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Autore: Relie Diadamat    30/12/2016    4 recensioni
Merlin, ventenne suonato, si ritrova costretto a lavorare al fianco del suo inseparabile Asino, nel bar aperto da quest'ultimo. Con loro c'è Freya, la dolce ed ingenua fidanzata di Merlin, che Arthur detesta.
Tutto cambia un giorno, quando il giovane Pendragon rivela ai suoi colleghi un cambio di programma.
*
[Dal Cap. 1]
«Non saremo i soli a gestire il bar.» continuò Arthur, serrando lievemente la mascella, evidentemente quella non era stata una scelta del tutto condivisa dal biondino «Mia sorella Morgana ed il suo fidanzato Mordred saranno dei nostri.»
Il cervello del corvino si resettò in un lampo.

*
[Cap. 6]
«Io non voglio condividere proprio niente con te, Aridian.» sibilò, serrando lo sguardo.
«Strano…» Unì tra loro le mani, aggrottando la fronte «La droga la dividevi volentieri.»

*
[Cap. 13]
«Quella stronzata che sono attratto dal tuo ragazzo. Come ti è venuta in mente una cosa simile?»
«Perché io ti ho visto, Arthur. Ho visto cosa diventano i tuoi occhi quando lo guardi».

*
[Cap 11]
«Io ti avrei amata per sempre».
*
*
[Freya/Merlin/Arthur] [Mordred/Morgana/Merlin] [Freya/Merlin/Morgana] [Merlin/Arthur/Mithian] [Elyan/Mithian/Arthur] [Kara/Mordred/Morgana] [Freya/Gwaine]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Freya, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù, Merlino/Morgana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nda: Sono ancora viva, lettori di Pendragon's!
Incredibile ma vero!
Mi dispiace tantissimo per avervi fatto aspettare così tanto, ma chi ha seguito i miei post in pagina sa il motivo delle mie distrazioni, della mia assenza... Insomma, eccomi di nuovo qui.
Anche stavolta il capitolo è abbastanza lungo e corposo di... informazioni (per me, del tutto essenziali).
Spero solo che questo ventiduesimo appuntamento con Pendragon's Coffee possa farvi piacere. Vi regalo un piccolo banner e ringrazio con tutto il cuore tutti coloro che ci sono sempre stati per questa fanfiction, anche in silenzio. Ringrazio come sempre chi legge silenziosamente, chi ha inserito la storia nelle preferite/ricordate/seguite e chi ha recensito gli scorsi capitoli. Questo lo dedico a tutti coloro che ci credono ancora, che ci hanno creduto. 
Grazie.
Come sempre aspetto i vostri pareri e vi auguro una buona, spero, lettura!
 


XXII. Un sogno d’oro in frantumi (Parte II)
Ma noi smetteremo di bere tutte queste bottiglie di vino economiche
ce ne staremo seduti a parlare tutta la notte,
dicendo cose che non abbiamo detto per un po', un po', sì
stai sorridendo ma siamo vicini alle lacrime,
anche dopo tutti questi anni
noi adesso abbiamo la stessa sensazione 
di quando ci incontrammo per la prima volta
- The Script, For the first time
 
 
 
 
 





Sensi di colpa.
Gwen si era convinta che l’origine dei suoi mali fosse proprio il rimorso, così aveva deciso di combattere le sue pene svegliandosi prima dell’alba; aveva indossato una tuta comoda, raccolto i ricci castani e si era fiondata verso il parco per la sua corsa-annienta-colpe.
Dopo dieci minuti, ansimante e zuppa di sudore, era crollata accanto ad una panchina. Chiuse gli occhi, godendosi l’ombra degli alberi.
I sensi di colpa sono sfiancanti.
Stremata al sol pensiero delle conseguenze delle sue azioni, si lasciò ricadere a peso morto sulla panchina a rimuginare: non avrebbe dovuto dire la verità a Merlin… almeno non direttamente. Lui meritava di sapere, ma Morgana non gliel’avrebbe mai perdonato. Aveva sbagliato davvero?
Forse, si rispose. Ma a fin di bene.
Sospirò, sollevando le palpebre. Era rimasta inerte ad osservare una farfalla dalle ali bianche volteggiare in tutto quel verde – incerta se riprende quel masochistico esercizio fisico -, quando, come per magia, scorse Merlin sgranchirsi le gambe dall’altro lato del parco.
Sarebbe dovuta restare al suo posto, farsi gli affaracci suoi e prendere seriamente in considerazione le quattro regole fondamentali della filosofia buddhista.. ma quel ragazzo goffo dall’altra parte del parco era il suo migliore amico, e non c’era niente di male nell’avvicinarsi per sincerarsi sull’andamento della sua vita.
D’altronde era stato sparato più di un mese fa e lei n’era venuta a conoscenza solo dopo un po’ di tempo: qualcuno avrebbe potuto averlo minacciato mentre entrava in un negozio o mentre camminava per la strada, senza che lei ne sapesse nulla. E in fondo, Morgana non lo aveva ancora ucciso.
 «Ehi».
Gwen vide l’amico sobbalzare nell’udire la sua voce e per poco non ebbe paura che si rompesse una gamba. «Gwen?!»
Avrebbe fatto in minuto di corsa in più per averlo spaventato, si annotò mentalmente la mulatta, mettendo su una sincera espressione mortificata. «Scusami, scusami, scusami! Non volevo spaventarti, davvero!»
Merlin sembrò non farci caso, come se avesse accantonato la questione ancor prima che nascesse. «D’accordo».
«Mi alleno», si ostinò a precisare Gwen, un sorriso convinto sulle sottili labbra pulite. «Purifico la mia coscienza. Sconto le pene dei miei peccati».
Il corvino si limitò a ritirare la gamba a terra senza guardarla, gli occhi azzurri diretti verso un bambino che portava a spasso il suo cane. «Va bene».
Gwen non riusciva a capire. Non capiva perché Merlin la trattasse in quel modo; non era sfrontato e presuntuoso come Arthur: atteggiamenti simili sarebbero stati normali per il Pendragon, ma a Merlin non appartenevano, e vederlo imbronciato o giù di morale la rattristava… e la tristezza non era mai stata la miglior amica dei buoni propositi.
«È successo qualcosa?»
Merlin si voltò a guardarla, distogliendo lo sguardo immediatamente, tanto da indurre Gwen a credere di esserselo immaginato.
«No», le disse. «È tutto a posto».
«Sicuro?»
E fu in quel momento  che Gwen realizzò il motivo per cui si era vestita come una pazza quarantenne uscita da un film americano. «Ah, già».
Si affiancò all’amico vedendolo riprendere il passo, tempestandolo con le sue continue domande: «È per Morgana, vero? Voi due… non avete ancora parlato? Hai già pensato a cosa dirle?» Gwen sembrò rifletterci per un secondo e poi aggiunse: «Forse non è saggio fronteggiarla disarmato».
«Gwen».
Il ragazzo si bloccò sul posto imitato dalla mulatta.
C’era qualcosa nell’azzurro dei suoi occhi, qualcosa che Gwen non aveva ancora notato: era nuvoloso, come se ad un tratto l’estate avesse ceduto il posto al rigido inverno, senza luci né regali. Solo inverno.
«Io…» Merlin schiuse la bocca con l’intento di dirle qualcosa, di vomitare tutto quel freddo che sentiva nelle ossa, ma poi compresse le labbra, passandosi fugacemente una mano sul naso. «Devo andare.»
Non riuscì nemmeno a salutarlo; Merlin era già lontano, come se non avesse aspettato altro fin dal loro incontro.
Gwen sentì il peso della fuga sulle spalle e il buon umore svanire in un battito di ciglia.
Il bambino che prima aveva catturato l’attenzione di Merlin la superò, e persino il piccolo dalmata sembrò lanciarle un’occhiata di rimprovero.
Mimò un “Mi dispiace” con le labbra, sollevando lo sguardo nel momento in cui anche il cagnolino aveva deciso di non concederle la minima importanza.
Posò gli occhi scuri su un albero qualsiasi e si ritrovò a sgranarli dalla sorpresa: non si sarebbe mai aspettata di ritrovare Morgana Pendragon provvista di tuta e codino, appoggiata al tronco di un acero di monte.
 

