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Autore: Helmyra    03/01/2017    1 recensioni
Neloth non amava le sorprese.
Sollevò il tappo e si perse ad osservare il fumo esalante dal cratere argenteo, tentennando.
Un'arte sfuggente, quella del tè.
È dedizione, premura. Dichiarazione implicita d'intenti.
Da un gesto scontato si può giudicare il valore delle persone.

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Neloth ha sempre visto di mal occhio gli Imperiali e considerato Wolverine Hall un tentativo d'invasione mascherato a Sadrith Mora. La diffidenza aumenta, di fronte all'entusiasmo di Arara e all'annuncio di un nuovo evento, la Festa della Nuova Vita. Le piante di Cyrodiil sono insolite ed infestanti, ma donano al tè una fragranza unica.
E sarà anche la sua vita a cambiare sapore. [Lore, storyline di Morrowind ed eventi precedenti all'Anno Rosso. Riferimenti a The Emerald Tower]
Genere: Commedia, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Neloth
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Foglie di hackle-lo, raccolto dell'anno 427 della Terza Era. Messe ad infondere in acqua sorgiva, sottratta alle fiamme poco prima dell'ebollizione. Un giro di clessidra per ottenere un colore paglierino, due per un sapore penetrante e pastoso.

Esperimento del giorno: ho inserito nella miscela petali di felce del fuoco in tre manciate e dieci spine di trama per ottenere una bevanda corroborante, ma sono ben lontano dall'effetto che vorrei ottenere. Potrei aggiungere lichene rosso, per dargli il colore del sangue e un sentore metallico, non è però quel che cerco...

 

“Ma cosa?” Le elucubrazioni di Neloth si interruppero al serpeggiare di una risata squillante nei corridoi. In circostanze differenti avrebbe affrontato il burlone e, a scapito dell'etichetta, si sarebbe esibito in un forbito sfoggio di improperi. Bastava una predica ben assestata per far impallidire quei perdigiorno incalliti dei suoi sottoposti. Bontà loro! Ci voleva davvero fegato, per macchiare il contegno della torre con sguaiate strilla da bordello.

Non che intendesse davvero dir di no a del sano divertimento: cortigiane e faccendieri prosperavano a Tel Naga. Gradiva soltanto un po' di quiete, giusto ogni tanto, per godersi la meritata solitudine dello studiolo e quel disordine che definiva l'alveo della creazione.

Disordine che, ogni santa mattina, una mano veloce e inanellata dissipava facendo scomparire i fogli accartocciati nottetempo. La polvere volava via in un un soffio, mentre tesori e carabattole venivano ammucchiati insieme sugli scaffali.

Gli faceva da sguattera, un compito inadatto, quasi un'onta. Egli stesso le aveva impartito l'ordine, e gli ordini di padron Neloth sono assoluti, insindacabili.

Arara non protestava mai. Inclinava il mento, pacata, col volto in ombra dietro un manto di onde scure. Quando accoglieva mercenari e tuttofare nella sala del concilio somigliava a una statua di basalto, dai capelli raccolti in un'acconciatura castigata che non le rendeva giustizia. Se la immaginava come Azura sulla scogliera, ritta sul piedistallo e con gli occhi fissi verso l'orizzonte. Silenziosa, in attesa dei pellegrini.

Udirla canticchiare mentre miscelava una pozione gli donava un piacere incontenibile. Tuttavia, Neloth era Neloth, e come tale doveva comportarsi. Piuttosto la morte che fare la figura del sempliciotto.

Quella risata, però, gli aveva instillato un dubbio atroce. Non si sarebbe mai permessa di arrecargli disturbo, di esultare in maniera tanto violenta e impudente: nessun margine d'errore, poiché sarebbe stato capace di distinguere la sua voce tra mille. C'era qualcosa che non tornava...

Percepiva un'ingenuità, una nota di diletto fuori luogo in quelle stanze ammuffite.

Come se una lucciola le fosse sfuggita dalle mani.

“...Cos'hai da urlare tanto? Quante volte devo ripetertelo che di mattina mi mette di cattivo umore?”

