Break my heart
Genere: Oneshot (scritta a mezzanotte)
Disclaimer: sarei ricca se avessi questi
diritti. E le persone ricche non stanno a scrivere storie al computer alle
undici e mezza della notte.
Ambientazione: Futuro, Albuquerque.
A/N: Ho avuto questa impellente voglia
di scrivere – ispirata da due personaggi nel più bel libro di sempre chiamato My Sister’s Keeper. Lo raccomando caldamente.
Nel quale troviamo
Due
sconosciuti
Che pensano che l’altro ha un viso
davvero familiare
Gabriella.
Il bar sta
invecchiando, lo noto dalla dilapidazione di ogni dato aspetto. Io siedo ad un
capo, lui all’altro. Il mio drink, un fruttato Margarita rocks con sale, è appena
toccato, l’anello del rossetto pallido sul bordo. Mi fa sorridere, in un modo
sfortunato, irrazionale. Il mio fantasticare ad occhi aperti è interrotto
quando il barista, un uomo brizzolato sui sessanta con un viso duro e
leggermente pallido, si mette a pulire il bancone con uno straccio: “Posso
portarti qualcos’altro?” chiede, muovendo il braccio in cerchio con il pezzo di
stoffa “Siamo quasi pronti a chiudere, con il weekend di vacanza e tutto.”
Stringendo
il mio bicchiere tra i palmi, sorrido vacua: “Oh no, grazie. Sto bene. Potrei
restare solo un po’ di più? Non penso di essere esattamente pronta per
affrontare una casa vuota. Non ancora.”
La sua
espressione ferma si addolcisce, e il barista annuisce, mi da un colpetto sulla
mano: “Nessuno di noi lo è,” dice comprensivo, come se conoscesse il dolore che
pulsa ogni giorno attraverso le mie vene. “Prenditi il tuo tempo, dolcezza.”
Mi chiedo
a cosa stia pensando l’uomo all’altro capo del bar. Mi chiedo se sta anche
pensando a cosa io sto pensando, come eravamo soliti fare a scuola. Il tempismo
è finito, e mentre io rubo un’ennesima occhiata, la sua testa si gira e i
nostri occhi si uniscono. Dannazione. Speravo di non dover più fissare quelle
pozze acquamarina di blu. Ma lui mi offre un sorriso, e io faccio altrettanto. Alla
fine, riesco a ritornare al mio drink intoccato, e a considerare perché, in
primo luogo, ho preso qualcosa. È allora che realizzo che Troy Bolton è vicino
a me, a mani vuote ed imbarazzato. Come sempre, penso.
“Sei
diversa,” sono le sue prime parole. Mi osserva, e gentilmente lo lascio fare.
La sua mano si muove per raccogliere i miei capelli, perciò l’oceano di nero
cade su una spalla “Sei ancora bellissima, ma diversa.”
Le mie
labbra si piegano in un sorriso confuso: “No, sono invecchiata un sacco.”
sospiro. Le sue dita nuotano caute lungo la curva del mio braccio, e un brivido
corre giù per la mia spina dorsale.
“Non è
vero,” mi rimprovera “Sei ancora bellissima.”
Il barista
infine ci accompagna in uno di quei modi orgogliosi e trionfanti dove lui
brandisce una vecchia bottiglia di whisky mentre usciamo. Guardo sopra la mia
spalla per vederlo sorridermi, e io ricambio. È bello sorridere di nuovo.
Fuori, è
freddo. Ma io ci sono abituata, invece Troy sembra essersi dimenticato quanto gelidi
sono gli inverni di Albuquerque. Rabbrividisce e stringe di più la giacca: “Non
ricordo che questa città sia mai stata così… glaciale.” finisce, e io faccio
spallucce nell’aria fredda.
“E’ così
da molto tempo,” rispondo, la mia voce è così gelata che si coordina al tempo.
Lui non avrebbe voluto sapere per paura che glielo dicessi io; sono stata qui
per undici anni, aspettando fiduciosa che accadesse qualcosa. Lui era partito
non appena ci eravamo diplomati, e io ho potuto davvero scegliere se andare con
lui. Ma non l’ho fatto, perché sapevo che lui non avrebbe voluto che io
partissi. Troy era una di quelle persone che avevano bisogno della libertà,
perché tenerlo legato era come trattenere al suolo un uccello, spiaccicato
contro il pavimento. Era uno spreco di un perfetto paio di ali.
