Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |       
Autore: The Custodian ofthe Doors    02/01/2017    1 recensioni
Will amava il Texas come niente al mondo, perché significava casa, famiglia, calore, felicità. Amava ogni cosa di quello Stato, del suo Stato, ogni piccola collina e grande prateria, le mandrie e le corse dei cavalli liberi nel caldo luminoso del Sole.
Will ha sei anni, una famiglia numerosa, una madre esuberante che gli annuncia di aver trovato un ranch tutto per loro ed una nuova avventura da intraprendere, che li porterà sulla strada polverosa della Stella di Rame, in un viaggio sorprendente ed una meta inaspettata che un poco si rivelerà un luogo concreto ed un po' solo quel lungo ed infinito correre verso il futuro, tra strade di campagna che si insinuano per l'infanzia e l'adolescenza, alla perenne ricerca di maturità che spesso i bambini ricercano senza rendersi conto di quanto sia magnifica la loro età.
Ma la verità è che ogni strada che decidiamo di percorrere porta a ciò che saremo, a ciò che ha fatto di noi quello che siamo e che sia una lingua d'asfalto o una strada di campagna, per quanto potremmo allontanarci, troveremo sempre il modo per tornare a casa.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Will Solace
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


C O U N T R Y R O A D


Prima parte.

[Marzo]


Will amava la sua città, amava il Texas come niente al mondo. La prateria calda e afosa, i colori caldi della vegetazione, le musica incalzante e gli animali liberi nel pascolo. Amava il ranch di suo nonno, la sua piccola stanzetta affianco a quella della mamma, che una volta era appartenuta a zio Eric ma che ora era tutta sua. Amava gli stivali a punta e i cappelli da cowboy, amava lanciare il lazo e cavalcare i poni, il nonno gli aveva promesso che appena sarebbe stato abbastanza grande da riuscir a carezzare la schiena di un cavallo senza salire su un rialzo avrebbe cavalcato un vero destriero. La nonna gli sorrideva sempre in quei momenti, dicendogli che sarebbe stato proprio un perfetto texano da grande.
Will amava il Texas perché era sinonimo di famiglia, di casa e di affetto e non capì subito l'entusiasmo della madre contrapposto alla tristezza della nonna quando Summer, la sua mamma, aveva annunciato di esser finalmente riuscita a comprare un Ranch tutto suo.
Per prima cosa non capiva perché avessero bisogno di un altro ranch, insomma quello della famiglia Solace era abbastanza grande per tutti i cinque figli e anche per eventuali nipoti, quindi di spazio non si trattava.
Seconda cosa, perché la nonna diceva di essere tanto orgogliosa della mamma, ma poi piangeva e diceva che gli sarebbe tanto mancata?
Glielo spiegò proprio Summer, quella sera stessa: era riuscita comprare un Ranch abbastanza grande dove avrebbe finalmente potuto realizzare il suo sogno di aprire un locale in stile Country. Questo significava che si sarebbero trasferiti in una casa tutta loro, loro soltanto.
Will accolse con gioia la notizia, aveva sei anni e la sua mamma aveva comprato una casa solo per loro due e anche se gli dispiaceva lasciare i nonni e gli zii era così contento che passò i successivi giorni a dire a tutti i suoi amichetti a scuola che avrebbe cambiato casa e a chiede a Summer quando avrebbero fatto le valige, come sarebbe stata arredata la casa, se sarebbe stata bella come quella vecchia e se poteva mettere una tavola da Surf come quella dello zio Jacke in camera sua.

Ogni cosa sembrava andare per il verso giusto finché Jenny, una sua compagna di classe non gli chiese dove si sarebbe trasferito.
Per Will era ovvio, in qualche parte del Texas, ma effettivamente se era troppo lontano c'era rischio che dovesse cambiare scuola e ai suoi dubbi Summer rispose sorridendo, il sorriso più bello che Will avesse mai visto, che sicuramente avrebbe dovuto cambiare scuola, dopotutto non si poteva vivere in uno stato e andare a scuola in un altro.
Era la fine di Marzo quando il bambino scoprì che la sua nuova casa si trovava in Arizona, per la precisione a Phoenix, che non solo avrebbe dovuto lasciare i nonni, la sua cameretta, la sua scuola, i pascoli, le mandrie e i cappelli da cowboy, avrebbe dovuto lasciare proprio il suo amato Texas.

[Aprile]


Era furioso, con sua madre che aveva cercato casa così lontano, con i suoi nonni che non si erano opposti, con zio Jakce che gli diceva che sarebbe stato bello e anche con zio Eric che gli dava manforte. Era arrabbiato con quella stupida casa, quella stupida città e quello stupido stato.
Cosa diamine era l'Arizona? Lui non la conosceva, non era casa sua!
Zia Laura diceva che era un bel posto, dove c'era il Gran Canyon e facevano il famoso tea, ma ancora una volta, nulla di tutto ciò lo sollevava di morale.
Certo all'inizio era felicissimo - “una nuova avventura!”- ma adesso che capiva effettivamente cosa stava per succedere, tutto quello che stava abbandonando, l'unica cosa che voleva fare era chiudersi in cameretta e piangere fino a quando sua madre non gli avrebbe detto che era tutto uno scherzo e che rimanevano in Texas.
Fra qualche mese avrebbe detto addio a casa sua.

