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Autore: Jade Tisdale    31/12/2016    0 recensioni
Post seconda stagione | Nyssara
È passato un mese dalla sconfitta di Slade, e mentre Starling City cerca di risollevarsi in seguito ai danni subiti, il Team Arrow continua a vigilare sulla città, proteggendola dai numerosi e frequenti pericoli.
Sara, invece, ha fatto ritorno a Nanda Parbat. Ma qualcosa, o meglio, una notizia, potrebbe dare una nuova svolta alla sua vita. E mettere a rischio quella di chi le sta intorno.
*
«La tua ragazza» sussurrò la mora «è questa Nyssa?»
Sara annuì, arrossendo lievemente.
«Dev'essere una persona splendida. Voglio dire, se è ancora con te dopo aver saputo di questa storia, significa che ti ama veramente.»
*
«Credevo di essere perduta per sempre» sussurrò, solleticandole dolcemente la pancia nuda «ma poi sei arrivata tu, e hai sconvolto completamente la mia vita. Tu mi hai ritrovata, Sara. Mi hai ritrovata e mi hai fatta innamorare follemente di te con un semplice sorriso.»
Nyssa intrecciò la propria mano in quella di Sara, rossa in viso.
«E poi» proseguì, con un sussurro «in questo inferno chiamato vita, stringerti la mano è la cosa migliore che mi sia potuta capitare.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nyssa al Ghul, Oliver Queen, Ra's al Ghul, Sarah Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is the most powerful emotion'
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Capitolo 9: 
Revelations

 

 

 

 

Quando Sara si fu ripresa, non ebbe il coraggio di tornare da Nyssa. Nonostante la porta della camera da letto fosse chiusa, riusciva a sentirla piangere dal corridoio, e il solo pensiero di doverla affrontare ancora le fece venire la pelle d’oca; così, decise di uscire a fare una passeggiata per schiarirsi le idee. Corse giù per le scale dell’edificio col cuore che batteva a mille, e solo dopo qualche minuto si rese conto di essersi dimenticata di infilarsi le scarpe. Ben presto, realizzò quanto fosse scomodo camminare lungo il marciapiede con le pantofole; si appuntò mentalmente di lavarle una volta tornata a casa, ma al momento non era quella la sua preoccupazione più grande.
Nyssa non parlava mai di sua madre. Con Sara lo aveva fatto poche volte, e quasi sempre la conversazione era terminata con l’Erede che scoppiava in un mare di lacrime e con la bionda al suo fianco pronta a consolarla. Questa volta, invece, Sara si era arresa. Continuava a ripetersi che lo aveva fatto per lei, che aveva preferito andarsene per lasciarla in pace, quando in realtà aveva semplicemente capito che non sarebbe mai riuscita a gestire la cosa. Non questa volta.
Continuò a camminare per un tempo indefinito, passando per strade che non aveva mai visto prima, fino a quando non giunse all’imbocco di The Glades e decise di fare dietrofront. Nello stesso istante, udì il suono del campanile non molto distante: era appena scoccata la mezzanotte.
Quando rincasò, cercò di fare meno rumore possibile. Lanciò uno sguardo al corridoio buio e, intenzionata a non creare ulteriore confusione con Nyssa, decise che quella notte avrebbe dormito sul divano. Si coprì con un plaid di lana che le aveva regalato Laurel pochi giorni prima, rigirandosi a lungo alla ricerca di una posizione comoda, fino a quando non finse che Nyssa la stesse abbracciando da dietro come faceva ogni notte e riuscì ad addormentarsi.

*

Dinah lanciò un’occhiata alla porta d’ingresso, per poi posare nuovamente lo sguardo sul quotidiano che aveva fra le mani. Ormai stava aspettando Sara da dieci minuti buoni e, non avendo ricevuto alcun messaggio riguardante il suo ritardo, stava seriamente cominciando a preoccuparsi.
Pochi istanti dopo, però, la porta del locale si aprì nuovamente e questa volta fu proprio la figlia minore di Dinah ad occupare la sua visuale. La donna tirò un sospiro di sollievo, riponendo con cura il giornale accanto a sé.
Non appena Sara ebbe individuato la postazione della madre, la raggiunse a passo spedito, le diede un rapido bacio sulla guancia e si sedette di fronte a lei.
«Buongiorno» disse la bionda, con un tono di voce piuttosto basso.
«Buongiorno anche a te, tesoro» sorrise Dinah, mostrando i suoi denti bianchissimi.
La sera precedente, prima che Sara e Nyssa tornassero a casa, la signora Lance aveva fatto promettere alla figlia che il giorno successivo, prima del suo ritorno a Central City, si sarebbero incontrare al Joker Bar[1], una caffetteria aperta da poco che si trovava a South Boulevard, per fare un’ultima chiacchierata.
Sara si strinse nelle spalle, per poi passarsi le mani congelate sulle ginocchia nel tentativo di scaldarle. «Sbaglio o fa un po’ troppo freddo qui dentro?»
La signora Lance osservò la figlia per qualche istante, inarcando un sopracciglio di fronte al modo esagerato in cui stava tremando nonostante fosse agosto inoltrato. «Stai bene?»
«No, per niente.»
Dinah rimase in silenzio per alcuni secondi. «Riguarda la gravidanza o…»
«Non mi va di parlarne» rispose Sara, questa volta con un tono più brusco di quanto si aspettasse.
Tuttavia, Dinah non reagì in alcun modo se non annuendo. «Ordiniamo una tisana?»