“Stai
bene?” chiede, forse perché ne sente il bisogno.
“Definisci
‘bene’.” rispondo, e lui capisce l’antifona.
Giriamo un
angolo: “Credo che bene significhi felice, ed in salute,” dice, e soffia la
corrente ghiacciata intorno a noi “Bene significa contento e… bene significa
che eri okay dopo che me ne sono andato.”
Sta male,
cosa che mi fa star male. Ciò che ci è successo non è colpa sua; è mia. Forse
lui avrebbe potuto essere meno ultimatum-alista –la
pressione è abbastanza da uccidere una ragazza. Ma anche se lui è stato così
gentile con un solo suggerimento, so che non sarei mai stata capace di fare le
valigie insieme a lui. Le cose non funzionano così. “Bene è irrilevante,
allora,” decido “Bene è soggettivo, bene è narcisistico, bene è…” e tutto d’un
tratto, sto piangendo tra le sue braccia, i miei pugni che gli colpiscono il
petto. Essendo la buona persona che è, si prende i colpi pazientemente, benchè
io possa sentire la sorpresa nel suo corpo. Non si aspettava un brusco crollo
nervoso alle undici di sera sulla strada principale della sua città natale da
una ragazza che gli aveva dato tutto. Non lo biasimo.
Alla fine
la mia disfunzione femminile si riaggiusta e io faccio un passo indietro,
avvertendo le lacrime ghiacciate sulle mie guance con un tocco circospetto.
Troy mi guarda attentamente. Io sospiro, e lui allarga le braccia per un
abbraccio. Accetto con gioia, piagnucolando di nuovo nella sua giacca prima di
realizzare che lui non ha la più pallida idea del perché sono così emotiva: “E’
una storia molto lunga,” rispondo alla domanda che giace dentro di lui, che
bela con il suo cuore mentre batte contro la mia fronte.
“Ho
tempo.” esclama dolcemente, ma c’è un vuoto nella sua gola che ho paura di
riconoscere in me stessa “Ho tutto il tempo del mondo per te, Gabriella.”
Forse,
penso. Ma tuttavia, arriviamo a casa mia, che è una costruzione vuota che non
può più essere chiamata casa per ragioni che ho finto non esistessero per
molto, molto tempo. Quando entriamo, attizzo il fuoco e metto su del the, anche
se nessuno di noi lo beve. “Sono passati quasi sei mesi dalla riunione dei
dieci anni,” osserva, guardando le fiamme che lambiscono il camino di mattoni
nel salotto.
“Non ci
sono andata,” dico “Tu?” scuote la testa, e io annuisco comprensiva “Dubito che
fosse una grande perdita.”
Sediamo in
silenzio sul divano finchè il timer in cucina trilla e la teiera fischia. Mi
alzo e verso ad entrambi una tazza, sgocciolandomi sulle dita un po’ di the.
Impreco sottovoce e lui, sorprendentemente, mi sente. Appena ritorno, Troy mi
chiede se è tutto okay. “Se parli del bruciore, allora sì,” rispondo “Ma se
parli della mia vita, allora no.”
Il the mi
brucia anche la lingua, ma lo bevo lo stesso. Troy è un po’ meno entusiasta, e
gli dico che non deve preoccuparsi di essere educato. Grato, appoggia la tazza
sul tavolino da caffè e fa una smorfia mentre si appoggia al sofà: “Quindi non
è tutto okay.” conferma.