 



Sbadigliò portandosi una mano alla bocca, procedendo verso la cucina per inerzia; si passò le dita tra i capelli grattandosi lievemente il capo, gli occhi ancora socchiusi dal sonno. Sembrava letteralmente uscito da un episodio di The Walking Dead, se non fosse per un piccolo – ma non tanto – basso particolare che i pantaloni del suo stupido pigiama non sapevano nascondere.
Si fermò per qualche minuto nel corridoio, quasi bastasse per risolvere il “problema”.
Il primo pensiero di Arthur, una volta sveglio, era il bar. Lo era sempre stato, ma da un mese a questa parte, il Pendragon pensava ad altro mentre si scioglieva dall’abbraccio confortante di Morfeo.
Ed era umiliante, destabilizzante e doloroso.
Non avrebbe mai creduto di poter pensare a Merlin in quel modo, ma stava accadendo e la situazione rischiava di sfuggirgli dalle mani.
Non avrebbe mai permesso ad anima viva di scoprire le sue nuove e strane pulsioni; non avrebbe mai lasciato che Merlin se ne accorgesse.
Cercò di orientare i suoi pensieri altrove, focalizzandosi sul bollitore del Pendragon’s, i tavoli e le sedie da sistemare, la macchinetta del caffè…
Sembrò funzionare, così decise d’incamminarsi verso la cucina per beneficiare di una sacrosanta colazione in pace.
«Bonjourn».
Ovviamente tutti i suoi piani si sciolsero come neve al sole. Arthur storse la bocca in una smorfia di fastidio, muovendo vagamente la mano in aria. «Sì, come ti pare».
«Il latte è finito.» Mordred ignorò l’ormai quotidiana reazione del biondino al suo buongiorno, sorridendogli invece in modo cordiale e diplomatico come un bravo coinquilino.
Arthur sbuffò una risata di scherno. «Non bevo latte a colazione», lo informò offeso. «Non sono un poppante».
Mordred non si sognò neanche di contraddirlo; continuò a spalmare del miele sulla fetta biscottata che teneva con tre dita, beandosi del brontolio scontato del biondino: «Il latte è finito.»
Arthur chiuse seccato il frigo, cominciando a rovistare nei mobiletti della cucina alla ricerca di cibo. Disperatamente.
«Ho preparato una spremuta», lo avvisò il parigino, indicandogli col mento la caraffa mezza piena di succo d’arancia. «E ieri Morgana ha fatto un dolce, anche se mi sembra strano: a Parigi restava sempre a debita distanza dai fornelli».
«Figurati» sbruffò, prendendo posto. «Qualsiasi cosa abbia creato quella donna o è immangiabile o velenosa.» Arthur corrugò la fronte, passandosi una mano sul volto. «Chi cavolo ha fatto la spesa l’ultima volta?»
«Sicuro di volerlo sapere?»
«Morgana», Arthur pronunciò il nome della sorella a denti stretti, quasi fosse una carie fastidiosa di cui liberarsi. «Lo sapevo. I turni per la spesa sono stati una pessima idea».
«In realtà, toccava a te», gli fece nota Mordred.  «E anche l’idea dei turni è stata tua».
Arthur parve restare senza parole, forse pensando ad una valida giustificazione per l’errore, ma invece espirò aria dal naso, appoggiando la guancia sulla mano. Scoccò un’occhiata alla spremuta. Lui adorava svegliarsi con una tazza di cappuccino, tutti i giorni. Era sempre stato così, persino ai tempi della scuola, quando lui e Merlin erano soliti fare colazione nel bar che ad Arthur sapeva ricordare sua madre.
Era sempre stato così.
«È giusto cambiare, a volte».
Mordred protese un braccio per afferrare la caraffa rossa, versando un po’ di spremuta in una tazza vuota. «Aiuta a crescere».
La fece scivolare sul legno plastificato del tavolo, fino al gomito del Pendragon.
«Anche se i cambiamenti possono fare paura».
«I cambiamenti non mi fanno paura».
In parte era vero: Arthur non si era mai tirato indietro di fronte ad una difficoltà. Era sopravvissuto alla scomparsa di sua madre e al temperamento incostante della sorella; era riuscito ad andare avanti dopo il tradimento di Gwen e la perdita di quel che sarebbe stato il suo bambino. Talvolta, il cambiamento lo eccitava, gli dava la giusta carica di adrenalina.
Ma i sentimenti che provava per Merlin… i sentimenti che sentiva di provare per Merlin, lo lasciavano senza fiato.
«Io sono terrorizzato, invece.» Mordred rispose all’occhiata stranita del biondo con un mezzo sorriso. «Credo che le chiederò di sposarmi, stasera».
«Davvero?»
«Già».
«Morgana?!»
«Già!»
Arthur scosse lievemente il capo, ridendo appena. Gli sembrava quasi assurdo che sua sorella avrebbe indossato un abito bianco e percorso una navata.
Morgana era una donna indipendente, la più autosufficiente che avesse mai conosciuto nella sua vita. Da quando Igraine li aveva lasciati, la Pendragon si era intestardita di fare tutto da sola; il compito di Arthur era quello di tenerle compagnia di notte, proteggendola dall’insonnia e dai ricordi.
Dopo tutto quel tempo, Arthur sentiva di dover ricoprire ancora quel ruolo. Spettava a lui difenderla dal male del mondo, tenerla al sicuro sotto la sua ala protettiva. Era suo fratello e lo sarebbe stato per sempre, qualsiasi cosa sarebbe successa.
Era probabile, però, che fosse arrivato il tempo di lasciarle il suo spazio, fidarsi delle sue scelte. Offrirle il beneficio dello sbaglio.
Arthur prese la tazza tra le mani, bevendo un lungo sorso.
«Forse hai ragione», gli disse. «È giusto essere spaventati».
 




