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Autore: _Akimi    01/01/2017    4 recensioni
[Murasakibara x Akashi]
"Si sbagliava. E quando gli venne diagnosticato il disturbo narcisistico di personalità il suo mondo iniziò a ruotare nella direzione opposta; cominciò a sostenere che erano gli altri a sbagliarsi, che non era possibile che ci fosse qualcosa in lui che non andava perché erano le persone che aveva attorno a non essere mai abbastanza."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Atsushi Murasakibara, Seijuro Akashi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Premessa: Ho cercato di rendere i personaggi più IC possibili, sopratutto Akashi in quanto protagonista principale di questa fanfic. Consiglio caldamente di leggere questo articolo prima di proseguire con la storia; Akashi soffre di disturbo Narcisistico di Personalità, non è un atteggiamento che si modifica nel giro di poche settimane, si parla di anni, di conseguenza la fanfic può apparire più "abbreviata."
Ho cercato di trattare l'argomento nel miglior modo possibile, ma non studio psicologia; detto questo, mi scuso in anticipo per gli errori, ma ho lasciato questa storia ferma a lungo e quindi ero "demotivata" un po'.
Amo questa coppia seppur Akashi sia il personaggio che mi piace di meno nell'universo di Kuroko no Basket.
Buona lettura!

 
 
Nárkissos

Akashi abbassò lo sguardo verso il suo orologio da polso: le lancette indicavano le ore cinque del pomeriggio e si sentì sollevato nel sapere che finalmente quei sessanta minuti di pura follia erano giunti al loro termine.
Il sole era iniziato a calare e il cielo era divenuto più scuro, ovvio segno che le strade da lì a poco si sarebbero riempite di macchine e Akashi non voleva ritardare il suo rientro a casa per colpa del traffico; non che fosse particolarmente interessato a tornare nel suo appartamento, ma qualsiasi posto sarebbe stato un'ottima alternativa a quello studio buio e soffocante.
Non sapeva neppure perché si era lasciato convincere, era banale dire che lo faceva più per gli altri che per sé stesso poiché non trovava difetti nel suo carattere e amava essere ciò che era: un uomo brillante al lavoro, con ottimi risparmi in banca e una casa in cui ritornare; non gli mancava nulla, erano le persone attorno a lui a creare inutili problemi e a preoccuparsi di faccende altrettanto futili.
Murasakibara era stato l'unico a non dirgli nulla, non lo criticava mai e, sempre se lo faceva, non temeva di dire qualcosa che potesse offenderlo; era troppo spontaneo per mascherare le sue idee e forse era questo ciò che Akashi apprezzava di più di lui.
Ormai convivevano da un paio di anni assieme, ma la loro relazione non aveva avuto una particolare evoluzione da quando entrambi avevano accettato di provare dei sentimenti reciproci; Akashi la considerava una banalità, quella di rientrare a casa e di vederlo sdraiato sul loro divano, ed ora che discuteva con uno specialista della sua vita, iniziava a rendersi conto che il loro non era mai stato un normale rapporto.
Akashi non dava mai nulla in cambio, Murasakibara era troppo pigro per mostrare il suo affetto, ma alla fine – nonostante il suo essere passivo – regalava piccole dimostrazioni che Seijūrō neppure considerava.
Non era mai stato abituato agli abbracci, eppure Atsushi lo stringeva sempre tra le sue braccia quando dormivano.
Non era mai stato abituato a condividere un spazio assieme a qualcuno e non lo era neanche in quel momento, ma Atsushi cucinava per lui, si preoccupava della casa e non chiedeva mai nulla.
La verità era che Murasakibara non creava alcun problema nella sua vita, non pretendeva, non tentava l'impossibile per attirare l'attenzione, ma semplicemente rimaneva al suo fianco, senza mai chiedersi un perché.
La loro relazione era così: proseguivano per inerzia, nessuna forte emozione a spingerli oltre e la loro routine era divenuta l'unico elemento ad unirli.

«Come prosegue con Atsushi, credi che il vostro rapporto stia migliorando?»
I pensieri di Akashi vennero interrotti dalla voce del suo psicologo: un uomo sulla quarantina, uno sguardo apparentemente assente, ma attento – sin troppo attento – al cambio d'espressione del suo paziente; Seijūrō era uno degli uomini più prudenti che avesse mai conosciuto, ma dopo settimane e settimane di sedute, aveva deciso di aprirsi e di lasciar trapelare più dettagli di sé.
Non aveva debolezze – almeno, così sosteneva lo stesso Akashi di sé– perché non permetteva che altri si approfittassero di lui, ma lo psicologo aveva trovato un evidente lato vulnerabile, sebbene il rosso facesse di tutto per nasconderlo.
«No, nulla di rilevante, dottore.»
Seijūrō accavallò le gambe e con le dita iniziò a picchiettare contro il bracciolo in pelle della poltrona ove era seduto; era abituato ad essere trattenuto più del dovuto nello studio, lo psicologo sapeva che non aveva problemi a pagare qualche mezz'ora in più, ma a dire il vero, Akashi iniziava ad odiare quegli inutili incontri.
Non vi era nulla da migliorare nella sua vita, non riusciva a capire che cosa volessero gli altri da lui e, in tutta sincerità, neppure gli importava; non poteva cambiare per il volere di persone che lo conoscevano, anche se da molto tempo, perché oramai era un uomo adulto e non si pentiva di nulla.
«Settimana scorsa abbiamo parlato dell'imparare ad essere intimi e di fidarsi dell'altro; non pensi che anche lui abbia delle esigenze e delle pretese nei tuoi confronti?»
Akashi roteò gli occhi annoiato; era convinto che l'uomo di fronte a lui non potesse comprendere che cosa significasse vivere assieme ad una persona come Murasakibara Atsushi.
La loro quotidianità non andava cambiata e andava bene ad entrambi perché si conoscevano da quando erano dei ragazzini e i vecchi problemi del passato erano stati risolti; Akashi non sapeva esattamente come, non avevano discusso, ma non vi erano questioni in sospeso tra di loro e solo questo era ciò che lo interessava.
«Atsushi è semplice, lo dimostra chiaramente, non ha bisogno di preoccuparsi di questioni come queste.»
Murasakibara vantava di diverse qualità, ma non eccelleva in prontezza e intelletto; Akashi non voleva essere troppo severo con lui, ma era chiara la differenza tra di loro e Seijūrō era l'unico capace nel loro rapporto a gestire il tutto con razionalità e intelligenza.
Atsushi seguiva le sue idee, si accontentava e Akashi era contento di questa relazione, un amore subordinato – se così si poteva considerare – perché lo stesso rosso non aveva perso le redini del controllo nei confronti dell'altro.
«Non ha bisogno o pensi che lui non riesca a preoccuparsene? Non pensi di sottovalutarlo?»
Un sorriso infastidito illuminò il volto pallido del paziente; Akashi non sopportava le sue insinuazioni, il suo voler costantemente ragione poiché lo psicologo non poteva conoscerlo, il loro era solo un rapporto dottore-paziente e Seijūrō non accettava di essere comandato né giudicato da uno sconosciuto.
«Conosco i suoi limiti, non sottovaluto mai nessuno. Riconosco le abilità delle altre persone e Atsushi-»
Akashi venne interrotto da un breve sospiro da parte dell'altro; lo psicologo parve quasi arrendersi davanti all'insistenza del rosso, insopportabile la sua saccenza, ma cercò di trattenere ulteriori giudizi poiché Akashi gli dedicò poco dopo uno sguardo minaccioso.
«Detto tra di noi, e con questo intendo come due uomini adulti, non pensi che si sia annoiato del tuo atteggiamento?»
Impossibile – Fu il primo pensiero di Akashi dopo aver sentito quella domanda; impossibile che Atsushi possa annoiarsi di me; Seijūrō non era ingenuo, semplicemente non voleva crederci poiché Murasakibara glielo avrebbe fatto capire e la loro relazione non era in una situazione così drammatica come voleva lasciar intendere lo psicologo.
«Perché dovrebbe? Ho tutto sotto controllo, non abbiamo problemi economici, entrambi lavoriamo.»
Iniziò ad irrigidirsi, ma mantenne il più possibile un'espressione disinteressata sul volto; era bravo a mentire, sopratutto nei momenti di necessità, ed era certo che sarebbe bastato mostrare una ben congegnata bugia per poter far cadere nella propria trappola anche l'altro.
Si sbagliò, per la prima volta dopo molti anni, poiché lo specialista lo guardò con empatia, come se comprendesse il suo vano tentativo di rinnegare la realtà.
Akashi non poteva negare la situazione in cui era costretto a vivere da molti anni e sì, forse era vero, il rapporto con Murasakibara non lasciava spazio ad importanti miglioramenti, ma questo non significava, di conseguenza, che i due si stessero lentamente allontanando.
«Lo sai anche tu di che cosa stiamo parlando; non sono un consulente di coppia, ma sono certo che parlarne con il tuo compagno possa aiutarti a combattere il tuo disturbo, Seijūrō.»
Disturbo, che parola grossa per descrivere un'eccellente personalità; Akashi non comprendeva per nulla tale definizione, lui non era afflitto da nessun disturbo, nessuna malattia a renderlo estremamente narcisista – così come sosteneva l'uomo che aveva davanti, semplicemente apprezzava ciò che aveva e ciò che era.
Non si trascurava, non accettava critiche poiché sapeva di essere perfetto e qualsiasi commento costruttivo da parte di terze parti sarebbe stato inutile perché Akashi era superiore e poco gli importava dell'opinione altrui.
Non vi erano legami affettivi a fargli cambiare idea, certamente doveva ammettere di condividere un'importante parte della sua vita con Murasakibara, ma questo dettaglio non influenzava in nessun modo il suo carattere e il suo modo di pensare.
Murasakibara era una persona in più da aggiungere alla lista di conoscenze, o almeno, così continua va a pensare lui.
«Se lei sostiene che io debba farlo, e io rispetto il suo lavoro, allora mi dica che cosa dovrei dire ad Atsushi.»
Non avrebbe ascoltato minimamente i suoi consigli, anche se aveva detto il vero dicendo di stimare la sua professionalità; il resto erano tutte sciocchezze, non avrebbe mai parlato delle sue sedute a Murasakibara e quest'ultimo, come era già successo nelle ultime settimane, non avrebbe sicuramente mai chiesto della terapia ad Akashi.
Vi era un disinteresse tale nella loro relazione che altri potevano pensare che i due non si frequentassero nemmeno, Seijūrō neanche si accorgeva di trascurare Atsushi, di non domandargli mai come andasse il lavoro o di come si sentisse; si rivedevano alla sera, mangiavano allo stesso tavolo, dormivano nello stesso letto, ma Akashi non si impegnava.
Lo aveva fatto vagamente all'inizio della loro relazione perché, in fondo, i suoi sentimenti per l'altro erano reali e sinceri, ma con il passare degli anni il suo narcisismo era peggiorato e solo ora, sotto consiglio di Kuroko, aveva deciso di discuterne con un esperto.
Non aveva smesso di mostrarsi restio all'idea, ma anche Midorima, seppur non specializzato in quel ramo della medicina, aveva dato ragione a Tetsuya e le evidenti opinioni dei due avevano infastidito a tal punto Akashi da decidere di tentare solo per poter mostrare loro di essere nel torto.

