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Autore: _Kurai_    01/01/2017    1 recensioni
Tornare sulla Terra era sempre stato il sogno di Oikawa, e nelle poche settimane in cui gli era stato concesso di fare il mestiere dei suoi sogni si era incantato spesso a contemplare lo splendore di tutto quel blu punteggiato di verde che galleggiava nello spazio profondo attorno a lui.
Aveva fatto in tutto tre passeggiate spaziali dopo aver passato l'esame con il massimo dei voti e con un anno di anticipo, prima di quel maledetto giorno.
Quel maledetto giorno che aveva segnato l'inizio della fine.
Ma poteva forse essere un nuovo inizio? O sarebbe stato solo un modo diverso per ucciderli?
Genere: Angst, Science-fiction, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hymn for the missing

 

You took it with you when you left
These scars are just a trace
Now it wanders lost and wounded
This heart that I misplaced

Where are you now?
Are you lost?
Will I find you again?
Are you alone?
Are you afraid?
Are you searching for me?
Why did you go? I had to stay
Now I'm reaching for you
Will you wait? will you wait?
Will I see you again?

(Hymn for the missing, Red)

 

Alle prime luci dell'alba, tre ombre silenziose si allontanarono dal campo.

Loro non lo sapevano, ma non avrebbero rivisto quel luogo per molto tempo.

 

Hajime si sistemò meglio a tracolla il fucile d'assalto che gli aveva affidato Daichi poche ore prima, dopo averlo rapidamente aggiornato sulla scoperta del bunker e delle nuove armi.

Aspettare era stata la scelta giusta, e dopo averci ragionato a mente fredda (nonostante l'ansia e la rabbia bruciante che sentiva ribollire in un punto imprecisato del petto) era riuscito perfino a elaborare un piano all'apparenza sensato.

Grazie alle indicazioni di Noya e Asahi, Iwaizumi era riuscito a localizzare sulla mappa l'ubicazione del campo che con ogni probabilità era stato fatto saltare da Terushima (non aveva aggiornato i due ragazzi su quello che sapeva, spinto dalla fretta e dalle circostanze) e con molta approssimazione aveva calcolato il raggio della zona in cui Tooru era stato catturato… sempre che non fosse già stato ucciso.

Quella notte aveva dormito un'ora scarsa e per tutto il tempo aveva sognato di trovarsi di fronte agli occhi vuoti di Oikawa, abbandonato privo di vita in mezzo alla foresta.

Si era svegliato con una nausea terribile ed era uscito all'esterno, prendendo lente boccate d'aria nel tentativo di normalizzare il battito impazzito del suo cuore. Aveva fallito, e si era ritrovato a svuotare il contenuto (scarso) del suo stomaco in mezzo ai cespugli, con quell'immagine terribile ancora fissa negli occhi.

 

Da quando erano partiti non aveva ancora proferito parola, e Matsukawa e Hanamaki avevano seguito il suo esempio: i due si scambiavano lunghi sguardi di preoccupazione e complicità, avanzando silenziosamente nella luce fioca del mattino.

Hajime era rimasto in silenzio finché non avevano iniziato a perlustrare la zona che aveva cerchiato sulla mappa, ma aveva parlato solo per dare indicazioni precise; si erano divisi, concordando un segnale da scambiarsi in caso di necessità.

 

Era stato Takahiro a trovare i resti della ricetrasmittente di Tooru distrutta, e Iwaizumi l'aveva raggiunto in un battito di ciglia, seguito immediatamente da Matsukawa.

“Era qui… poche ore fa era qui...” continuava a ripetere Hajime, stringendo forte i pugni mentre cercava di decifrare sul terreno le tre serie di impronte che poi diventavano due.

Quindi l'assalitore non era stato uno solo, e quei bastardi l'avevano portato via. Molto probabilmente privo di sensi, e sicuramente ferito.

Avevano passato altre due ore a camminare seguendo le orme e perdendole talvolta in mezzo alla foresta, mentre la tensione di Hajime iniziava a diventare palpabile.

 

Era passato mezzogiorno quando si trovarono davanti a una grotta: le impronte portavano lì, non c'era nessun dubbio.

I tre entrarono senza esitare, accendendo le torce. Takahiro si strinse a Issei, tremando per un improvviso brivido gelido.

 

 

Tooru fu svegliato dalle sue stesse urla di terrore, scatenate da un incubo che nemmeno ricordava.

Cercò di muoversi, ma le membra non gli rispondevano come dovevano.

Aprì lentamente gli occhi, confuso e intorpidito dalla sensazione di straniamento: il bianco delle pareti della stanza e del letto su cui era disteso, o meglio immobilizzato, lo accecò per un istante.

Dove si trovava? Com'era arrivato lì? Cos'erano quei tubicini che sparivano sotto le coltri del letto, che probabilmente gli stavano iniettando qualche sostanza sconosciuta? Come mai le coperte erano così difficili da sollevare, e le palpebre gli pesavano così tanto?

Poi, un flash: la spinta, la caduta, il dolore insopportabile, la sensazione di impotenza, l'ago che penetrava violentemente nella pelle morbida del collo.

Richiuse gli occhi, consapevole di trovarsi ancora in un incubo.

 

Quando li riaprì, nulla era cambiato.

Nulla, se non la persona che lo stava fissando da una sedia posta accanto al letto, l'espressione impassibile e un camice dello stesso colore delle pareti.

Tooru sobbalzò, provocandosi un'esplosione di dolore in tutto il corpo.