[Luglio]


Quel giorno fosse stato per Will non sarebbe mai arrivato, avevano aspettato prima di partire perché il bambino si era rifiutato di festeggiare il 4 luglio lontano dai parenti, senza fare la grigliata, giocare con i cugini e vedere i fuochi d'artificio. Ma ormai erano già nella metà inoltrata del mese, della festa del 4 luglio restavano solo le decorazioni sbiadite a tempo record dal sole e i segni di bruciatura nel prato, dove gli zii avevano fatto partire i fuochi d'artificio e dopo uno era quasi scoppiato in faccia allo zio Jacke.
Non c'erano più scuse, nessuna festa, ricorrenza o compleanno, persino la mucca dei Signori Dowson, i vicini, aveva partorito prima del previsto e Will non poteva usare come pretesto il “voglio vedere un cucciolo di mucca”.
Si lasciò abbracciare forte dalla nonna mentre i fratelli di sua madre caricavano l'ultima valigia nel picup sgangherato della sorella e la salutavano con affetto, ricordando le somiglianze di quel giorno con quelli in cui ognuno di loro era partito per il college.
Per Will non c'era niente di bello, niente che gli ricordasse della partenza dell'ultimo dei fratelli Solace, zio Benny, ne un qualunque altro momento di gioia.

<< Vedrai Will, sarà come una vacanza.>> Sorrise smagliante la donna e per tutta risposta il figlioletto si voltò dalla parte del finestrino.

Un bussare al vetro gli fece alzare gli occhi dalla maniglia scolorita della portiera, suo nonno gli sorrideva bonario da fuori, facendogli segno di abbassare il finestrino.
<< Tieni Will, prendi questo, così durante il viaggio avrai qualcosa da fare, ci vorrà un bel po' per arrivare a Phoenix.>> gli allungò il suo mangiacassette portatile e poi un paio di pile di riserva.
<< Sai come funziona tanto, se avvolgi il nastro a mano risparmi la batteria.>>
Will annuì al nonno, guardandolo con un misto di stupore e gratitudine.
<< Poi te lo riporto nonno, quando torno te lo ridò, promesso!>> l'acuta voce infantile fece ridacchiare il vecchio che gli posò una carezza in testa, << Tienitelo pure, facciamo che è il mio regalo, così se senti la mancanza di casa, accendi il registratore, fai partire la cassetta e ascolti la musica. Ci sono le mie canzoni preferite li dentro! Mi raccomando!>>
Poi fece il giro della macchina e salutò la figlia, augurandole buon viaggio e raccomandandosi di far attenzione in autostrada.
<< Fermati alla 66 e fagli una foto, Sum!>> gli gridò il fratello beccandosi un buffetto dalla madre.
<< Non starlo a sentire e vola dritta a casa!>>
<< Chiamaci quando arrivi!>>
<< Ciao Willy!!>>

Si sporse dal finestrino e cominciò a salutare chiamando a gran voce ognuno dei presenti, continuando a muovere la mano finché il cancello del Ranch non scomparve e solo la polvere rimase alle loro spalle.
Con un misto di malinconia e voglia di piangere pensò che quello sarebbe stato l'ultimo tramonto che avrebbe visto in Texas.
<< Mamma ma in Arizona c'è il tramonto?>>
Summer sposò per un attimo lo sguardo dalla strada a lui. Sorrise.
<< Certo che c'è il tramonto! Ovunque c'è il sole c'è sempre il tramonto Willi e l'Arizona non fa eccezione.>>

La strade era davvero lunga e Will aveva subito acceso il mangiacassette, una voce maschile aveva intonato le prime canzoni allegre tipiche delle feste a casa Solace, ma era stata una voce più melodiosa e malinconica a tenergli compagnia: anche lui stava lasciando casa, si ricordava delle montagne e dei fiumi e Will voleva tanto parlare con lui, per sapere se poi si era abituato e non gli era mancato più il suo West Virginia.
Le cuffie erano troppo grandi per il bimbo, il ponticello di metallo non gli toccava la testa, sfiorando solo quella massa di riccioli dorati che si ritrovava, doveva continuamente metterle bene, o tenerci le manine abbronzate sopra, tirando su col naso di tanto in tanto per poi stringere la cuffia tra l'orecchio e la spalla e mandare indietro il nastro per sentire di nuovo quella voce malinconica. Anche lui voleva tornare a casa, ma la strada che stavano percorrendo non era di campagna e non lo avrebbe riportato indietro.
Cullato dalle note di un viandante, di un ramingo che ricerca la madre patria, si addormentò sul confine tra Texas e Arizona, assieme all'ultimo tramonto nella terra dei cowboy.

La terra blu di libertà si srotolava sotto le ruote dell'auto, mentre nel cielo esplodevano raggi oro e rossi, il sole incandescente delle Valley accoglieva la stella di rame che faceva bella mostra di sé al centro del suo stato, la stella solitaria era ormai lontana, il confine franco perduto.