Si sbagliava. E quando gli venne diagnosticato il disturbo narcisistico di personalità il suo mondo iniziò a ruotare nella direzione opposta; cominciò a sostenere che erano gli altri a sbagliarsi, che non era possibile che ci fosse qualcosa in lui che non andava perché erano le persone che aveva attorno a non essere mai abbastanza.
Lo stesso Murasakibara ne era un esempio: Akashi aveva finito gli studi, si era laureato con ottimi voti e ora come dirigente era divenuto un uomo di successo e puntava sempre verso nuovi obiettivi; Atsushi era pigro, non aveva mai mostrato grandi passioni per qualcosa e solo dopo anni, finito il liceo, aveva deciso di dedicarsi alla pasticceria, non riuscendo a fare altro se non lavorare come dipendente in un negozio di altri.
Akashi non si era mai domandato che cosa Atsushi desiderasse nella sua vita, se fosse felice di quello che aveva o se desiderava di poter cambiare qualcosa; no, Akashi Seijūrō pensava solo a sé stesso e il modo in cui i suoi amici – e ora anche il suo psicologo – lo criticavano lo infastidiva, non capendo che si trattava di genuino interesse da parte loro.

«Sono sicuro che tu possa riuscirci; chiedigli semplicemente com'è andata la giornata, parla con lui del suo lavoro, della sua famiglia o dei momenti vissuti assieme.»
Akashi si impegnò ad ascoltare le sue parole con interesse; doveva pur ammettere di aver domandato raramente ad Atsushi di sé, non era mai stato al centro delle loro conversazioni e il rosso, forse per la prima volta, accettò la sfida posta dall'altro, consapevole di poterla vincere con facilità.
«Ora va, ti ho trattenuto più del dovuto e sono sicuro che Atsushi ti stia già aspettando a casa.»
Akashi sforzò un piccolo sorriso di circostanza per poi congedarsi da lui; lasciare lo studio lo portava sempre a sentirsi più libero, un invisibile peso si allontanava dal suo petto e non sentiva più il bisogno di mantenere una posizione difensiva.
Quando abbandonava l'edificio, si rendeva sempre conto delle ore che aveva sprecato lì dentro e, per quanto cercasse di essere oggettivo, non riusciva a trovare nulla di sbagliato in sé; eppure qualcosa c'era e Seijūrō non voleva essere così infantile da non accettare una verità scientifica.
Non si trattava più di contraddire l'opinione dei suoi amici, era una questione ancora più personale, del suo stesso Io, e a suo modo sarebbe riuscito a risolverla il prima possibile.
 
* * *

Murasakibara non si curò di apparecchiare la tavola per due, si limitò a sistemare il piatto pronto per Akashi e ritornò in salotto, davanti alla TV, consapevole che l'altro non si sarebbe preoccupato di trascorrere troppo tempo con lui.
Ormai si era abituato a quella routine: Akashi ritornava a casa, ma il venerdì era un giorno diverso dagli altri perché il rosso non era appena uscito dal suo ufficio, bensì dall'abituale seduta dallo psicologo.
Una parte di Atsushi era interessata ai sentimenti di Akashi, che cosa provasse nel sentirsi sotto esame, ma alla fine, non chiedeva mai nulla perché Seijūrō non riusciva a parlare del suo disturbo e il solo nominarlo lo portava a minacciare chi aveva davanti con un semplice sguardo.
Il suo problema era rimasto ignorato per molto, troppo tempo; dai tempi della Teiko, era stato proprio Atsushi il primo ad assistere al drastico cambiamento del rosso, il loro rapporto era peggiorato, ma con il passare degli anni Akashi era diventato più consapevole di sé.
Solo ora, però, era arrivato al punto di chiedere aiuto a un professionista, non ne aveva parlato a lungo con Murasakibara, ma una sera la questione era semplicemente divenuta argomento di conversazione e Atsushi aveva approvato la sua decisione senza riserve.
Apprezzava che Akashi tentasse di migliorarsi – veramente, per una volta – anche se non aveva sentito il bisogno di obbligarlo.
La verità era che la mania per il controllo di Seijūrō aveva sempre fatto comodo anche ad Atsushi e quest'ultimo, solo negli ultimi anni, si era accorto che la loro relazione non poteva proseguire come se il loro fosse un rapporto lavorativo, e non legati da sentimenti.

