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Autore: a Game of Shadows    01/01/2017    1 recensioni
Fanfiction partecipante al contest Alone in a valentine's day indetto da eleCorti sul forum efp.
Missing Moment: John Watson si è trasferito e si appresta a passare il primo San Valentino con Mary. E Holmes?
Il titolo (solo quello) è ispirato ovviamente all'omonima canzone dei Queen.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Friends will be friends.

Watson aveva lasciato Baker Street da tre mesi. Se n'era andato a fine Novembre, ed era ormai Febbraio. Probabilmente sarebbe stato sorpreso se avesse saputo che, nonostante non stesse seguendo alcun caso, Holmes fosse stato in grado di seguire il calendario.
Non lo vedeva da un po', ormai. L'ultima visita era avvenuta per il suo compleanno, il 6 Gennaio, ma essendo anche una festività, non era rimasto molto. Era tornato a casa a festeggiare l'epifania con lei.
Non aveva scartato il suo regalo. Non gli interessava cosa fosse e gli aveva esplicitamente detto che non doveva portargli nulla. Non aveva mai dato peso a festività di alcun tipo, meno che mai al promemoria annuale dell'inevitabile avvicinarsi della morte. Da quando aveva lasciato l'appartamento per andare a pranzo con la futura moglie, difficilmente aveva dato la minima considerazione a quel pacchetto che ancora lo scrutava in modo quasi minaccioso dal tavolino.
Era dunque ormai più di un mese da quando Sherlock Holmes aveva visto il dottor Watson per l'ultima volta. Non che fossero mancati i contatti, comunque: di tanto in tanto si svegliava per trovare un telegramma sul tavolino da parte del suo vecchio amico in cui gli chiedeva se fosse tutto ok e lui stesse bene. Certo, con i preparativi del matrimonio e il suo nuovo studio in fase di avvio non aveva tempo di andare al vecchio appartamento, ma questo non significava che non si preoccupasse dell'incolumità del suo ex coinquilino.
Holmes, però, non si sentiva così confortato da quei telegrammi. Che si preoccupasse o no, Watson non era lì. Non era rimasto per il suo compleanno, non si era accertato che Holmes aprisse il regalo, non aveva neanche chiesto se gli fosse piaciuto, e soprattutto, non era più tornato a casa.
Il detective sapeva che sì, forse anche lui poteva andare a Cavendish Place di tanto in tanto, ma in fondo sia lui sia il medico sapevano che non sarebbe mai successo: il nuovo studio di Watson era al piano di sotto rispetto all'appartamento, e ciò significava che c'erano molte probabilità di incontrare lei. Se poi avesse visto che al piano di sotto c'era Holmes, sarebbe scesa comunque per assicurarsi che non fosse lì per coinvolgere il futuro marito in qualche caso. Dunque, non sarebbe mai andato, e anche Watson lo sapeva. Mai Holmes avrebbe voluto rivedere la donna che glielo aveva portato via.
Eppure provava il forte desiderio di vederlo. Dopo dieci anni di convivenza Watson era riuscito in qualche modo a contagiarlo con i suoi sciocchi e superficiali sentimentalismi. San Valentino, la festa degli innamorati. Che cosa stupida. Ciò nonostante, Holmes era seduto sulla sua poltrona, battendo nervosamente il piede a terra mentre rifletteva su cosa fare. Se conosceva Watson bene quanto credeva, avrebbe portato Mary a cena fuori e poi forse a uno spettacolo in teatro. Avrebbe organizzato la serata più romantica che poteva per la sua adorata fidanzata. E lui? Sarebbe rimasto a casa a suonare il violino, sistemare il suo archivio criminale, e se fosse stato dell'umore, avrebbe fatto qualche esperimento chimico.
Infondo, però, era masochista. In quale altro modo si potrebbe descrivere un felice tossicodipendente? Ma il suo odio per sé stesso si estendeva ben oltre il laccio emostatico e la siringa. Con un profondo sospiro, si rifugiò in camera sua per qualche minuto e quando ne uscì persino suo fratello lo avrebbe creduto solo un comune barbone.
Venti minuti dopo, era seduto come un vagabondo dall'altro lato della strada rispetto all'appartamento di Cavendish Place.
Erano passati appena cinque minuti dal suo arrivo quando vide Watson e signora uscire di casa. Oh, Watson. Sempre così metodico, sempre così prevedibile. A cena sempre alla stessa ora: alle 19 in punto a tavola, che fosse a casa o al ristorante. Erano le 18:45 circa e si stavano incamminando a piedi, dunque il ristorante era vicino. Ah, sicuramente la stava portando da Aubaine, un ristorante francese non molto distante. Era il preferito del dottore nella zona del centro. Ci andarono anche insieme una volta.