 
 
«Non dovresti sforzarti molto nelle tue condizioni!»
«Condizioni momentanee».
«Non puoi saperlo! E se cambiassi idea?»
«Non succederà.»
Gwen abbassò lo sguardo. Discutere con Morgana la sfiniva.
Continuare a ripeterle di non mollare, di pensare ad un bambino che non era ancora nato e che non poteva decidere per sé, ma la Pendragon era sorda dinanzi alle sue suppliche.
E ogni volta si spezzava qualcosa, dentro Gwen. Ogni volta, era come se il suo bambino morisse. Da solo, senza mai aver conosciuto la luce del sole, senza mai aver cantato una canzoncina di Natale o addobbato l’albero insieme a lei; senza mai aver conosciuto le mani forti e gentili del suo papà.
Era come se il suo bambino morisse ogni volta, senza che lei potesse far niente per evitarlo.
«Gwen».
Quando la ragazza sollevò lo sguardo sull’amica, non si accorse nemmeno di piangere.
«Gwen», ripeté Morgana, spiazzata dalle sue lacrime. Ginevra sapeva che la corvina non voleva ferirla, ma moriva man mano, un pezzetto per volta, tutte le volte.
Si lasciò andare nell’abbraccio incerto che Morgana le offrì, una gracile stretta poco convinta.
«Non è lui», le sentì dire ad un soffio dall’orecchio. «Non puoi più fare niente per salvarlo».
Gwen tirò su col naso, cercando di calmarsi. Ricambiò il gesto dell’amica, con le gote arrossate dal pianto.
Lei non avrebbe potuto fare nulla per quel bambino, ma Merlin sì.
 






 
 
Sospirò, guardando fisso l’anello d’oro bianco. Il cofanetto blu era ancora sul tavolo della cucina e Mordred lo stava fissando da circa un quarto d’ora a braccia conserte, sperando in un’improvvisa rivelazione, attendendo che le parole giuste s’imprimessero nella sua mente.
Ma niente.
Percepì il cellulare vibrare. Un messaggio.
Era una chiamata persa, da parte di Kara. Mordred notò solo in quel momento che non c’era campo, in quella stanza.
Kara…
Era da un po’ che non la sentiva, che non sapeva come stesse. O dove.
Lei gli avrebbe detto di non farlo, di non rinunciare ai suoi sogni per una bambina confusa e viziata come Morgana e, da un lato, Mordred concordava con la sua amica.
Poi c’era il loro primo sguardo in un museo di Parigi, il primo bacio che le aveva rubato e la galleria in cui aveva stretto la sua mano e aveva capito di volerci provare sul serio. C’erano i mesi passati insieme a lei, i giorni trascorsi ad ambire una fetta della sua vita e i momenti in cui aveva anelato al fare proprio il suo talento, la sua intelligenza e quel lato oscuro che celava al suo interno.
Forse Kara aveva ragione, forse aveva bisogno di qualcuno che sapesse ascoltarlo e capirlo.
Bussarono alla porta.
Mordred si affrettò a richiudere il cofanetto e nasconderlo in un posto sicuro, lontano dalla vista dei Pendragon – ovvero l’armadietto dedicato al sapone per i piatti e spugnette varie -, avviandosi poi verso la porta per aprirla, ritrovandosi faccia a faccia con il più grande dei Pendragon.
«Signor Pendragon».
«Mordred».
«Arthur e Morgana non sono in casa, al momento», lo mise al corrente, spostandosi in modo da farlo accomodare nell’appartamento.
«Non importa.» Uther si guardò intorno, ispezionando silenziosamente l’ambiente circostante, mostrando al francese la piccola busta che aveva tra le mani. «In realtà cercavo te.»
«Mi dica pure».
Uther gli fece cenno di prenderla e Mordred non se lo fece ripetere due volte. «È per Morgana», spiegò. «So che non è una ragazza facile, che è difficile starle dietro… ma non dovresti arrenderti. Lei è pronta a sposarti, ma devi aiutarla. Non dirà di sì con facilità e tu non mi sembri un tipo che ha paura degli ostacoli. Questo », disse indicando la busta che ora era nelle mani di Mordred, «potrà servirti».
«Grazie, signore».
«Morgana è mia figlia.» Uther era serio, deciso. «Sarei pronto a tutto, per lei. Ci siamo intesi?»
Mordred non batté ciglio. «Perfettamente».
 