Quando sentì la porta aprirsi, Murasakibara ingurgitò le ultime patatine rimaste nella sua bocca e allontanò lo sguardo dalla TV per poi posare gli occhi sulla figura del compagno.
Akashi si tolse le scarpe, abbandonò la sua borsa vicino all'entrata e slegò la cravatta stretta al collo, finalmente libero di abbandonare i vestiti con i quali aveva passato un'intera giornata.
Il rosso non dedicò neppure una semplice occhiata all'altro e Atsushi ebbe modo di poter osservare l'espressione dipinta sul suo volto: sembrava abbattuto, strano da pensare se si trattava di Seijūrō, ma quest'ultimo pareva destreggiarsi tra l'essere arrabbiato e sentirsi afflitto, come se una brutta notizia avesse definitivamente rovinato la sua giornata.
In casa riecheggiavano solo le voci nello schermo della TV, durante un'intervista qualche persona rideva, il pubblico applaudiva, ma le iridi ametista di Murasakibara non si allontanavano dalla figura di Akashi; era difficile comprendere le emozioni del rosso, Seijūrō non era una persona emotiva né tanto meno ammetteva facilmente le sue debolezze, ma Atsushi aveva imparato a riconoscerle e anche ad evitare sconvenienti domande per non infastidirlo.
«Atsushi, non mangiare patatine senza aver cenato.»
Il più piccolo parlò con tono addolcito, come se si stesse rivolgendo ad un bambino, e la sua usuale espressione intimidatoria venne sostituita da una schiva e assente; non si degno di guardare Atsushi negli occhi, ma era certo che quest'ultimo stesse ubbidendo al suo comando poiché abbandonò il pacchetto sul tavolino di fronte a lui, dirigendosi verso la cucina.
«Aka-chin, ti ho preparato un piatto di Gyūdon.»
Murasakibara si avvicinò al tavolo dove un apparentemente disinteressato Seijūrō si limitò ad accennare con la testa; il rosso appoggiò sul tavolo un sacchetto di plastica e fece cenno all'altro di unirsi, lasciando ben coperti gli ingredienti ancora caldi sui fornelli.
«Avevo voglia di pizza, non ti dispiace se mangiamo quello che hai cucinato domani?»
Atsushi cercò di non mostrarsi contrariato; non sopportava le domande retoriche di Akashi, il suo mostrarsi formalmente cortese, ma si era abituato alle sue richieste e, in fin dei conti, non voleva perdersi l'occasione di mangiare un'ottima pizza.
L'idea di poter mangiare assieme lo rallegrò, dimenticandosi di aver faticato per nulla, ma non poté che pensare a quanto fosse strano il ritorno a casa di Seijūrō quella sera: non era mai stato avvezzo a comprare cibo d'asporto, apprezzava solo la cucina nazionale e Murasakibara dubitava altamente che si fosse fermato in un ristorante italiano solo per fargli un favore.

Aka-chin si è ricordato che mi piace la pizza con i peperoni – Atsushi pensò dedicandogli uno sguardo curioso; ora era certo che fosse accaduto qualcosa, dopo che Seijūrō aveva lasciato il suo ufficio, perché il rosso non dava importanza a nessuno dettaglio, piccolo o grande esso fosse, e Atsushi notava tutto, nonostante sembrasse perennemente distratto.
Entrambi si sedettero a tavolo, l'uno di fronte all'altro, e un familiare silenzio cadde tra di loro; erano poche le occasioni in cui i due mangiavano assieme ed erano ancora meno quelle in cui Akashi aveva voglia di parlare di qualcosa che non riguardasse il suo lavoro.
Il realtà, non raccontava mai molto della sua giornata a Murasakibara, solo dettagli di poco conto come inutili discussioni tra colleghi, nuovi ordini o l'ennesima segretaria licenziata.
Atsushi ascoltava solamente, si era abituato ai monologhi del rosso, ma quella sera non vi era nulla ad intrattenerli, solo un silenzio fattosi poco a poco più forzato.
Atsushi non sarebbe resistito a lungo, la curiosità lo stava consumando lentamente, i suoi occhi si alzavano lentamente verso Akashi sperando di non incontrare il suo sguardo; osservava l'altro mangiare composto, con le posate tagliava piccole fette di pizza per poi alle volte fermarsi, probabilmente perso in qualche suo intricato pensiero.
Murasakibara sapeva di non poterlo capire, Seijūrō era il più brillante dei due, eccellente studente ai tempi della Teiko, grande capitano della Rakuzan e ora degno successore di suo padre; sì, Murasakibara Atsushi riconosceva il grande talento in Akashi, eppure in quell'esatto momento, riusciva solamente a vedere un piccolo uomo, lo stesso ragazzo che aveva imparato a conoscere prima che le cose tra di loro andassero male.
«Aka-chin, com'è andato l'incontro con lo psicologo?»
Uno sguardo affilato fu subito su di lui, iridi cremisi lo scrutarono per lunghi attimi e Atsushi non provò né paura né contentezza; le attenzioni che stava ricevendo mostravano una debolezza di Akashi, delle parole che riuscirono a scuoterlo in un solo momento e che lo portavano a non essere più l'abitualmente autoritario e severo Akashi Seijūrō.
Atsushi trovò nei suoi occhi venature di incertezza, quasi di timore, mentre cercava di trovare una risposta alla sua domanda; dava l'impressione di voler dire la cosa giusta, di usare parole che non lo mettessero in una posizione scomoda, ma Murasakibara non voleva sfruttare quel misero vantaggio, era davvero interessato alla situazione dell'altro.
«Hai mai pensato di andartene?»
La sua voce non tremò, l'insicurezza cessò di affliggerlo e Seijūrō ritornò magicamente all'essere l'uomo minaccioso di sempre; Atsushi ne era però immune, non per indomito coraggio, bensì per semplice spontaneità.
Ormai conosceva troppo il rosso per avere paura di lui e neppure un'occhiata torva avrebbe rovinato la sua giornata; certo, non poteva considerare quella domanda una semplice richiesta dell'altro, ma non aveva intenzione di mentirgli.
Akashi doveva capire che il suo atteggiamento non avrebbe giovato alla loro relazione, ma neppure a sé stesso; doveva abbandonarsi al proprio istinto, fidarsi degli altri e non pianificare tutto perché diffidente.
«Aka-chin, sarebbe da stupidi dire di no.»
Atsushi parlò tra un boccone e l'altro, il gusto amaro della verità celato dal sapore delle verdure grigliate, della mozzarella filante e della salsa di pomodoro; Atsushi era un pessimo bugiardo e Seijūrō conosceva tutti i suoi metodi per mentire ormai da anni.
«E forse sarebbe più semplice ritornare a casa dei miei genitori.»
I suoi fratelli gli avevano proposto di trasferirsi, di "lasciarlo perdere" – così come aveva detto sua sorella maggiore – "perché puoi trovare di meglio e Akashi non ti merita."
A quelle parole Atsushi aveva riso sornione, era un paradosso pensare che la sua famiglia vedesse così negativamente il rosso, ma al contempo, Murasakibara non aveva accettato apertamente le critiche da parte dei suoi parenti perché Akashi era più di quello, aveva solo bisogno del suo aiuto.
«Muro-chin mi ha consigliato di andare via per un paio di giorni.»
E Atsushi aveva considerato l'idea, in fondo non avevano poi più molto da perdere, ma l'appartamento in cui abitavano da anni apparteneva ad entrambi, per Atsushi era la loro casa e il suo istinto lo portava a credere che Seijūrō, se lasciato da solo, non si sarebbe preso cura di sé stesso nel modo adeguato.
«È da ingenui credere che qualcosa cambierà, Atsushi. Puoi andartene, se vuoi, non ho il diritto di trattenerti.»
Akashi parlò senza mostrare nessun segno di sorpresa o di delusione; una parte di lui stava odiando Murasakibara, lo considerava egoista e incapace di prendere delle decisioni, ma l'altra, forse l'unico lato ancora sano di lui, pensava al suo bene.
Era consapevole che allontanarsi avrebbe aiutato Murasakibara a riflettere sulla loro relazione, era un rischio che Akashi non era sicuro di voler correre perché, seppur pigro, Atsushi non sarebbe mai tornato da lui una volta deciso di lasciarlo.
Non credeva di meritarsi tanta freddezza da parte sua, ma Seijūrō doveva imparare a rispettare i bisogni degli altri e di saper limitare i propri; non potevano continuare assieme solamente perché era lui a desiderarlo e ne era certo, era proprio Atsushi a soffrire di più in questa decisione.
«Se vado via lo faccio solo per ritornare, lo sai Aka-chin?»
Seijūrō osservò il volto dell'altro: le guance gonfie e arrossate lo facevano sembrare un gigante bambino, ciuffi di capelli gli ricadevano disordinati sul viso e le sue mani erano ormai lontane dal cibo, come se quella discussione avesse fatto passar lui l'appetito.
Atsushi non era avvezzo a mostrare il proprio affetto con le parole, preferiva i gesti perché era un uomo semplice e spiegare ciò che provava risultava sin troppo complesso; per questo motivo, Akashi comprese cosa significava l'espressione dipinta sul suo volto.
Se avesse potuto scegliere realmente, Murasakibara sarebbe rimasto lì, accanto a lui, ma nel suo sguardo vi era nascosto un sentimento di resa, esasperazione per il disinteresse che Akashi spesso gli dimostrava e quest'ultimo non poteva fare altro che accettare senza ribattere.