Watson e futura signora entrarono; sicuramente il buon dottore aveva prenotato un tavolo mesi prima. Avrebbe fatto di tutto pur di impressionare la sua futura moglie al loro primo San Valentino insieme.
Il ristorante aveva ogni singolo tavolo occupato, quini Holmes non poteva entrare. Non c'erano tavoli disponibili e di certo non lo avrebbero fatto entrare in quelle condizioni.
Holmes dunque percorse tutto il perimetro del ristorante, sbirciando all'interno di ogni finestra per vederli. Quando individuò la finestra giusta, si sedette a terra la fuori, osservandoli attentamente.
Era ora di cena, se fosse stato un normale umano avrebbe avuto fame, ma in realtà aveva lo stomaco chiuso e un vago senso di nausea.
Non riusciva a sentirli parlare, ma poteva leggere il loro labiale. Parlavano gioiosamente del loro matrimonio, l'organizzazione, il cibo da servire...
Perché diavolo aveva dato a John quell'anello? ...Ah, già. Quell'orribile presa di coscienza. Il non poterlo tenere a Baker Street per sempre come se fosse suo prigioniero, il dovergli consentire di vivere la sua vita come voleva. Era stata la cosa giusta da fare, infondo. Lo aveva reso libero dal legame che avevano perché potesse avere la sua famiglia. E lui era l'unico ad averne pagato il prezzo.
Sembravano così felici e così presi dalle loro decisioni da a mala pena considerare il cibo che veniva loro portato, niente più di un boccone ogni tanto. Holmes, invece, sentiva quel fastidioso bruciore allo stomaco diventare sempre più forte e risalire fino ad arrivare alla gola. Dio, avrebbe potuto vomitare alle smancerie che uscivano dalla bocca di quella donna. Avrebbero fatto venire il diabete persino alla persona più sana. Eppure John sembrava apprezzarle molto, e rispondeva a tono a quelle idiozie.Holmes aveva i brividi. Era tutto così disgustoso. Erano così orribilmente felici ed in sintonia su tutto. Ben presto avevano raggiunto svariati compromessi sia per le nozze sia per il ricevimento. E il testimone dello sposo? Ovviamente Watson fece il suo nome. Neanche un secondo di esitazione. Mary sembrava dubbiosa per via della gelosia del detective nei suoi confronti, ma il dottore vinse abbastanza facilmente. Bene! Quindi adesso Holmes era costretto non solo ad andare al matrimonio, ma persino a stare in prima fila per guardare Watson rovinarsi la vita da molto vicino. Fantastico.
Erano almeno due ore che Holmes se ne stava seduto lì a fissarli attraverso la finestra con un'involontaria espressione di disgusto sul viso e le gambe strette al petto per contrastare quell'orribile mal di stomaco. Doveva odiarsi davvero molto per obbligarsi ad assistere a quello spettacolo ripugnante. Quando si baciarono non riuscì a trattenere un verso di repulsione.
Cosa mai poteva vedere Watson in quella donna così banale, piatta, comune? Non aveva niente di speciale. Solo Londra poteva offrire migliaia di persone migliori di lei... ma nessuna sarebbe stata all'altezza del dottore. Nemmeno lui forse. Lui era troppo fuori dall'ordinario. Chissà come aveva fatto a sopportarlo per tutti quegli anni... John sì che era speciale, per questo e migliaia di altre ragioni. Lei non lo meritava. ...Neanche lui, però.
Con un sospiro rassegnato si alzò dal marciapiede e una miriade di monete caddero dal suo grembo. ...Cosa? Com'era possibile che non si fosse neanche accorto che dei passanti gli avevano lanciato delle monete? Oh, cielo, si stava rammollendo.
Se avesse lasciato lì quegli spiccioli sarebbe sembrato sospetto, dunque li raccolse, ma li abbandonò presto nel cappello di un vero barbone sulla via di casa.
Non aveva rivolto un solo sguardo in più all'interno del ristorante: si era trovato nella spiacevole situazione in cui continuare a guardare gli rendeva difficile continuare a respirare.
Arrivato a casa, gettò il suo travestimento sul pavimento e si lanciò sulla poltrona. Apparentemente, però, non ne aveva avuto abbastanza di masochismo per quella sera: quel pacchetto, quel maledetto pacchetto che da oltre un mese giaceva sul suo tavolino continuava in qualche modo a provocarlo.
Sbuffando, afferrò il pacchetto quasi come se fosse stato obbligato da qualcuno. Era relativamente leggero, non rigido ma neanche soffice. Dimensione e consistenza suggerivano della comune carta, ma mancavano copertina e retro, non era un libro. Poteva essere un manoscritto oppure, conoscendo il dottore, qualcosa di battuto a macchina. Si decise infine a scartarlo, scoprendo così cosa si trovava tra le sue mani.