Sara iniziò a calmarsi solamente quando ebbe finito la propria bevanda, ma sapeva che il peggio doveva ancora arrivare. Dinah era rimasta in silenzio per tutto quel tempo e ciò significava soltanto una cosa: stava per farle la ramanzina peggiore del secolo. Se la sera prima si era comportata in modo comprensivo e affettuoso, adesso era sicuramente pronta ad esplodere e a dire in faccia a Sara le cose come stavano, ossia che era una stupida e un’incosciente, e che non sarebbe mai stata in grado di crescere un figlio senza un lavoro che non prevedesse l’uccisione di qualcuno. Canary era già pronta per essere rimproverata, ma Dinah, nel vederla così sconvolta, scoppiò in una fragorosa risata.
«Non sono qui per sgridarti, se è questo che pensi» spiegò, pulendosi la bocca con il tovagliolo.
Sara corrugò la fronte, confusa. «E allora perché sei così silenziosa? Quando ero piccola lo facevi sempre prima di darmi una strigliata.»
Dinah intrecciò le mani sotto al mento, diventando improvvisamente seria. «Perché avevo bisogno di riflettere su cosa fosse giusto dire.»
Sara deglutì. «Riguardo a cosa?»
La signora Lance non rispose. Allungò una mano in direzione della propria tazza, dopodiché la attirò verso di sé. «Beviamo ancora qualcosa prima di continuare?»
«Come facevi a sapere che ero incinta?»
Dinah sorrise. «Non lo sapevo.»
«Scusami?»
«L’ho ipotizzato per i motivi che ti ho elencato, ma non potevo esserne sicura al cento per cento. Magari eri solo ingrassata e le tue abitudini negli ultimi sette anni potevano essere cambiate, ma ero parecchio dubbiosa al riguardo. Me lo sentivo che c’era qualcosa che non andava in te, e alla fine la mia teoria si è rivelata fondata.»
La bionda annuì piano, senza alzare lo sguardo. «Hai altro da dire?»
Dinah si strinse nelle spalle. «No. Direi che puoi andare.»
Sara tirò un sospiro di sollievo, dopodiché si preparò a pagare il conto e ad andarsene. Quella conversazione aveva preso una brutta piega e temeva che presto o tardi tutta l’ansia che tratteneva da ore sarebbe esplosa. Tuttavia, prima che riuscisse ad alzarsi in piedi per dirigersi alla cassa, la voce di sua madre la bloccò ancora.
«Sara.» La diretta interessata incontrò il suo sguardo, in cui riuscì a scorgere solamente il proprio riflesso sbiadito. «So che siete state tu e Nyssa a catturare l’Incantatrice» sussurrò, assicurandosi che nessuno la sentisse. «Sono fiera di te, amore mio, ma ho bisogno che tu sospenda temporaneamente la tua carica di vigilante. Se vuoi portare avanti questa gravidanza senza correre rischi, non devi assolutamente esporti come fai di solito. Con questo, però, non ti sto incitando a rinunciare per sempre ad indossare quella maschera, semplicemente ti consiglio di aspettare la nascita di tuo figlio. A questo proposito, ho bisogno di chiederti un’altra cosa.» Delineò un sorriso, notando appena il modo in cui le labbra di Canary stavano tremando. «Per nessun motivo al mondo, non devi smettere mai di fare quello che fai e di essere ciò che sei. Per nessun motivo, Sara. Ricordalo.»
«E cosa sarei?»
«Una guida» rispose Dinah, con gli occhi che le brillavano. «Un’eroina.»
Sara non rispose, segno che non era d’accordo con quell’affermazione. Si limitò ad abbassare nuovamente lo sguardo sulla sua tazza vuota, ma ciò non bastò a nascondere le lacrime che le pungevano gli occhi.
«E so che posso sembrare ripetitiva, tesoro, ma devi dirlo a Oliver. Devi farlo il prima possibile, altrimenti ti odierà per non avergli detto che il bambino che porti in grembo è il suo. Le vostre vite sono già abbastanza complicate, perciò aggiungere ulteriori contrasti non è la mossa migliore da fare.»
Sara inspirò profondamente, dopodiché annuì. «Lo farò, mamma. Te lo prometto.»
Fu allora che Dinah rivelò quello che realmente pensava su quella gravidanza. «Sapevo che saresti stata tu la prima a darmi un nipote.»
«Perché al liceo flirtavo con più ragazzi contemporaneamente?» rise la bionda.
La signora Lance scosse la testa. «Perché tua sorella ha sempre pensato a costruirsi una carriera, come feci io a mio tempo, mentre tu avevi una mentalità più aperta, proprio come tuo padre. Credevi che il futuro non si potesse programmare, che la tua anima gemella potesse trovarsi dall’altro capo del mondo e che saresti potuta rimanere incinta da un momento all’altro perché gli incidenti possono capitare. E alla fine, tutte queste predizioni si sono avverate. A questo punto non posso fare altro che chiedermi come sarebbe stata la tua vita se quel giorno ti avessi proibito di salire sul Queen’s Gambit con Oliver.»
«Di sicuro sarebbe stata più spensierata, ma anche noiosissima» ironizzò Sara, delineando un sorriso. «Voglio dire, non sarò diventata un medico come desideravo, ma posso comunque aiutare le persone. E credimi quando ti dico che se potessi tornare indietro non cambierei ogni singola decisione. Quando sono salita sul Gambit ero consapevole di quello che stavo facendo e dei rischi che correvo: sapevo che Laurel mi avrebbe potuta scoprire, e che se lo avesse fatto mi avrebbe odiata a morte, ma me ne sono infischiata perché ero convinta che si fosse messa insieme a Oliver solamente per darmi fastidio. E quando tu mi hai dato il consenso di partire con lui, per la prima volta in vita mia, mi sono sentita più forte di Laurel: oggi invece ringrazio il cielo per aver fatto sì che su quella nave ci salissi io e non lei, perché non augurerei a nessuno di passare quello che ho passato io. Quindi sì, mamma, quel giorno hai fatto davvero la cosa sbagliata lasciandomi andare, ma senza volerlo hai anche fatto la cosa giusta. Se non fossi mai salita su quella barca, a quest’ora non saprei combattere, non avrei mai conosciuto l’amore e non porterei questo bambino in grembo. Forse non lo hai ancora capito, ma è solo grazie a te se sono diventata la donna di cui tanto sei fiera. Quindi grazie, mamma. Grazie per avermi fatta diventare una persona migliore di quella che ero.»
Al sentire quelle parole, Dinah si passò una mano sulle guance bagnate, non prima di aver stretto la figlia fra le proprie braccia con tutte le forze che aveva in corpo.