Tuttavia, forse ingenuamente, Atsushi sperava che Seijūrō gli chiedesse di rimanere, sperava che il rosso desiderasse di non rimanere solo e di potersi affidare a lui, ma le sue successive parole riconfermarono che solo un periodo di lontananza poteva servire ad entrambi per riflettere.
«Ti consiglio di cominciare a preparare le tue cose, questo fine settimana devo incontrarmi con Tetsuya, potresti partire già venerdì.»
Akashi cercò di organizzare la sua giornata il più velocemente possibile, incontrandosi con Kuroko al pomeriggio non avrebbe avuto neppure tempo di ritornare a casa per salutarlo; voleva evitare inutili drammi e quella era la soluzione migliore: non sapeva che cosa dire riguardo al suo ritorno e, di conseguenza, avrebbe semplicemente lasciato in pausa le cose tra di loro.
«Allora faccio delle chiamate ora, non voglio presentarmi a casa dei miei fratelli o di Muro-chin senza preavviso.»
Akashi non ebbe tempo di replicare poiché Atsushi si alzò, abbandonando il cibo rimasto sul tavolo, e si diresse verso la loro camera da letto; passarono solo pochi attimi e Seijūrō sentì la porta chiudersi bruscamente e, pur non comprendendo l'ira di Murasakibara, era certo che l'altro non sarebbe ritornato da lui per tutta la serata.
 
* * *

Akashi aprì la porta della caffetteria spingendo con il braccio, entrambe le mani erano occupate – una con un vassoio e l'altra con il telefono appoggiato all'orecchio – e Kuroko gli fece cenno di raggiungerlo ad uno dei tanti tavoli coperti da un gazebo.
Il tempo non era dei migliori, ma Tetsuya si era rifiutato di stare all'interno del locale poiché erano rimasti pochi posti liberi e il borbottare di sottofondo non lo aiutava a concentrarsi sull'importante conversazione promessa da settimane all'altro.
Quando Seijūrō raggiunse il tavolo, Kuroko lo guardò piuttosto stranito: potevano aspettare l'arrivo della cameriera, ma il rosso si era preoccupato di ritirare i loro ordini, lasciando scivolare il vassoio vicino all'amico.
Tetsuya decise di attenderlo per un paio di minuti, la chiamata che lo teneva occupato si prolungò più del dovuto, ma non appena si sedette, Akashi si limitò a scusarsi – più per cortesia che per reale interesse – e abbandonò il telefono spento di fianco a sé.

«Prima che tu possa chiedermi qualcosa, Tetsuya, perché so che vuoi domandarlo, sì, sto andando regolarmente alle sedute.»
Akashi aveva iniziato ad odiare l'insistenza di Kuroko e di Midorima; i due non erano sicuramente le persone più espansive del vecchio gruppo conosciuto come Generazione dei Miracoli, eppure, quando riguardava la salute dell'ex-capitano, anche persone riservate come loro iniziavano a mostrarsi testarde.
Shintarou era abituato ad un approccio più impersonale, si conoscevano da una vita, ma alcune volte il megane lo trattava come un paziente e Akashi, nonostante non lo apprezzasse, era ormai avvezzo al tono vagamente formale tra di loro.
Con Kuroko era completamente diverso, era disposto a stare ore e ore senza parlare solo per ascoltare Akashi, non mostrava mai in modo ovvio le sue emozioni, ma con il passare del tempo aveva imparato ad essere più diretto e le sue parole valevano più di qualsiasi sua moderata espressione.
Akashi non lo temeva, certamente conosceva le sue debolezze, ma la differenza sostanziale tra di loro stava proprio in quello: Tetsuya accettava i propri limiti, cercava di migliorarsi e di aiutare gli altri, a differenza di Seijūrō che, anche davanti all'evidenza, non riconosceva di avere dei problemi da risolvere.
«Non voglio parlare di ciò che non vuoi, non sono così invadente, Akashi-kun.»
Kuroko accennò un impercettibile sorriso per poi sorseggiare la sua tazza di té in tutta tranquillità.
Non era stato un caso che avesse scelto il posto più lontano degli altri, era piuttosto semplicemente per lui scomparire, ma Akashi attirava sempre l'attenzione altrui e Kuroko preferiva poter avere un po' di intimità per discutere di faccende così personali.
«Come va il lavoro? Mi sembravi piuttosto impegnato prima.»
Seijūrō voleva mentire spudoratamente, voleva dire che stava lavorando a ritmi normali, senza strafare ritornando a casa ad ore improponibili, ma la verità era che non aveva niente altro da fare se non stare alla sua scrivania.
Atsushi aveva abbandonato casa prima di quanto accordato, gli aveva lasciato un messaggio nel suo studio per dirgli che sua sorella era già venuta a prenderlo e che, in fondo, due o più giorni in meno non avrebbero gravato sul loro rapporto.
Akashi si era sentito tradito, forse perché voleva essere lui a prendere decisioni per entrambi, e di conseguenza, le sere passate nel suo ufficio erano state uno sciocco modo per dimenticarsi di essere da solo nell'appartamento in cui aveva vissuto per anni insieme a lui, per evitare una camera da letto vuota e una cucina inutilizzata.
Kuroko attese paziente una risposta da parte sua, ma era già consapevole che il lavoro non preoccupava più di molto Akashi; era sempre stato così, stacanovista sino alla fine, ma trascurando sé stesso lasciava trapelare più di quanto realmente desiderava.
Tetsuya non ricordava di aver mai visto Seijūrō combattere contro il nervosismo o l'ansia, ma in quel momento pareva essere turbato da qualcosa che andava ben oltre ad un semplice incontro di lavoro o una riunione tra dirigenti; in effetti, Kuroko non era né pratico né interessato agli affari della famiglia Akashi, si preoccupava per lui in quanto amico e il rosso non aveva poi molte altre persone con cui parlare della sua vita privata.
«Esportazioni, nuovi contratti, nulla che può incuriosirti.»
Tetsuya ascoltava l'altro a prescindere dagli argomenti delle loro conversazioni; un giorno era persino rimasto al telefono per sentire l'altro parlare di transazioni di denaro, cambio valute ed economie di scala solamente per tenergli compagnia.
Tuttavia, Akashi non aveva accettato il suo invito per parlare di lavoro; ad essere onesti, non voleva neppure parlare di sé, ma Kuroko non avrebbe mai sopportato di passare un intero pomeriggio raccontando delle semplici quanto noiose giornate alle prese con bambini scatenati e genitori sin troppo premurosi.

