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Autore: RaidenCold    02/01/2017    0 recensioni
Salve a tutti, questa è la mia prima serie fanfic e spero vi piaccia! Narrerà soprattutto della storia di Leonidas, ragazzo legato dal destino al mondo di Atena e dei suoi cavalieri, e sarà un racconto molto lungo... spero di non annoiarvi, buona lettura!
Genere: Azione, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ottobre 2007, Leonidas:

Claire ci ha dato una notizia bellissima: presto avremo un fratellino.

Poi però ho pensato che forse non era giusto che io fossi lì e che il mio posto fosse un altro; lei ci ha abbracciato tutti e tre facendoci promettere che tutti insieme saremmo stati una famiglia piena di affetto.

 

 

“Tieni ancora gli occhi chiusi!”

“Insomma Lun, quanto ci vuole ancora?”

“Ok ci siamo!”

Leonidas aprì gli occhi e davanti a lui vi era un tavola imbandita con un'incredibile quantità di pietanze, alla quale sedevano Bull, Minerva, Miles, Deneb e Lambda;

“Dovevamo festeggiare il tuo arrivo qui alla quinta casa!”- lo salutò Bull con una delle sue solite poderose pacche sulla spalla.

“Ho invitato anche Deneb e Lambda, così, per far numero, spero non ti dispiaccia.” gli sussurrò Lun;

“Affatto... ma siete sicuri che si possa fare?”

“Chi vuoi che rompa... Chiron? Sarà a Rodorio con qualche ragazza!” - commentò Lambda ridacchiando;

“Con una ragazza?”

“Già, quando ha del tempo libero si diverte con qualche amica.”

“M-ma non è tipo un Sacerdote o roba simile?”

“Un cavaliere non dovrebbe avere relazioni, perché Atena dovrebbe essere sempre al centro del suo cuore… Bull ebbe una particolare intercessione per potersi sposare ed avere figli. Chiron invece è diverso: fa quel che gli pare e basta...” disse con aria indifferente Deneb sorseggiando un bicchiere di vino rosso.

Leonidas sorrise e tutti si sedettero a mangiare allegramente, poi Bull innalzò un calice di vino:

“Al nuovo cavaliere di Leo!” - e tutti brindarono.

A Leonidas non pareva vero di essere a festeggiare con Lun, Bull e Minerva dopo tanti anni, era come se non si fossero mai separati, e l'affetto che provava per loro, che non si era mai affievolito nel tempo, era più caldo che mai. E poi c'era Miles, l'amico più fedele che non lo aveva mai abbandonato, c'era Deneb con cui finalmente poteva parlare e dirgli tutte le cose che avrebbe voluto dirgli in quei tre anni riguardo ai suoi progressi, e poi c'era Lambda, che osservava silenziosamente ma sempre con un sorriso stampato in faccia; parlava poco ma non sembrava annoiarsi e come tutti i presenti scoppiava a ridere dopo un qualche aneddoto di Lun e delle sue tragicomiche avventure che Leonidas aveva sentito decine e decine di volte, ma che quella sera voleva riascoltare tutte dalla prima all'ultima. Leonidas osservò a lungo Minerva, sembrava sempre la stessa, chi avrebbe mai pensato che dietro a quella ragazza dall'aspetto così mite si celasse una divinità… «la dea della guerra».

 

Minerva contemplava il Santuario seduta sulla soglia della quinta casa, quando sentì due braccia avvolgerla:

“Che fai qui tutta sola sorellina?”

“Fratellone...”

Leonidas si sedette accanto a Minerva che si accoccolò tra le braccia del fratello:

“Sei diventato così grande Leo...”

“Anche tu. Se ripenso a quanto eri piccola; quando ti stringevo tra le mie mani,sembravi un angioletto... e ora hai sedici anni...”

“Leo...”

“Sì Minerva?”

“Ti prego, non cambiare l'affetto che provi per me...”