“Sei sveglio” disse soltanto lo sconosciuto, senza particolari inflessioni, constatando l'ovvio.

“Dove… sono?” chiese, e non riconobbe la voce roca che uscì dalle sue labbra.

“Sei al sicuro, Oikawa” rispose l'ignoto personaggio.

“Come conosci… il mio nome? E perché io non posso sapere chi sei?”

“Io conosco molte cose. E se proprio ci tieni a saperlo, il mio nome è Ushijima Wakatoshi”.

“Perché mi avete portato qui?” chiese ancora Tooru, che in realtà provava l'impulso irresistibile di spaccare a pugni quella faccia dall'espressione imperturbabile, ma aveva a malapena le forze per parlare.

“Eri ridotto male… ti abbiamo operato il ginocchio e ricucito la ferita in testa. Non saresti sopravvissuto a lungo nel bosco” rispose Wakatoshi.

“Mi rendo conto che vorresti tornare dai tuoi amici” riprese “ma a breve anche loro saranno qui… purtroppo dovremo tenervi in quarantena per accertare che le radiazioni non abbiano compromesso le vostre funzioni vitali, ma poi potrete vivere qui tutti insieme al sicuro, protetti dalla Montagna” la voce di Ushijima era sempre monocorde, ma era evidente uno sforzo ulteriore per apparire convincente.

“Ci tenete così tanto a farci stare al sicuro che ci avete lanciato addosso una nube acida, capisco...” commentò Tooru, tristemente sarcastico.

Wakatoshi non rispose e si avvicinò al liquido della flebo, osservando attentamente per qualche istante le gocce trasparenti che scendevano nel tubicino in un lento stillicidio.

“Vorrei che tu capissi che senza di noi saresti morto. Ci devi la vita, e se vorrai collaborare potrai continuare a viverla qui in tranquillità… la nostra comunità è molto unita e verrai accolto con rispetto se ne rispetterai le regole. Anche i tuoi amici potranno vivere qui e smettere di convivere col pericolo là fuori”.

Tooru non riusciva a credere completamente a quelle parole. Ushijima era ragionevole, aveva uno sguardo sicuro e un tono controllato, ma era quel tipo di controllo calcolato, che lasciava intravedere una freddezza manipolatrice dietro lo sguardo privo di calore.

 

 

Hajime aveva perso la cognizione del tempo già da un po', e il rumore dei suoi stessi passi iniziava a confonderlo, rimbombando in ogni direzione. Sentiva Issei e Takahiro sussurrare tra loro alle sue spalle, anche se non riusciva a distinguerne le parole. Andava avanti come un treno, proiettato unicamente verso l'obiettivo di trovare Tooru al più presto.

Improvvisamente si fermò di colpo, addossandosi alla parete. Alzò l'indice davanti alle labbra, intimando il silenzio agli altri due.

Dei passi pesanti si stavano dirigendo nella loro direzione.

Poco più avanti le pareti della grotta si distanziavano tra loro formando una sorta di piccola piazza sotterranea, illuminata da numerose torce rilucenti di fuoco vivo.

Hajime, Issei e Takahiro si appiattirono ulteriormente contro la parete, approfittando del cono d'ombra per cercare di non farsi individuare dai nuovi arrivati: tre uomini dall'aspetto selvaggio e terribile fecero la loro apparizione a pochi metri da loro, emettendo ringhi di soddisfazione e strani versi gutturali che parevano pallide imitazioni di parole.

Tutti e tre avevano il viso per metà o totalmente nascosto da maschere di osso, e uno di loro aveva un'orribile deformazione sporgente che gli deturpava lo zigomo lasciato scoperto; quest'ultimo portava sulle spalle quello che sembrava un uomo privo di sensi e quasi completamente nudo.

Hajime non riusciva a distinguerne il volto, e il suo cuore iniziò a battere così violentemente da fargli male: solo quando il mostro lasciò cadere a terra il suo fardello potè vederne il viso illuminato a malapena dalla torcia, e tirò suo malgrado un flebile sospiro di sollievo nell'individuare tratti sconosciuti in quello che aveva ormai capito essere un cadavere.

Nessuno dei tre si aspettava la scena che si trovarono davanti, e Hanamaki trattenne a fatica un conato di vomito: due dei tre esseri spaventosi iniziarono a tagliare a pezzi e sbranare il malcapitato, contendendosi le parti migliori come se si trattasse di bistecche qualsiasi. Il terzo rimase in disparte ad affilare la spada simile ad una scimitarra che portava al fianco, eclissandosi dallo spargimento di sangue che stava avvenendo a pochi passi da lui.

“Cosa facciamo?” sussurrò Issei, mentre sorreggeva un pallidissimo Takahiro che sembrava sul punto di crollare.

“Torniamo indietro, troveremo un altro accesso” rispose Iwaizumi, con un'ombra di frustrazione nella voce.

 

Hajime stava per voltarsi e tornare sui suoi passi quando qualcosa attirò la sua attenzione: il selvaggio solitario portava agganciato ai vestiti scuri e consumati un oggetto che lui conosceva bene, come una sorta di trofeo di caccia. Era l'orologio di Tooru, e l'avrebbe riconosciuto tra mille. Gli era stato regalato dal padre che l'aveva ricevuto dal nonno, che a sua volta l'aveva ottenuto da un illustre antenato che aveva fatto parte dei prescelti della prima spedizione sull'Arca, e Oikawa ne era sempre stato orgoglioso.