Sara girò la chiave nella serratura con un groppo in gola: l’incontro con sua madre era stato piuttosto malinconico, e il pensiero di quello che sarebbe accaduto ora la faceva esitare. Si tolse la giacca e la scarpe, prese un respiro profondo ed entrò in camera.
Nyssa era distesa nel suo lato del materasso, lo sguardo rivolto verso il soffitto e le mani unite sullo stomaco. Quando notò Sara, sembrò illuminarsi.
«Come va?» domandò la bionda, avvicinandosi lentamente al letto.
Nyssa attese che la ragazza si fu distesa accanto a lei prima di rispondere. «Ho chiesto a Josh un giorno di riposo.»
Sara sorrise lievemente. «Di sicuro non starai facendo una buona prima impressione con il tuo capo visto che continui ad evitare di andare al lavoro.»
A quella frase, la mora affondò la testa nel cuscino, e Sara prese ad accarezzarle dolcemente la schiena. Rimasero in quella posizione per qualche minuto, fino a quando Nyssa si voltò in direzione dell’amata costringendola a fare lo stesso affinché si potessero guardare negli occhi.
«Quando ero piccola mia madre mi diceva sempre che un giorno mi sarei innamorata. Sosteneva che avrei incontrato un uomo fantastico e che avrei fatto follie per lui, così come lei aveva fatto per mio padre.» Sospirò, trattenendo a stento le lacrime. «Sono felice di aver constatato che si sbagliava. Non mi sarei mai perdonata se avessi sprecato il mio tempo con un uomo simile a mio padre.»
La bionda poggiò il gomito destro cuscino, sorreggendosi il mento con il palmo della mano. «Ma hai comunque fatto follie per amore.»
«Non per un uomo» puntualizzò l’altra, stringendo una mano sul lembo del cuscino. «Per te ne è valsa la pena.»
Un lieve rossore contornò le guance di Sara, ma Nyssa non fece in tempo a notarlo perché subito dopo si accoccolò sul suo petto e le circondò la vita con un braccio. «Sei andata all’incontro con tua madre questa mattina?»
Sara rispose con un mormorio di assenso, e Nyssa non riuscì a nascondere un sorriso.
«Sono felice di sapere che Dinah non ce l’ha più con me.»
Canary sorrise a sua volta, iniziando ad accarezzare i capelli dell’Erede. «Anche io» sussurrò dolcemente.
«È tornata a Central City?»
«Sì, ma verrà a trovarci il prima possibile. Forse riuscirà a liberarsi in tempo per il compleanno di Laurel.»
Nyssa annuì piano, mentre Sara le diede un leggero bacio sul capo.
«Se per te è troppo dura passare del tempo con mia madre, io…»
«Non è troppo dura, Sara. Tua madre è una persona meravigliosa. Non potrei mai rifiutare di trascorrere del tempo in sua compagnia.»
«E che mi dici di quello che è successo ieri notte?»
La figlia di Ra’s si irrigidì, ma riuscì a trovare la forza di alzare lo sguardo e di incontrare nuovamente quello dell’amata. «Non so nemmeno io cosa mi sia preso. Forse sono solo stanca di essere forte. Forse voglio solo lasciarmi andare e liberarmi di tutte le emozioni che sono stata costretta a trattenere in tutti questi anni.»
«Con me puoi farlo. Lo sai bene» la incitò Sara, prendendole il viso tra le mani. «Possiamo ridere, piangere, o fare il culo a qualche criminale quando ti pare e piace. Ma dobbiamo farlo insieme. Sto facendo del mio meglio per far sì che tra di noi non ci siano segreti, Nyssa, ma tu devi fare lo stesso. Se tutta questa situazione ti sta stressando al punto da farti ricordare tua madre, lo voglio sapere. Anche se questo significa svegliarmi nel cuore della notte per stringerti la mano mentre hai solo voglia di urlare. Hai capito?»
Lo sguardo di Sara ricadde per qualche istante sulle labbra tremanti di Nyssa.
«Ora ricordo perché mi sono innamorata di te» sussurrò la mora, per poi sorridere a labbra aperte. Poi Sara la baciò, e all’improvviso tutti i loro problemi scomparvero nell’arco di un secondo.