“Padrone, oh, padrone...” Rise la maga, ondeggiando con un fascio di ramoscelli mai visti prima.“Non sapete? Tra poco è festa!”

“Bah, festa...” Neloth agitò la mano, per esorcizzare il tedio suscitato dalla parola stessa. “Non darmela a bere con queste sciocchezze, donna. Manca ancora un pezzo ad Hogithum, e ogni scusa è buona per darsela a gambe e trascurare il lavoro. Pensa se ti sentissero quei fannulloni là fuori, ah! Sfido io, non aspettano altro. 'Oggi niente fatiche, andate in taverna a trangugiare mazte in bella compagnia, e se non avete i soldi per ubriacarvi, prendetevela con voi stessi per la poca presenza di spirito!' Roba da pazzi, a meno che...”

“Già!” L'esclamazione si tramutò in una soffice carezza. “Guardate qui, padrone. Sono arbusti che non crescono qui a Morrowind, li hanno portati gli Imperiali...”

“Sapevo che ci avrebbero causato solo guai.” Commentò, scuotendo il capo con una mano sulla fronte. “E di' un po', cosa spinge un branco di lupi famelici a nutrirsi di tenere piantine? Vogliono attirare il guar fuori dal recinto, vero?”

“Mica li mangiano!” Rise ancora. Lo stregone sussultò, non seppe dire perché. “Tra pochi giorni si celebra l'arrivo del nuovo anno, di una nuova vita. È questo il nome che danno alla ricorrenza; è un momento di gioia, ma anche di espiazione e pentimento. Questi arbusti scalano le rocce, riescono a sopravvivere persino sui terreni brulli, nei luoghi impervi. Una simbologia semplice e profonda, sta a significare che un rametto reciso può germogliare ancora, più forte...”

“Basta chiacchiere.” Gracchiò, ritraendosi dietro il colletto della tunica. “Sai cosa fare. Preparami un tè, anziché sprecar fiato su cose inutili.”

“Come desiderate.”

Ignorò il rimprovero e scivolò verso la scrivania, su cui erano accatastati barattoli impilati alla rinfusa, pergamene macchiate e strumenti alchemici vecchi almeno un secolo. A dire il vero, persino il legno della panca preferita da Neloth e la spalliera del letto mostravano usura: tutto lì dentro era refrattario a qualsiasi novità.

Arara maneggiava con cura le ampolle, staccando di tanto in tanto qualche foglia di hackle-lo dalle catene che, a mo' di festoni, decoravano l'ambiente a dispetto del loro scopo prettamente funzionale. I fiori essiccati avevano per lei un significato recondito, magico. Si rivedeva in quella pervicacia: mutavano colore pur conservando il profumo e, nella morte, le suggerivano una forza latente, inflessibile. Non morte, era sbagliato, più che altro trasformazione.

Neloth s'avvicinò per osservare le dita veloci che reggevano lo scalpello e sminuzzavano la materia vegetale in sottilissime strisce. Arara continuò, scostandosi appena e cercando di evitare le sue attenzioni, coi sensi di colpa del ladro.

“Manca qualcosa, manca sempre qualcosa!” Sibilò, diretto più a se stesso. Non lo interruppe. “Non è abbastanza forte, non lo senti col cuore. Hai presente, quando avverti un sapore col cuore?”

“No.” Fece lei, reprimendo pensieri invadenti e continuando imperterrita nel compito.

“Alcuni sono comuni, piacevoli... volgari. Non hanno un'anima segreta, si presentano per quel che sono e si spengono in gola. In un buon liquore puoi distinguere la personalità del singolo ingrediente, ogni sorso lascia un'impressione unica. Lo stesso vale per il tè: rivela l'essenza delle erbe, di chi lo prepara.”

“Spero di essere all'altezza.”

“Hm.” Un'altra pausa, Arara aveva i nervi a fior di pelle. Sapeva che non poteva scacciarla via per una sciocchezza, al massimo si sarebbe arrabbiato. Cercare un nuovo portavoce gli avrebbe procurato solo fastidio.

Magari, con una foglia di agrifoglio e una di vischio...