«Tu? Mi avevi parlato di un progetto.»
Nel chiederlo, Seijūrō sentì un groppo alla gola che lo obbligò a parlare lentamente; erano quelli gli effetti degli inutili consigli del suo psicologo; si sentiva costretto a concentrare la propria attenzione sulla vita altrui, ma per lui Kuroko era davvero un amico e voleva mostrarsi realmente interessato alle sue giornate.
«Oh sì, con gli altri insegnanti abbiamo organizzato uno spettacolo sulla sicurezza stradale.»
Tetsuya sapeva che una recita con protagonisti dei bambini non avrebbe attratto Akashi come un pomeriggio giocando a scacchi o leggendo libri, ma Kuroko lo aveva chiesto ai suoi amici ed era una buona occasione per incontrarsi di nuovo tutti assieme.
«Ci saranno anche alcuni agenti della polizia, Aomine-kun ha invitato anche Momoi-san e Kise-kun; dovresti venire assieme a Murasakibara-kun, se avete del tempo libero.»
Midorima e Kagami non erano esaltati quanto gli altri di organizzare una rimpatriata, ma era un'ottima scusa per passare un pomeriggio come molti anni prima, sebbene non tutti i membri del gruppo fossero in buoni rapporti tra di loro.
Kuroko non considerava il periodo degli studi il migliore della sua vita, sopratutto ricordando gli anni passati alla Teiko, ma erano abbastanza adulti per lasciarsi sgradevoli ricordi alle spalle; poteva sembrare un'idea sciocca, ma potevano persino giocare a basket di nuovo assieme, sempre se non si sarebbe arrivati al punto di evitare discussioni tra di loro.
«Atsushi- Atsushi non credo potrà venire.»
Akashi si sentì un vero idiota, non sapeva neppure perché aveva scelto di essere sincero con l'altro; poteva dire di non avere tempo, che Murasakibara era impegnato con il lavoro, ma ora aveva dato sfogo alle sue incertezze e Kuroko non era così sciocco da non rendersene conto.
Poteva rimediare dicendo che Atsushi doveva occuparsi di alcune faccende con i suoi genitori, ma nonostante si fidasse di Kuroko, sapeva che nel giro di pochi giorni la notizia sarebbe giunta a lui.
Probabilmente Kagami già ne era a conoscenza – dal momento che parlava spesso con Himuro – e a susseguirsi, anche Aomine e tutti gli altri lo avrebbero scoperto.
Doveva affrontare la questione con calma, ma doveva essere lui a dirlo ad altri, voleva essere lui a discuterne perché era ovvio che le loro questioni private sarebbe divenute presto motivo di pettegolezzo nel gruppo.
Osservando Kuroko, notò che sul suo viso non vi era dipinta un'espressione curiosa né disinteressata; come sempre, Tetsuya non si smentiva mai e dedicava lui una pazienza che non era più certo di meritare.
Probabilmente tutti lo erano con lui, sopportavano il suo narcisismo, il suo egocentrismo e il risultato li aveva portati a quello: Akashi era ormai giunto ad una fine, non doveva neppure essere certo che Atsushi sarebbe ritornato da lui, non aveva il dovere di ritornare.
Kuroko lo ascoltava da anni, ma solo quel giorno Akashi si era degnato di chiedere qualcosa della sua vita; le sue relazioni si basavano sempre su una semplice regola: pretendere, senza mai dare nulla in cambio.
Avrebbe potuto fare molti altri esempi del genere, il rapporto con i suoi vecchi compagni di scuola era ormai divenuto formale, con suo padre non parlava più da anni e ora stava per rischiare di perdere le ultime persone che ancora tenevano a lui, nonostante tutto.
«Atsushi se n'è andato, starà per un periodo da sua sorella.»
Non sapeva cos'altro aggiungere; non si erano contattati da un paio di giorni, non una chiamata né un messaggio; Akashi era troppo orgoglioso per cercarlo e poi, anche se l'avesse fatto, Murasakibara non avrebbe cambiato idea così in fretta.
Probabilmente la loro decisione avrebbe portato solamente ad un momento più complesso, dovevano separarsi già anni prima, ma Seijūrō non sapeva che cosa avesse convinto l'altro a rimanere ancora nel loro appartamento.
Affetto, abitudine, amore – Erano semplicemente avvezzi a vivere l'uno vicino all'altro, senza mai chiedersi un perché e anche Akashi aveva preso tutto per scontato, tutto sino a quando non aveva letto il bigliettino lasciato nel suo studio.
«So che potrei sembrare scortese, ma non te lo aspettavi, Akashi-kun?»
Kuroko non parve per nulla sorpreso e Seijūrō non poté che domandarsi se fosse stato sin troppo cieco nei confronti di Murasakibara.
Era così ovvia la delusione nei comportamenti di Atsushi? Akashi era davvero giunto ad un punto di non ritorno?
Troppo pieno di sé, senza mai riserve o dubbi; Seijūrō Akashi viveva con la costante consapevolezza di star facendo la cosa giusta, ma non aveva valutato un semplicemente elemento: un bene comune, le preoccupazioni di Murasakibara, i suoi timori o i suoi desideri.
Per il rosso il mondo iniziava e finiva con la sua vita, solitario ed egoisticamente eccentrico.

«Non mi sento responsabile di quello che-»
Non pensi che lui si sia annoiato dei tuoi comportamenti? - Akashi si perse nei suoi pensieri, la sua mente abbandonò la realtà in cui si trovava assieme a Kuroko e si concentrò solamente sulle parole del suo psicologo, su tutte le sedute avute con lui e su tutti gli errori, i moltissimi errori commessi senza mai accorgersene.
Riconosceva tutti i sintomi di quello che gli altri chiamavano disturbo: non aveva mai chiesto ad Atsushi come stava, non si era mai complimentato con lui e lo aveva da anni trattato con sufficienza, semplicemente perché doveva avere tutto sotto controllo e Atsushi doveva obbedire, non collaborare.
Eppure, una parte di sé era strettamente legata alla vita di Murasakibara, non poteva negare di provare sentimenti per lui e non voleva neppure rinunciare ad essi, sebbene avesse trascurato così tanto il loro rapporto.
«Sono sicuro che tu sia una persona buona, Akashi-kun; alcuni di noi tendono a sottovalutarsi troppo e altri...»
Kuroko non voleva offenderlo, sapeva quanto Seijūrō fosse sensibile alle critiche, quanto fosse capace di arrabbiarsi per un semplice commento, ma Tetsuya non dimenticava il proprio passato e temerlo non aiutava Akashi a comprendere i suoi limiti.
«Gli amici si ritrovano sempre, Akashi-kun, ma quando si vive con una persona è diverso. Bisogna fare dei sacrifici e se Murasakibara-kun ha deciso di andarsene significa che tu non ne hai fatti abbastanza.»
E Atsushi non era mai pretenzioso, questo lo sapevano entrambi; si accontentava di poco, forse era sin troppo bonario se confrontato con Akashi, ma Kuroko li aveva visti parlare assieme e aveva spesso visto tra di loro un'alchimia non paragonabile ad altro.
Avevano bisogno di tempo e Tetsuya era certo che entrambi avrebbero capito quale scelta fosse migliore per il loro rapporto.
«Ho comprato con i miei soldi l'appartamento in cui viviamo, l'ho aiutato economicamente quando non faceva altro che starsene su un divano a dormire, che cos'altro avrei dovuto fare?»
Akashi era furioso, ma all'apparenza non si mostrava in modo differente; si mostrava apatico, disinteressato e altezzoso, con uno sguardo minacciò Kuroko di non proseguire oltre, ma quest'ultimo aveva sin troppo sopportato la sua alterigia, il suo essere presuntuoso e no, non aveva intenzione di rimanere in silenzio.
«I soldi non sono mai stati un problema per te, Akashi-kun; lo so che puoi capirlo, ma ora sei troppo arrabbiato per accettare la verità.»
Kuroko promise di non abbassare lo sguardo, non doveva mostrare segni di titubanza o paura; Akashi non aveva nulla in più da dare agli altri, doveva comprendere di non essere un'eccezione, altrimenti non avrebbe mai rinunciato al proprio orgoglio e alla propria superbia.
«E non giustifico Murasakibara-kun per la sua pigrizia, ma quando ci siamo congratulati con lui per essere stato assunto in una pasticceria, tu hai continuato a dire che avrebbe dovuto aprirne una sua, sapendo che non era ciò che desiderava.»
Seijūrō incrociò le braccia al petto e attese che Kuroko finisse il suo lungo rimprovero; era piuttosto ovvio che non lo stesse ascoltando per nulla, ma Tetsuya continuava a sperare – forse inutilmente – che l'altro si ricordasse di tutti gli errori commessi nei confronti del suo compagno.
Murasakibara aveva molti difetti, spesso bisognava convincerlo nel fare qualcosa, ma tutti sapevano che non aveva mai giudicato Akashi e che forse, anche il suo essere sin troppo buono aveva contribuito a peggiorare la situazione.
«Lui non sa che cosa vuole, non lo ha mai saputo, è questo il suo problema.»
Kuroko aggrottò la fronte e le sue guance si fecero poco a poco rosse; non era solito alzare la voce quando infastidito, ma Akashi stava sfidando il suo limite di sopportazione e, per quanto d'indole paziente, anche Kuroko Tetsuya non poteva resistere all'infinito davanti agli atteggiamenti eccentrici dell'altro.
«Tu hai sempre pensato così di tutti, Akashi. Hai fatto lo stesso con me quando eravamo alle medie, non hai mai considerato Midorima come un amico, hai sempre trattato come uno stupido Kise e non vai d'accordo con Aomine ancora oggi perché non ti ha mai ascoltato. Murasakibara sbaglia e quando se ne accorgerà, sarà troppo tardi per te se vuoi davvero rimediare.»
Tetsuya si fermò, sospirando profondamente; forse aveva detto più del necessario e la tensione che aleggiava ora tra di loro non preannunciava nulla di buono.
Akashi cercava di trattenersi dal rispondere, ma sul suo volto vi era dipinta un'espressione che Kuroko non aveva mai visto prima: sembrava aver realizzato, forse finalmente si era accorto della realtà in cui viveva, allontanandosi dalla presunzione di non aver mai errato.
«Sapete solo rinfacciare cose che ho fatto quando eravamo solo dei quindicenni. Non cambio idea, sono scelte che voi non volevate prendere perché eravate troppo vigliacchi ed era più semplice lasciare le responsabilità ad altri.»
Akashi si alzò di scatto e frugò nel taschino della sua giacca in cerca del proprio borsellino; una volta trovato, lasciò una banconota al centro del tavolo e non diede neppure tempo a Kuroko di rispondere.
Non vi erano più motivi per rimanere lì, Akashi era certo di riuscire a proseguire da solo come aveva sempre fatto sin da quando era piccolo; suo padre lo aveva educato ad essere un uomo degno di portare il cognome della famiglia Akashi e nessun rapporto lo avrebbe fatto divenire una persona diversa.
«Spero che il tuo invito sia ancora valido, sarà divertente ritrovare tutti.»
Con quelle parole abbandonò Kuroko, desiderando solamente di chiudersi nel proprio studio, escludendosi dal pretenzioso mondo esterno.