 
«Che tipo di ex siamo?»
Arthur alzò gli occhi al di là del bancone e incontrò il viso pulito di Gwen. «Credo… ex-fidanzati».
Gwen scosse il capo. «No, intendo… siamo quel tipo di persone che si limitano a salutarsi o possiamo provare ad essere amici cordiali e civili?»
Lo prese completamente alla sprovvista, come sempre. Gwen sapeva come sorprenderlo. «Suppongo che la seconda opzione sia quella più sensata».
«Bene!» Il voltò della mulatta si illuminò. «Altrimenti sarebbe stato sconveniente dirtelo, ma me ne sono accorta e…» Le labbra sottili e struccate della ragazza s’incurvarono dolcemente verso l’alto, gli occhi scuri a scrutare ogni mossa impercettibile del biondino. «Provi qualcosa per Merlin?»
«Cosa?!» Per poco il Pendragon non sputò un polmone e gli occhi non gli uscirono fuori dalle orbite. «Come ti viene in mente una cosa del genere? No!»
«Ci vedo bene e so quello che ho visto, Arthur!»
«Io credo che tu sia ubriaca.» Ma Gwen non demordeva. Se ne stava lì a studiarlo, ad aspettare che sputasse il rospo… e Arthur non sapeva più come difendersi. «Andiamo, è Merlin
«Infatti, Arthur, è Merlin. È sempre stato Merlin
Il biondino la fissò incredulo, aggrottando la fronte per lo stupore. «Tu sei una mia ex», le fece notare, indicandola fugacemente con un dito. «Dovresti saperle certe cose. E comunque ti sbagli, mi vedo con qualcuna.» Mise lì, sperando di essere stato abbastanza convincente.
«La dottoressa?»
«Già!»
Non era vero, anche se ci aveva pensato qualche volta. Merlin… o l’idea che  si era fatto di Merlin scompariva quando c’era Mithian nei paraggi.
«Oh», Gwen ne sembrò quasi dispiaciuta. «Non lo sapevo. Sono contenta per te. Sembra una brava persona».
«Lo è», e stavolta Arthur seppe di non mentire. «Sto bene con lei».
«Grandioso!»
«Sì!»
Calò un silenzio imbarazzante e per un po’ nessuno dei due seppe cosa dire; Ginevra spostò il proprio peso da un piede all’altro e aggiunse: «Merlin mi sta evitando. Mi evita come le fragole».
«Come le fragole?» Le fece eco confuso, prima di ricordare che la Wilson odiava quel frutto come la morte.
Gwen non ci prestò la minima attenzione. «Sono preoccupata per lui, mi sembra… un po’ giù. Potresti parlarci?»
Nonostante quella conversazione lo avesse scosso non poco, Arthur le promise ugualmente che avrebbe parlato al corvino, dimenticando la faccenda dei sentimenti e della vista bionica di Gwen.
 