Uno studio in rosso.
Il resoconto di Watson della loro prima avventura insieme, avvenuta ormai oltre una decade prima. Nei primi capitoli, Stamford che li faceva incontrare per la prima volta e l'inizio della loro convivenza.
Holmes sfogliò distrattamente le pagine, leggendo sprazzi di scritto ogni tanto. Era stato un caso molto interessante da seguire, e mai prima di allora aveva creduto che non lavorare da solo potesse essere utile e piacevole. Aveva invitato Watson a seguirlo per pura formalità, per distrarlo qualche giorno dagli incubi della guerra che molto ovviamente lo assillavano ancora, ed eccoli lì, quattordici anni dopo, a piangersi addosso perché quella persona aveva lasciato il suo fianco. Lui, che non faceva che rimproverare a Watson quanto fosse sentimentale. A giudicare dalle varie correzioni a penna sparse per le pagine, quella tra le sue mani era la prima stesura dello scritto.
Arrivato alla fine dello scritto, però, trovò qualcosa di inaspettato: una lettera ben nascosta tra le pagine, protetta da una busta che non era stata sigillata.
Beh, senza dubbio questo sconcertò il detective: lui e Watson avevano sempre parlato di tutto. Che cosa poteva essere che il dottore aveva preferito mettere su carta? Qualcosa che non avrebbe mai avuto il coraggio di dirgli faccia a faccia.
Scorse velocemente il contenuto della lettera e quelle parole che inizialmente gli fecero provare soddisfazione e compiacimento divennero amare, dolorose.
Doveva concentrarsi sul professor Moriarty e sulle informazioni dategli da Irene, e invece era lì, con un racconto sulle gambe e una lettera tra le mani, a chiedersi dove avesse mai sbagliato con Watson.
Per Sherlock Holmes, San Valentino non era più una festa insulsa: era la peggiore.

Caro Holmes,
Sono certo che capisca perché io abbia scelto di regalarle questa bozza. È stato il principio di tutto.
Non so cosa sarebbe stato di me se quel giorno non avessi incontrato Stamford. Chissà quanto a lungo mi sarei crogiolato nell'autocommiserazione, fingendo di cercare una soluzione ai miei problemi senza mai farlo davvero. Ho visto molti mie commilitoni tornare dalla guerra dilaniati, spenti, morti dentro. Molti sono morti a causa di vizi come alcool e droghe, altri si sono dati alla criminalità e all'azzardo. Questo è un vizio che io stesso mi sono lasciato alle spalle solo grazie a lei.
Mi sono chiesto spesso se non sarei stato uno di loro se quel giorno non ci fossimo conosciuti. I ricordi della guerra mi stavano ancora assillando, sono tornato a casa pieno di problemi e senza la voglia di continuare a combattere per risolverli.
Negli ultimi anni sono cambiato molto, sono riuscito a lasciarmi molti abitudini tossiche alle spalle, e di certo non l'ho fatto combattendo da solo.
Certamente non sono intelligente quanto lei, ma non sono uno stupido. So perché mi chiese di seguirla a Lauriston Garden quel 4 Marzo. Un gesto di cortesia fine a se stesso il cui scopo era distrarmi brevemente dai miei incubi a occhi aperti. Immagino che neanche lei avrebbe mai immaginato a cosa avrebbe portato chiedermi quell'unica volta se fossi interessato a seguirla. Io certamente non mi sarei aspettato niente del genere, ma sono davvero grato che l'abbia fatto.
Quel giorno lei mi ha salvato.
Ha dato una svolta alla mia vita, mi ha dato la spinta di cui avevo bisogno per rimettermi in piedi e ricominciare a combattere.
Io amo Mary e lei ama me. Mi spiace davvero che lei non sia in grado di accettarlo, ma ci sposeremo. Il mio matrimonio, però, non cambierà il rapporto che c'è tra me e lei.
Non la seguirò più nei suoi casi e ci vedremo meno spesso, ma so per certo che lei continuerà a far parte della mia vita. Non mi permetterebbe mai di sbarazzarmi di lei, e comunque non vorrei farlo.
Molte cose sono già cambiate, e molte altre cambieranno: la nostra amicizia viene messa a dura prova e ne sono consapevole. Eravamo abituati a vederci ogni giorno ventiquattr'ore su ventiquattro, il cambiamento è stato profondamente drastico e ci vorrà del tempo perché riusciamo ad abituarci alla nuova situazione, ma sono certo che ce la faremo. Abbiamo passato cose ben peggiori insieme, questo non è che un piccolo ostacolo.
Spero davvero che capisca.
Grazie di tutto, amico mio.
John H. Watson, M.D.

   
 
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