* * *

Akashi si era ritrovato di nuovo nello studio del suo psicologo, una seduta extra – così la considerava lui, perché le ultime settimane erano state un inferno e non ne era uscito in un sol pezzo; si era arreso, per la prima volta in tutta la sua vita, e aveva chiamato il dottore di sua spontanea volontà perché se prima non fidarsi di nessuno era stata una scelta, ora non lo era più.
Aveva litigato con Kuroko, Murasakibara non lo aveva ancora contattato e con gli altri non aveva un legame tanto stretto dal discutere dei suoi problemi di personalità.
Non voleva rinnegare a prescindere l'aiuto di Midorima, ma quando discuteva con lui non era così differente dal parlare con un professionista e dato che non aveva altro modo in cui spendere i suoi soldi, ritornare allo studio non si mostrò un grande dramma.
A questa seduta, però, lo psicologo non poté che notare subito lo stato d'animo del proprio paziente: Akashi appariva macilento, il volto pallido, lo sguardo evasivo e ancor più disinteressato; non pareva più lo stesso Akashi Seijūrō delle settimane precedenti ed era naturale domandarsi se la terapia stesse proseguendo per il verso giusto.
«Non mi faccia domande inutili, non sono qui per essere interrogato.»
Parlò stizzito mentre con la mano continuò a massaggiare lentamente le tempie; aveva mal di testa ormai da giorni, ma non aveva smesso di lavorare perché troppi meeting importanti erano già in programma e non poteva permettersi una pausa per un motivo così sciocco.
Aveva resistito a situazione peggiori e l'unica cosa che voleva risolvere in quel momento era l'inefficienza del metodo dell'uomo che aveva di fronte; probabilmente stava di nuovo buttando soldi in qualcosa di inutile, ma non aveva altro modo di sfogarsi se non con lo psicologo.
«Ho provato a seguire ciò che mi ha suggerito.»
Iniziò a parlare e una vena di sarcasmo era già percepibile nel suo modo di parlare; non solo era stato futile seguire i suoi consigli, la situazione era persino peggiorata drasticamente e in poco tempo.
«E? Credi che ci siano stati dei miglioramenti?»
Il dottore ignorò l'atteggiamento del paziente, aveva studiato a lungo per questo genere di lavoro e non aveva intenzione di lasciarsi influenzare dalla critiche aspre di un uomo che, evidentemente, non aveva ancora imparato ad accettare il giudizio altrui.
«Se i risultati dei suoi consigli sono sempre come quelli che ho ottenuto io meriterebbe di essere radiato dall'albo degli psicologi.»
Poteva apparire come uno scherzo per alleggerire l'atmosfera, ma lo sguardo affilato di Akashi non lasciava trapelare neppure un pizzico di ironia; la sua vita era peggiorata dal momento che aveva deciso di cominciare la terapia ed era certo che quella sarebbe stata la sua ultima seduta.
Poteva dire di aver tentato e, proprio come aveva già detto, né Midorima né Kuroko avevano avuto ragione; il suo disturbo – se così ancora si poteva considerare – non era altro che un insieme di caratteristiche che formavano una personalità difficile, ma Akashi si perdonava.
Erano gli altri a non capirlo, mai lo avrebbero fatto; si trattava di invidia e gelosia, soffrivano poiché desideravano una vita come la sua e il suo ego diventava ancora più forte ogni qualvolta qualcuno tentava di ferirlo.
«Una critica molto costruttiva da parte tua, mi dispiace se non è andato tutto come previsto; devo quindi supporre che tu voglia smettere la terapia?»
Si immaginava più resistenza da parte sua, in fondo il dottore era sempre stato insistente durante i loro incontri, ma non per questo Akashi si sentiva deluso; era certo che lo psicologo non fosse così dispiaciuto come sosteneva, nessuno lo era quando parlava con lui.
Non vi erano giustificazioni per il suo comportamento, Kuroko lo aveva lasciato intendere, e probabilmente neppure Murasakibara lo avrebbe perdonato dopo così tanti anni.
«Ci sto pensando.»
Era giunto ad un punto di rottura, stava combattendo contro sé stesso perché una parte di lui ne aveva bisogno, non poteva negare di non aver passato nessuna delle difficili prove degli ultimi giorni; forse era stato troppo duro con Tetsuya, aveva lasciato andare via Atsushi senza approfondire la questione, ma la vena narcisistica che viveva nel suo animo non si sentiva in colpa.
Era cresciuto così, probabilmente il dottore spiegava il suo disturbo con la sua situazione famigliare: la morte della madre lo aveva cambiato e la carenza d'affetto da parte di suo padre era stata la nota mancante in una composizione di per sé rovinata.
Ecco come poteva vedersi Akashi: rotto, rovinato – non si era mai messo in dubbio, ma la confusione stava iniziando ad avere la meglio su di sé e non sapeva se arrabbiarsi con sé stesso o con gli altri.
«Seijūrō, la tua cocciutaggine è notevole, ma vorrei solamente che ti prendessi un momento per riflettere davvero sulla tua vita. Lo so che reputi giuste le tue azioni, ma in realtà stai privando te stesso di cose che il tuo subconscio desidera.»
Akashi sospirò piano, si passò una mano sul volto e cercò di recuperare il controllo; sapeva di aver perso molto durante gli anni, non si era mai impegnato quanto gli altri per allacciare i rapporti d'amicizia del passato, aveva sempre aspettato che fossero loro a giungere da lui perché tutto doveva essere scontato e banale.
Non si trattava solamente della relazione con Atsushi, ma di tutti i piaceri che il suo narcisismo cercava continuamente di celare; era pieno di sé – così sosteneva – ma cosa lo rendeva così speciale?
Erano tutte illusioni, aveva cercato per così tanto tempo di soddisfare le aspettative di suo padre senza rendersi conto di quali fossero i suoi reali desideri; ora era cresciuto, eppure rimaneva ancorato al passato.
Da ragazzino non aveva mai fatto scelte egoistiche, non aveva mai trasgredito le regole rigide imposte nella sua famiglia e così la sua mania di controllo si era riversata sugli altri; non poteva accettare deviazioni, opinioni diverse dalle sue o critiche.
Akashi Seijūrō doveva essere Perfezione e nessuno poteva contrastare questo suo obiettivo.
«Raccontami cos'è successo, non deve essere troppo tardi per rimediare.»
Akashi osservò l'espressione dipinta sul volto dell'altro, aveva abbozzato un sorriso per rassicurarlo, non era il primo che qualcuno gli dedicava, eppure si accorse per la prima volta del reale interesse che le persone gli concedevano.
Era un paradosso poiché il dottore lo faceva solamente perché veniva pagato, ma Kuroko, Murasakibara e tutti gli altri non volevano ricevere nulla in cambio: lo facevano perché erano affezionati a lui, credevano in un suo miglioramento.
Li aveva delusi, in qualche strano modo; aveva deluso le aspettative di Atsushi, aveva ferito i suoi amici e ora rischiava di allontanarsi sempre di più da loro.
Non era mai stato solo, eppure un infrenabile senso di solitudine non lo aveva fatto allontanare dal suo studio per tutti quei giorni.
«Atsushi si è allontanato dal nostro appartamento ormai da settimane e ho litigato con un amico, un caro amico
Iniziò a parlare, lo psicologo rispettava i suoi ritmi e non lo interruppe nemmeno una volta; non era avvezzo a sentire Akashi parlare così tanto della sua vita personale, ma lentamente il rosso cominciò ad aprirsi e l'ora di seduta passava più in fretta di tutti gli incontri precedenti.
«Ho pensato di mandargli un messaggio, ma se non mi ha contatto per tutto questo tempo non ha senso credere che lui voglia ritornare. Non ho intenzione di prendere scelte impulsive e di pentirmene, devo assicurarmi che vada come ho pianificato e-»
Il dottore aspettò prima di intervenire, con lo sguardo cominciò ad osservare come Akashi muoveva il suo corpo e notò un drastico cambiamento: non stava più composto, non accavallava le gambe come nell'occasioni in cui era certo di avere ragione.
Ora era come uno dei tanti pazienti che aveva aiutato per tutti quegli anni: le sue dita scivolavano nervosamente sui braccioli della poltrona, lo sguardo non appariva più minaccioso, ma afflitto e arrendevole.
«Nessuno ti ha chiesto di pianificare Seijūrō, non dovresti essere così severo nei confronti di te stesso.»
Akashi si fermò per pochi attimi a riflettere, ma non riusciva a comprendere le parole dell'altro; non voleva sottovalutarsi, semplicemente si affidava al proprio senso della ragione e non ammetteva varianti in ciò che aveva pensato.
Forse aveva pianificato troppo, non aveva mai lasciato nulla al caso né la possibilità agli altri di scegliere, eppure non gli era mai sembrato un errore, solo ora ebbe modo di analizzare la sua linea di pensiero.
«Pensiamo ad una soluzione basandoci su cosa desideri al momento. Vuoi che lui ritorni a casa? O preferisci avere altro tempo per riflettere?»
Akashi esaminò la situazione in modo oggettivo, era l'unico metodo di cui si fidava, e la razionalità gli suggeriva di attendere; non voleva sembrare bisognoso di attenzioni, altrimenti non avrebbe fatto altro che cadere nella trappola del suo Ego, ma al contempo doveva mostrare a Murasakibara di esserci, per lui, per entrambi e sopratutto, con sincerità, per una volta.
«Non posso decidere al posto suo, non voglio obbligarlo a ritornare.»
Un sorriso soddisfatto si dipinse sul volto del dottore; era un piccolo passo, ma Akashi – probabilmente senza neppure rendersene conto – aveva dato una risposta che lo psicologo neppure aveva considerato.
Aveva dato più importanza ai sentimenti di un'altra persona, aveva escluso i propri per un bene condiviso ed era una tappa importante per poter proseguire.
«Però, puoi contattarlo e domandarglielo. Deve sapere perché glielo stai chiedendo.»
Akashi si prese un po' di tempo per rispondere e il dottore si limitò a rimanere in silenzio, rispettando i suoi spazi; era inutile obbligarlo a prendere una scelta immediata perché la sua indole gli suggeriva di riflettere, di non seguire solamente il proprio istinto, e Seijūrō voleva assicurarsi di non peggiorare la situazione.
Doveva cercare di immedesimarsi in Murasakibara, per quanto fosse difficile, per comprendere ciò che stava provando in quelle settimane.
Mi odia – era l'unica cosa a cui riusciva a pensare il rosso in quel momento, perché, seppur poco pretenzioso, era stato trascurato e il loro convivere non dava più soddisfazioni a nessuno dei due.
«Non hai fretta, Seijūrō. Quindi ora vai a casa e riposati. Se hai bisogno ritorna da me, spero con buone notizie.»
Akashi controllò il suo orologio e si accorse che il suo appuntamento si era prolungato più a lungo del previsto; non aveva altri impegni, ma sperava di non aver rubato tempo prezioso all'altro.
Quel venerdì, per la prima volta da quando aveva iniziato la terapia, lasciò lo studio senza provare sollievo, anzi, sapeva che aveva ancora molto su cui lavorare e l'unico suo obiettivo era di poter rientrare in quella stanza avendo cambiato concretamente il suo rapporto con Murasakibara.
 