Dopo ore di viaggio, una cassetta finita che riproduceva solo il sibilo delle rondelle che giravano a vuoto, senza esser bloccate dal proprietario ormai caduto nelle braccia di Morfeo, Will fu svegliato in un autogrill, una vecchia pompa di benzina davanti ad una vecchia tavola calda chiamata “Stella Ramata”.
Dovevano solo fermarsi un attimo per chiamare il vecchio proprietario che gli avrebbe consegnato le chiavi della tenuta e poi sarebbero ripartiti subito.
Mentre sua madre stava al telefono a gettoni, con i jeans logori, la camicia a scacchi rosa legata attorno alla vita e gli stivali da cowboy in pieno stile texano, Will beveva imbronciato il suo milkshake alla fragola, cercando di riavvolgere il nastro con il mignoletto dato che le batterie erano finite e lo sportelletto del mangiacassette non si apriva. Era sempre stato un problema farlo, zio Benny lo aveva fatto cadere quando era a cavallo e si era tutto ammaccato, avrebbe dovuto aspettare sua madre per poter cambiare le pile e nel frattempo il passatempo migliore era incenerire con lo sguardo tutti i ragazzi che si intrattenevano troppo vicino alle cabine telefoniche solo per poter guardare la sua mamma.
Era incredibile come lo sguardo di un bambino potesse mettere tanto a disagio un adulto, zia Laura diceva che li facevano sentire in colpa, agli uomini, i bimbi, che si rendevano conto di star facendo qualcosa di sbagliato o inappropriato.
Quindi aveva il compito di fissare incessantemente ogni uomo che si avvicinava a sua madre. Summer si staccò dalla cornetta rimettendosi in testa il suo bel cappello texano e tenendo stretta in mano una busta con dentro qualcosa da mangiare. Sorrise al proprietario chiedendo quanto gli doveva e l'uomo, come ripresosi da una trace, scosse la testa dicendogli che era tutto già pagato, e certo Summer non era stupida, né per insistere sul dargli i suoi soldi, con una casa appena comprata, un viaggio chilometrico alle spalle, un bambino affamato, stanco e di cattivo umore in macchina, né per chiedergli chi fosse la buon anima che le avesse offerto un pieno da 25 litri. Sorrise amabilmente con quel suo sorriso che era stato in grado di rapire anche il Sole e risalì in macchina, aprendo la mano verso Will per farsi ridare le chiavi e anche per rubargli un sorso di milkshake.
<< Per questa sera ci accontenteremo di sformato, torta di mirtilli e gelato, ma domani andremo a fare la spesa e si, va bene, compreremo altro gelato.>> Gli scompigliò i capelli facendogli cadere il ponticello delle cuffie sul naso, ridacchiando divertita e soffiando fuori un piccolo “ops”, prima di rimettere in moto la macchina e riportarla sulla strada polverosa e macchiata di rosso dello stato del Canyon.

La via che portava alla fattoria sembrava tanto simile a quella del ranch, ma mentre lì la terra era marrone chiaro, quella specie di giallo sbiadito, l'Arizona era ricoperta tutta da uno strato di polvere di mattoni. Si, Will ne era più che certo, quello era il colore dei mattoni della sua scuola, quindi in Arizona doveva esserci la fabbrica dei mattoni di tutta America, caso chiuso.
Il cancello dalla vernice bianca crepata era aperto, dentro, tra le nuvole di polvere di mattone, Will distingueva chiaramente una grande macchina, come il fuoristrada di zio Jacke. Ma non ci sarebbe stato nessuno dei suoi parenti ad accoglierlo, ormai era lontano dalla sua famiglia e non sarebbe più tornato indietro.
Scese dal vecchio picup della madre con gli occhi azzurri come il cielo ricolmi di lacrimoni che non accennavano a volersi fermare. Aveva sentito per tutto il viaggio la cassetta del nonno ed anche quando mise piede per la prima volta nella fattoria, mentre sua madre parlava con il precedente proprietario, un uomo anziano dall'aspetto così simile a suo nonno che lo fece sentire ancora più solo, Will teneva alle orecchie quelle cuffie troppo grandi e attaccato ai passanti dei pantaloni, il mangiacassette troppo pesante.
Quel posto non gli piaceva, era una fattoria, certo, ma non sarebbe mai stata come quella dove era nato.
Lo pensò con orgoglio, un pensiero da grande, lanciando un occhiata al pavimento impolverato dell'ingresso come a volerlo rimproverare.
Quella, decise con disgusto, non sarebbe mai stata casa sua. E faceva tanto Mulan e la vecchia cicciona che le diceva che non sarebbe mai stata una vera sposa, e poi invece Mulan diventava molto di più, ma non voleva pensarci, perché era sicuro che quella cosa che sembrava un ranch ma era vuota e brutta, non sarebbe mai stata di più della sua vera casa.
Si voltò annuendo soddisfatto dalla conclusione del suo ragionamento, fece la linguaccia alla casa e se ne andò con il nasino all'insù verso il picup, convintissimo delle sue decisioni.
Sua madre l'avrebbe dovuto riportare in Texas, se ne sarebbe sicuramente definitivamente convinta dopo le sue argomentazioni.

