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Autore: Cara Jaime    02/01/2017    0 recensioni
"Non ricordo nulla della mia famiglia. C'è il vuoto assoluto nella mia memoria. Quando avevo 112 anni, sono stata adottata da un chierico di Priapurl, il cui figlio mi ha trovata priva di sensi al limitare della foresta vicina. L'uomo gestiva un orfanotrofio, dal quale sono stata subito raccolta. Sono sempre stata tentata di scappare per andare alla ricerca della mia vera famiglia. Sapevo di essere diversa, sebbene non ricordassi proprio nulla del mio passato. Qualcosa dentro di me, mi diceva che quello non era il mio posto e che meritavo di meglio. Aspettavo la notte per sgattaiolare dalla finestra con un fagottino che tenevo sempre pronto sotto al letto. Puntualmente, dopo aver percorso diverse decine di metri nel buio, mi ritrovavo a guardare il cielo senza sapere dove andare. Ripetei i miei tentativi diverse volte nell'arco di sei mesi. Col tempo feci l'abitudine a quella famiglia e alla sua routine, mentre crescevo e la speranza di ritrovare le mie radici si affievoliva in me..."
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cera una volta Quando avevo 112 anni, sono stata adottata dal un chierico, il quale gestiva un orfanotrofio. Un giorno mi sono svegliata in quella che ancora non sapevo essere casa loro. Mi fu raccontato che i ragazzi mi avevano trovato moribonda fuori dal bosco vicino al villaggio. Non ricordavo nulla, nemmeno il mio nome. Mi sentivo a disagio, ma tutti, in particolare Omar, mi rassicurarono dicendo che ero la benvenuta e potevo restare finchè volevo. Sono sempre stata tentata di scappare per andare alla ricerca della mia vera famiglia. Sapevo di essere diversa, sebbene non ricordassi proprio nulla del mio passato. Qualcosa dentro di me, mi diceva che quello non era il mio posto e che meritavo di meglio. Aspettavo la notte per sgaiattolare dalla finestra con un fagottino che tenevo sempre pronto sotto al letto. Puntualmente, dopo aver percorso diverse decine di metri nel buio, mi ritrovavo a guardare il cielo senza sapere dove andare. Ripetei i miei tentativi diverse volte nell'arco di sei mesi. Col tempo feci l'abitudine a quella famiglia e alla sua routine, mentre crescevo e la speranza di ritrovare le mie radici si affievoliva in me. Vivere e giocare con quei giovanotti, alla fine, era abbastanza divertente, per non parlare dell'attrazione che mi accorsi entrambi provavano per me. Mi lusingava, anche se non pensavo mai sul serio alla questione sentimentale. Mi piaceva flirtare con loro e metterli ogni tanto in competizione l'uno con l'altro. Solo il mezzorco sembrava essere indifferente al mio fascino femminile; questo fatto da un lato mi sollevava, ma dall'altro mi infastidiva. Com'era possibile che non piacessi anche a lui?

Ho sempre ammirato Ikari per il suo aspetto. Grazie al mio amore per le cose belle, l'ho sempre guardato con un misto di stupore e ammirazione, quasi fosse una bestia magica. Magari non l'ho mai detto, ma gli ho fatto un sacco di domande, specie quand'eravamo più giovani. Tuttavia, dato che non sapeva alcunché delle sue origini e il discorso sembrava turbarlo, a un certo punto ho smesso. Per pura curiosità scientifica, e anche per aiutare Ikari, lo ammetto, ho fatto alcune ricerche nella biblioteca di Priapurl, ma senza successo. Infine ho rinunciato, rimandando la ricerca a un futuro in cui avrei trovato una fonte di informazioni migliore. Ho finito per considerarlo una persona normale come Ragnar e il figlio del chierico, e non ci ho pensato più, sebbene la mia ammirazione per la sua vera forma permanesse

A 116 anni, ero oramai la donna di casa e mi occupavo regolarmente delle faccende. Una volta compiuta la maggiore età, avevo ormai accettato la mia nuova vita. Dissi al padre dei ragazzi che, oltre ai lavori di casa, volevo fare qualcos'altro. Lui rispose che, se continuavo a dare una mano, non aveva nulla da ridire. Così andai in paese e raggiunsi la bottega dell'orafo. Da alcuni anni ammiravo i gioielli esposti nel suo negozio. La curiosità e l'attrazione per le cose belle ebbero la meglio, così entrai e domandai se potevo diventare sua allieva. L'orafo mi rivolse uno sguardo strano, che mi inquietò. Accettò, nonostante mi accorsi che era titubante.