Minerva si alzò in piedi a fissare il cielo in silenzio;

“Non ti capisco...”

Minerva ruotò il viso sul quale vi era un'espressione malinconica:

“Leo, io chi sono per te?”

Leonidas si alzò in piedi, appoggiò le sue mani sulle spalle di Minerva e la guardò nei suoi immensi occhi verdi:

“Tu sei mia sorella, morirei per te per questo motivo se necessario, non ho bisogno di altre ragioni.”

Minerva scoppiò a piangere e Leonidas la strinse al suo petto:

“Leo...”- singhiozzò la giovane: “...non so più chi sono...”

“Te l'ho detto, sei mia sorella.”
“Io sono...io sono Atena, tutti qui al Santuario si aspettano molto da me, ma io non so che cosa farò quando sarà necessario il mio intervento, ho paura!”

“Ci siamo io, Lun e Bull, e poi tutti gli altri cavalieri; siamo noi al tuo servizio, non viceversa, non scordarlo mai.”- le disse asciugandole con il pollice le lacrime sul volto.

“Hai ragione.”- rispose la ragazza cercando di abbozzare un sorriso nonostante avesse ancora gli occhi carichi di lacrime.

 

Bull aveva riportato Minerva nelle sue stanze, sebbene lei avrebbe voluto dormire nella quinta casa, cosa impossibilitata dalle ferree regole di sorveglianza imposte alla ragazza; Miles e Deneb se ne erano andati al villaggio e Lun si era addormentato sul divano e probabilmente non si sarebbe svegliato fino al mattino seguente.

Leonidas si era offerto di accompagnare Lambda alla prima casa ed ora si stavano salutando davanti all'uscita del palazzo del montone bianco.

Lei gli sembrò così diversa da come l'aveva vista quella mattina con indosso l'armatura: ora invece aveva un semplice vestito celeste che le arrivava fin sopra le ginocchia, ed una felpa rossa visibilmente troppo grande per lei, infatti non solo quando distendeva le braccia le maniche le penzolavano lungo i fianchi, ma la scollatura mostrava una buona parte del suo prosperoso seno - che Leonidas non si capacitava potesse entrare nell'armatura...

“Devi volerle davvero molto bene.”

“Già.”

“Quindi siete fratelli?”

“Sì, ma non di sangue. Ho vissuto in un orfanotrofio a Firenze fin dai primi giorni in cui sono nato, e quando avevo due anni trovarono Minerva... era così piccola, nessuno si capacitava di come qualcuno avesse potuto abbandonarla. Avevamo solo due anni di differenza, eppure mi comportavo come un genitore per lei: le davo la pappa, la cambiavo, le facevo il bagnetto...e lei voleva sempre stare con me; per quattro anni eravamo solo io e lei, l'uno la famiglia dell'altro, poi arrivò Lun: lui era già grande- aveva quattro anni- e a differenza nostra non era nato orfano ne era stato abbandonato, semplicemente, sua madre era morta per un male incurabile, lasciandolo solo al mondo. Suo padre invece non lo ha mai conosciuto.”

“E poi Bull vi ha adottati?”

“Già, tutti e tre. Probabilmente aveva avvertito in noi qualcosa di insolito, forse il nostro cosmo, ma di fatto sarebbe comunque stato impossibile separarci.”

Lambda sorrise:

“E' bello avere qualcuno a cui rivolgere il proprio affetto; è una cosa che mi piacerebbe riprovare un giorno. Buonanotte.”,

detto ciò la ragazza dalla lunga chioma bionda si voltò ed entrò nella sua casa, mentre Leonidas cercava di capire che cosa si celasse dietro alle sue parole.

 

 

Leonidas si era svegliato di buona lena, e stava passeggiando tra le strade di Rodorio - il paese adiacente al Santuario- con Lun, e cercavano un posto in cui fare colazione:

“Vediamo, quel fornaio dovrebbe essere...eccolo!”