“No,”
rimarco debolmente “Per niente.” lui aspetta una spiegazione “Se vai in fondo a
quel corridoio, vedrai tre camere da letto, ancora decorate con carta da parati
di macchine da corsa e di Barbie, e librerie più alte
di noi. Ho avuto dei bambini, ad un certo punto. Annabel,
Jesse e Tristan. Erano dei bravi bambini ma, ehm.” la
mia voce s’incrina, e sento gli occhi pungermi di lacrime “Una notte stava
piovendo forte, e Tristan stava cercando di catturare
la mia attenzione. Mi sono voltata solo per un secondo…” di nuovo, le mie
parole si spezzano e non posso far uscire il resto della frase. “Mio marito,
Peter, amava davvero molto Jesse, e amava anche Annabel
e Tristan, ma Jesse era il primogenito e l’orgoglio e
la gioia di Peter. Quindi, dopo che i bambini se ne sono andati, Peter ha
iniziato a lavorare più spesso e io ho smesso
di lavorare. È come perdere una parte del tuo corpo. Non ci pensi mai, la
loro esistenza è data per scontato. Ed improvvisamente, quando se ne sono
andati, non riesci a mangiare o dormire o solo cercare di fingere che la vita
migliorerà, perché sai che non lo farà, non importa quanti abbracci ricevi o
quante lettere di condoglianze arrivano con la posta. Sai solo che niente sarà
più come prima, e sai che è colpa tua.” il mio the s’increspa mentre le lacrime
cadono nella tazza, creando una rottura nel liquido prima di dissiparsi contro
la ceramica.
Troy.
Vedere
questa ragazza piangere era come guardare un vecchio film di cui ti eri
scordato, o ascoltare una canzone che non avevi realizzato veniva ancora
trasmessa; non importa quanto sia passato, ti ricordi ancora le scene e il
testo e tutto il resto. Mentre Gabriella riversa la sua storia nel mio cuore,
io voglio abbracciarla, ma sarebbe inappropriato. Insomma, l’ha appena detto
lei stessa. È sposata. Ha avuto dei figli, una famiglia, una vita ad un certo
punto. Ha avuto tutto ciò che io ho adesso: “Brie…” provo
con voce roca.
“Ed erano
dei bambini così bravi,” si lamenta debolmente, mentre io mi chiedo se mi abbia
sentito dire il suo nome “E dopo il funerale, ho capito perché ero una persona
mattiniera tra tutte le persone di cattivo umore in ufficio. Ho capito perché
non m’importava di fare parte di una giuria, o avere un parcheggio riservato, o
tutte quelle spine nel fianco che normalmente rovinano la giornata di una
persona. Avevo i miei bambini da amare. Non Peter, qualcosa successe dopo la
nascita di Jesse. Ma i miei bambini erano là. E me lo sono portata via da
sola.” rabbrividisce, nonostante il calore che proviene dal camino.
“Brie, non è colpa tua,” tento, benchè stia provando ad
immaginare cosa farei se mia moglie fosse in un incidente d’auto fatale come
quello. Provo ad immaginare la perdita della mia bambina, Samantha, e come
reagirei. Niente si avvicina alla realtà che sembra Gabriella abbia tollerato
per tutto questo tempo “Quanto è passato?”
Lei prende
un respiro: “Sono morti qualche giorno prima della riunione,” spiega “E questo
è il perché non ci sono andata. Non potevo fronteggiare tutte quelle persone
felici con i loro buoni matrimoni e le buone famiglie e il buon tutto.” mi
guarda e si strofina la mascella “Ecco perché ho voluto sapere la definizione
di ‘bene’ quando me l’hai chiesto. Alcune persone definiscono ‘bene’ come
ricco, bello, alto e magro. Io definisco ‘bene’ con altre cose, ognuna delle
quali io non sono.” lascia cadere qualche lacrima prima di asciugarsi il viso
“Tu stai bene, allora?”
Io sbatto
le palpebre, scostando gli occhi dalla mensola vuota sopra il fuoco. Ci dovevano
essere delle foto lì prima. “Sì, sto bene,” dico, la mia voce sorpassa appena
un sussurro “Lei è carina. Abbiamo una figlia. Sono a casa, a Chicago, io sono
qui solo per il compleanno di mia mamma.” smettila di parlare, mi comando.
Peggiorerà solo le cose.
Gabriella
bluffa mentre sorride, e prende un altro sorso di the: “Dille che le faccio
tanti auguri,” esclama “Ogni tanto la incontro al supermercato, ma è da un po’
che non la vedo.”
Passa
mezz’ora, ed io sto cominciando a farmi prendere dal panico. Benchè vorrei
disperatamente riconnettere nonostante i nostri delicati status di sfondo, mi
sembra che tutto ciò che lei può fare è fissare il camino con vivo desiderio,
come se sognasse che i tizzoni prendano vita sotto forma dei bambini che amava.