* * *

Murasakibara aveva ricevuto un messaggio da parte di Akashi pochi giorni dopo; erano passate ormai settimane da quando avevano deciso di allontanarsi l'uno dall'altro, ma nonostante non avesse cambiato idea a riguardo, Atsushi doveva ammettere di voler ritornare a casa.
Non solo per Akashi – come aveva detto alla sorella maggiore che gentilmente lo aveva ospitato -, ma anche per sé stesso perché, in fondo, la casa apparteneva ad entrambi e gli mancava tutto ciò che ogni giorno faceva fatica a dimenticare.
La verità era che non voleva cancellare tutti i ricordi dalla propria mente, Akashi era sempre stato difficile, sin dai tempi delle medie, ma vi erano stati periodi in cui avevano vissuto assieme come qualsiasi altra persona.
Akashi non era una persona cattiva – in questo Murasakibara continuava a credere – semplicemente aveva bisogno di migliorare e ora che aveva chiesto il suo aiuto, seppur in modo implicito, Atsushi non gli avrebbe voltato le spalle.
Sua sorella lo aveva messo in guardia, era sempre stata dalla sua parte quando parlavano di Seijūrō e, anzi, era piuttosto ovvio l'odio che la donna provava nei confronti del rosso; aveva rispettato le scelte del fratello, ma per le due settimane in cui avevano vissuto assieme, non si era risparmiata dal criticare l'atteggiamento superficiale di Akashi.
Sosteneva che Murasakibara meritasse di meglio, che non doveva essere così paziente con lui, ma Atsushi – sia per ristabilire lo status quo che per testardaggine – non l'aveva ascoltata e ora si ritrovava davanti alla porta del suo appartamento.