Lun trascinò il fratello in un forno dal quale usciva un delizioso profumo di pane caldo; si sedettero ad un tavolo e con calma mangiarono dei cornetti alla crema, sorseggiando un cappuccino:

“Non è buono come in Italia, ma va bene lo stesso, no?” commentò Lun;

Leonidas non rispose, era intento a leggere un messaggio che gli era arrivato sul cellulare;

“Che succede Leo?”

“Il gran Sacerdote vuole vedermi... è meglio andare.”

“Fa con calma, tanto non è mai puntuale.”

“Sarà, ma non mi piace essere in ritardo”; Leonidas pose una banconota sul tavolo e si alzò:

“Ci vediamo dopo Lun.”

“A dopo!”

 

“Permesso?”

Chiron, con indosso una lunga toga indaco, si alzò dal suo trono e andò incontro al ragazzo:

“Vieni pure Leonidas! Perdona l'attesa; allora come va, ti stai ambientando?”

“Sono qui da soli sei giorni, non saprei... però è un bel posto. Ad ogni modo, come posso aiutarla gran Sacerdote?”

“Ti ho già detto che puoi chiamarmi Chiron; comunque, ho un compito abbastanza facile da affidarti, te la senti?”

“Mi dica pure.”

“Vedi, in Italia, a Roma, c'è un certo orfanotrofio, dove vi è un ragazzino prodigioso che si dice sia in grado di fare miracoli. Inoltre, l'armatura d'oro della Vergine, attualmente priva di un proprietario, ha proprio in questi giorni cominciato a risplendere come se qualcosa la stesse chiamando; ho fatto alcune ricerche, e ritengo che ci sia una buona probabilità che il ragazzino di cui stiamo parlando sia il legittimo proprietario dell'armatura.”

“Vuole che porti a costui l'armatura?”

“Sì, anche questo; ma in particolare vorrei che tu lo conducessi qui al santuario affinché prenda il posto che gli spetta, così finalmente tutti e dodici i cavalieri d'oro saranno riuniti.”

Leonidas chinò il capo e rimase in silenzio per qualche istante.

“E se non volesse seguirmi? Nessuno lo ha mai istruito riguardo al cosmo, sarà probabilmente spaventato da ciò che è in grado di fare, in più portargli un fardello tanto grande...”

“Non è un fardello, e non lo costringerai a venire. Conto su di te per convincerlo a seguirti, perché credo tu possa parlare a cuore aperto con lui: Bull mi ha riferito in questi anni di ciò che ti è successo, da quando ti ha adottato all'esplosione del tuo cosmo tre anni fa.”

Chiron guardò Leonidas negli occhi con un’espressione solidale:

“Ho fiducia in te, non è una missione difficile, non richiede forza ma animo.”

Leonidas abbassò lo sguardo:

“Va bene, eseguirò il mio dovere.”

“Non sarai solo: Deneb verrà con te, e nei giorni in cui sarete assieme ti aiuterà ad affinare il settimo senso, lui ha imparato a padroneggiarlo da poco, quindi ti insegnerà le basi.

Quando tornerai ti affiancherò un cavaliere più esperto per completare il tuo addestramento.”

“Ho capito, vado subito a prepararmi.”

“Leonidas.”

“Sì gran sa...Chiron?”

Chiron lo osservò sorridendo:

“Non essere sempre così serio, sorridi ogni tanto.”

Leonidas ricambiò il sorriso:

“Certamente.” - detto questo uscì dalla stanza.

 

 

Leonidas e Deneb aspettavano fuori, appoggiati al muro; dalla porta uscì un gruppetto di uomini in giacca e cravatta, tutti dall’aspetto molto simile, ben rasati, curati, seri, inflessibili. Uno di loro guardò i pandora box, poi si voltò verso i due ragazzi e fece uno strano sorriso, nel quale vi era una sorta di disgusto.