*

«Chi di voi ha ordinato un caffè macchiato e una brioche al cioccolato da portare via?»
«Oh, sono io!» esclamò un signore sulla sessantina, avvicinandosi in fretta al bancone.
«Avrei dovuto immaginarlo. Ordina le stesse cose ogni giorno!» replicò Nyssa, consegnando lo scontrino all’anziano dai folti baffi bianchi.
Quest’ultimo, al sentire quella frase, sospirò. «Mia figlia lavora in un’agenzia immobiliare non molto distante da qui, e da quando è stata lasciata da suo marito non è più la stessa. Così tutte le mattine le porto una brioche al cioccolato, il suo gusto preferito, nel tentativo di farla rallegrare un po’. Inutile dire che non basta un dolce di pasticceria per tirarla su di morale, ma almeno per cinque minuti riesce a mentire bene riguardo al suo umore» sorrise tristemente l’anziano.
«È un bel gesto da parte sua. Credo che anche sua figlia la pensi così.»
«Lo spero. E lei, che mi dice? È sposata, fidanzata? O beatamente single? Sa, mi sembra troppo giovane per essere sposata. Inoltre non porta la fede.»
Nyssa trattenne a stento una risata. «No, sono solo fidanzata. Ma spero di sposarmi, un giorno o l’altro.»
L’uomo, che la mora aveva idealmente chiamato Martin[2], mandò giù l’ultimo sorso di caffè, dopodiché diede un’occhiata allo scontrino. «Ed è felice?»
Nyssa non ci rifletté un secondo di più. «Sì. Sì, lo sono.»
L’altro sorrise lievemente. «Bene. È l’unica cosa che conta.» Tirò fuori dalla tasca una banconota da venti dollari e la mise sul bancone, ma quando l’Erede del Demonio si sporse per dargli il resto, lui era già sulla porta del locale.
«Ehi! Ha dimenticato‒»
«Tenga pure il resto.»
Nyssa lanciò una rapida occhiata al denaro che aveva fra le mani. «Ma sono più di dieci dollari!»
L’anziano le fece un cenno col capo. «La consideri una piccola mancia perché mi sopporta ogni mattina… e per la chiacchierata.» Nyssa tentò di dire qualcosa, ma l’uomo la interruppe nuovamente. «E mi creda, signorina, lei è giovane e la vita se la può ancora godere. Perciò, le do un consiglio: se è davvero felice, non deve sprecare nemmeno un istante dei suoi giorni accanto alle persone che ama. Ci vediamo domani.» E prima che la mora potesse ringraziarlo, Martin scomparve fuori dal locale.
Nyssa sorrise involontariamente: non era la sua prima mancia, ma il pensiero che un perfetto sconosciuto la considerasse una confidente la faceva sentire quasi una persona normale. Infilò i soldi nella tasca del grembiule, dopodiché si portò una ciocca di capelli dietro all’orecchio e iniziò a preparare i caffè per gli altri clienti.
«Come procede?»
La ragazza si voltò, incontrando lo sguardo neutro di Josh. «Mi sono guadagnata una mancia sostanziosa perché sono una buona ascoltatrice.»
Josh alzò le sopracciglia, incrociando meccanicamente le braccia. «Ti sei guadagnata la mancia perché sai fare il tuo lavoro.»
«Come siamo modesti.»
L’uomo rise appena, per poi passarsi distrattamente una mano tra i capelli. «Ascolta, Nyssa…» sospirò, attirando la completa attenzione dell’Erede. «C’è una cosa di cui vorrei parlarti.»
Prima che Josh potesse dire una sola parola in più, una pallottola gli sfiorò la spalla sinistra. Un attimo dopo, Nyssa trascinò il ragazzo dietro al bancone mentre tre uomini armati di mitragliatrici sfondavano le porte di vetro del bar.
«Che nessuno si muova! Altrimenti vi uccidiamo tutti!» gridò uno di loro, puntando minacciosamente l’arma in direzione dei clienti.
«Dateci tutto ciò che avete e nessuno si farà male!» proseguì un altro, mentre il terzo uomo si dirigeva verso la cassa. Fu allora che Nyssa incontrò lo sguardo terrorizzato di Josh e si sentì in dovere di fare qualcosa.
Con uno scatto, la figlia di Ra’s al Ghul afferrò una delle sedie di legno poste davanti al bancone e la scagliò contro al primo uomo, scaraventandolo a terra. Corse in direzione del secondo malvivente, riuscendo a rubargli il mitra prima che potesse sparare e ferire qualcuno. Diede vita ad un combattimento che durò solo una manciata di secondi: l’Erede attese il momento giusto prima di colpire l’uomo con una testata e stordirlo con un ulteriore gancio destro. Nel frattempo, l’ultimo bandito si preparò a spararle, ma Nyssa riuscì a proteggersi utilizzando il corpo dell’uomo appena colpito come scudo. Quando quest’ultimo cadde a terra, ormai privo di vita, Nyssa raggiunse l’ultimo rapinatore con una capriola e fece pressione sulla sua gamba con un calcio per farlo cadere a terra a faccia in giù. Gli assestò una serie di punti arrivando a rompergli il naso, e si fermò solamente quando fu sicura che avesse perso i sensi. A quel punto, si alzò in piedi: iniziò a guardarsi intorno, e quando vide i clienti ancora in lacrime nonostante quanto appena accaduto, comprese che con l’arrivo dei rapinatori si erano talmente spaventati da non aver avuto il coraggio di alzare lo sguardo. Solo Josh aveva assistito alla scena dal primo all’ultimo istante, e ora guardava Nyssa con un’espressione talmente stupita che sembrava volessero uscirgli gli occhi dalle orbite.



