza? L'ultima cosa che vorrebbe è riprendere quel discorso con Luke, ma non non le viene alcuna giustificazione valida da dare al proprio insegnante. Dunque si arrende con un sospiro e gli occhi bassi: «Farò un tentativo». Poi, sentendosi in colpa nell'accettare dopo quell’offerta, precisa: «Ma per quanto riguarda il voto...» arrossisce, «non vorrei...»

Toomey irrompe in una risata così rumorosa e improvvisa da farla trasalire. «Stavo scherzando, Loveday! Dovrai accontentarti della mia eterna gratitudine».

E nel momento in cui abbandona il professore per scappare verso l’aula di inglese, River si sente sollevata dall’aver troncato quella fastidiosa conversazione, ma anche angosciata da quello che l’aspetta. Dove troverà il coraggio di fronteggiare Luke? Lo evita da ormai due giorni, con che faccia tosta potrebbe andare là, ignorando la delusione e l'imbarazzo di un quasi-bacio, e avanzargli la stessa proposta che li ha portati a litigare qualche tempo prima?

Quando si siede al proprio banco, River ha il cuore che batte all'impazzata e il respiro corto. Come se la corsa contro il tempo non fosse stata abbastanza impegnativa per il suo corpo, sente anche lo sguardo di Luke fisso di sé – uno sguardo che non è pronta ad incontrare ed evita ostinatamente, concentrandosi sul proprio libro di testo.

Che casino, pensa; che enorme casino.

 

Debbie è a scuola, ma è come se non ci fosse. La sua presenza è esclusivamente fisica: prende appunti come un automa, riportando parola per parola tutto ciò che dicono gli insegnanti, senza afferrare il significato di una sola frase che viene pronunciata. È torturata da un senso di terrore e confusione più o meno dal momento in cui, la sera prima, si è resa conto che la sua uscita con Calum si era trasformata in un appuntamento – un appuntamento ben riuscito, oltre tutto. Sente ancora la tempia bruciare, nel punto esatto in cui le labbra di Calum avevano sfiorato la sua pelle in un gesto fin troppo intimo, che nessuno a parte suo padre era mai stato autorizzato a rivolgerle. Sa che se solo si prendesse qualche istante per fermarsi e analizzare la situazione tutto sembrerebbe più chiaro e semplice, ma è terrorizzata da quello che potrebbe scoprire e proprio non vuole saperne.

Si è imposta delle regole. È stata l'esperienza ad insegnare a Debbie fin da piccola come funzionano i rapporti personali: la gente ha bisogno di compagnia e le persone forti sfruttano il bisogno di sentirsi utili di quelle deboli finché ne hanno bisogno, per poi andare a cercare qualcuno che faccia maggiormente al caso proprio. Ha scoperto a proprie spese che l'essere umano è egoista e codardo, che per nessuna ragione si assume le proprie responsabilità e si limita a succhiare ciò che c'è di buono nella vita degli altri per rendere migliore la propria. E quando il parassita ha esaurito il nettare, cambia habitat, senza curarsi di quello che ha prosciugato. È così che si è comportata sua madre con lei e suo padre; è così che si muove il mondo.

Debbie non vuole essere debole, non vuole sottomettersi a nessuno, non permetterà per nessuna ragione dare a qualcuno di svuotarla come sua madre ha annullato suo padre. No, non succederà, non a lei. Né e Shae-Lee, non finché lei avrà fiato in corpo. E tanto meno lascerà che qualcosa accada a River o a Luke. Né a Calum, in cui, tra tutta l'arroganza e l'idiozia di cui fa sfoggio, ha intravisto un cuore puro come quello degli altri.

Ha paura Debbie. Ha paura di ferire e di essere ferita, non è abituata ad esporsi e a dare a qualcuno la possibilità di farle del male. Perché dovrebbe? Quale persona sana di mente si sottoporrebbe volontariamente a ciò che sa essere una tortura?