Come era finito nelle mani di quegli individui dall'aspetto inquietante e dalla dieta discutibile? Hajime si rifiutò categoricamente di pensare che Tooru avesse avuto la stessa sorte della portata principale del pasto dei due energumeni ma rimase immobile, lo sguardo rapito dal luccichìo del quadrante dell'orologio.

Matsukawa gli sfiorò la spalla, invitandolo a seguirlo a ritroso nella grotta insieme ad Hanamaki.

“Andate verso l'uscita, io vi raggiungo. Se quando sarete fuori non mi vedete tornare entro dieci minuti tornate al campo” sussurrò Hajime, stringendo i pugni.

“Non fare cazzate, Iwaizumi” rispose l'ex collega, contrariato “a Oikawa non servirà a nulla se ti fai ammazzare da dei cannibali qualsiasi”.

Hajime tolse la sicura al fucile, ignorando le sue parole.

“Come vuoi, amico. Non posso impedirtelo, ma posso fornirti un fuoco di copertura se proprio vuoi fare l'eroe mettendoti contro tre mostri...” sospirò Issei, facendo per togliere la sicura a sua volta.

“E metteresti in pericolo Takahiro? Saprò estorcere a quel tizio l'informazione su dove ha trovato l'orologio di Tooru e lo salverò, ovunque sia. Grazie per avermi accompagnato fin qui.” concluse Hajime, senza lasciare a Matsukawa il tempo di rispondere e gettandosi in avanti, uscendo allo scoperto.

Issei lo insultò mentalmente, odiandolo per averlo costretto a scegliere tra lui e Hanamaki, che in quel momento cercava di farsi forza ma era ancora pallidissimo, lo stomaco scosso da spasmi per la vista del corpo martoriato e sbranato davanti ai suoi occhi.

 

Hajime sparò tre colpi in rapida sequenza: il primo centrò l'uomo dal viso deforme a una tempia, uccidendolo sul colpo mentre era concentrato sul suo pasto. Il secondo mancò di pochi centimetri l'altro energumeno intento a mangiare, che si era spostato appena in tempo alla vista del compagno che cadeva in avanti, a faccia in giù nel sangue altrui.

Questi gli si gettò addosso, buttandolo a terra e facendogli perdere la presa sul fucile.

Iwaizumi iniziò a difendersi con tutto ciò che aveva, cercando di schivare i fendenti del coltello ricurvo ancora sporco di sangue, stordito dal fetore nauseante a metà tra l'odore di selvatico e quello di putrefazione avanzata.

Che avesse sbagliato a mandare via Issei e Takahiro? Non si sarebbe mai perdonato se li avesse messi in pericolo, ma chi avrebbe salvato Tooru se lui fosse morto lì, in una stupida grotta per mano di un abominio della natura che si cibava di altri esseri umani?

Le grandi mani sudice del cannibale si strinsero intorno alla sua gola.

“Che modo stupido per morire” pensò, mentre il suo sguardo si appannava.

 

Poi la stretta si allentò, e una lama metallica ricurva simile a una scimitarra squarciò l'uomo da parte a parte: Hajime rotolò di lato, appena in tempo per non esserne schiacciato ed essere trafitto a sua volta come un macabro spiedino.

Quando capì di essere stato salvato dal terzo componente del gruppetto, quello che era rimasto in disparte tutto il tempo, spalancò gli occhi dallo stupore.

Tuttavia non sembrava che questi gli avesse evitato una morte certa con cognizione di causa, o almeno non per ottenere la sua gratitudine: dalla gola gli usciva uno strano verso gutturale mentre teneva la spada ferma davanti a sé, minacciandolo. L'orologio di Oikawa appeso ai suoi vestiti scintillava alla luce delle torce.

Si studiarono a vicenda, immobili.

Lo strano individuo sembrava diverso dagli altri: i suoi vestiti erano meno rovinati, il viso non era deturpato da sporgenze deformi e gli zigomi erano decorati da pitture simili a quelle dei terrestri che avevano attaccato il campo. Il lato destro del suo viso era ornato da una mandibola – presumibilmente di lupo – simile ad una mezza maschera. I suoi capelli erano corti e chiari, probabilmente di un biondo acceso sotto uno strato di sudiciume, con due segni simili a graffi all'altezza delle tempie.

L'unico aspetto che lo accomunava ai suoi due compagni erano le profonde ombre scure sotto gli occhi e lo sguardo carico d'odio e di una sorta di fame atavica; solo in seguito Hajime avrebbe capito che si trattava di astinenza, e che quei tre uomini, originariamente terrestri come gli altri, erano andati incontro a quella terribile involuzione a causa di una droga concepita proprio dagli abitanti della montagna a cui lui stesso avrebbe voluto chiedere aiuto solo pochi giorni prima.

 

Il terrestre rimase per qualche istante ancora a fissarlo, poi confermò la sua paura: evidentemente aveva deciso di far sì che l'altro lo risparmiasse perché avrebbe voluto uccidere Hajime personalmente, probabilmente per placare quella sete di sangue che gli accendeva lo sguardo di un bagliore sinistro. La sua spada tagliò l'aria a pochi millimetri da Iwaizumi, che si era spostato appena in tempo. Non aveva speranze di recuperare il fucile: i colpi del suo avversario erano troppo rapidi e incalzanti, guidati da una rabbia incontenibile.

Poi Hajime si rese conto di aver indietreggiato troppo, e che dietro di lui c'era solo la nuda pietra della grotta. Era in trappola, di nuovo.