La stanza era illuminata dalla flebile luce del sole, che filtrava repentina attraverso i teli di plastica appesi ovunque.
Quando Sara si trovò al centro del piano, fu lieta di notare che la grande finestra era stata riparata, e che nonostante l’attacco degli uomini di Slade la torre fosse ancora in buono stato.
Sul tavolo trovò una manciata di dispositivi acustici che aveva dimenticato di portare con sé quando aveva lasciato Starling City, dei bicchieri di plastica vuoti e delle lampadine rotte che lei non ricordava di aver lasciato. Fu allora che la vide.
Sin dormiva sul pavimento a mezzo metro da lei, con solo una coperta sgualcita a tenerle caldo. Sara si avvicinò a lei cercando di non fare rumore, ma quando fu abbastanza vicina la punzecchiò dandole un lieve calcio nel sedere. La ragazzina si svegliò di soprassalto, puntando una mazza da baseball ‒ che probabilmente teneva nascosta sotto alla coperta ‒ in direzione di Sara; tuttavia, la bionda gliela strappò di mano nel giro di un secondo e la scagliò a terra con un gesto deciso.
«Mi hai mentito.»
Sin deglutì, indietreggiando lentamente. «Sara, lasciami spiegare…»
«Quando sono tornata a Starling City e mia sorella mi ha comprato quell’appartamento, mi hai giurato che non saresti mai più tornata qui sopra da sola. Hai detto che avevi degli amici disposti ad ospitarti per un po’, e invece ora scopro che non è così. Perché non me lo hai detto?»
«Perché volevo evitare questo» spiegò la mora, gesticolando con le mani. «Non volevo che mi urlassi contro. So badare a me stessa.»
«Cindy, hai appena diciotto anni.»
«Abbastanza per poter guidare, votare e vivere per conto mio. Tra non molto potrò anche consumare alcolici legalmente. Che hai da lamentarti?»
«Ho promesso che ti avrei protetta a ogni costo, e non ho alcuna intenzione di infrangere quella promessa.»
«E a chi lo avresti promesso?» ironizzò la ragazzina, incrociando le braccia.
Sara trattenne il respiro per qualche secondo. «A te, Sin. Il giorno che ti ho trovata mi hai fatto promettere che ti avrei sempre guardato le spalle. Te ne sei già dimenticata?»
«No, ma credevo che valesse soltanto fino al raggiungimento della maggiore età.»
Sara poggiò entrambe le mani sui fianchi, inarcando un sopracciglio. «Perché sei così testarda?»
Sin rimase impassibile per qualche secondo, nel tentativo di sostenere lo sguardo di Sara il più a lungo possibile, ma dopo non molto cedette. «Non volevo darti ulteriori preoccupazioni, okay? Hai già i tuoi problemi con la gravidanza e tutto il resto. Non mi andava di essere un ulteriore peso.»
«Ma tu non sei affatto un peso, Sin. Come puoi pensare una cosa simile?»
La ragazzina scrollò le spalle. «Te ne sei andata via. Più di una volta.» Fece una pausa, trattenendo un sospiro. «Mi hai lasciata qui senza preoccuparti minimamente di me e ho capito che forse mi ero illusa troppo. Io non sono tua sorella, Sara, ma per un istante potrei aver desiderato di esserlo. Perciò, vederti andare via come se niente fosse…» Abbassò lo sguardo, sentendo quello di Canary fisso su di sé. «Mi sono sentita… ferita, credo. E quando sei tornata con Nyssa eri così felice che ho preferito non dirtelo. È giusto che tu viva la tua vita senza una palla al piede come me che ti gira intorno.»
Sara, esterrefatta, aprì un poco la bocca. «Non credevo che ti sentissi così.»
Cindy accennò un sorriso amaro, stringendosi nelle spalle. «Lo capisco. Non sono poi così importante.»
«Lo sei eccome, Sin. Vieni qui.»
Detto questo, la mora si ritrovò tra le braccia di Sara, le stesse braccia che l’avevano salvata da un gruppo di malviventi l’anno precedente e che tanto le erano mancate.
«Non volevo trascurarti, te lo posso giurare. Quando me ne sono andata avevo intimato a Roy di tenerti d’occhio, e anche Arrow sapeva che eri sotto la mia ala protettrice. Per questo non mi sono preoccupata. Sapevo che eri in buone mani.»
«E adesso cos’è cambiato?»
La bionda sospirò, mettendole una mano sulla spalla. «Te l’ho detto, ho paura che quelli della Lega ci vengano a cercare. Se Ra’s al Ghul venisse a sapere della mia gravidanza, farebbe di tutto pur di farmela pagare. E ho paura che possa arrivare a ferire le persone a cui tengo.»
«Oh. Quindi è per questo che sei così apprensiva ultimamente?»
Anziché annuire, Sara rispose con un altro sospiro. «Se non trovi una sistemazione, verrai a vivere da me per un po’, intesi?»
«Scherzi? La tua ragazza mi fa paura. Sembra tremenda.»
Al sentir quelle parole, Canary scoppiò a ridere. «È solo l’apparenza, credimi. In realtà è un pezzo di pane.»
Cindy corrugò la fronte. «In ogni caso, non mi va di fare la terza in comodo. Vedrò di trovare un’altra soluzione.» Compì qualche passo in direzione di una cassettiera, sopra alla quale spiccava una vecchia radio che Sin accese subito dopo.
«Come preferisci. L’importante è che non resti qui. Non è più un posto sicuro ormai.» Sara si appoggiò al tavolo, per poi incrociare le braccia. «E quella da dove sbuca?» chiese, indicando la cassettiera di legno.
«Me l’ha regalata Oliver. Dopo l’assedio, questa torre è andata completamente distrutta. Sono rimasta in strada per giorni, fino a quando Queen non è venuto a dirmi che aveva delle conoscenze e che avrebbe fatto in modo che questo posto venisse restaurato il prima possibile. Dopo un paio di settimane la torre era come nuova, e ho trovato questa» spiegò, indicando la cassettiera. «È andato tutto bruciato quella notte, tranne il tavolo e alcuni dei tuoi dispositivi acustici.»
La bionda non rispose in alcun modo. Si limitò a sospirare, chiedendosi cosa sarebbe successo se mesi prima non avesse deciso di tornare alla Lega.
Dopo alcuni secondi passati a riflettere, Sara decise di non pensarci e di dedicare la sua attenzione alla radio, sintonizzata su un telegiornale locale. La reporter stava parlando dell’imminente inizio della stagione di football, ma il servizio fu interrotto dall’arrivo di una notizia dell’ultimo minuto.
«Ci segnalano che poco fa il Mystery Cafè, un bar situato in pieno centro, è stato vittima di una rapina non andata a buon fine. La polizia è da poco giunta sul posto. A quanto pare, uno dei malviventi è morto, mentre gli altri due sono gravemente feriti. Al momento non abbiamo altre informazioni. Vi aggiorneremo non appena…»
«Sara?» esclamò Sin, notando lo sguardo impaurito della vigilante. «Ti senti bene?»
La bionda scosse la testa, rabbrividendo. Senza dire una parola, corse giù per le scale, digitando un numero sul cellulare mentre superava gli ultimi gradini. «Papà? Mi serve il tuo aiuto.»