Chi si renderebbe vulnerabile ad un'altra persona, sapendo che essa potrebbe diventare da un momento all'altro il suo carnefice? Anche se, forse, ciò che Debbie teme di più è la possibilità di somigliare a sua madre più di quanto vorrebbe. Teme di essere lei quella che farà male agli altri. E non vuole, non vuole per nessuna ragione rischiare di trasformarsi in un mostro come lei.

Mentre prende appunti con estrema e inconsapevole precisione, Deborah Melvin sta maledicendo per l'ennesima volta sua madre per averla resa la ragazza filofobica che è convinta di essere.

 

«Hey, Riv!»

River è tra le prime a lasciare l'edificio scolastico, oggi. Non ha dimenticato l'impegno preso col professor Toomey, ma per il momento non si sente pronte ad affrontare Luke; ecco perché è letteralmente fuggita dall'aula al suono della campanella, nella speranza di seminare i suoi amici. Si inventerà qualche giustificazione in caso le chiedano spiegazioni, anche se per il momento nessuno sembra averci fatto caso.

Quello che non si aspettava, comunque, era di trovare Ashton Irwin nel parcheggio per la prima volta dopo mesi. Non credeva nemmeno che avrebbe avuto voglia di fermarsi a salutarlo, mettendo così a rischio il proprio tentativo di depistaggio, ma il suo sorriso la attira come una calamita ed ora è qui, in piedi accanto a lui e allo sportello aperto della sua auto. «C-ciao! – balbetta, la voce incerta di chi è rimasto in silenzio troppo a lungo, ha così tanta confusione in testa da non saper più parlare o entrambe le cose insieme. – Come mai da queste parti?»

Ashton apre bocca per rispondere, poi sembra rimangiarsi l'intenzione, perché gonfia le guance e soffia fuori l'aria con espressione imbarazzata. «Sono venuto a prendere i ragazzi» dice, dopo averci pensato su qualche istante. «Cose per la band» taglia corto. «Vuoi un passaggio a casa?»

Lei si affretta a scuotere il capo: no, no, l'ultima cosa di cui ha bisogno è rimanere chiusa in un ambiente così piccolo con Luke. «Oh, no. Devo... Sto...» Non riesce a trovare una giustificazione, ma non ne ha bisogno: Ashton afferra al volo il problema. «Non vi siete ancora parlati?»

River arrossisce per la sorpresa e scuote lentamente la testa. «Ci siamo evitati tutto il giorno». L'ho evitato tutto il giorno, si corregge in silenzio.

Lui la studia qualche istante senza dire nulla, si limita ad annuire con aria comprensiva; poi, senza alcun preavviso, si piega e le stampa un bacio sulla guancia. «Si risolverà tutto. Ricordati solo quello che ti ho detto: parlatene».

River, ad occhi sgranati e rossa in viso, annuisce febbrilmente, presa in contropiede da quel gesto. Istintivamente le verrebbe da girarsi per controllare che Luke non sia nei paraggi e non abbia visto quel che è appena successo, ma si sforza di non farlo per paura di ciò che potrebbe trovare in quel suo sguardo: rabbia? Indifferenza? «Tanto non ho altra scelta – dice, nel tentativo di distrarsi da quei pensieri; – Toomey vuole che lo convinca a partecipare alle prossime selezioni per le regionali di nuoto. Come se la situazione non fosse già abbastanza complicata: l'ultima volta che ne abbiamo discusso abbiamo litigato». Ricorda con esattezza ciò che le è stato detto quel giorno, come se non fosse trascorso che qualche minuto.

 

Non gira tutto intorno a te. Non è una decisione nostra, River: è la mia. Sono le mie gare, il mio sport, la mia vita. Sei tu a pensare che la piscina sia il posto giusto per me, non io. Magari dovresti aprire gli occhi e accorgerti di ciò che voglio io, anziché pensare a ciò che vuoi tu, che ne dici?

 

Rabbrividisce al ricordo, così turbata da non accorgersi dell'espressione allarmata che balena sul viso di Ashton, come se quella rivelazione avesse appena distrutto i suoi piani. Il che, in un certo senso, è vero.