Cercava di non distogliere lo sguardo dagli occhi neri dell'avversario, per capire e anticipare la sua mossa successiva. Aveva una bassissima probabilità di successo e una minima possibilità di riuscire a schivare l'attacco, ma nel momento in cui il terrestre fuori controllo alzò la spada per colpirlo con un fendente dall'alto non riuscì a evitare di portare istintivamente le braccia sopra la testa, come se potesse davvero servire a qualcosa.

La missione solitaria di Hajime sembrava condannata ad essere un totale fallimento: il terrore che fosse successo qualcosa di terribile a Tooru gli ottenebrava la mente e continuava a distrarlo, portandolo a fare evitabili passi falsi. Non era ancora morto solo per pura fortuna, se ne rendeva conto. Ma non poteva andare così per sempre, e alla fine il suo momento sembrava essere arrivato, deciso ineluttabilmente dal rapido movimento della spada che calava su di lui.

Perché era stato così idiota da allontanare Issei e Takahiro? Perché aveva preteso di fare tutto da solo, nonostante il suo stato emotivo?

 

Poi, come una risposta, il fischio e lo scoppio di uno sparo risuonarono nella grotta.

La scimitarra cadde a terra con gran fragore, e il terrestre emise un ringhio di dolore portandosi la mano sinistra al braccio destro, che sanguinava copiosamente. Il proiettile l'aveva attraversato da parte a parte. Un altro proiettile lo colpì di striscio a una gamba.

Quindi si girò, concentrando la sua attenzione e il suo odio sul nuovo arrivato, che emerse dall'ombra con la canna del fucile ancora fumante.

Hajime non perse tempo a stupirsi per il ritorno di Matsukawa e scivolò di lato, per poi recuperare la sua arma e abbattere il calcio del fucile con tutta la sua forza sulla nuca del terrestre, mettendolo fuori combattimento. Aveva finalmente ripreso lucidità e ringraziò Issei stringendo forte la mano che gli tendeva, rievocando i ricordi dell'addestramento militare che avevano condiviso.

Takahiro apparve alle sue spalle: il suo colorito era migliorato e sembrava essersi ripreso dallo choc, anche se cercava di non guardare l'orribile spettacolo che ancora ingombrava gran parte del pavimento della grotta.

“Che ne dite di darmi una mano a trasportarlo altrove?” chiese Iwaizumi, a cui evidentemente era venuta un'idea. Il suo sguardo aveva acquisito una strana sfumatura di freddezza e calcolo che raramente Issei gli aveva visto assumere, se non nel periodo dopo l'arresto di Tooru sull'Arca.

“Cosa vuoi fare, Hajime?”

“Interrogarlo” rispose, con tono pratico.

 

 

“Quando potrò alzarmi?” chiese Tooru, cercando di controllare la sua voce.

Sentiva montare una strana rabbia che emergeva dalla confusione indotta dai medicinali, ma non poteva permettersi di mettersi subito contro quell'Ushijima, che sembrava avere il coltello dalla parte del manico.

“Quando lo riterremo opportuno. Fino ad allora comportati bene e vedrai che non dovrai più preoccuparti di nulla” rispose Wakatoshi, fintamente affabile.

“Quindi dovrei stare qui immobile mentre i miei amici muoiono? Mi sento più un prigioniero che un paziente, effettivamente...” non riuscì a evitare di dire Tooru, con sguardo di sfida.

“Vedo che nello spazio non vi insegnano la fiducia, la gratitudine e neppure l'educazione… ma evidentemente sei ancora sotto choc”

Ushijima tirò fuori una siringa piena di un liquido incolore, senza aggiungere nulla.

“E quella… cosa dovrebbe essere?” chiese Oikawa, allarmato e sulla difensiva.

“Solo un piccolo aiuto per tranquillizzarti e farti comportare meglio” fu la risposta, e gli argini della rabbia di Tooru cedettero di schianto. Con le poche energie residue e la forza della disperazione si strappò la flebo e alcuni tubicini di dosso, e con il braccio libero colpì quello di Wakatoshi, prendendolo di sorpresa e facendo cadere a terra la siringa, mandandola in frantumi.

“Pensi di ottenere qualcosa così?” chiese Ushijima, imperturbabile nonostante tutto.

Oikawa era esausto. Gli era bastato quell'attimo di ribellione per risvegliare il dolore moltiplicato per mille, e un fastidiosissimo giramento di testa iniziò ad ottenebrargli i sensi.

Senza scomporsi, Wakatoshi tirò fuori un'altra siringa e questa volta Tooru non riuscì ad opporre resistenza.

Il nero avvolgente lo accolse, di nuovo.

 

Al risveglio era solo, e la sua testa pulsava in modo insopportabile.

Cercò nuovamente di muoversi, sentendo le mani formicolare sotto le coperte e una strana sensazione di costrizione: quando aprì gli occhi del tutto ne comprese il motivo.

Il bastardo l'aveva fatto legare al letto, perché non si togliesse nuovamente la flebo dal braccio.

O forse perché era effettivamente un prigioniero.

Tooru fissò sconsolatamente il soffitto bianco per qualche istante, cercando di inghiottire le lacrime di rabbia e impotenza che spingevano per venir fuori.

Cosa avrebbe dovuto fare?

Concentrandosi nel tentativo di mantenersi lucido, Oikawa notò solo in quel momento che le pareti non erano totalmente bianche: alla sua sinistra, sul muro dietro il carrello della flebo e gli insopportabili apparecchi che monitoravano i suoi segnali vitali, campeggiava una grossa tela dipinta che raffigurava una scena agreste illuminata dal sole del mattino.