Non era durato molto, Summer era arrivata quasi un ora dopo, con il suo solito sorriso smagliante che a Will piaceva tanto, e tanta soddisfazione, quando il pacchetto delle patatine era finito e del milkshake rimaneva solo il fondo.
Gli aveva detto che quella era casa loro, << Solo mia e tua Willy!>> e lui non se l'era più sentita di dirle che no, non gli piaceva, che il viaggio non gli aveva fatto cambiare idea, che quella specie di baraccone non gli aveva fatto cambiare idea, che potrà sembrare una casa ma non lo sarà mai veramente, che aveva deciso di tornare a casa vera.
Si era arreso e aveva sorriso anche lui, allo stesso identico modo, e si era fatto trascinare da quel ciclone di donna a cui, anche a sei anni, non riusciva mai a dire di no.
Lo aveva portato a fare il giro di casa, a mostrargli con entusiasmo tutti i loghi in cui avrebbero messo questo o quello, dove avrebbero montato la stella di metallo gigante e attaccato le foto, la parete va fatta decisamente di un colore più acceso, ed il loro colore preferito è il giallo, no? La camera da letto di Summer era vicina a quella che presto sarebbe stata di Will e avrebbero dormito insieme finché tutto non sarebbe stato proto.
Così, dopo un intera nottata passata a piangere, di nuovo, perché non riusciva a dormire e voleva il suo letto, la mamma gli aveva promesso che entro due giorni sarebbe arrivato con tutti gli altri mobili, che ne avrebbero comprati degli altri ai mercatini, che Will adorava, che avrebbero tinteggiato insieme la sua camera, c'avrebbero disegnato quello che voleva e zio Jacke gli avrebbe fatto una sorpresa.
<< Devi solo aver pazienza, Willy, lo so che è tutto nuovo e ti sembra che non potrà mai essere bello, ma cerca di capire, è un nuovo inizio, una nuova vita, da oggi sarà tutto solo per noi due. Finalmente avremmo la nostra famiglia, ne sarai fiero, te lo prometto.>>
E Will non capiva perché sua madre fosse così intenzionata a crearsi una nuova vita, perché voleva a tutti i costi iniziare da zero, non lo capiva proprio: a lui la loro vecchia vita piaceva, non sentiva certo, a sei anni, la necessità di riscatto di una ragazza divenuta madre troppo presto, decisa a dimostrare a tutti che poteva crescere suo figlio al meglio anche da sola, decisa a rendere i suoi genitori fieri di quel “magnifico imprevisto” biondo che non si poteva non amare; decisa a non abbandonare i suoi sogni adolescenziali, ma a rendere suo figlio parte integrante e principale di questi.
Ma capiva perfettamente che tutto ciò, il trasloco, la città nuova, il lavoro, lo stato e la lontananza, erano importanti per sua madre e ancora di più che per qualche strano motivo, tutto questo Summer lo stava facendo soprattutto per lui.
<< Ma io sono già fiero, mamy.>> Lo disse con la semplice ingenuità di un bambino, ma per tutta la vita si sarebbe ricordato il sorriso smagliante che la madre gli regalò quel giorno, quello subito dopo il loro arrivo in Arizona, ed anni dopo si sarebbe convinto che se quel sorriso l'avesse visto anche Apollo, il dio del Sole non avrebbe mai abbandonato la sua mamma.

[Agosto]


La casa era finita. Se qualcuno la vedeva dall'esterno pensava immediatamente a quelle classiche fattorie dei film, quelle tutte rosse con le rifiniture bianche. Certo, la staccionate ed il cancello non erano ancora del tutto riverniciate e le aiuole non crescevano rigogliose come nelle praterie, ma almeno era un buon inizio.
Con i mobili era arrivato anche il regalo dello zio Jacke, una tavola da surf da appendere in camera di Will, tutta bianca con delle righe gialle ed un sole gigante. Era appesa sopra alla finestra che dava sul cortile, sullo sfondo un cielo sereno pieno di nuvolette ed uccelli stilizzati, le pareti chiare ricoperte dai mobili ed il pavimento ancora con qualche resistente incrostazione azzurra.
Avevano appeso le foto per tutto il corridoio e le scale e la stella di metallo sopra alla porta di casa, ad avvisare tutti che lì dentro abitavano i figli della Stella Solitaria, avevano anche una bandiera del Texas in soggiorno.
Ogni cosa, seppur lentamente, stava andando incastrandosi a dovere e per quanto a Will mancassero i nonni, gli zii, i cugini e gli animali, aver la mamma tutta per sé era bellissimo. Tutte le decisioni venivano prese assieme, come gli adulti; assieme alla tavola da Surf ed al biglietto del regalo, zio Jacke gli aveva scritto che ora era lui l'uomo di casa lì. E gli uomini veri prendevano decisioni importanti, come ad esempio il giorno in cui lavare la macchina, o cambiare le lampadine, anche se Summer non lo faceva avvicinare alle prese elettriche.
La donna aveva avuto ragione però, come sempre, doveva solo pazientare un po' per vedere i frutti della loro nuova vita.