In un certo modo, li amo anche io, anche se non li conosco, nè so che aspetto
abbiano. Alla fine Gabriella mi getta uno sguardo, e avanza a carponi per
stendersi sopra il mio petto, la sua piccola figura snella fragile nel mio
grembo: “Va’ avanti,” sussurra nella mia maglietta “Spezzami il cuore.”
Un
permesso. Le mi sta dando il permesso.
E sebbene io so perfettamente che il risultato farà del male ad entrambi, i
sentimenti prima di quel dolore sono altrimenti inaccessibili. Le mie mani
raggiungono il suo mento, e io le alzo la testa così che mi fronteggia da un
angolo. Le nostre labbra si incontrano, ed io mi sento di nuovo un adolescente.
Lei si gira così da prendermi il viso mentre noi, ventinovenni e ancora in
crescita, iniziamo qualcosa che ha un’inevitabile disastrosa fine.
Nel
frattempo, perdo per un istante il mio senso della percezione, ed è come se il
camino si sia moltiplicato, gettando fiamme pericolose tutto intorno a noi come
un edificio ardente. “Brie,” dico il suo nome come se
fosse una parola proibita. Mi guarda, il mio corpo sotto di lei, ed io ammiro
il suo fisico dopo tutti questi anni. Sembra che si sia sciupata molto, cosa
che ha fatto, e io mi prendo un momento per considerarlo “Brie,
sai che questo non è… non possiamo…”
Lei scuote
la testa ed io avverto i capelli per i quali una volta avevo una dipendenza
solleticarmi il collo: “Lo so,” sospira, ma non si muove da dove è. “Ma è tutto
quello che posso fare per evitare di essere un totale rottame riguardo al mio
passato. Ho bisogno di una nuova ragione per piangere.” ci baciamo ancora, io
accondiscendo felicemente, il suo sapore che invade la mia bocca.
La mia
voce passa appena il sussurro: “Non posso amarti, Gabriella. Mi dispiace.”
questa è una verità tecnica; questa nuova versione di me non potrebbe mai amare lei.
Non dopo Chicago, e Samantha, ed undici anni. Il mio me stesso adolescente sta
cercando di contrastare, sta cercando di riportare alla luce la sua tomba e
ritornare in vita. Lo fermo.
“Non
dispiacerti,” risponde lei quieta “Non devi dispiacerti.”
E proprio
mentre questa notte è la nostra unica, proprio mentre il fuoco continua a
bruciare poco lontano, proprio mentre realizzo che avrò una moglie e una
bambina da cui tornare a casa e Gabriella avrà un marito che tornerà a casa da
lei, non dimentico lo sguardo che mi dà prima che ci addormentiamo. Lo sguardo
di pace, che io le ho dato, sebbene solo per un istante. I suoi occhi si
chiudono, ed io la bacio dolcemente, cercando di darle quello che ha perso.
Forse non è il mio posto portare felicità, ma non posso evitarlo intanto che mi
chiedo cosa abbia fatto una donna come lei per meritarsi qualcosa come la morte
dei suoi cari.
Dopo un
minuto o due, è ancora sveglia, e muove il dito lungo il mio stomaco: “Il
secondo nome di Jesse,” mi mormora nell’orecchio “è Troy.”
“Il
secondo nome di Samantha è Gabriella,” borbotto, i nostri corpi si muovono per
aggiustarsi sopra il tappeto su cui ci stiamo stesi per qualche ora “Che mondo
piccolo.”
“Non
abbastanza piccolo,” esclama lei “Ma piccolo abbastanza perché per una volta mi
abbiano dato più spazio, e tu sei stato mandato da me, come un angelo.” le sue
labbra contro la mia guancia, posso sentirla sorridere “La madre di tre angeli
non può ringraziarti abbastanza per averle reso giustizia e, davvero, avermi
spezzato il cuore.”
A/N: E’ una fanfic strana, lo so.
Depressiva e strana. Ma Gabriella, ho deciso, aveva bisogno di qualcuno che la
tirasse fuori dalla depressione per un nuovo motivo di miseria. Lei ha provato
la felicità, che non funziona, quindi sa che un’altra causa di tristezza forse
può aiutarla a ricominciare. Ha un senso? Lo spero. –love- Desireé