I colori gli facevano quasi male agli occhi in tutto quel bianco, e la consapevolezza di non poter tornare nel mondo esterno gli fece ancora più male.

Dov'era Hajime in quel momento? Lo stava cercando? Lo avrebbe davvero rivisto? Un'ondata di nausea lo travolse, e dovette chiudere gli occhi e stringere i denti per cercare di controllarsi.

Doveva pensare, e doveva pianificare attentamente le sue mosse.

Avrebbe dovuto farsi violenza e fingere di piegarsi alla volontà di quell'Ushijima, in modo da essere liberato da quella maledetta stanza. Poi avrebbe trovato un modo, sarebbe fuggito e avrebbe raggiunto Hajime e gli altri. Ce l'avrebbe fatta, a costo di rischiare ogni cosa.

 

 

Issei e Takahiro si scambiavano sguardi allarmati già da un po': Iwaizumi stava torchiando il terrestre da almeno tre ore senza ottenere alcuna risposta comprensibile, e ai loro occhi l'amico stava diventando sempre più irriconoscibile.

Avevano trascinato il prigioniero in una sorta di baracca che avevano trovato nascosta tra le fronde, a breve distanza dal cunicolo dal quale erano usciti (che non era lo stesso da cui erano entrati, il che li convinse che si trattasse di un vero labirinto, da non riaffrontare alla leggera).

Matsukawa aveva aiutato Iwaizumi a legarlo, ma poi quest'ultimo aveva voluto essere lasciato da solo con il terrestre.

Da quel momento una sorta di alter ego si era impossessato di lui: Hajime era sempre stato un po' irascibile, ma non ricevere alcuna risposta intelligibile dal prigioniero unito alla consapevolezza del tempo che passava senza sapere cosa fosse successo a Oikawa lo aveva trasformato in una furia. Issei ad un certo punto decise di fermarlo, perché temeva seriamente che l'amico uccidesse l'unica possibile fonte di informazioni, spinto dalla rabbia e dalla disperazione.

In realtà Hajime era stato irriconoscibile fin dall'inizio di quella tremenda giornata: sembrava che la scomparsa di Oikawa lo avesse trasformato in un'altra persona, incapace di pensare lucidamente e di controllare la sua rabbia.

Quando Matsukawa aveva tentato di fermarlo, Iwaizumi si era girato, fermando il pugno a mezz'aria con le nocche già imbrattate di sangue, e per un attimo nei suoi occhi aveva visto riflesso l'orlo del baratro della follia.

Quello sguardo aveva fatto paura anche a Issei, tanto da fargli temere seriamente per un attimo che Hajime alzasse le mani anche su di lui.

 

Il prigioniero era legato a un pilastro, con il volto tumefatto e un sottile rivolo di sangue che colava da un lungo taglio superficiale sul petto. Continuava ad emettere un ringhio sommesso tra i denti, come una bestia selvatica e indomabile.

“So che parli la nostra lingua, bastardo! Sei uno dei loro guerrieri e sicuramente capisci quello che ti sto dicendo!” riprese a urlare Hajime, fuori di sé. “Dove hai trovato questo orologio? Dove cazzo è Oikawa?”

Fu in quel momento che senza preavviso il terrestre sbarrò gli occhi e si piegò su sé stesso, iniziando a schiumare dalla bocca.

 

Takahiro entrò in quel momento per controllare cosa stesse succedendo: il prigioniero stava rischiando di soffocare, ma la cosa non sembrava dipendere dalle botte assestategli da Hajime e nemmeno dalla perdita di sangue dal braccio, che lui stesso aveva aiutato a tamponare perché la loro unica fonte di informazioni non perdesse i sensi prima di aver fatto il suo dovere.

Hanamaki aveva studiato per fare l'infermiere sull'Arca. Non aveva finito gli studi solo perché aveva passato l'ultimo anno in confinamento, ma capiva comunque qualcosa di primo soccorso: per questo disse agli altri due di slegarlo dal pilastro e metterlo sdraiato per terra su un fianco, perché non si soffocasse.

 

Fu quando Issei seguì il suo consiglio (nonostante le proteste di Iwaizumi, che insistette per legargli nuovamente le mani dietro la schiena) che Takahiro notò un grosso ematoma su un lato del collo, prima nascosto dai vestiti; si avvicinò ben oltre la distanza di sicurezza (Issei per un istante temette che il terrestre si svegliasse e staccasse il naso del suo ragazzo a morsi e rabbrividì per la sua stessa immagine mentale) e notò dei fori ancora non cicatrizzati che sembravano causati dall'ago di una grossa siringa.

“Ora capisco… qualcuno deve avergli somministrato una droga o una dose di un veleno non letale che dà dipendenza… ecco perché sembrava come se fosse in astinenza” commentò Hanamaki, che aveva convissuto per anni con la madre dipendente dai medicinali (che vivendo in una zona ricca dell'Arca si faceva consegnare sottobanco senza problemi, scavalcando tutte le leggi in merito) e sapeva di cosa stava parlando. Per un istante riportò alla mente alcuni flash del suo passato che aveva cercato di chiudere fuori fino a quel momento, e scosse la testa come a scacciarli.

Non era proprio la stessa cosa, ma l'atteggiamento di base era lo stesso: il volto trasfigurato, la rabbia, l'irrazionalità, le crisi come quella che l'aveva uccisa e aveva lasciato Takahiro da solo a quindici anni, troppo orgoglioso per chiedere aiuto al padre, che aveva abbandonato lui e la madre anni prima. Da quel momento si era aggrappato a Issei con tutte le sue forze: le spalle del suo ragazzo erano abbastanza forti per sostenere anche lui, la sua innata calma e la perfetta alchimia dei loro caratteri gli avevano permesso di sopravvivere negli ultimi anni, anche se poi qualcosa era andato storto.