 
Quando uscì dalla porta secondaria del bar, Arthur si sentì rigenerare da un venticello leggero; Merlin era qualche passo più avanti, la schiena contro il muro e una sigaretta alla bocca.
Nel momento in cui si accorse della sua presenza, Arthur percepì una strana sensazione, qualcosa che non gli apparteneva: un’insolita agitazione si fece spazio al suo interno, rendendo le mani tra cui reggeva un tramezzino sudate.
Arthur non aveva mai le mani sudate, tanto meno quando vedeva Merlin.
Il corvino gli infondeva sicurezza; era l’idiota capace di inciampare su un sassolino, il compagno di banco su cui contare nei compiti in classe. Merlin era Merlin, la persona che nonostante tutto restava sempre al suo fianco.
Merlin poteva provocargli di tutto, tranne che agitazione.
Cercò di concentrarsi su tale convinzione, ricadendo con lo sguardo sul tragitto invisibile che  la sigaretta percorreva in aria fino ad adagiarsi tra le labbra piene del ragazzo.
Sembrava assorto, gli occhi azzurri puntati sulla strada.
Non gli capitava spesso di osservare quel lato di Merlin, quella vena malinconica che non lasciava trapelare con facilità.
«Hai ripreso a fumare».
Arthur gli si era avvicinato, appoggiandosi al muro.
Il corvino era così preso dai suoi pensieri che trasalì impercettibilmente, tossendo ripetute volte.
Chissà a cosa stava pensando…
«Il vecchio lo sa?»
Merlin alzò con aria sarcastica un sopracciglio nero all’insù, accettando ben volentieri il tramezzino che Arthur gli stava porgendo. «Penso che Gaius mi ucciderebbe».
«Mi rallegrerebbe il fine mese».
«Simpatico».
Il Pendragon prese un sorso dalla birra che si era portato dietro, gettando distrattamente un’occhiata al cielo londinese. «Ti ama troppo per farlo. Sei come un figlio per lui».
«Già», Merlin annuì, dando un morso al suo panino. «Per fortuna».
Si stava bene lì fuori, con l’aria fresca di una giornata nuvolosa, accanto a Merlin.
«Ti chiedi mai come sarebbe, se loro fossero qui?» Arthur lo chiese con lo sguardo rivolto altrove, la bottiglia di vetro nella mano sinistra. «A cosa penserebbero di te».
Merlin lo guardò in silenzio, prima di rispondere: «A volte».
«Io me lo domando ogni giorno».
Ma questo già lo sai.
Arthur bevve un lungo sorso, poi la birra passò nelle mani di Emrys. «Sarebbe fiera di te, tua madre».
Ne aveva incontrate di persone nella sua vita, eppure Merlin era diverso da tutti; Merlin era una piacevole certezza e qualsiasi cosa stesse succedendo, Arthur sentiva di doverla tenere a bada.
«Era da un po’ che non parlavamo più così, io e te».
Stavolta fu il turno di Merlin di bere un sorso. «Vero».
Mi è mancato.
Non gli sorrise di rimando. Arthur restò con le spalle contro il muro, ignorando l’intonaco che avrebbe certamente rovinato la sua camicia nera, senza accennare ad un minimo gesto.
Gli sarebbe piaciuto guardarlo in faccia e non provare niente, senza convivere con la costante tentazione di abbassare la testa per timore che Merlin vedesse ciò che stava cercando di nascondere agli occhi del mondo, persino ai suoi.
«Gwen mi ha detto che la eviti».
«Come?»
«Le parole esatte sono state: “Mi evita come le fragole”-»
«Come le fragole?»
«Ad ogni modo», tagliò corto il Pendragon, «parlale. Mi è sembrata preoccupata».
Merlin scosse il capo, gettando via la sigaretta. «Non ci posso credere».
Arthur corrugò la fronte.  «Cosa?»
«Ci sei ricascato!» Un sorrisetto convinto nacque sulle labbra del corvino. «Provi ancora qualcosa             per      lei».
«No,   invece».
«È evidente».
«Non è così!» ribatté il Pendragon, con una tale decisione da zittire l'altro che intanto lo guardava attonito.
«Non ci sarebbe nulla di male, comunque».
«E invece sì», insistette. «Una cosa rotta non potrà mai tornare a com'era prima. Se è finita, se si è spezzato qualcosa... ci sarà una ragione. Tengo ancora a lei e forse sarà così per sempre, ma non l'amo».
«Come fai a dirlo?»
«Perché non ho più paura di quello che ci lega. Non ho più bisogno di abbassare gli occhi per difendermi da lei... Non ho più il cuore a pezzi, ed ho smesso di sperarci.»
Londra respirava, intorno a loro; un via vai continuo di persone popolava i grandi marciapiedi della metropoli, i taxi gialli trasportavano turisti e pendolari a destinazione.
Merlin e Arthur rimasero nel piccolo vicolo isolato, condividendo una birra fresca in compagnia di un gatto randagio.
Era la seconda volta che Arthur lo notava nelle vicinanze; il pelo era liscio e corto, di un arancio caldo che contrastava con il bianco latte delle zampette. Miagolò, restandosene distante dai due ragazzi.
«Credo voglia il tuo pranzo», suggerì il Pendragon.
Merlin deglutì il boccone. «Lo penso anche io.» Si abbassò all’altezza dell’animale, prendendo tra il pollice e l’indice un po’ di tonno.
Arthur lo vide distendere il braccio e richiamare il gatto con un tono di voce talmente rassicurante che gli venne da sorridere, ma represse sul nascere il gesto roteando gli occhi al cielo mentre il micio dalle orecchie a punta afferrava tra i denti il cibo, consumandolo qualche centimetro più in là.
«È per questo motivo che abbiamo bacon e salsicce come clientela fissa», borbottò.
«Ti lamenti troppo».
In fondo, sapevano entrambi che il Pendragon era il primo ad offrire alla piccola Hartie “gli scarti dei veri avventori”.
«Sarà meglio rimettersi a lavoro», Arthur controllò il suo orologio da polso. «E tu faresti meglio a lavarti quelle manacce, prima di servire i miei clienti».
«Sissignore.» Merlin lo seguì nel bar, finché l’Asino si immobilizzò accanto al bancone e il corvino gli pestò il retro della scarpa sinistra.
«Morgana, mia cara! Che bello rivederti!»
Arthur non avrebbe mai dimenticato quella voce melliflua, gli occhi taglienti e quei modi da puntigliosa perfezionista degni di una regina sadica.
Anche se i capelli, perfettamente in ordine, erano stati tinti di un rosso sangue, il Pendragon avrebbe riconosciuto quella donna anche ad occhi chiusi.
«Il ritrovo delle streghe», farfugliò dinanzi agli abbracci convenevoli tra sua sorella e Nimueh Campbell.
Quando l’attenzione della professoressa si focalizzò su i due giovani, entrambi esibirono un sorriso forzato, agitando una mano in segno di saluto.
«Bisogna festeggiare!» annunciò allegra la donna, avvolta in un sobrio ed elegante vestito nero. «Oggi il mio ex marito si sposa. Spero che questo locale non sia pessimo come i vostri voti!»
«Devo lavarmele ancora le mani?» chiese in un bisbiglio Merlin.
«Sta’ zitto», fu la risposta a denti stretti di Arthur.
 






 
Se c’era una cosa che aveva imparato quel giorno, era che una lezione di Anatomia impartita da Gaius non era il peggior castigo dell’universo, almeno non quanto servire l’arguta e perfida professoressa Campbell.
«Allora, Emrys, tu e la Pendragon non vi annusate più negli sgabuzzini?»
E perspicace.
Scomodamente perspicace.
«Oh, andiamo», continuò la donna. «Se n’è accorto mezzo istituto. Non fare quella faccia».
«Non faccio nessuna faccia», allargò le labbra più che poté, armandosi di blocchetto per le ordinazioni e penna. «Cosa posso portarle, professoressa?»
«Sapevo che non sarebbe durata».
«Come il suo matrimonio, intende?»
Si accorse di essere andato oltre quando le sopracciglia ordinate e scure della donna si curvarono in modo strano e qualcosa, nei suoi occhi, sembrò cambiare. Merlin si morse la lingua, senza scusarsi.
«Intendo festeggiare, Emrys.» Fu ciò che Nimueh gli disse. «Di solito si festeggia con dello champagne».
Merlin non annuì neanche; abbassò lo sguardo, allontanandosi dal tavolo. Si stava dirigendo al bancone quando la notò.
Morgana era lì che ripuliva un tavolo per l’ultima volta e il ventenne non riusciva a far altro che a pensare alle parole di Gwen, a quanto lo intimorissero.
Gli parve quasi di vederla, Morgana, bellissima come sempre, con un bambino tra le braccia a sorridergli. Era come la scena perfetta di un bel film a cui mancavano soltanto i titoli di coda… poi la realtà prese il sopravvento e ci fu spazio solo per il presente.
Si rese conto che anche Morgana lo stava guardando e la gola gli diventò secca in un secondo.
Distolse lo sguardo e tornò a lavoro.
 