Mentre risponde in tono piatto – «Be', da qualche parte dovrete cominciare a parlare» –, la portiera posteriore dell'auto viene chiusa con uno schianto violento, celando un Luke Hemmings su tutte le furie alla visione dei compagni. River ed Ashton si voltano a controllare cosa stia succedendo: Michael, una mano a mezz'aria, se ne sta a bocca aperta a guardare lo sportello come se l'avesse appena chiuso fuori volontariamente, mentre Calum si limita a girare attorno al veicolo per prendere posto al sedile accanto al guidatore, senza emettere un fiato.

«Oggi siamo tutti di ottimo umore, a quanto pare» borbotta un Mickey piuttosto perplesso. «Andiamo?»

«Andiamo».


 

C'era mancato poco – pochissimo – perché Luke mandasse al diavolo tutto e rivelasse apertamente a quelli che chiamava amici che razza di merde fossero. Quando avrebbero smesso di intromettersi tra lui e le ragazze a cui era interessato? Per tutto il tragitto in auto aveva attentamente soppesato le parole da utilizzare per ferirli nel profondo, proprio come il loro egoismo continuava a ferire lui giorno dopo giorno; era pronto ad agire e aveva già inspirato l'aria necessaria a distruggere la loro amicizia, quando Ashton aveva sganciato la bomba, svuotando completamente la sua mente.

Si sarebbe aspettato di tutto da quest’incontro fuori programma, tranne quella notizia. È qualcosa di così assurdo e improbabile che non ha nemmeno mai osato sperarci, ma ora eccola qui: la possibilità di una nuova vita a portata di mano.

Ma forse ha capito male, non è possibile che una cosa del genere stia davvero succedendo a loro: lancia un'occhiata a Calum, che sta fissando Ashton con la mascella calata, come se lo avesse appena sentito parlare una lingua incomprensibile.

Michael, dal canto proprio, non sta più nella pelle – letteralmente? – : è saltato in piedi e ride, ride, ride senza alcun controllo, percorrendo il garage a grandi passi; continua a scompigliarsi i capelli e a dare pacche sulla spalla a chi di loro gli è più vicino, senza riuscire a dire nulla di intelligente. È iperattivo.

E poi c'è Ashton, che si ostina a guardarli a metà tra il serio e il divertito, con aria vagamente paterna. «Ragazzi?»

«Stai scherzando» borbotta Calum con prudenza. Se stesse scherzando, sarebbe davvero uno scherzo crudele. Ben riuscito, ma pessimo.

«No! No, non sto scherzando. Anzi, è importante che ci pensiate su seriamente. È necessario avere l'approvazione di tutti, altrimenti non si fa niente. O tutti o nessuno. Siamo d'accordo su questo, vero?» Parla con tono tranquillo e ponderato; ha trascorso l'intera mattinata a riflettere su come spiegar loro i dettagli senza dar l'impressione di essere vittime di una presa in giro – e non deve esserci riuscito molto bene, a quanto pare. È fondamentale analizzare la proposta con attenzione e razionalità, senza farsi prendere troppo dall'entusiasmo e dimenticare tutto ciò che accettarla significherebbe.

«Sì, certo, – risponde Calum, mentre gli altri annuiscono, chi in silenzio e chi ridendo istericamente; – ma è... è assurdo. Sei sicuro che non sia uno scherzo?»

«Al cento per cento, Cal – lo rassicura, rigirandosi le bacchette della batteria tra le mani; è seduto allo sgabello dietro il suo strumento e mai come in questo momento gli è sembrato di essere al posto giusto. – Ho fatto ricerche e qualche telefonata, è tutto assolutamente attendibile. Ho chiesto una copia del contratto, così potrete farla leggere ai vostri genitori. È tutto vero. Si chiamano “Hey Violet”, sono un gruppo americano; a una di loro sono piaciute le nostre cover su YouTube, pare che abbia sottoposto il nostro canale al resto della band, poi alla produzione, e ora vorrebbero che aprissimo i loro concerti durante il prossimo tour» conclude. Si lascia sfuggire un sorriso, perché nonostante ce la stia mettendo tutta per rimanere coi piedi per terra questa opportunità lo elettrizza da morire. Un tour! Sarebbe... sarebbe... sarebbe letteralmente un sogno che si avvera. Come è possibile non entusiasmarsi? Eppure deve, perché c'è ancora qualche ostacolo da superare.