«Signora, è sicura di sentirsi bene?»
Nyssa sbuffò, alzando gli occhi al cielo per l’ennesima volta. «Ve l’ho detto, non mi sono fatta neanche un graffio.»
«Ha preso parte ad uno scontro. E anche se apparentemente ne è uscita illesa, un controllo non le farà male. L’ambulanza è proprio qui fuori.»
«Agente, non si preoccupi. Ci penso io a lei.»
Non appena udì quella voce, Nyssa alzò di colpo lo sguardo: il capitano Lance, a pochi passi da lei, le fece un rapido occhiolino.
«Ma, signore…»
Quentin lanciò al poliziotto un’occhiata di sbieco, che bastò affinché l’uomo si dileguasse e li lasciasse soli. Il capitano tirò un sospiro di sollievo, dopodiché si voltò verso l’Erede del Demonio. «So già tutto quello che devo sapere. Sono qui perché mi ha mandato Sara.»
«Sara?» domandò Nyssa, aggrottando le sopracciglia.
«Ha sentito la notizia alla radio e aveva paura che ti fosse capitato qualcosa. Sono venuto qui il prima possibile.»
La ragazza annuì, per poi volgere lo sguardo in direzione della porta a vetri. Josh era seduto a un tavolino insieme a un medico che gli stava disinfettando la ferita superficiale provocatagli dalla pallottola. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, e Nyssa rabbrividì al solo pensiero di doverlo affrontare.
Subito dopo, però, a invadere i pensieri di Nyssa fu qualcun altro. Sara fece il suo ingresso nel locale come un tornado, correndo in direzione di Nyssa e stringendola a sé con tutte le sue forze.
«Sto bene» rise la mora, inspirando il profumo dei capelli di Sara. «Avevi dei dubbi al riguardo?»
«Idiota» sussurrò l’altra, lasciandole un bacio sulla guancia.
«Possibile che voi due dobbiate sempre cacciarvi in situazioni strane anche quando non indossate i vostri costumi?» ironizzò Lance, con un sorriso divertito stampato sul volto.
«È proprio questo il problema. Tutti hanno visto quello che è successo.»
Nyssa scosse la testa. «No, non mi ha vista nessuno a parte gli aggressori. I clienti erano talmente spaventati che sono rimasti accasciati a terra per tutto il tempo. Nessuno di loro ha osato alzare lo sguardo fino a quando non gli ho detto che era tutto finito. L’unico che ha assistito è stato Josh. Il mio capo» aggiunse, alzando lo sguardo in direzione del capitano.
Sara le fece una carezza sulla guancia. «Siamo sicuri che non sarà un problema?»
«Gli parlerò il prima possibile.»
«Mi dispiace interrompervi, ma credo che il problema più grave sia un altro. Dovrai venire in centrale per testimoniare riguardo a quanto accaduto. La domanda è, cosa succederà quando rivelerai la tua identità?» domandò Quentin, abbassando il tono di voce per non essere sentito.
«Felicity ha rimosso le informazioni di Nyssa dai database della polizia, dell’FBI, della CIA e di qualunque altra agenzia di spionaggio esistente. L’unica che potrebbe darci ancora dei problemi è l’A.R.G.U.S., ma non credo che dovremmo preoccuparci.»
«Per ora» aggiunse la figlia di Ra’s al Ghul, ricevendo un’occhiata da parte dell’amata.
«In ogni caso, provvederò a controllare di persona che il tuo nome sia sparito dai nostri database prima dell’interrogatorio. La prudenza non è mai troppa» aggiunse Quentin prima di allontanarsi dalle due donne e raggiungere un detective non molto distante da loro.
Rimaste sole, Sara e Nyssa si scambiarono un lungo sguardo.
«Hai salvato queste persone non curandoti del fatto che avrebbero potuto scoprire la tua identità.»
«Dovevo farlo» rispose Nyssa. «È così che si comportano i vigilanti, no?»
La bionda rise ancora, per poi abbracciare nuovamente l’amata. «Sono così fiera di te.»
L’Erede ricambiò la stretta e chiuse gli occhi, incurante del fatto che Josh, a pochi metri di distanza da lei, la stesse osservando, con un mare di dubbi per la testa.