Non voleva ripensare anche a quello, quindi prese un paio di respiri profondi e svuotò la mente, tornando alla realtà. Il terrestre aveva iniziato a muoversi, come in preda ad una crisi epilettica; avendo perso tanto sangue forse l'effetto dell'ipotetica droga stava avendo conseguenze imprevedibili.

“Dobbiamo solo aspettare che passi, sperando che non si faccia troppo male nel frattempo” rispose agli sguardi confusi e allarmati degli altri due, che non riuscivano a comprendere come Hanamaki potesse essere così lucido in un momento del genere, considerando che poco prima era terrorizzato dal terrestre, ricordando lo scempio che i suoi compagni avevano fatto nella grotta.

 

Il prigioniero si agitò ancora per un po', poi chiuse gli occhi e rimase immobile, privo di sensi.

 

Vicino al fuoco scoppiettante fuori dalla baracca nel fresco della sera, Hajime passò tutto il tempo del loro misero pasto in silenzio. Matsukawa aveva rimediato un paio di piccole lepri lì intorno e Hanamaki aveva cercato di cucinarle alla meglio, anche se la carne era per metà cruda e per metà bruciacchiata.

Iwaizumi era rimasto in disparte, perso nei suoi pensieri.

Stavano perdendo tempo.

Stavano perdendo ore preziose.

Oikawa era sicuramente in pericolo e lui era lì, incapace di decidere la mossa successiva.

Oikawa poteva essere morto o in punto di morte e lui non sapeva nulla.

L'unico modo per sapere qualcosa era ricavare informazioni dal prigioniero, al momento fuori combattimento e forse ridotto in uno stato tale da essere totalmente inutile al suo scopo.

Hajime non si era mai sentito così male. La testa gli pulsava fortissimo, scatenandogli ondate di nausea crescenti che lo convinsero a lasciare da parte quasi completamente la sua lepre, dopo essersi sforzato di inghiottirne qualche boccone.

Issei e Takahiro cercavano di continuare a parlare e coinvolgerlo nei loro discorsi, con scarsi risultati. Sembrava di vedere il lento decadere di una pianta privata all'improvviso della luce del sole: quello significava Oikawa per lui, perché così era sempre stato.

Quando i due andarono a dormire, accoccolati l'uno all'altro sul pavimento di legno consumato e crepato, Hajime rimase di guardia.

Con sguardo fisso sul terrestre riverso a terra con le mani legate, l'ex guardia dell'Arca perse rapidamente la cognizione del tempo. I minuti gli scorrevano addosso come un lento e doloroso stillicidio, mentre la sua mente nel silenzio lavorava per immaginare scenari che si arricchivano progressivamente di particolari sempre più terribili.

Non si rese nemmeno conto del momento in cui le sue elucubrazioni si trasformarono in incubi, lasciandolo scivolare nel sonno per la prima volta durante un turno di guardia.

 

Lo svegliò di soprassalto un fruscìo a poca distanza da lui: il terrestre si era svegliato e stava cercando con pochi risultati di raggiungere gli avanzi della sua lepre ormai gelida, strisciando sul pavimento come un grosso e scoordinato rettile.

Hajime si alzò e raccolse l'oggetto del desiderio del prigioniero, allontanandolo dal suo raggio d'azione.

“Non avrai nulla se non mi dirai dove hai trovato quel maledetto orologio” sussurrò con rabbia Iwaizumi.

“L'ho… trovato” rispose con voce roca e profonda il terrestre, con un accento stentato.

“E dove l'avresti trovato?” chiese Hajime, ansioso.

“L'ho trovato… nella montagna. Prima del Rosso.” bofonchiò il terrestre, rotolando su sé stesso per cercare di mettersi seduto.

“Nella montagna? E hai visto chi indossava quell'orologio?”

“Non ricordo nulla dopo... il Rosso” evitò la domanda il terrestre. Nonostante la penombra era evidente che fosse cambiato qualcosa nel suo sguardo, come se nel suo cervello si fosse sbloccato un meccanismo e l'effetto della droga stesse lentamente scemando.

“Cosa cazzo è 'il Rosso'? Dov'è Tooru?” insistette Hajime, anche se gli sembrava di lottare coi mulini a vento.

“Il tuo amico è sicuramente stato preso dentro la montagna. Gli uomini della montagna sono malvagi” disse il terrestre, ripetendo inconsapevolmente le parole che Hajime aveva già sentito da Shoyo.

“Tu chi sei? Come sei arrivato nella montagna?” si trovò a chiedere Iwaizumi, ricordando che non aveva ancora scoperto nemmeno l'identità del prigioniero.

“Sono Kyotani kom Trikru” rispose a voce bassa, poi si prese qualche minuto prima di riprendere a parlare “mi hanno attaccato mentre cacciavo nella foresta con i miei fratelli e mi sono svegliato nella montagna. Poi mi hanno dato il Rosso. E poi non ricordo niente” ripiombò quindi nel mutismo, tornando a fissare la lepre mezza carbonizzata.

“Ok, puoi mangiarla” sospirò Hajime, avvicinandogli la carcassa ancora piena di carne “però prima dimmi se potresti aiutarmi a entrare nel posto dove vivono questi 'uomini della montagna'”

Kyotani si ritrasse, come se la paura di essere sottoposto di nuovo alla tortura del “Rosso” fosse più potente della fame.