Si stava comportando bene, non faceva più i capricci e quando la sera chiamavano i nonni non piangeva più. Era proprio un bravo ometto! Pensava orgoglioso al ricordo delle parole della nonna e per dimostrargli quanto fosse diventato grande, Summer decise di fargli una sorpresa che, senza il minimo sospetto, avrebbe cambiato la vita di suo figlio quasi più del trasferimento, per tutti gli anni a venire.
Oh, che cosa magnifica le sorprese! Will non era più nella pelle e persino l'idea che presto sarebbe dovuto andare a scuola, passava in secondo piano.
Arrivarono davanti ad un edificio bellissimo, che di così belli il piccolo Will non ne aveva mai visti: con le scale grandissime tutte bianche e le colonne ancor più grandi davanti, sempre immacolate, una gigantesca porta di vetro con maniglie d'oro. Se alzava lo sguardo, poteva vedere il disegno in rilievo di due donne con le ali e degli strumenti musicali in mano.
Una targa d'oro scintillante portava su scritto un nome in lettere eleganti, ma Will già era dislessico e faticava a leggere il suo nome in stampatello, figurarsi qualcosa con una grafia così elaborata.

Era l'edificio più bello che avesse mai visto anche dentro. C'era pietra lucida ovunque, un bancone che pareva di ghiaccio e d'argento, dietro cui era seduta una signorina con una camicia bianca ed un foulard grigio perla, con i capelli perfetti legati in una cipolla come faceva Summer quando doveva lavorare, ma precisa e senza un capello fuori posto; sembrava un cuscinetto.
Il soffitto era alto e dipinto con tante persone che volavano anche senza ali, i lampadari di cristallo illuminavano i grandi quadri nelle cornici barocche che ritraevano ballerine e suonatori, satiri e muse, affiancati da poster di ballerini professionisti, importanti spettacoli e foto di allievi famosi. Era tutto così bello e scintillante che Will neanche si rese conto che sua madre stava parlando con la signorina, che gentile le spiegava ogni cosa e rispondeva alle sue domande.
Premette un pulsante ed il suono di una campanellina si diffuse nell'aria, poco dopo un altra signorina dal volto gentile e la pettinatura impeccabile comparve dal corridoio, ma a differenza dell'altra indossava un body grigio perla, un specie di gonnellino di velo e delle calze bianche. I piedi fasciati da scarpette sempre grigie sembravano sfiorar a mala pena il pavimento.
Lo accompagnò in una sala grande e luminosa, con il parquet chiaro e tanti specchi sulle pareti, per fargli vedere una ventina di bambini, ma non ne era sicuro, non riusciva ancora a contare bene, della sua età all'incirca, tutti in body rosa per le bimbe e azzurri per i maschietti, perfettamente disposti a far plié, mentre una signora che doveva essere un po' più giovane di sua nonna batteva il tempo con un fine bastone nero dal pomo di cristallo lucido e sfaccettato.

Fu in quel momento che conobbe Madame, la direttrice dell'Istituto delle Arti fisiche e musicali d'Arizona, una scuola persino più prestigiosa della NYA, in cui venivano studenti da altri paesi pur di poter essere addestrati, si usò proprio quella parola la signora, all'arte della danza da lei.
Madame era stata una grandissima ballerina di danza classica, aveva ballato alla Scala di Parigi, a quella di Milano e persino a Berlino e Mosca, soprattutto a San Pietroburgo, la sua bella città natale. Anni dopo, qualche pettegola, gli avrebbe detto che gira voce che che Madame avesse ballato persino per Hitler e Stalin, che si fosse esibita al matrimonio della Regina d'Inghilterra. E solo anni dopo ancora, avrebbe scoperto se quelle voci erano vere o meno.
Quel giorno scoprì solo una donna bellissima, dal volto fermo come quello di una statua, che gli propose di fare il riscaldamento con gli allievi del primo modulo per vedere se era la danza la sua vocazione – avrebbe dovuto farsi spiegare la sera stessa da sua madre cosa fosse un a ”vocazione” ma al momento annuì e basta-.
Gli era sembrata un po' fredda ma molto gentile.
Con il tempo, poi, Will avrebbe imparato che, timidezza o meno, nessuno poteva dire di no a Madamea meno che non fosse lei stessa a volersi sentir dar tale risposta.
E neanche a sua nipote.

La bambina la conobbe lì: era diversa da tutte le altre, Will la osservò bene e si rese conto che spiccava tra tutte le bimbe, così minute e delicate nel loro tutù rosa confetto, mentre lei era alta, la più alta di tutti e anche la più grossa avrebbe detto, in quella classe non c'erano bambini più grandi dei sei anni, ma Will gliene avrebbe dati tranquillamente otto.
Vedeva anche le altre bambine guardarla di sottecchi e ridere, probabilmente pensando che così grande non sarebbe mai stata una brava ballerina, ma quando sua nonna le chiese di mostrare ai nuovi arrivati cosa avrebbero imparato, tutti ammutolirono.
Si muoveva con così tanta grazia che, poteva giurarci, neanche un fiocco di neve avrebbe avuto, sfiorava il legno color miele spingendosi sulle punte lunghe e affusolate, che le calze bianche facevano sembrare dei soffioni, il bel body rosa cipria, più chiaro di quello delle altre, le dava l'aspetto di un petalo ed il lungo treccione rosso mogano era l'unica macchia in una figurina perfetta. Nessuno lì era bravo come lei, neanche il bimbo di colore con cui ballava in coppia, ma che Will ammirò tantissimo per il modo in cui l'afferrava per la vita e la sollevava come suo zio Benny faceva con lui.
A Katrina, questo era il suo nome, fu dato il compito di seguire Will e di correggerlo durante i riscaldamenti e le prove, quando la maestra, la signorina con il body perla, seguiva tutti gli altri. E Katrina volava, con la decisione di un rapace e l'eleganza di un colibrì, insegnandogli le posizioni base e correggendo tutte le sue mosse.
Alla fine della lezione gli disse di pensare bene a quello che voleva fare, quale fosse il suo stile. Parlava come un adulta, sempre pacata ed educata, una perfetta, piccola copia di sua nonna, ma con una scintilla differente nello sguardo, che affascinò immediatamente il bimbo.