Fece scivolare le intruse nel composto quando prese a fissare il soffitto senza intento, durante una delle tante fughe mentali. Non s'era espresso sul suo conto, dunque considerò il silenzio una forma di rassicurazione. Di solito rimaneva sull'attenti, mai e poi mai avrebbe osato coglierlo impreparato e incollerirlo più di quanto non facessero gli altri maghi Telvanni. Da quando aveva accettato di tenerla con sé era stata un baluardo, una sicurezza.

Si morse il labbro e riversò i brandelli nel piccolo paiolo sorretto da un'asta di ottone dwemer. Un lusso che l'aveva convinto a concedersi, facendo leva sull'insana pignoleria che lo spingeva a seguire alla lettera una ricetta. Per ottenere una bevanda eccellente, era importante mantenere le giuste dosi e disporre di strumenti in scala: inutile dire di aver toccato le corde giuste. Il grazioso utensile fu commissionato al migliore fabbro di Sadrith Mora e presto recapitato.

“Hm.” Le parve che si fosse risvegliato da una proiezione astrale, o che fosse tornato dai recessi dell'Oblivion con la velocità del lampo. “Suppongo che non mi metta troppo in cattiva luce ammettere che sì, il tuo tè è il migliore sulla piazza. Non vantarti, comunque, è facile giungere a simili conclusioni quando non c'è concorrenza. Sembra quasi che l'universo ti ami, Arara.”

“Casomai è il contrario.” Mantenne il polso fermo, disegnando il contorno del recipiente col mestolo in senso orario. I vapori della mistura le solleticavano il dorso della mano, o magari era qualcos'altro ad emergere dalla pozza dei ricordi. Lontano, molto lontano nel tempo.

“Fa freddo.” Baccagliò, recitando la parte del vecchio scorbutico e sfregandosi i palmi sulle spalle.

Arara scosse la testa. Certe volte non se ne rendeva conto, ma quando cercava di attirare l'attenzione lo faceva in modo goffo. Non rideva perché sì, ne avrebbe avuto a male, sebbene suscitasse in lei uno strano senso di tenerezza. Era un libro aperto.

“È quasi pronto!” Il tono somigliava a quello di una madre che si rivolge a un discolo impaziente. E perciò non finse: si lasciò sfuggire un sussulto ilare. “Basterà a riscaldarvi, me lo sento. Credo che vi darà una perfetta anticipazione della festa della Nuova Vita”.

“Le uniche anticipazioni che mediterei, ammesso che poi ne valga la pena, sono quelle di Vivec.”

Arara rise ancora. Neloth trattenne il fiato e sgranò gli occhi, spiazzato, ma in un battito di ciglia tornò all'usuale compostezza. La fragranza di hackle-lo e radice di trama rese l'aria pastosa e stuzzicante. Qualcosa, durante l'essiccatura e la fermentazione, doveva aver mutato le proprietà delle piante, altrimenti non sarebbe riuscito a spiegare quella smania crescente di starle vicino e non vederla andar via. Gli doleva in petto, lo spingeva a pensare baggianate, addirittura era arrivato al punto di immaginare che – senza di lei – non si sarebbe sentito appagato, al sicuro.

“Arara.” Pronunziò, con la schiena curva e la voce tremolante.

“Ecco, ho finito.” Interpose un fazzoletto di lino stinto tra la teiera e il paiolo, filtrò il grosso e lasciò che la bevanda fosse macchiata da schegge minuscole, simili a nei su pelle. Pose il coperchio e fece i dovuti scongiuri. Cambiando la ricetta aveva messo la creatività in risalto, anziché il rituale.

Neloth non amava le sorprese.

Sollevò il tappo e si perse ad osservare il fumo esalante dal cratere argenteo, tentennando.

Un'arte sfuggente, quella del tè.

È dedizione, premura. Dichiarazione implicita d'intenti.

Da un gesto scontato si può giudicare il valore delle persone.

Mise un freno ai pensieri e versò l'infusione nella sua tazza preferita, impregnata dalle incrostazioni. Aspirò l'aroma prima di decidersi al primo sorso.

Anche gli allievi migliori non sono esenti da errori. La dose è esagerata, l'alone stagnante. Questo, comunque, non mi spingerà di certo a privarmi di un piacere tanto genuino.