Nel corso della giornata, la notizia della rapina aveva ormai fatto il giro della città. Subito dopo l’interrogatorio, Nyssa aveva esplicitamente chiesto alla polizia che il suo nome non fosse rivelato ai giornalisti, anche se in ogni caso non si sarebbero potuti trattenere nel dire che era stata la cameriera del locale ad aver trovato il coraggio di affrontare i malviventi, riuscendo a salvare tutti gli ostaggi.
Ora, Nyssa era intenta ad affilare con cura la propria spada in camera da letto, incurante di quanto accaduto quella mattina. Non lo aveva fatto né per essere ringraziata, né per finire sui giornali: al contrario, per la prima volta in vita sua, si era sentita in dovere di fare la cosa giusta e di proteggere quelle persone. Dopo non molto, Sara entrò all’improvviso nella stanza, distraendola con la sua voce.
«Credi che sarebbe un problema per noi avere un’adolescente che gira per casa?»
«Dipende da chi è e dal motivo per cui dovrebbe gironzolare in casa nostra. Perché me lo chiedi?»
«Ti ricordi della mia amica Sin?»
«La figlia del pilota?»
Sara si irrigidì. «Sì.»
L’Erede le rispose con un rapido cenno del capo.
«Vorrei ospitarla qui per un po’. È sola al mondo e non ha un posto dove stare. Ho chiesto a Roy di accoglierla per qualche giorno, ma al più presto mi piacerebbe farle una sorpresa e permetterle di restare qui almeno fino alla nascita del bambino. Ovviamente se tu sei d’accordo.»
Nyssa socchiuse appena l’occhio destro, concentrandosi sulla lama che attraversava l’asse di legno. «Perché non dovrei? Se a lei sta bene dormire sul divano, sta bene anche a me» si limitò a rispondere, ma ciò bastò affinché Sara sorridesse e la ringraziasse col cuore.
Tuttavia, quando comprese che la mora non avrebbe più aperto bocca, Canary incrociò le braccia e si avvicinò ulteriormente a lei. «Non credi che dovresti parlagli?»
Nyssa si fermò di colpo, con la spada a mezz’aria. «Di chi stai parlando?»
«Lo sai.»
La figlia di Ra’s deglutì. «Non mi va.»
«Devo pensarci io?»
Nyssa sembrò rifletterci su per qualche secondo, ma la sua risposta non tardò ad arrivare. «Farò presto.»