Stava seduto al bancone della cucina, con il telefono appiccicato all'orecchio a raccontare ad uno ad uno ai membri della sua famiglia, tutti gli eventi di quella giornata per filo e per segno, tessendo le lodi di quella Katrina che sembrava forte come una cavallerizza ma che era delicata come le bambole di porcellana della nonna.
E va bene che zio Benny lo prese in giro per tutto il tempo dicendogli che se ne era innamorato, ma Will poteva scommetterci che se anche loro l'avessero vista sarebbero rimasti a bocca aperta.
Chiedeva in continuazione a sua madre di dirgli com'era, di raccontargli anche lei che Katrina era la bambina più bella che avesse mai visto, che se lo diceva lei che era grande allora le avrebbero creduto, e Summer rideva e urlava che era vero, per farsi sentire dall'altra parte e anche suo fratello rideva e Will, felice come se stesse ad una cena in famiglia, rideva con loro.

Settembre stava per arrivare e con lui anche l'inizio della scuola.
Will non capiva, però, perché dovesse andare da una sarta, perché la sua scuola avesse una divisa. Summer gli aveva detto che era una scuola spet- prep- spre- prestigiosa, si ecco, una scuola così, che era stata Madame ad indirizzarla lì, perché i suoi studenti dovevano ricevere la miglior istruzione dello stato ed il Basckerville Institute era il migliore d'America, o non vi avrebbe iscritto sua nipote.
Così adesso se ne doveva stare in piedi su una pedana, che ben ragionandoci poteva farsi costruire dal nonno per arrivare ai cavalli più alti, con le braccia allargate e la testa dritta – se no la signora con il porcospino sul polso lo avrebbe infilzato con tanti aghetti- a farsi fare gli ultimi ritocchi alla sua bella divisa.
Che poi, bella… come si poteva pretendere che andasse a scuola, tutti i giorni, con giacca e cravatta? Eppure il modello era quello: una giacca blu con le rifiniture in rosso e oro, sul taschino lo stemma della scuola ed annodata al collo della camicia bianca, un cravattino rosso e blu. Per lo meno i pantaloni erano corti, se no si sarebbe rifiutato, si! Come quando non voleva andare nella nuova casa. Ah, no, forse quello non era un bell'esempio… Fatto sta che Will sperava solo di non doversi pettinare i capelli come per la laurea di zia Laura, perché tutto quel gel intesta, non ce lo voleva più.
<< La divisa è comoda Willy, la mattina non devi pensare a cosa metterti e nessun bimbo ha un vestito più bello degli altri, così nessun prepotente prende in giro i compagnetti.>> cercava di rabbonirlo Sam,
<< E per di più è tanto di classe! Guarda che bel figurino che sei, proprio un angioletto!>> Le diede manforte la signora con il porcospino.
E Will fu costretto a cedere, perché alla fine non sarebbe potuto andare a scuola con vestiti diversi e per di più, una piccola parte di lui forse sopita fino a quel tempo, gli diceva che si, la signora aveva ragione: era proprio un bel figurino!

Ma che significava figurino?

[Settembre]


Quando quella mattina sua madre lo aveva svegliato, Will era scattato subito a sedere sul suo bel lettino rosso fiammante a forma di macchina. Nell'aria c'era odore di frittelle, miele e sciroppo d'acero ed il bimbo c'avrebbe messo la mano sul fuoco che Summer avesse preparato i puncake. Fece colazione ancora in pigiama e mangiò tanto perché non voleva fare brutte figure con lo stomaco che brontolava.
Sulla soglia di casa, con la sua bella divisa lucente, i capelli pettinati e la cartellina sulle spalle, Will Solace si preparava ad affrontare il primo giorno di scuola.