Michael scoppia in un'altra risata chiassosa e poi si accascia su una sedia, scuotendo il capo. «Cosa sono quei musi lunghi? State davvero pensando di rifiutare?!» Lo sapeva! Se lo sentiva nelle ossa che quella che Ashton teneva in serbo sarebbe stata una notizia grandiosa – e si è rivelata anche meglio del previsto! Oh, non vede l'ora di raccontarlo a Shae-Lee, chissà che faccia farà!
«Be', dovete avere il permesso dei vostri genitori» interviene Ashton, recuperando la serietà che si era momentaneamente offuscata. «Dobbiamo essere tutti d'accordo. È una faccenda piuttosto seria, non possiamo buttarci di testa. Saremo da soli, negli Stati Uniti – »

«Pff, la cosa dovrebbe spaventarci?» grida Michael, in preda ad un incontenibile entusiasmo.

« – e bisognerà lasciare la scuola – »

Anche Calum si lascia sfuggire una risatina; frase dopo frase sta iniziando a rendersi conto di quello che stanno offrendo loro con più certezza. Una parte di lui ha già cominciato a pianificare un modo per ottenere il permesso dei suoi. «Oh mio Dio, mi si spezza il cuore!» commenta, strappando una risata a tutti.

«E le famiglie, gli amici, tutto. Non per sempre, è ovvio, ma...»

Luke sgrana gli occhi e lo guarda. «Però andremmo negli Stati Uniti. Suoneremmo per un pubblico, potremmo... potremmo sfondare» ragiona. Michael lancia un grido entusiasta, provocando le risate di Calum, che si è definitivamente convinto della realtà della faccenda: è incredibile, ma vera.

Ashton annuisce: a questo punto si tratta di scegliere se rischiare o meno, dice. Se le cose funzionassero, questa potrebbe essere l'opportunità migliore delle loro vite –, spiega: – potrebbero fare musica davanti ad un pubblico vero, magari incidere dischi e intraprendere un vero tour per conto proprio, un giorno o l'altro. Si tratterebbe dell'avverarsi del loro sogno. Il rischio è che l'avventura non vada come previsto: che siano costretti a tornare a casa, trovandosi senza lavoro, senza diploma, con rapporti interpersonali difficili da recuperare. Bisogna pensarci bene, discuterne con i genitori, analizzare le opzioni. Chi lo preoccupa di più è la madre di Michael – «Senza offesa, amico» –, ma spera che con una buona dose di informazioni e organizzazione forse riusciranno a convincere anche lei.

Luke sorride. Sorride perché sembra che finalmente le cose stiano prendendo la piega giusta: come se non fosse abbastanza incredibile l'opportunità di aprire i concerti di una band già affermata, questa sembra anche essere l'occasione perfetta per porre fine ai suoi problemi. Allontanandosi dalla città, potrà far chiarezza mentale su cosa e chi vuole nella vita; sarà libero dall'influenza che ha River su di lui – che non sa più se definire positiva o corrosiva, arrivato a questo punto – e nemmeno Ashton e Calum avranno la possibilità di giocare coi suoi sentimenti, prendendosi le ragazze a cui lui è interessato. Si prenderà una pausa da tutti i casini sentimentali che lo stanno torturando negli ultimi mesi, dall'insistenza del professor Toomey riguardo alle gare di nuoto, dalla scuola in generale – il che è davvero un immenso sollievo.

«Vi chiedo solo una cosa – continua Ashton: – non parlatene a nessuno al di fuori delle vostre famiglie, okay? Non fatevi prendere dall'entusiasmo e non lasciate che gli amici – o le ragazze – vi influenzino. Si tratta di un'occasione unica, bisogna rifletterci con attenzione e razionalità. A nessuno, ragazzi.»

 
  
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