L’estate stava ormai volgendo al termine. Una lieve brezza accarezzava le guance di Josh, seduto sul bordo del tetto del Mistery Cafè. Chiuse gli occhi, inspirando l’odore di pasta al sugo proveniente dal ristorante situato dall’altra parte della strada, e per un attimo gli sembrò di essersi isolato dal mondo.
«Non sapevo dell’esistenza di questo posto.»
L’uomo aprì di colpo le palpebre, ma non si voltò. «Se non lo sapevi, come ci sei arrivata fin quassù?»
«Ti ho visto da sotto» spiegò Nyssa, sedendosi accanto a lui. «Perché non metti dei tavolini in questo terrazzo? Sono sicura che in estate sarebbe stupendo.»
«Ci avevo già pensato, ma prima mi servono i soldi per installare delle ringhiere qui, altrimenti sarebbe troppo pericoloso. Ne riparleremo fra qualche anno.»
Josh iniziò a giocherellare col suo orologio, picchiettando l’indice destro sul vetro circolare del quadrante.
«Come sapevi di trovarmi qui?»
«Sesto senso.»
«Ho fatto male a lasciarti le chiavi del locale. Nemmeno ti conosco.»
«Lo so. Infatti non capisco perché mi hai dato così tanta fiducia fin dal principio. Siamo praticamente due sconosciuti.»
Josh si voltò cautamente alla propria destra, incontrando lo sguardo di Nyssa. Si scambiarono una lunga occhiata, fino a quando l’uomo sospirò.
«Grazie per avermi salvato stamattina. Non so come hai fatto, ma sei stata grandiosa.»
L’Erede scorse nella sua voce un pizzico di amarezza, ma fece finta di nulla. «Figurati. Devo tutto ai corsi di autodifesa che ho fatto da bambina.»
L’altro arricciò il naso, e ciò fece irrigidire Nyssa. «Da dove vieni?»
«Cosa?» Aveva la gola secca, ma trovò subito la forza di rispondere alla domanda di Josh. «Te l’ho già detto, vengo da Chicago. C’era scritto anche nel mio curriculum.»
«No, intendo da dove vieni realmente. Dove hai imparato quelle mosse? Nyssa Raatko è davvero il tuo nome o ti sei inventata pure quello?» Fece una pausa, analizzando la reazione di Nyssa, che però rimase impassibile. «Chi sei veramente?»
La ragazza serrò le labbra, a disagio. «Josh, io…»
«Ho bisogno di risposte.»
Per un istante, fu come se il mondo si fosse fermato. Josh poggiò una mano sulla guancia di Nyssa, dopodiché si sporse in avanti, arrivando quasi a sfiorare le sue labbra. La mora percepiva il respiro dell’uomo sul suo viso, il calore della sua mano sulla propria pelle, e al contempo il rumore provocato dal battito esagerato del suo cuore. Stava male. Le mancava l’aria. Il solo pensiero di quello che stava succedendo le provocò un vuoto allo stomaco. Riuscì a ritrarsi in tempo prima che Josh potesse baciarla, e subito si sentì meglio, ma quando notò l’espressione sul suo volto provò un immenso dispiacere nei suoi confronti.
«Perché…?»
«Non ho mai voluto mentirti. Non era quella la mia intenzione, lo giuro.»
«Nyssa… io non capisco…»
«Scusami se non ti ho detto prima chi ero veramente. Il fatto è che non potevo. Non posso neanche adesso. È difficile da spiegare, ma so che capirai. Ti chiedo scusa anche per questo. Cercavo solo un lavoro, ma forse sarebbe stato meglio non accettare.» Aprì un poco la bocca, espirando l’aria che aveva trattenuto fino a quel momento. «E mi dispiace se non ti ho baciato, ma io non sono così.»
«Così come?»
Prese un respiro profondo. Dentro di lei vi era un miscuglio di emozioni e paure che aveva represso troppo a lungo. Taci, Nyssa. Fai ancora in tempo a non combinare un casino. Ma le emozioni prevalsero su tutto il resto.
«Così… normale.»
«Che intendi per normale?»
Oh, Josh. Sei proprio bravo a complicare le cose.
«Sono lesbica.»
Non seppe nemmeno lei perché glielo stesse dicendo. Era la prima volta che lo rivelava a qualcuno, ed era strano. Nemmeno con Sara c’era stato bisogno di parole. Nemmeno con suo padre era stato necessario dirgli che non le piacevano gli uomini. Se lo era sempre tenuto per sé, e ora lasciar uscire quella parola la faceva sentire fuori luogo ma, al tempo stesso, libera. Mai avrebbe immaginato che un giorno si sarebbe ritrovata a dover dire una cosa simile, ma adesso che lo aveva fatto il peso che da anni portava sul cuore sembrava essersi affievolito.
«Capisco. Quindi la tua sorellastra non è la tua sorellastra, vero?»
Nyssa scosse la testa, sospirando. «È la mia ragazza.» Fece una pausa, guardandosi le punte dei piedi che fluttuavano nel vuoto. «Ed è incinta.»
Ecco un’altra cosa che non avrebbe mai dovuto dire. Sapeva che sarebbe stato meglio tenerselo per sé, ma era stato più forte di lei. Da qualche parte aveva letto una citazione in cui si diceva che a volte rivelare i propri segreti a uno sconosciuto è più facile che farlo con le persone più vicine a noi. Ed era vero. Per anni era stata abituata a mantenere segreti, e solo ora, all’alba dei suoi trent’anni, comprese quanto fosse bello confidarsi con qualcuno all’infuori di Sara. Era ancora convinta di fare la cosa sbagliata, ma al tempo stesso sapeva che il danno era fatto e che non avrebbe più avuto alcun senso tirarsi indietro a quel punto.
«Come…?»
«È complicato» si limitò a dire la figlia di Ra’s. «Non lo sa nessuno. Quindi ti prego‒»
«Tienitelo per te.»
La mora annuì, unendo le mani in grembo.
«Quindi, immagino che quella donna vestita di nero che aiuta Arrow e il suo team a catturare i criminali sia tu. Non parlo di Canary, ma dell’altra. Quella con la spada e il cappuccio rosso.»
Questa volta, Nyssa si morse la lingua. Aveva rivelato fin troppi dettagli sulla sua vita privata, ma ammettere anche di essere una vigilante sarebbe stato troppo. Cercò di non incrociare lo sguardo di Josh, ma l’uomo comprese e scosse la testa.
«No, lascia stare. Fingi che non ti abbia chiesto nulla. So che non puoi rispondermi.»
L’uomo abbassò il capo, e nel mentre, Nyssa gli dedicò tutta la sua attenzione. E finalmente, nel vederlo sorridere nonostante fosse visibilmente abbattuto, le fu chiaro il motivo per cui, quando si trovava nelle vicinanze di Josh, si sentiva sempre a disagio. Perché lei lo sapeva. Lo aveva sempre saputo. Inconsciamente, lo aveva capito fin dall’inizio che Josh si era preso una cotta per lei e questo l’aveva portata ad essere restia e distaccata nei suoi confronti perché, come aveva detto Sara una volta ‒ in buona fede, ovviamente ‒, lei con gli uomini non ci sapeva fare.
Ad un tratto, Nyssa si strinse nelle spalle, temendo di porre quella domanda che la stava consumando da dentro dal momento in cui aveva iniziato quella conversazione. «Adesso che si fa?»
Josh si voltò verso di lei, facendosi improvvisamente serio. «Si va avanti.»


 

 

 

 

 

 


[1] No, non è un riferimento a Joker di Batman.
[2] E no, non mi sono ispirata al personaggio di Martin Stein. Semplicemente mi piaceva il nome.



 

 


Vi ricordate di quando vi ho detto che questo capitolo sarebbe stato mooolto più breve del precedente? Ecco, mi rimangio tutto lol alla fine mi sono lasciata prendere dalle emozioni e ho scritto a più non posso.
Avrete notato che la Nyssa di questo capitolo è stata fin troppo estroversa (chi ce la vede a dire la parola “lesbica” e a rivelare particolari della sua vita privata a qualcuno?), ma ho voluto che si confidasse con qualcuno proprio perché si sta adeguando ad avere una vita ordinaria: ha un lavoro, una casa, degli amici (anche se sembra strano da pensare), e Josh è uno di quelli. Piano piano, cambiando il suo stile di vita, Nyssa sta capendo che cosa significa essere normali. E nell’elenco delle cose che ci rendono normali fa parte fidarsi di qualcuno a cui confidare i propri segreti e le proprie paure. Questa storia è nata proprio con questo intento, ossia quello di mostrare come potrebbe essere Nyssa al di fuori della Lega ‒ non so se qualcuno di voi capirà il parallelismo, ma se avete mai visto Dragon Ball, la risposta è sì: avete presente C18? Da cyborg spietata che era, è diventata una moglie e madre amorevole. Ecco, questo è il tipo di cambiamento a cui ho voluto sottoporre Nyssa. In ogni caso, se non mi fossi spiegata a dovere o aveste ancora dei dubbi, sentitevi liberi di chiedere.
Visto che ormai manca poco al nuovo anno, ne approfitto per augurarvi un buon 2017, sperando che sia un anno migliore per tutti quanti (compresa questa meravigliosa ship che merita qualche gioia).

   
 
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