“Non vuoi vendicarti di quello che ti hanno fatto gli uomini della montagna, Kyotani?” chiese Iwaizumi, giocando la sua ultima carta “Se mi aiuterai a salvare Tooru io ti aiuterò ad avere la tua vendetta... o vuoi che il tuo popolo soffra ancora a causa delle loro azioni?”.

Il terrestre sembrò pensarci per qualche istante, poi acconsentì con un cenno.

Hajime lo slegò, permettendogli di mangiare agevolmente.

Forse aveva una nuova speranza.

 

 

All'accampamento, intanto, era in corso una discussione tra i superstiti su quale fosse il modo migliore per spartirsi tra la nuova baracca quasi ultimata e il bunker appena scoperto, di cui ormai erano tutti a conoscenza.

Tsukishima non stava ancora bene del tutto, ma aveva riconosciuto il suo errore e appena ripresi i sensi aveva ringraziato Sugawara, che comunque non lo aveva rimproverato per la fuga né per aver tenuto tutti all'oscuro di quel luogo. Solo Kageyama aveva avuto qualcosa da dire, ma era bastato uno sguardo di Daichi per spegnere la sua polemica sul nascere; in ogni caso Shoyo non era ancora diventato un bersaglio per coltelli da caccia, quindi probabilmente il nervosismo di Tobio sarebbe sfumato in fretta.

Tutta la giornata fu impiegata per prendere una decisione: molti erano preoccupati che l'accampamento costituisse un obiettivo sensibile e in pochi si offrirono volontari per restare lì, anche se qualcuno avrebbe dovuto restare a fare la guardia alla navicella (che comunque conteneva la radio rudimentale di Tooru e alcune apparecchiature che potevano ancora essere riparate, oltre ad un piccolo ospedale da campo dove far rimanere ancora per un po' i pochi feriti che non potevano affrontare la discesa dalla scala a pioli del bunker).

Nishinoya fu il primo a offrirsi volontario per restare, seguito comprensibilmente a ruota da Asahi: al più piccolo sembrava di tradire il sacrificio di Tanaka, che si era fatto catturare per proteggere quell'accampamento. Inoltre se fosse riuscito a liberarsi e tornare, Yuu non voleva rischiare che Ryuu non trovasse nessuno al campo.

Koushi disse che avrebbe fatto la spola tra le due basi, per poter tenere d'occhio tutti i feriti allo stesso modo. Aveva di nuovo un'ombra scura sotto gli occhi, e Daichi non sapeva più come fare a placare quel suo continuo sentirsi responsabile di tutto e tutti, se non con la sua vicinanza.

Kuroo non sapeva che fare: se da una parte voleva restare con Kenma e il luogo più sicuro era indubbiamente il bunker, dall'altro stava iniziando a preoccuparsi per Bokuto: erano passate troppe ore e non era ancora tornato, e nonostante la sua inguaribile incoscienza Koutaro non avrebbe mai avuto deliberatamente un comportamento simile.

Alla fine decise che prima di trasferirsi definitivamente nel bunker con Kenma avrebbe fatto un giro di esplorazione nei dintorni: sperava di trovare Bokuto perso nel bosco o addormentato in qualche cespuglio, in modo da escludere che gli fosse successo qualcosa. Dopo la notizia di Tooru e la partenza di Hajime, Issei e Takahiro, Tetsurou non riusciva a stare tranquillo.

 

Quando Kuroo espresse ad alta voce la sua intenzione, lo sguardo di Kenma lo trafisse, portando con sé una richiesta inespressa.

“Non se ne parla. Non ti porto con me a cercare Bokuto, chissà dove diavolo è andato a ficcarsi quel cretino… se ti mettessi a rischio per colpa sua potrei non perdonarlo” disse Tetsurou, rispondendo all'evidente intenzione del più piccolo.

“Mi sembrava che tu mi avessi fatto una promessa” rispose Kenma, incrociando le braccia “ti ho detto che non sopporto di essere trattato come un oggetto di cristallo solo perché una volta non sei riuscito a proteggermi. Non ti lascerò andare da solo e ti dimostrerò di essere perfettamente in grado di rendermi utile… oppure dedurrò che non ti fidi di me, e allora potrei fingere deliberatamente di non conoscerti” disse tutto d'un fiato, con il suo migliore tono passivo aggressivo.

“Non ti ritenevo capace di certi colpi bassi” scoppiò a ridere Kuroo, facendo sfumare la tensione “E va bene, però devi starmi vicino e se c'è qualche problema devi scappare verso il bunker alla velocità della luce, ok?”

“Va bene” rispose Kenma, celando la soddisfazione per quella piccola vittoria personale.

 

Tetsurou prese una pistola e due interi caricatori: se doveva proprio correre rischi in presenza di Kenma allora era meglio partire preparati e vendere cara la pelle. Kenma tirò fuori da dentro la cintura un fodero di pelle, che nascondeva un coltello lungo circa quindici centimetri.

“E questo da dove salta fuori?” chiese Kuroo, curioso.

“Me l'ha regalato Shoyo… qualche giorno fa abbiamo parlato a lungo, e quando gli ho detto che ero preoccupato per te a caccia nella foresta mi ha dato questo” lo rinfoderò, sorridendo impercettibilmente al pensiero del suo nuovo amico. Tetsurou rimase sorpreso, ma non lo diede a vedere.

I due camminavano nella foresta fianco a fianco, le mani che si sfioravano di continuo. Avevano deciso di andare subito verso il lago, perché era il posto preferito di Koutaro e sicuramente doveva essere passato di lì.