Arara si ritrasse contro le pareti di fungo, pallida, nervosa. Il padrone non era convinto, poi... poi avvenne qualcosa.

“Quanti mesi, quanti giorni hanno fermentato le foglie?” La scrutò, febbrile. “Hanno un sentore di cenere e palude, ci crederesti? Due concetti antitetici, in un connubio perfetto. Hai tenuto conto dei tempi infusione?”

“Sì... sono pressoché gli stessi.”

“Allora sarà il clima, qualcosa che ha a che fare con le piogge. Cos'è cambiato?”

“Padrone...” Si fece avanti, tremando. “Sono le piante degli imperiali, vischio, agrifoglio. Le ho aggiunte pensando di farvi cosa gradita. Io...”

“Non scusarti!” Le afferrò i polsi, strinse forte. A lei mancò il fiato. “Non scusarti, diamine, hai creato una miscela sconvolgente a tua insaputa! Come i folli e i veggenti, permeati loro malgrado di furore divino.”

“E quindi?”

“Non ci pensi? Nessun tè a Vvandenfell aveva le caratteristiche che cercavo... fino ad ora. Preparalo di nuovo, devo studiarlo fino in fondo. Soffrirò d'insonnia? Me ne farò una ragione, se la miscela porterà il nome dei Telvanni, di questa torre...”

Le sollevò il mento con un dito, socchiuse le labbra e carpì una nota bruna sulla fronte, l'acqua che sgorgava dagli occhi taglienti e scuri. Non era cambiata molto, anzi la ricordava sfuggente e schietta, come quando avvenne il primo incontro.

All'epoca Arara era una debuttante e lui un candidato al vertice: ricordava il rispetto che nutriva per il padre e la promessa di cedergli delle terre, in cambio della salvezza della figlia. Prigioniera dei Redoran, in quel circolo vizioso di rapimenti e riscatti non pagati che erano le lotte tra i casati di Morrowind.

Doveva prevederlo, il vecchio gufo era pericoloso: era riuscito a ingabbiarlo, a farsi estorcere un assenso. Tutto a causa di quella risata argentina, sfacciata, che Arara sfoderava anche nei casi peggiori. L'aveva trovata in una caverna, a troneggiare su un mucchio di soldati paralizzati e doloranti, mentre saccheggiava biscotti dai vassoi scampati allo scontro.

“Ti sembra questo il momento di venire? Era ora, ma non ho bisogno di te.” Una bella nerbata che gli inflisse sorridendo, e una ramanzina che fu costretta a rimangiarsi, quando seppe di avere davanti il nuovo capo di Tel Naga.

“Arara, ho da farti una richiesta.” Finse indifferenza, a torto.

“A dire il vero ne avrei una anch'io, Padron Neloth. Se fosse possibile, mi piacerebbe riservarmi qualche ora di svago e avere compagnia, servire il tè alle amiche. Il tempo di conversare, poi tornerò a servirvi come meglio credete. Gli esperimenti, la distillazione, gli incantesimi... mi stanno a cuore. So quali sono le vostre priorità.”

“Le mie priorità?” Fece lui, quasi offeso. “Sì, vero. Di te posso dire tutto, tranne che lasci a metà gli impegni presi.”

“Oh, grazie!” Lo aveva abbracciato, inconsciamente. Cosa le era saltato in testa? Neloth non fece una piega, ma dentro di lui si fece largo uno strano senso di soddisfazione. Era lieto di essere considerato un uomo, di avere un corpo e dei bisogni non proprio casti. Mai le avrebbe rivelato che l'unguento di sapone sload era una scusa per sentire quelle dita carnose sulle gambe, sulla schiena. Altro che reumatismi!

“Ricordati dei massaggi!” Sbottò.

“Certo.” Trattenne ancora il riso, sulle guance spiccava un languido rossore. Se solo avesse posseduto un'unghia di quella felicità!