Due settimane non erano poi molte, ma Atsushi aveva sentito la mancanza di casa sin dal primo giorno in cui si era allontanato; sua sorella spesso lo obbligava ad uscire, non aveva un attimo di tranquillità con lei e ora, una delle cose a cui anelava era semplicemente ritornare all'ozio abitudinario, dormendo sul suo divano, mangiando nella sua cucina.
Ovviamente voleva ritornare a casa con la consapevolezza di dover cambiare qualcosa, doveva andare incontro alle necessità di Akashi, ma si ripromise di non scendere troppo a compromessi; era il turno di Seijūrō, era lui che doveva imparare a fare sacrifici e a sopportare, anche quando infastidito.
Il loro incontro non si dimostrò né sdolcinato né drammatico; Akashi gli aprì la porta non appena lesse un suo messaggio sul cellulare e Murasakibara lo salutò pigramente, come se non se ne fosse mai andato di casa.
Dentro di sé confuse e contrapposte sensazioni lo rendevano irrequieto, ma cercò di apparire disinteressato perché Akashi non doveva scoprire così facilmente le sue debolezze, non come tutte le altre volte.
Era vero, Atsushi voleva una rivincita per tutto ciò che aveva sopportato, ma non aveva deciso di incontrarlo solamente per rinfacciare gli errori del suo passato; la sua indole non era cambiata negli ultimi giorni, Atsushi non odiava Akashi e il suo reale desiderio rimaneva quello di vederlo realmente felice.
Era da anni che non sorrideva sinceramente, che si abbandonava ai propri timori, ma questa volta Akashi Seijūrō sembrava davvero turbato e Murasakibara lo notò non appena si sedettero l'uno di fronte all'altro, senza nessun altro suono a distrarli.
«Non ero certo che saresti arrivato così presto, non ho preparato nulla da mangiare. Hai fame?»
Il rosso parlò a bassa voce, impassibile all'apparenza, ma ferito nel profondo; non era il distacco di Atsushi a rattristirlo, ma la realizzazione di aver sbagliato e di sentirsi umiliato dalle sue stesse sconfitte.
Era sempre stato certo di riuscire a fare qualunque cosa, nulla era stato impossibile durante questi anni: lavorava, conviveva ed era in ottima salute, ma ora l'unica certezza nella sua vita si era mostrare essere la sua professione, un ruolo di prestigio guadagnato solo per il cognome che portava.
Murasakibara si era allontanato da lui, era assistito da uno psicologo e si sentiva miserabile perché aveva fallito, fallito senza neppure rendersene conto; era stato il suo stesso Ego ad accecarlo, ma poteva rimediare, desiderava davvero riallacciare i rapporti con Atsushi.
Quest'ultimo sembrava osservarlo con curiosità, non perché divertito dal pessimo stato in cui si era presentato, ma semplicemente interessato dal suo spirito d'iniziativa, dall'idea che finalmente, per la prima volta, era stato proprio lui a tentare un riavvicinamento.
«No, mia sorella mi ha portato fuori a cena.»
Atsushi rispose senza particolare enfasi; non era bastato neanche un ottimo dessert per allontanare l'amaro sapore che pervadeva la sua bocca.
Una parte di lui voleva stare vicino ad Akashi, dormire accanto a lui solamente per svegliarsi la mattina dopo e scoprire che nulla di tutto ciò era successo, ma doveva essere realista e affrontare senza timore una delle loro più grandi sfide.
Gli occhi del rosso erano spenti, ma non accettava passivamente di vivere una situazione problematica; non era da lui arrendersi facilmente e Atsushi, da parte sua, si sarebbe messo di impegno per cercare di salvare ciò che era rimasto di loro.
«Aka-chin, sembra che tu non stia dormendo da giorni.»
Murasakibara non poteva mentire davanti alla realtà, non aveva mai visto l'altro così sciupato e calmo; certo, non aveva perso la sua compostezza ed eleganza, ma era stanco e l'espressione sul suo volto diede conferma alle parole di Atsushi.
Akashi rise amaramente, le sue labbra si piegarono in un sorriso sincero, ma pareva più disperato che divertito, sebbene non avesse smesso di amare il tono infantile della voce di Murasakibara; gli era mancato, se così poteva dire, perché Atsushi era sempre stato un elemento costante nella sua vita e aveva sottovalutato la possibilità di non averlo più vicino a sé.
«Ho lavorato molto, tutto qui.»
L'espressione sul suo volto si ammorbidì e Murasakibara si rilassò, sapendo che Akashi era solito non lasciare il suo ufficio per tenere occupata la propria testa; erano così diversi, ma Atsushi aveva sempre ammirato anche il lato formale dell'altro, sebbene trovasse più affascinante l'Akashi più amichevole.
«Come va in pasticceria?»
Un groppo alla gola colpì Seijūrō, ma cercò di apparire il più naturale possibile; era davvero interessato ad Atsushi e in quel momento, in quel breve attimo, si accorse del genuino sorriso che illuminava il suo volto, segno che non era così stolto da non comprendere la sua tecnica.
Atsushi non voleva essere trattato come uno stupido, non si sarebbe mai accontentato di una semplice domanda per dimenticare tutto, ma apprezzò lo stesso lo sforzo, sottolineando quanto fosse divertente vederlo così impacciato.
«Bene, mancano persone in cucina, ma il mio capo ha detto che potrebbe darmi un aumento se mi impegnassi di più.»
La sua era pigrizia cronica, era così sin da quando erano ragazzi ed ora non voleva rischiare di perdere un occasione; Akashi aveva i suoi problemi, ma anche Murasakibara aveva degli ostacoli da affrontare: doveva dimostrare all'altro di non voler essere più accondiscendente, sebbene gli avesse sempre fatto comodo vedere Seijūrō prendere decisioni al posto suo.
«Kuroko-chin mi ha detto che avete discusso.»
Era strano sapere che Kuroko e Murasakibara erano di nuovo in contatto; i due non erano soliti passare troppo tempo assieme, ma era evidente quanto Tetsuya fosse legato ad entrambi.
Tutti nella generazione dei Miracoli avevano vissuto la loro vicenda in modo differente: Kagami e Aomine non si erano interessati più di molto, non perché odiassero Akashi, ma era una sua questione privata e i due non erano le persone più adatte a dare consigli; Momoi era stata a lungo l'elemento che aveva tenuto assieme il gruppo, la ragazza era riuscita a convincerli a rivedersi e, probabilmente, era stata proprio lei la prima ad accorgersi che tra Akashi e Murasakibara non vi era più sola amicizia.
Kise e Midorima avevano aiutato a modo loro, completamente diversi l'uno dall'altro; di Shintarou Akashi si fidava di più, non che considerasse Kise così sciocco, ma le loro personalità coincidevano e aveva lasciato che fosse Ryouta a contrastare il carattere più pacato di Atsushi.
In tutto questo, però, il gruppo di amici non poteva fare altro che supportare o criticare le loro scelte; toccava solamente ad Akashi e Murasakibara decidere della loro vita, della loro relazione, e neppure i consigli di Kuroko sarebbero serviti molto se Seijūrō non avrebbe imparato ad accettare i propri errori.
«Deve averti rimproverato troppo, vero Aka-chin?»
Lo aveva notato poco prima distratto, ma il suo sguardo incontrò di nuovo il suo e per brevi attimi Atsushi non poté che ricordare i primi anni della loro convivenza; il padre di Seijūrō non si era mostrato particolarmente felice della scelta del figlio, ma conosceva la famiglia Murasakibara da anni e, stranamente, aveva deciso di non ostacolare la giovane coppia.
Da parte di Atsushi, invece, le lamentele erano giunte in fretta, ma i suoi parenti erano solamente preoccupati e non infastiditi da quella novità; forse sua sorella si era dimostrata la più restia, ma aveva compreso che suo fratello era ormai grande e che avrebbe accettato la sfida senza rimpianti.
Ed era stato così per tutti quegli anni, Atsushi non aveva smesso di voler bene ad Akashi, neppure in quei momenti in cui quest'ultimo aveva pensato più a sé stesso che a lui; lo sapeva già dall'inizio, ma qualcosa era cambiato e anche ora, guardandolo, Seijūrō sembrava pronto a divenire una persona diversa.

«Ritorna a casa, Atsushi.»
Non era una supplica né un severo ordine; per la prima volta Akashi parlava senza pretendere nulla, chiedeva all'Atsushi di tutti i giorni, quello che spesso lo aveva perdonato, ma non desiderava una risposta che lo accontentasse, aspettava una risposta che rendesse soddisfatti entrambi.
«Per me è facile ritornare, Aka-chin, lo è davvero, ma sono indeciso.»
Murasakibara borbottò a bassa voce senza smettere di osservarlo; quella era la verità, si era allontanato da giorni, ma era ancora insicuro e una parte di lui aspettava, come tutte le altre volte, che Akashi scegliesse al posto suo.
Doveva crescere, era un adulto – Sua sorella glielo aveva ripetuto spesso negli ultimi giorni, ma per Atsushi non era così semplice sconvolgere lo status quo; Akashi aveva sempre mantenuto il controllo e Murasakibara non si era mai ribellato alle idee dell'altro, erano capitate le volte in cui avevano litigato, ma alla fine, finivano sempre per scegliere ciò che Seijūrō preferiva per entrambi.
«Ma cosa cambierebbe? Noi due siamo sempre gli stessi.»
Atsushi accettava le proprie colpe, raramente interveniva per discutere di qualcosa e Akashi era sempre stato contento del suo essere passivo poiché quella neutralità andava incontro ai desideri del suo ego.
Seijūrō non aveva mai desiderato un Murasakibara pensante, era stato come un soprammobile di poco valore per lui, ma ora le cose sarebbero cambiate, dovevano cambiare.
«Potresti venire con me, un giorno.»
Atsushi lo guardò confuso, non sapeva a che cosa si stesse riferendo, eppure, in un breve attimo, lo sguardo di Akashi sembrò preannunciare qualcosa di ben più grande di loro; il Rosso aveva appena preso una scelta senza neppure rendersene conto e quando finalmente Murasakibara capì, non poté far altro che sorridere timidamente.
«Credi che sia una buona idea?»
Seijūrō osservò l'espressione dipinta sul volto dell'altro e trovò le sue parole piuttosto buffe; non era nella sua indole preoccuparsi per inutili convenzioni, il mondo al di fuori del loro appartamento era destinato ad adattarsi alle singolari personalità di entrambi, ma Akashi comprendeva il suo timore.
Una volta entrati assieme nello studio dello psicologo tutto sarebbe lentamente mutato, Murasakibara avrebbe finalmente scoperto il lato più debole del suo compagno, lo avrebbe visto evitare domande scomode perché non ancora pronto a dare una risposta e avrebbe collaborato, seguendo le indicazioni dello psicologo, per aiutarlo ad essere più un Akashi per gli altri, piuttosto che il solito Akashi con sé stesso.
«Il dottore me lo ha proposto più di una volta. Ho rifiutato perché non lo desideravo e pensavo che coinvolgerti sarebbe stato inutile.»
Inutile per me – Avrebbe voluto aggingere; superfluo perché aveva sempre considerato Atsushi troppo stupido per comprenderlo, infantile e superfluo, ma ora doveva vederlo con occhi diversi e lo stesso Atsushi che aveva davanti a sé gli stava tacitamente dicendo che non si sarebbe mai tirato indietro.
«Potresti rimanere da tua sorella e venire a qualche seduta, non voglio obbligarti a trascurare la tua famiglia e-»
«Non sono un uomo impegnato come te, Aka-chin. Lo sai che sono sin troppo semplice.»
Non era un difetto esserlo; finalmente Akashi iniziò a pensare, rendendosi conto che Murasakibara non poteva sminuirsi solamente perché gli altri lo sottovalutava.
Sì, Seijūrō ne era certo, Atsushi era molto più di un semplice uomo, era spontaneo, alle volte ingenuo, ma era stato il suo essere realista a risvegliarlo da quel torpore in cui aveva vissuto per troppo tempo.

«Ma ti prego, non ne parliamo più. Ho voglia di dolce, c'è un po' di gelato in freezer?»
Un piccolo e sincero sorriso illuminò il viso pallido di Akashi e per un attimo, seppur per un solo breve attimo, tutto sembrò ritornare come prima e Atsushi non poté che sperare per un futuro migliore.


 
  
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