 
«Freya».
La ragazza si fermò, voltandosi alle sue spalle per incontrare la figura slanciata di Mordred.
«Stai andando via?», le chiese.
Freya strinse le spalle. «Sì, perché?»
Mordred era nervoso, si umettava le labbra di continuo. Freya non lo aveva mai visto in quello stato, l’uomo che aveva conosciuto era calmo, razionale.
«Ho deciso di chiederglielo», le disse. «Stasera».
«È una cosa bella».
«Credo che darò i numeri.»
Freya si fece vicina e poggiò le mani sulle spalle del francese. Gliele massaggiò con lentezza, fissando i suoi occhi di terra umida in quelli polari di lui. «Prendi un bel respiro e concentrati su quello che vuoi veramente. Non devi chiederglielo per forza, se non vuoi. Lo sai, questo, vero?»
Un angolo della bocca sottile del parigino s’inarcò verso l’alto e la sensazione di benessere che le trasmetteva toccò Freya di nuovo, come un caldo abbraccio confortante.
«Vorrei tanto che mi aiutassi».
 







 
La professoressa Campbell continuò ad ordinare un bicchiere di champagne dopo l’altro e, al sesto, Merlin decise di dire qualcosa in merito: «Perché festeggia, professoressa? Io… non riesco a capirlo».
Rise. Una risata che il corvino avrebbe definito seducente se non si fosse trattato di Nimueh Campbell. La donna si leccò le labbra, perdendosi nel giallo frizzante dell’alcool. «Vedi, Emrys», fece una breve pausa, cercando lungo il vetro del flute le parole che sembravano scapparle nella gola. «Sono stata una strega cattiva – come vi divertivate chiamarmi qualche anno fa. Non facevo altro che ignorarlo, tenerlo ancorato alla mia indifferenza. Sono sempre stata proiettata verso la Fisica, verso la scuola; lui era soltanto uno dei miei ultimi pensieri. Si accontentava degli amici che non avevamo e dei figli che non gli avrei mai dato.»
Erano lucidi, adesso, gli occhi della Campbell, vulnerabili come Merlin non li aveva mai visti.
«L’ho distrutto man mano e oggi è il giorno del suo matrimonio, quindi festeggio: brinderò un bicchiere dopo l’altro alla dannata sposa del mio ex marito, alla loro maledetta Luna di Miele e ai cazzo di figli che avranno».
«Perché
«Perché l’ho amato, Emrys. Non sempre, non ora, ma l’ho amato. E se ami una persona – se l’hai mai amata – non la distruggi, anche se pensi di volerlo. La lascia andare, lasci che si distrugga per qualcun altro. Le dai una possibilità».
Sollevò il flute in segno di brindisi, poi bevve tutto d’un fiato ogni singola goccia di champagne. «Anche le streghe cattive hanno un cuore, Emrys.»
Merlin sentì un vuoto improvviso allo stomaco, una morsa terribile che lo lasciava svuotato come il bicchiere che stava ad aspettare sul tavolo.
Senso di colpa.
Si schiarì la voce, prendendo il flute.  «Le chiamo un taxi?»
«No», rispose lei. «Portami della Vodka. Adesso devo brindare per me».
 





 
Il silenzio era il suo posto sicuro.
Freya era cresciuta con questa convinzione, muta in un banco senza amici da invitare alle feste, convivendo con le grandi aspettative che i suoi genitori avevano di lei. Ma, in quel momento, sbirciando con la coda dell’occhio la tovaglia a pois gialli e verdi, le sembrò soffocante.
Lei e Merlin consumavano la loro cena senza sguardi, senza parole. Lui non si era neanche accorto che non aveva toccato cibo: teneva lo sguardo fisso sulle pietanze che tagliava, infilzava con la forchetta e che si portava alla bocca.
«Credo di aver dimenticato il sale», esordì Freya con una frase che non pensava, solo per spezzare il ghiaccio che c’era fra loro. «È immangiabile».
Merlin non rispose; si limitò a finire con morsi lenti la sua porzione.
Chi aveva scelto quella tovaglia per la cucina?
Freya aveva sempre odiato il giallo, così come tutti i colori accesi. Quello era uno dei motivi per cui detestava il Natale, le luci e gli addobbi che sua madre le costringeva ad apprezzare. “Tutti amano il Natale, Freya!”, le diceva.
«Ho pensato di tingermi i capelli», mentì. «Voglio farmi bionda».
Un’altra bugia.
Freya era cresciuta in una famiglia che chiunque avrebbe definito perfetta; i suoi genitori avevano conosciuto il vero grande amore e se l’erano tenuto stretto.
Lei non era come loro. Non era mai stata la prima della classe o la ragazza popolare della scuola. Freya era diffidente, cinica. Aveva paura dell’amore.
I capelli biondi non c’entravano niente con lei. Le avrebbero donato una luce che non le sarebbe stata bene addosso. Avrebbero stonato con tutto, come quell’anonima tovaglia a pois gialli e verdi.
«Mordred le chiederà di sposarlo».
Freya alzò lo sguardo solo per testare con i suoi occhi quel che già sapeva: per la prima volta in quella sera, Merlin guardava lei, il dipinto di un cucciolo abbandonato disperatamente in cerca del suo padrone.
La terra umida dei suoi occhi tremò, diventò lucida. Diventò fango.
Era come se l’avesse pugnalata al petto senza rimorso e senza un ghigno sadico… senza emozione.
Tentò di combattere con le lacrime per quel briciolo di dignità che l’era rimasto, per non distruggersi dinanzi a due occhi indifferenti.
Freya avrebbe apprezzato l’odio, il fastidio, il rifiuto. Ma ciò che Merlin sapeva offrirle era l’indifferenza, perché non era per lei che il suo sguardo si era spezzato.
Il ragazzo tornò a guardare il suo piatto e Freya trattenne il fiato. Rimase in apnea per tutto il tempo, anche quando il corvino si alzò dalla sedia accostandosi a lei, inginocchiandosi con il viso pallido e le mani insicure.
«Freya» cominciò, cercando nel palato le parole giuste. Quelle che Freya meritava di sentire da tempo. «Mi dispiace…»
Una lacrima fuggì dalla morsa orgogliosa e gracile di lei, rigandole la guancia sinistra.
«Mi dispiace così tanto…»
Pianse.
Pianse seppur mordendosi il labbro, anche chiudendo gli occhi, ripetendosi di non cadere così in basso, ma pianse.
Merlin rimase in silenzio, forse per darle il suo spazio, forse rispettando il suo dolore. Forse soffrendo con lei.
Sono un disastro, si ripeteva. Sono un disastro.
«Sono un disastro.» Questa volta lo disse ad alta voce, un sussurro spezzato dai singhiozzi del pianto.
Merlin le prese dolcemente il viso tra le mani, spingendola a guardarlo negli occhi. Le asciugò le lacrime con i pollici, carezzandole la pelle affranto.
«Non sei un disastro, Freya».
Lei non lo ascoltava.
«Sono un disastro», ripeteva tra le lacrime.
Freya era stata il pane che lo aveva sfamato quando non aveva nient’altro che l’aria che respirava. Era stata la cura per la sbronza che lo aveva ridotto senza forze e con la testa pesante.
Freya lo aveva salvato e, per una volta, Merlin decise di renderle il favore.
«No, ti sbagli. Io invece credo che tu sia la donna perfetta per me. Sono io a non essere il ragazzo giusto per te. Ma lì fuori c’è quel ragazzo, la persona che ti completerà e che ti farà sentire pienamente e serenamente sazia. E se io non ti lasciassi andare, se non ti dessi l’opportunità di essere felice, vorrebbe dire che non tengo a te.» Deglutì, trattenendo il respiro dinanzi a quel viso che aveva amato, quei capelli castani che ritrovava sul suo cuscino ogni mattina. «E sarebbe la cosa più sbagliata di questo mondo».
Cercò di abbozzare un sorriso, Freya, ma i singhiozzi, il naso e le gote arrossati furono più forti. Si concesse l’ultima umiliazione nella stretta in cui Merlin la cullò, passandole dolcemente una mano tra gli scuri capelli mossi.
Si aggrappò alla stoffa cinerea della sua maglia, nascondendo il viso nell’incavo del collo chiaro su cui aveva adagiato i suoi baci molte notti e diversi giorni.
Merlin rimase in ginocchio, con le dita affusolate tra i capelli di Freya.
Continuava a guardare altrove, lasciando che le lacrime della ragazza gli bagnassero la pelle.
Morgana era a cena con un altro uomo. Aspettava il bambino che aveva sempre desiderato da lei e che stava decidendo di buttare via, senza neanche dirglielo.
Morgana lo avrebbe lasciato di nuovo solo, impietrito, col mondo in frantumi. Ma quella volta sarebbe stata diversa: Freya non lo avrebbe più salvato e non si sarebbe più distrutta per lui.
Sentì gli occhi pizzicare, così li richiuse per un solo istante; poi puntò le iridi azzurre verso il soffitto, domandandosi se i suoi genitori sarebbero mai stati fieri di lui.