 

Le maghe si assembrarono sull'altura, in attesa di accedere al vestibolo interno della torre. Passavano inosservate allo sguardo dei paesani, impegnati nelle loro attività e a caccia di qualche buon affare al mercato. Era quasi l'imbrunire, le fiaccole accese seguivano la corrente di un fiume fatto di figure intabarrate e copricapi vari, braccia leste e dirette contro il vento che assediava la baia. Il fumo di brace e la nebbiolina sempre presente ombreggiavano la vivacità delle vesti, non quella dei sentimenti.

“Secondo me il mostro ha sbaraccato tutto all'ultimo momento e l'ha messa a sfilettare carne di alit.”

Felisa Ulessen giocava a far riverberare le luci sulle unghie laccate, con una sacca di seta annodata alle spalle e l'irritazione di chi non tollerava le attese.

“Stai ben attenta a non chiamarlo così quando ce l'hai di fronte. Potrebbe sbranarti, anche Arara ne sarebbe capace. Lo asseconda di continuo, per me è un mistero che non ne parli mai male. E tu, Perla? Cos'è che guardi, hai notato qualcosa di strano?”

“Mm, no. Non sono abituata a ricevere inviti... È insolito per me.”

In realtà si chiamava Azarpar, ma pochi lo sapevano. Era il nome che le aveva dato il nonno, invecchiato male e convinto di ritrovarsi un erede maschio al posto della nipote adottiva. Stava abbarbicata sulla balaustra, incurante di gualcire le vesti. Se Arara – la gentile signora –non l'avesse voluta lì a tutti i costi, probabilmente avrebbe passato la giornata in cabina, prima di salpare per Tel Vos.

Aveva un contenzioso irrisolto con Felisa, per via di una lotta dalla quale era uscita sconfitta. Era poco abile a manipolare le menti, con le parole e gli incantesimi, a trovare un appiglio e ad incagliarsi sulla fiducia altrui con modi di fare piacenti. Si poteva dire che quasi tutto le fosse indifferente, che i suoi occhi scuri e sospettosi scrutassero apatici il tramonto. Raven Omayn non l'avrebbe mai tacciata di ingratitudine, aveva vissuto abbastanza per riconoscere la tristezza.

La stessa sullo sguardo di Dratha, sua maestra, che celava il rifiuto dietro una parvenza d'orgoglio.

“Suvvia, non perdiamoci d'animo!” Raven cercò di alleviare il clima teso come poteva. “Sono curiosa di sapere cosa mi aspetta in dono.”

“Oh, se sei tanto impaziente posso mollarti tutto e andare a bere una coppetta di liquore alla locanda, per riscaldarmi un po'.”

“So cosa, anzi chi ti interessa alla locanda.” La rimbeccò Raven, scuotendo la testa. “Avrai tempo più tardi, e magari eviterai d'attirare l'attenzione.”

“Solo perché non ho la fortuna di ritrovarmi l'amante in casa, magari giovane, danaroso e potente...”

“Smettila.” Perla aveva sentito troppo. “Non è che faccia differenza, dipende dalle intenzioni.”

“Ecco perché non andrai avanti.” Felisa l'abbagliò con un sorriso affilato come un coltello. “Non sai ciò che vuoi, e quando lo capisci... o è troppo tardi o non riesci a prendertelo”.

Perla si levò, livida. Avanzò verso l'avversaria, stringendo i pugni.

La pietra slittò a lato, evitando il peggio. Arara le salutò con un inchino, e ancora boccheggiante, le invitò ad entrare con un cenno della mano.

“Mi dovete scusare, avevo previsto che sarebbe successo qualcosa... in pratica, mi ha costretta a risistemare il tavolo e le decorazioni nella sala dei messaggeri e non in camera. Preferivo un posto più accogliente, ma li conoscete questi maestri. Telvanni, ostenta il massimo e riceverai il massimo...”

“A volte mi fa piacere vivere in un posto dimesso e isolato come Tel Mora.” Il suo arrivo era stato provvidenziale, l'aveva tirata fuori da un bell'impiccio. Arara accettò l'abbraccio di Raven, ricambiando senza indagare troppo. “Anche se le giornate tutte uguali annoiano. Dimmi, come t'è venuta l'idea di inventare questa nuova festa?”

“Sei proprio cieca!” S'intromise Felisa, decisa a riportare l'attenzione su di sé. “Non hai visto le ghirlande sugli archi e i battenti di Wolverine Hall? Stiamo festeggiando assieme agli imperiali...”