Se la scuola di danza gli era sembrata bellissima, la sua nuova scuola era proprio un sogno. Chissà che invidia i suoi amici in Texas quando gli avrebbe fatto vedere le foto, quel Natale!
Era un castello, si, doveva esserlo per forza, perché somigliava ai palazzi delle favole e dei cartoni animati, anzi! Era come la scuola degli X-Men!
Summer gli aveva dato un bacio in testa, augurandogli buona giornata e sospingendolo verso una donna di circa trent'anni, vestita anche lei di tutto punto in un tailleur blu, che radunava i bambini del primo anno. C'erano bambini che andavano alla scuola di danza con lui e tra tutti quelli non gli fu difficile individuare Katrina e il suo ballerino, Turan, vicino ad altri ragazzini con cui parevano esser già amici.
La maestra li portò a fare il giro di quella bellissima scuola e poi li divise in classi.
Oh, ed era tutto così emozionante! Le presentazioni, i programmi, le materie, che facce avevano fatto quando aveva detto di venire dal Texas! E che sapeva cavalcare o prendere le cose al lazo! C'erano anche bambini che venivano da New York, da Washington!
Era tutto perfetto, una giornata perfetta, in una scuola perfetta, con la sua classe perfetta, le maestre perfette e la divisa perfetta.
Ma ben presto Will dovette rendersi conto che anche le bellissime scuole private non erano esenti da tutte le tipologie di studenti, compresi i bulli.
Era stato bello poter girare per il parco durante la ricreazione, ma dal passeggiare tra fiori mai visti e alberi altissimi, al ritrovarsi con tre bambini che lo spintonavano prendendolo in giro, il passo era stato fin troppo veloce.
In quel momento tutta la felicità accumulata in quei mesi scomparve con una facilità disarmante e la nostalgia, la tristezza e la paura ripresero posto nel suo piccolo cuore.
Perché era dovuto venir in Arizona? In quella stupida città con quello stupido nome. Con quella stupida scuola di danza e quella ancor più stupida scuola privata e la sua stupidissima divisa. Non era una nuova vita, non c'era niente di bello. In Texas per lo meno conosceva tutti e non incontrava bambini che volevano “insegnargli come vanno le cose”, nessuno lo chiamava contadino, aveva tanti amici che gli volevano bene, non come lì, non come in quel posto orribile.
Strinse le braccia al petto, con la schiena premuta contro il muro e gli occhi lucidi, voleva piangere, poteva farlo?
Suo nonno gli aveva detto di fare l'uomo, che ora era grande, aveva sei anni. Ma anche se era un ometto, Will voleva solo scappare da lì, andare dalla sua mamma e tornare a casa.
Un leggero rumore di passi deviò improvvisamente i pensieri di tutti.
Dal corridoio apparvero due bambini, uno basso, piccino, con i capelli neri e gli occhi di uno strano colore indefinito che gli sembrarono di un verde bluastro, ingranditi in modo buffo dagli occhiali; l'altra invece, era semplicemente Katrina, nella sua perfetta divisa blu, con la treccia mogano posata sulla spalla.
Il moro sgranò gli occhi, rendendoli se possibile ancora più grandi, quando incrociò quelli di Will, ma Katrina ignorò tutti e tirò dritta, senza dar la possibilità a nessuno di dire o fare niente.

L'aveva lasciato lì, non l'aveva degnato neanche di uno sguardo. Ma alla fine, cosa si era spettato?Cosa avrebbe potuto fare? Tanto per cominciare non erano amici, Will non aveva amici in Arizona, e per di più lei era così delicata e femminile, non poteva far niente contro quei tre ragazzini, sicuramente più grandi di loro, le avrebbero fatto del male, anche a lei.
Chiuse gli occhi impaurito, in attesa di qualunque cosa sarebbe successa, mentre i bambini tiravano un sospiro di sollievo.
Ma proprio quando le risatine dei tre lo avvertivano che stavano per tornare all'attacco, un leggero colpo di tosse li fece fermare di nuovo.
Spalancò gli occhi sorpreso e proprio dietro al più grosso dei ragazzini, stava tranquillamente in piedi Katrina, le braccia incrociate al petto, il fiocco perfettamente legato al collo della camicia e l'espressione distaccata che aveva sempre, ma ancora una volta un luccichio strano negli occhi, che a quanto pare nessuno tranne Will notava.
<< C'è qualche problema?>> chiese con quella voce candida e infantile, ma dalla piega severa così simile a quella della nonna.
<< Nulla che ti interessa a te, non sono cose per femmine.>>
<< Che ti interessi- >> notò infastidita, << si dice così, non te lo hanno insegnato?>> alzò un sopracciglio guardando uno per uno i tre ragazzini.
Quello che aveva risposto si mosse infastidito, << Vedi di toglierti dai piedi!>> le rispose dandole uno spinto, o almeno provandoci.
La delicata damina, il fiocco di neve che sfiorava il parquet sulle punto color cipria, disegnando arabeschi in aria, si mosse con una velocità sorprendente, afferrando la mano del malcapitato e girandola senza pietà, costringendolo a voltarsi di spalle ed urlare per il dolore. Poi gli diede un calcio dietro al ginocchio e lo lasciò cadere a terra.
Il silenzio si allargò nell'aria come una nube di polvere.
<< Prego?>> chiese di nuovo, nel tono autoritario un granello di sfida ed aspettativa, come se sperasse che il bulletto rispondesse e cercasse di ricolpirla.
Gli altri due la guardarono terrorizzati, prima di scappar via senza neanche aiutare l'amico a tirarsi in piedi.
Quando fu scappato anche lui, tra lacrime e lamenti doloranti, dall'angolo opposto uscì il bambino di prima, sistemandosi gli occhiali sul naso e correndo subito da Will, scrutandolo con occhi da insetto che parevano cambiare colore ad ogni secondo che passava, diventando cupi con le smorfie più preoccupate e luminosi quando posava lo sguardo su Katrina, quando si rendeva conto che sia lei che il biondo stavano bene.