 
 
Si sentiva a pezzi.
Arthur aveva insistito affinché tornasse a casa da sola. “Ti raggiungerò più tardi”, aveva detto. Morgana gli aveva risposto di fare come meglio credeva.
Era stanca e l’era venuta l’emicrania a furia di passare tutta la sera al bar con Merlin, pensando all’aborto imminente, a ciò che Mordred avrebbe pensato, alle continue pressioni di Gwen e a Morgause. La sorellastra che era intenzionata a ritrovare.
Si sfilò il giubbotto gettandolo sul divano; liberò i piedi dalla scarpe alte e assassine, sentendosi già più leggera. Camminò scalza fino al bagno dove si svestì del tutto.
Entrò nella doccia e chiuse gli occhi, lasciando che l’acqua lavasse via tutto. Massaggiò col sapone il collo, su cui sentiva impressa la bocca calda e familiare di Merlin; scese lungo le clavicole e ancora più in basso, ripercorrendo la scia umida che lui aveva tracciato con i suoi baci. Insaponò ogni traccia del proprio corpo dove il calore di Merlin si era avvinghiato, penetrando nella carne… e quando arrivò al ventre sussultò.
Restò ad occhi chiusi, cercando di non pensare a niente, sperando che il getto d’acqua che le scivolava addosso potesse risolvere ogni cosa.
Quando uscì dalla doccia si avvolse in un accappatoio bianco, guardandosi allo specchio.
Si sentiva un’assassina. Il modo in cui Gwen la guardava la faceva sentire un’assassina, ma la ragazza ignorava il quadro generale: Merlin l’aveva rifiutata e Mordred…
Allungò un braccio per prendere un flacone di crema e lo vide: un bigliettino. Non aveva idea del perché fosse in quel posto, suo malgrado, lo prese tra le mani e lesse.
“Provami”.
Morgana crucciò le sopracciglia e, solo dopo un po’, si accorse della boccetta di profumo sul ripiano plastificato. Era il suo preferito, a Parigi. Se lo spruzzava addosso tutti i giorni. Da quando era tornata a Londra, non lo aveva più usato.
Sorrise compiaciuta al ricordo della fragranza floreale, riscoprendo una piacevole sensazione nel momento in cui  ne asperse alcune gocce sull’incavo del collo e sui polsi.
In camera da letto c’era un altro post-it azzurro, lasciato a riposare sul letto accanto ad un vestito leggero color corallo.
“Indossami”, c’era scritto.
Era lo stesso abito che indossava al loro primo appuntamento. Lo indossò come suggerito dal post-it, trovando un nuovo bigliettino in cucina vicino ad uno dei tanti poggia bicchieri che Arthur portava via dal Pendragon’s.
“Raggiungimi”.
Era Giugno eppure l’aria era molto fresca. Morgana si strinse nel suo giubbotto, gli orecchini pendenti d’argento a sfiorarle il collo che profumava di fiori, di Parigi.
Le luci del bar erano accese. Morgana si guardò intorno ma i gruppi di adolescenti, pedoni frettolosi o persone solitarie, non erano vicine al Pendragon’s. Poco distante dalle porte scorrevoli del locale c’era un uomo che fumava in solitudine una sigaretta.
Il Pendragon’s Coffee era praticamente deserto, eppure c’erano le luci accese.
Fece qualche passo avanti sui suoi tacco a spillo e quando le porte si aprirono di fronte a lei, decise di entrare.
I tavoli erano spogli, il bancone pulito e le sedie vuote. Solo un tavolino rotondo faceva eccezione, con su una candela giallo ocra e una rosa rossa.
Allargò le labbra carminio, avvicinandosi. Sfiorò il gambo lungo del fiore, poi fece scivolare la mano sulla superficie liscia del tavolo, incontrando un vecchio album fotografico e il lettore mp3 dei tempi del liceo. Il cuore sobbalzò in gola, come se una cascata di ricordi le avesse attraversato il petto.
Non c’era nessun post-it, stavolta. Solo pezzi della sua vita in bella mostra sul tavolo del Pendragon’s Coffee.
Sentì dei passi farsi più vicini e un profumo deciso accarezzarle le narici.
Le iridi di smeraldo si spostarono verso l’uomo che le stava accanto, accolte dal celeste sicuro di due occhi che incorniciavano un volto maturo. Tra le mani, l’ultimo biglietto: “Sposami”.
Morgana restò lì dov’era, senza parole, a bocca dischiusa.
«Ti avevo detto che non mi sarei inginocchiato.» Il fiato di Mordred cadde sulla sua pelle, sulle sue guance. «Non sono un uomo legato alle parole, io agisco. Non ho nulla da prometterti e se hai deciso di lasciare il bar mi starà bene. Non ti costringerò a parlarmi del tuo passato perché non m’interessa. Io voglio te, Morgana Pendragon. Sarò pronto a tutto: ad affrontare il presente e quello che la vita ci riserverà, devi solo dirmi di sì».
Era il momento.
Mordred la stava guardando e non c’era nessun altro all’infuori di loro; sul tavolino c’era il passato e dinanzi a lei un uomo che le stava chiedendo di metterlo da parte.
Spettava a lei decidere cosa scegliere.
 