“Be', se le bacche sono così belle... ben venga!” Perla sfilò un ramoscello di agrifoglio, attenta a non pungere l'amica. “Le hai già provate in una pozione?”

“Non riesci a pensare ad altro!” In lei, Arara rivedeva se stessa da ragazza. “Ci sei andata vicino, comunque. Padron Neloth è entusiasta di questa nuova scoperta, venite!”

Le maghe del concilio si fecero guidare attraverso stretti corridoi, scale con corrimano ornati e nicchie in cui bruciavano essenze e incensi. La semplicità delle pareti verdi, vegetali, era rotta da ornamenti e antichità esposti con estrema noncuranza. Chiunque, tendendo la mano, avrebbe potuto prelevarli dalle mensole e appropriarsene: tanto coraggio, comunque, era raro. Sarebbe stato facile afferrare le onde dell'oceano, non i tesori di Neloth e quel mito stesso che avvolgeva il personaggio. Una scomoda eredità su cui si fondava la reputazione di Arara, considerata fredda e arrogante quasi quanto lui.

Le risultava ancora difficile ignorare gli insulti, le dicerie. Si rallegrava, però, di aver trovato qualcuno a cui donare la propria amicizia.

Qualcuno che non fraintendesse, capace di farla sentire un'elfa ordinaria.

“Almeno c'è da gioire, guardate un po'!” La sala dei messaggeri era una torretta aggettante sulla strada principale di Sadrith Mora, in cui ingannare il tempo e ammirare il mare fin dove arrivava lo sguardo. Una vista che Neloth concedeva a pochi eletti, un regalo o semplice manifestazione di potere.

Il tavolinetto circolare richiamava la pianta della stanza, e su esso bocconcini di pasta morbida che sembravano incerati; biscotti secchi e i vetri colorati di seducenti di ampolle, la ceramica di coppe e caraffe di succo fruttato. Al vischio spettava una posizione strategica, proprio a coronare la scena dall'alto, mentre punte d'agrifoglio sbucavano un po' ovunque, nei vasi e tra gli spazi vuoti della libreria.

“Ho deciso i posti a sedere, spero che non vi dispiaccia.” Felisa e Perla si ritrovarono l'una di fronte l'altra, strategicamente divise dalle altre due. La portavoce di Aryon non ebbe animo di sostenere la fierezza della vecchia avversaria e si ritirò dietro una cortina di mortificazione.

“Oggi staremo bene... tutte.” Continuò Arara, non arrendendosi all'evidenza. “Le azioni passate hanno lasciato il segno, il futuro può suggerire conferme. Sarò stupida, ma vorrei che fossero cambiamenti.”

“Direi che è scontato.” Perla si fece avanti e prese parola. “Non è facile vivere con uno come Neloth. Padron Aryon mi ha raccontato che spesso lo fa sentire come un ragazzino di vent'anni, forse con te sarà gentile perché ti considera un bene prezioso, al pari di quelli che colleziona.”

La sua sicurezza venne scalfita. Qualcosa, in quelle parole, rifletteva una realtà ambigua, agrodolce.

“Sì... per lui sono una presenza affidabile, chi non lo è per i propri maestri?”

“Be', se avessi saputo che mi sarei ridotta a far da badante a Therana, avrei preferito starmene in disparte. Quanto tempo potrà durare, piuttosto? Non pensi lo stesso, Arara?”

La solita Felisa, franca e diretta. Ancora un'eventualità che preferiva ignorare.

“Mi auguro che Neloth viva a lungo.” Avverti un graffiare di unghie dietro le pareti di fungo, o forse erano quelle del suo stomaco. “È un elfo dalle mille risorse, l'ho appreso stando a contatto con lui. Mi dispiace che emerga l'ombra e non l'ingegno, sono convinta che Morrowind ne gioverebbe. Sapete, sta studiando un metodo per creare un nuovo ecosistema da poche piante, pochi semi. Gli ho chiesto se è per popolare Molag Amur, a cui è interessato... nessuna spiegazione, però, su questo fronte.”