I due entrarono in uno studio al cui centro vi era una scrivania: lì vi era un uomo intento a leggere alcuni fogli:

"Benvenuti, accomodatemi pure."

L'uomo si alzò e strinse la mano ai due ragazzi:

"E' un piacere conoscervi don Carlo."

"Il piacere è tutto mio."

"Io sono Deneb, cavaliere di bronzo del Santuario e lui è Leonidas, cavaliere d'oro."

Leonidas si presentò al prete, dopodiché tutti e tre si sedettero:

“Scusate se vi ho fatto attendere, quei signori si sono fermati più a lungo di quanto pensassi.”

“Chi erano?”- domandò Leonidas, il quale era stato particolarmente infastidito dalla vista di quelle persone.

“Uomini avidi, ed irrequieti.”

“Cloud?”

“Molto probabilmente.”

Leonidas si voltò verso Deneb in cerca di spiegazioni.

“E’ l’organizzazione mondiale che si occupa della mediazione tra il Santuario e le altre nazioni; quando sono in giro c’è sempre da preoccuparsi. Ad ogni modo, sono stato informato della situazione e in questo momento sono qui in rappresentanza della santa sede."

"Dunque?"- domandò Deneb;

"Stando agli accordi che abbiamo con il Santuario di Atene, se una delle vostre armature riconosce il proprio cavaliere, noi non possiamo assolutamente interferire. Tuttavia devo avvertirvi, Ian è un ragazzo molto sensibile: ha solo quattordici anni, appena compiuti per giunta, e di colpo ha cominciato a sviluppare queste abilità incontrollabili, è molto spaventato."

Deneb incrociò le braccia:

"Ad esempio?"

"I primi poteri che ha dimostrato di possedere erano di natura taumaturgica: curava graffi e ferite di piccola entità solo toccandole, pensavamo tutti che fosse un miracolo di Dio. Poi però sono successe altre cose: a volte mentre dormiva il suo letto prendeva improvvisamente fuoco- lui comunque ne usciva illeso, quasi le fiamme non lo avessero sfiorato; un'altra volta scomparve improvvisamente davanti a tutti e lo ritrovammo rannicchiato nel giardino del dormitorio che tremava come una foglia; e poi ci fu quella volta che... si fece un taglio, una goccia del suo sangue cadde a terra e di colpo tutto il pavimento della stanza in cui eravamo era completamente coperto di sangue."

"Immagino le vostre perplessità, ma come ci ha appena detto, se l'armatura lo riconosce vi è proibito intervenire."

"Non era mia intenzione... quello che volevo dirvi è che non sono sicuro che Ian vi accetti."

"Non vogliamo assolutamente forzarlo, il nostro compito è di informarlo, siamo qui per aiutare."

"Spero possiate aiutare quel povero ragazzo."

Deneb si alzò e gli strinse la mano:

"Lo spero anch'io."

"Ora, se volete seguirmi..."

Il prete guidò Leonidas e Deneb fino ad un porticato in mezzo al quale un gruppo di ragazzi era intento a fare una partita di calcetto; vi era però un gracile ragazzetto dai capelli dorati che stava seduto su un gradone, intento ad ascoltare della musica nelle cuffie.

Don Carlo lo toccò sulla spalla per avvisarlo della sua presenza e il ragazzo si tolse le cuffie:

"Ian, ci sono qui delle persone che vorrebbero parlarti, vengono dal Santuario di Atene."

Ian annuì col capo ed il prete si alzò e si avvicinò ai due cavalieri:

"Vi lascio soli."

Deneb e Leonidas si sedettero accanto al ragazzo biondo:

"Voi siete...cavalieri di Atena?"

"Sì, io sono Deneb e lui e Leonidas."

"Hai un'energia molto fredda, quando ti sei seduto vicino a me mi sono venuti i brividi; Leonidas invece ne ha una più calda...”

“Si chiama cosmo, è l'energia che è dentro ognuno di noi, ma che solo alcune persone riescono a utilizzare.”