 
Avrebbe potuto correre, compiere l’ennesima follia e gettare in aria quel maledetto anello che Mordred le avrebbe offerto. Gli sarebbe bastato una chiamata alla persona giusta e avrebbe saputo dove andare.
Ma Londra era fredda di notte e non c’erano stelle in cielo. La città era colorata dalle luci della strada, dalle macchine impazienti. Londra pullulava di vita, tutto intorno.
Avrebbe potuto correre e sperare di riaverla con sé. Avrebbe potuto raggiungerla e riprendersi ciò che aveva sempre desiderato, ma non lo avrebbe fatto.
Il cellulare vibrò nella sua tasca e Merlin si chiese chi fosse. Gaius.
Il corvino fu meravigliato di leggere il nome dell’anziano sullo schermo del suo cellulare, ma poi ci ragionò su: Gwen aveva sicuramente aperto bocca.
Rifiutò lo chiamata, ripose il cellulare nella tasca del giubbotto e tirò dritto per la sua strada. Camminò soffocando i pensieri, l’impulso di voltarsi indietro e fare quella chiamata, di rincorrere una donna che lo avrebbe abbandonato in mezzo alla neve senza il beneficio del dubbio.
Si ritrovò in un locale notturno in cui non era mai stato, seduto su uno sgabello, ad ordinare una sprit.
«Due Gin tonic».
Scorse con la coda dell’occhio la banconota che il tizio seduto affianco a lui porse al barman, riconoscendo senza il bisogno di voltarsi la ruggine che quella voce portava con sé.
«Offro io per il ragazzo» disse l’uomo, una linea tagliente al posto delle labbra. «Per me un altro vampiro».
Merlin fissò il ghiaccio, la fetta di limone e il vetro del bicchiere, consapevole del fatto che Aridian lo stesse fissando allo stesso modo.
«Cosa vuoi?», fu la domanda sprezzante che seppe rivolgergli.
Suo zio gli dedicò un ghigno raggelante, l’alito che puzzava di alcool. «Ti sto offrendo due gin tonic. Cin cin» e nel dirlo, fece tintinnare i bicchieri.
Avrebbe potuto correre, voltarsi indietro e fare quella telefonata, ma Londra era fredda di notte e non c’erano stelle nel cielo.
Merlin prese il suo gin tonic tra le mani, finendolo in un sol sorso. Poi toccò al secondo bicchiere.
 


Relie's Corner
Siete ancora qui? Non siete scappati, chiudendo la pagina del sito? Bene: questo vuol dire che Pendragon's Coffee vi era mancato e che la fanfiction vi piace per davvero. Grazie anche solo per questo, grazie!
Come ho anticipato, questo sarà l'ultimo capitolo dell'anno e mi spiace che sia così lungo... e anche "tagliato". Doveva essere il capitolo della svolta... e invece vi lascio col fiato sospeso. Mi perdonate, vero?

Piccole precisazioni:
- "Se ami una persona non la distruggi", chiaro riferimento al buon vecchio Grey's Anatomy. Forever and ever!
- L'idea dei post-it mi è stata data dal mio sempre amato Nicholas Sparks con il suo bellissimo romanzo "Come la prima volta"; lo consiglio vivamente a tutti/e i/le romanticoni/e.
- Quando Merlin lascia Freya, la considera "il pane che lo ha sfamato" e tante altre belle cose; ovviamente, è un rimando alla spiegazione "champagne, pane e aria" che Merlin dà a Gaius nel capitolo X.
- Sì, i piccoli riferimenti al Natale sono fortemente voluti.
- Sì, reputo fondamentali tutte le pippe mentali di Arthur. In questa storia lui non parte come un ragazzo omosessuale: comincia a provare dei sentimenti per il suo migliore amico e tutto il mondo che si era costruito in precedenza comincia a crollare... Ma avete notato i primi passi Merthur? 
- Morgana è tutta la mia vita. Amatela, vi prego.

ATTENZIONE:
Prima di lasciarvi, vorrei consigliarvi una shot invernale (una coffeeshop!AU) degna di essere letta, della mia adorata Celtica (a cui devo anche la mia fissa per i banner in pagina. Grazie Celtica! <3) ---> Fiore d'inverno. La consiglio anche a chi non conosce il fandom, perché ne vale veramente la pena, inoltre può anche essere letta come una magica e dolcissima originale.
Vi lascio anche la mia pagina fb, nel caso foste interessati --> click

Insomma, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Aspetto i vostri pareri - anche rimproveri per essere stata via tanto a lungo vanno bene xD

Alla prossima e... BUON ANNO/ BUONE FESTE A TUTTI!

 
   
 
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