La mia passione per i gioielli fu vinta soltanto da quella per un altro tipo di arte. L'Arte. Un giorno, sbirciando in un vecchio baule nel retrobottega alla ricerca di un materiale per un gioiello che stavo fabbricando, trovai un tomo polveroso. "Le basi della magia" era il titolo che troneggiava sulla copertina. Era ben rilegato e, malgrado il tempo, non sembrava rovinato. Forse nessuno lo aveva mai usato. Iniziai a leggerlo, dimenticando dove fossi e il mio lavoro. Inutile dire che, al ritorno, presi una lavata di capo dall'orafo. Mi trattenni a malapena dal rispondergli in malo modo, spiegandogli invece il motivo della distrazione. Lui mi rivelò che sua moglie era una maga e che il libro apparteneva a lei. Mi raccontò solo che era morta poco dopo il loro matrimonio. Nei suoi occhi si leggeva un immenso dolore. Mi sorpresi a domandarmi come mi sarei sentita se avessi perso una persona che amavo. Fu là che mi resi conto che, nonostante l'affetto che provavo per Alex, Omar e il loro padre, non avevo mai provato ad amare veramente. Mi domandai cosa si provasse e come si faceva a innamorarsi. Quando feci per restituire il libro, l'orafo mi fissò con un'espressione enigmatica e mi disse di tenerlo. "È rimasto lì per cinquant'anni, indisturbato. Se l'hai trovato c'è sicuramente un motivo," si giustificò. Così portai a casa il tomo e lo finii di leggere in poche sere. Passai qualche notte sveglia, a meditare su ciò che avevo appreso. Il giorno seguente al ritrovamento del libro di magia, iniziai a fare piccoli esperimenti. Scoprii di essere in grado di percepire gli incantesimi presenti sugli oggetti e di poter muovere questi ultimi, anche se solo quelli piccoli. Entusiasta, ne parlai al padre dei ragazzi, il quale mi guardò per la prima volta come se non mi conoscesse. Fu strano, ma non troppo. Da un lato mi lusingò. L'uomo mi informò che se volevo imparare la magia mi sarei dovuta rivolgere a un mago, che risiedeva poco lontano. Tuttavia, lui non poteva permettersi di pagare i miei studi. Gli assicurai che avrei mantenuto il lavoro all'oreficeria e contemporaneamente portato avanti i miei studi. Il giorno successivo, andai dritta dal mago di cui mi aveva parlato. Era un umano canuto con i capelli lunghi ondulati e la barba caprina. Viveva in una casa poco distante dal villaggio. Bussai alla sua porta, mi presentai e gli dissi del mio intento di approfondire gli studi della magia. Quello mi squadrò con un luccichio malizioso negli occhi scuri e mi invitò a entrare. Mi mostrò generosa ospitalità, servendomi da bere e da mangiare. Mentre titubavo sul da farsi, stranita da quel accoglienza e percependo un'aura magica proveniente dalla coppa in cui mi aveva versato del vino, l'uomo si avvicinò da dietro e mi scostò i lunghi capelli dorati. La pelle del mio collo scoperto rabbrividì, quando fu sfiorata dal suo fiato. Sollevai istintivamente la forchetta d'argento senza toccarla con un dito, e la scagliai sopra la mia spalla con l'intento di colpirlo. Non desideravo farlo, nè ferire il mago, ma l'impeto ebbe il sopravvento. Il mio gesto valse a lui una ferita sullo zigomo e a me un mentore. Disse che ero portata per la magia, ma non lo presi sul serio, a causa del suo comportamento ambiguo. Sin da allora, penso che mi stia addestrando solo per avere il mio corpo. Non succederà mai, naturalmente. Non intendevo donarmi al primo che capitava, tantomeno a un vecchio rugoso senza alcuna attrattiva fisica. Per la mia sicurezza, menzionai l'avvenuto soltanto al figlio del chierico; mi sembrava il più saggio tra i ragazzi con cui sono cresciuta. Conoscendo Ikari, temevo potesse nuocere al mago per vendicare il mio onore; Ragnar avrebbe fatto lo stesso, ma con molta meno discrezione. Quell'uomo mi serviva ancora per la mia istruzione. Dopo essermi confidata, non ne parlai più ad anima viva.
   
 
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