“Come me?”

“Come te.”

Ian sorrise:

“E io che pensavo di essere un santo o qualcosa del genere...”

“In un certo senso i cavalieri di Atena lo sono, alcuni possono persino compiere miracoli con il loro cosmo.”

“Quindi io sarei un...cavaliere?”

“Non possiamo dirlo ancora; per questo abbiamo portato qualcosa che, stando alle parole del nostro gran sacerdote, ti appartiene.”

“Io vorrei aiutarvi...”

Ian aprì gli occhi, completamente bianchi:
“...ma anche volendo non saprei dirvi se quell'oggetto mi appartiene.”

Leonidas osservò gli occhi di Ian e provò una gran pena per quel ragazzo dall'aria così innocente, poi trovò il coraggio di parlargli:

“La vista non è necessaria, un'armatura emana un cosmo in presenza del suo legittimo proprietario, è qualcosa che trascende i cinque sensi...”

Ian rimase per qualche istante in silenzio.

“Portatemi dunque da questa armatura.”

Deneb aiutò il ragazzino ad alzarsi e si avviarono verso la stanza in cui avevano depositato l'armatura della vergine.

Leonidas rimase un attimo da solo nel porticato;

“Lascia il segno in chiunque lo conosce.”

Don Carlo si sedette su una panchina accanto a Leonidas;

“Ha un animo così...”

“Cristallino.”

“Sì.”

“E' delicato; di per sé lui è una persona molto dolce, in più è cieco dalla nascita e ha sempre... percepito il mondo in un certo modo.”

Leonidas osservò il cielo azzurro e privo di nubi: «come quel ragazzo» pensò tra sé e sé.

 

Ian sentì il cuore battergli forte, non aveva mai provato una sensazione simile, era come se ad ogni passo che faceva andasse incontro a qualcosa di immenso, un mare di energia che lo avvolgeva poco a poco; infine entrò nella stanza assieme a don Carlo e ai due cavalieri.

Nonostante non potesse vederla, percepì subito che al centro della stanza vi era l'armatura d'oro della vergine.

Si avvicinò fino ad arrivare ad un passo da lei e poi la «scrutò».

Alzò lentamente la mano sinistra, la lasciò in tensione per qualche secondo, e poi la posò sull'armatura.

Ian rimase immobile in silenzio per diversi minuti, allorché Deneb cominciò a preoccuparsi e si avvicinò al ragazzo:

“Ian è tutto ok?”

Deneb vide che diverse lacrime rigavano il volto impassibile del ragazzo. Infine Ian bisbigliò qualcosa:

“Come scusa?” chiese Deneb perplesso;

“Questo calore...”

Ian raccolse l'elmo dell'armatura e se lo portò alla fronte, quasi come se i suoi occhi e quelli della maschera si stessero guardando:
“Io l'ho già sentito questo calore. E' stato tanto tempo fa... durante i miei primi giorni di vita...”

“I tuoi primi giorni... di vita?” domandò Leonidas;

“Questa armatura...apparteneva a una donna di nome Elizabeth.

quindici anni fa scomparve senza lasciare alcuna traccia.”

“E poi... che cosa è successo?”

Deneb chinò il capo e chiuse gli occhi, poi lentamente, proferì parola:

“Sei anni fa abbiamo saputo della sua morte.”

Ian si inginocchiò a terra, e aggiunse al suo pianto ciò che era mancato finora: la disperazione.

Singhiozzando, tentò di parlare:

“L-lei...”

Ma il pianto strozzò la sua voce, dopodiché tentò nuovamente di parlare:

“L-la mia...la mia...”

Ian alzò lo sguardo al cielo, anche se non poteva vederlo:

“Mia madre ha lasciato il suo ultimo attimo di vita in questa armatura.”

Strinse a sé l’elmo della Vergine e si chiuse in un silenzio spezzato solo dal suo pianto, che faticava a far cessare.

   
 
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