Entrambi erano in silenzio: tutti e due avrebbero voluto dire qualcosa sul bacio che si erano scambiati pochi giorni prima, ma l'attacco e l'incendio gli avevano impedito di chiarirsi in precedenza e ora non c'era modo di tirar fuori il discorso in modo naturale. Il silenzio nel bosco era interrotto solo dal canto degli uccelli, che intonavano accordi armoniosi alternati a versi striduli simili a urla.

 

Quando giunsero al lago, Kenma si avvicinò subito ad una delle rocce sporgenti sull'acqua: aveva visto qualcosa.

Kuroo lo raggiunse in fretta, e notò una serie di macchie rosso scuro ormai secche sul terreno.

“...sangue?” si rabbuiò Tetsurou, iniziando a maledirsi per essere stato così arrendevole con Kenma poco prima. Portò la mano al calcio della pistola, pronto a difendersi da qualsiasi attacco.

“E se fosse il succo di queste bacche?” chiese il più piccolo, porgendogliene una manciata. Kuroo dopo averne assaggiata una toccò una delle macchie e portò un dito alla bocca, verificando l'esattezza dell'ipotesi di Kenma.

“Pensi che qualcuno di nostra conoscenza se ne sia fatto una scorpacciata, vero?” chiese Kozume, e Tetsurou annuì. “Torniamo al campo a mostrarle a Shoyo, sicuramente sa di cosa si tratta” riprese il biondino, prendendo per mano istintivamente il più grande e tornando sul sentiero, con gli occhi che brillavano per la sua scoperta.

 

“Oh. Se il vostro amico ha mangiato queste al momento potrebbe essere ovunque” disse Shoyo, mordendosi un labbro “queste bacche non sono pericolose, ma fanno vedere cose che non esistono… una volta uno del mio villaggio ne ha mangiato un secchio intero e ha inseguito con arco e frecce per giorni e notti un enorme uccello rosa con tre zampe che vedeva solo lui. Beh, è stato abbastanza divertente” concluse con un mezzo sorriso, felice di essersi reso utile.

 

 

Bokuto si era svegliato ormai da diverse ore, e si era ritrovato su un letto vero.

Lo smarrimento iniziale si era rapidamente trasformato in terrore quando si era reso conto di essere da solo in un posto sconosciuto.

Dapprima aveva pensato di essere ancora sull'Arca: e se fosse stato tutto un sogno fin dall'inizio? Poi si rese conto di non essere circondato da paratie metalliche come sulla stazione orbitante: appena la sua vista si rimise a fuoco riconobbe pareti bianche e una porta metallica, con una piccola finestrella di vetro. Nessuna finestra invece dava sull'esterno, e la cosa lo mise a disagio ricordandogli i primi tempi della sua prigionia.

“Ti sei svegliato?” chiese una voce, appartenente a un ragazzo all'incirca suo coetaneo che fece capolino dalla porta, indossando una mascherina e un camice.

“...chi sei? E dove mi trovo?” chiese Koutaro, confuso.

“Scusami se non mi sono presentato, mi sono occupato di te durante queste ore e speravo ti svegliassi presto… mi chiamo Akaashi Keiji. Sei ospite all'interno del rifugio del monte Tsukuba e ti abbiamo salvato la vita: avevi inghiottito una grande quantità di bacche velenose, se non ti avessimo trovato saresti morto” rispose con tono dolce e paziente il nuovo arrivato.

“Oh… allora grazie per avermi salvato, Akaashi. Io mi chiamo Bokuto Koutaro” sorrise, imbarazzato e improvvisamente stregato dagli occhi di Keiji, di un blu scurissimo.

“Spero che non ti dispiaccia restare in questa stanza per qualche giorno: qui ci troviamo in un ambiente protetto dall'equilibrio molto fragile, quindi vogliamo prima verificare che tu non sia contaminato dalle radiazioni esterne… però appena finiremo di farti le analisi potrai esplorare tutta la nostra base. Penso che ti piacerà, è come una grande famiglia” continuò Akaashi, mentre sistemava la sacca ormai vuota di una flebo che Koutaro non si era accorto di avere. Rivolse uno sguardo interrogativo a Keiji, che spiegò: “Sono solo principi nutritivi… per farti riprendere in fretta. Dev'essere stata dura vivere là fuori, vero?” aggiunse, concludendo il suo lavoro con la sacca.

“Non sai quanto… sono sulla Terra da meno di una settimana e ho rischiato di morire almeno venti volte! La fuori ci sono selvaggi e guerrieri che si arrabbiano un po' troppo facilmente per i miei gusti” rispose Koutaro, sospirando “I miei amici dove sono? Stanno bene?” chiese ancora, ricordando che si era allontanato dal campo semidistrutto senza avvisare.

“I tuoi amici stanno bene… presto saranno qui anche loro, ora ti conviene riposare per recuperare le forze” gli sistemò le coperte Keiji, come se lo conoscesse da anni e non da pochi minuti.

 


Nuovo anno, nuovo capitolo! E ancora niente Tanaka, visto che ho perso il controllo delle pagine e ho dovuto dividere il capitolo in due... ma la pazienza è la virtù dei forti, e l'attesa per il prossimo aggiornamento non sarà lunga, lo prometto! Spero che tutti voi abbiate passato uno splendido capodanno <3
Ringrazio in anticipo chi leggerà e chi vorrà lasciarmi qualche riga di recensione, vi amo tutti~


_Kurai_

   
 
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