Il bambino si chiamava Alexander e Katrina glielo presentò come suo fratello.
A dirla tutta non avevano niente di simile, ma si scambiavano gli stessi sguardi d'intesa che sua madre aveva con i fratelli, ogni loro movimento sembrava calcolato per integrarsi a quello dell'altro e se a primo impatto non aveva creduto alla loro parentela, ora poteva dire con certezza che quei due non potevano esser altro che fratelli, persino gemelli!
Lo avevano scortato fin alla sua classe, chiedendo scusa alla maestra perché si erano intrattenuti a fargli vedere il parco. Sorprendentemente la donna credette ai due, sorridendo felice per quel gesto e raccomandandogli di rispettare gli orari la prossima volta.
Quando poi, per l'ennesima volta, Will aveva ringraziato la bambina, questa alla fine lo aveva guardato infastidita.
<< Non devi ringraziarmi, quello che stavano facendo non era giusto. Questa è la mia scuola e nessuno può far niente senza chiedermi il permesso.>>
Lo aveva liquidato così, con voce supponente e ferma, convinta di ciò che aveva detto e gli aveva dovuto spiegare Alexander che effettivamente, Katrina reputava sua quella scuola perché c'era cresciuta e che non era antipatica, ma solo un po' scontrosa, che bisognava solo imparare a conoscerla.
Will annuì a tutte quelle spiegazioni, che in fondo non gli servivano a niente. Fissava ammaliato la bambina che sostava sulla porta della sua classe a parlare con la maestra, proprio come una bambina grande. Si, Katrina sembrava già grande e non solo per merito della sua altezza e Will, in quel momento, non stentò a credere che quella scuola fosse sua e desiderò con tutto se stesso essere come quella piccola donnina, forte e sicura di sé.

I tre bulletti non l'avevano più infastidito, ma Will temeva che sarebbero tornati presto. Lo aveva detto a Summer, che dei bambini l'avevano preso in giro e spintonato e che Katrina l'aveva salvato, e certo, sua madre gli aveva detto che, raccontato così, sembrava una favola, ma Will giurava che con una mano sola la bambina avesse messo in ginocchio l'avversario e che fosse fortissima.
Summer aveva promesso al figlio che avrebbe parlato con la maestra.
Così, quando la donna si era avvicinata per parargli, Will era sicuro che gli avrebbe chiesto dell'incontro con i bulletti, ma invece gli chiese tutt'altro: a quanto pareva c'era un bambino che avrebbe tanto voluto star in classe con un amichetto, ma il numero di persone era limitato, così bisognava fare uno scambio, se si volevano accontentare gli amici. Nell'altra sezione, la A, Rivallie, aveva proposto lui per lo scambio, dato che erano amici e che forse non gli sarebbe pesato.
Will aveva degli amici? E dove? Chi erano? Chi era questo Rivallie?
Dove, ovviamente, era nella sezione A. Chi lo scoprì quel pomeriggio a lezione di danza, quando Turen gli chiese se avesse accettato di far cambio e venir in classe loro.
Aveva anche aggiunto che, tanto, se Rise voleva una cosa, era quella punto e basta, ma Will a quel punto non aveva badato.
In effetti con il bambino andava d'accordo, forse era lui l'amico.
La sera a cena lo aveva detto alla mamma e lei aveva confermato: la scuola l'aveva chiamata per sapere se Will fosse disposto a cambiar sezione per far stare assieme due amici, ma solo se il piccolo Solace voleva, non lo avrebbero certo costretto a cambiare.
Ma Summer conosceva il suo pollo e dallo sguardo scintillante d'emozione di Will, capì d'aver la risposta pronta.

Il giorno dopo salutò i suoi compagni e venne portato nella classe di fronte alla sua, dove con sua enorme sorpresa trovò non solo Turen, ma anche Katrina e Alexander.
E fu proprio Katina, la signorina Rivallie, a dargli il benvenuto a nome della sezione A.
Da quel momento in poi, Will poté dire con certezza d'avere dei nuovi amici. Certo, non era mai stato un problema per lui far amicizia, ma il trasloco l'aveva un po' impaurito; che ne sapeva lui se i bambini in Arizona erano come in Texas?
Non aveva più importanza, nulla lo aveva, perché Katrina aveva chiesto che lui – Lui!- venisse in classe sua e l'aveva letteralmente preso sotto la sua ala, o meglio, nel suo gruppetto.
C'erano Turen, con la pelle scura come la terra bagnata e gli occhi di un verde così scintillante che Will credeva fossero finti, e suo fratello Alexander; c'era un bambino dai capelli rossi e gli occhi gialli come i gatti, tutto sorridente e amichevole, che fece subito arrossire Will, ritrovatosi a pensare che Jajeck fosse davvero bello. Poi c'era Ryan, biondo di capelli, più di Will, con gli occhi azzurro scuro e suo cugino Andrew, timido e piccino come Alexander, con i capelli castani tagliati in un caschetto scompigliato e gli occhi color cioccolato. E per finire Arabelle, un'altra bambolina di porcellana, ma più minuta di Katrina, con i capelli lunghi e neri legati con un fiocco della stessa foggia di quello che portava al collo e gli occhi di un azzurro freddo e limpido.
Quelli erano gli amici di Katrina, ma ora – e per molto tempo a venire, troppo avrebbe detto un giorno ridendo con i suoi compagni- erano anche amici suoi.

Forse l'Arizona non era così male.



[ F I N E P R I M A P A R T E ]



   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: The Custodian ofthe Doors