“Spero non ti abbia costretta a fargli da cavia per un esperimento!” Raven fu la prima ad afferrare una fra le quattro tazze invetriate, a servirsi del tè. Corrucciò la fronte perché aveva un sentore troppo macerato per i suoi gusti, ma non l'aveva ancora assaggiato. No, non ancora.

“Neloth non merita il tuo tè... è diverso dal solito. Sono contenta, invece, che non ti abbia trattato da domestica. Ricomincerà tutto daccapo, nevvero?”

“È il lavoro.” Arara scrollò la testa. “Felisa! Non prendermi in giro, hai nascosto il tuo regalo sotto il tavolo e muori dalla voglia di aprirlo. Fallo, allora.”

“Non cambiare discorso, sai che ho ragione!” Strillò lei, colta in flagrante. “Parlare di bruti insensibili non può solo che peggiorarci l'umore. Anzi, mi correggo: parlare di elfi in generale.”

“Pure tu? No, dai... ti prego!” Perla sgrano gli occhi, quando Raven batté un pugno sul tavolo, ridendo. “Dratha farnetica sciocchezze da mane a sera e la giustifico, ma tu? Ce ne siamo fatte una ragione solo perché ha una certa età.”

“Ho capito che ci sono cose che vanno oltre il potere.” Fissò le mani di Perla che spezzettavano un biscotto, intensamente. “Sentirsi sereni, non avere rimpianti o resistere alla corrente di ricordi dolorosi quando vai a letto. Occasioni perse, gesti impulsivi, parole non dette.”

“Te ne accorgi solo quando succede... è naturale.” Perla venne scossa dal torpore e tirò fuori i suoi voluminosi involti di carta. “Ecco, ho cercato di non sbagliare, spero che vi piacciano!”

“A una nuova vita, allora!” Raven sollevò in alto la tazza.

“A una nuova vita.”

Sacchetti di stoffa, pacchetti colorati. Vi fu un improvviso scambio di commenti, risa. Allegri balzi, esclamazioni, quando Raven scoprì che il regalo di Perla era l'antico tomo di magia mistica di cui le aveva narrato. Felisa fece scorrere tra le dita l'anello incantato da Arara: un'ambra lucida, impura ma accattivante, coi suoi piccoli globuli che riflettevano la luce. E tutte rimasero stupite dal fascino dei profumi realizzati dalla più sfacciata tra le quattro. Le borsette imperlate di Raven divennero il luogo perfetto per custodire quei regali, tutti uguali ma realizzati con sensibilità differente per ognuna delle destinatarie.

“Il tuo tè, però, è la sorpresa eclatante della giornata.” Le labbra di Tel Mora non fecero morire quell'argomento pungente, quanto le spine delle piante che stava lodando. Arara inclinò il capo, in imbarazzo. “Sicché, il vecchio è degno di bere e dare il nome alla miscela? Non può finire in questo modo, seriamente.”

“Oh, e perché?” Perla intuì cosa si celasse dietro il rossore dell'amica.

“Ti tratta malissimo e tu vali molto di più.”

Non immaginava che udire una conferma al sospetto facesse così male, soprattutto da un'amica. Arara venne meno; le mancò il fiato, si sentì liquefare le membra come un pezzo di spugna. Continuò a sorridere solo per mascherare l'angoscia, la paura del rifiuto. Un castello di tufo e paglia, dentro di sé, era crollato.

“Stai esagerando, non lo conosci bene.”

“Continua ad illuderti, sei finita in trappola. Qual è la prossima pazzia che giustificherà i prossimi scatti d'ira, dirai che ha davvero bisogno di te?” Felisa rincarò la dose, non importava quanto Perla si sbracciasse per tapparle la bocca. “Che sei speciale? Andiamo, sei troppo astuta per abboccare.”

“Davvero mi credi così folle?” Era una bugia orrenda, in realtà gli voleva bene, sin da quando aveva messo piede in quella lurida caverna per sottrarla ai Redoran. Era stato l'unico a tirarla fuori da lì, suo padre aveva preferito non rischiare la pelle. Era ammirato e temuto, dall'alto del suo seggio. Un potere consolidato, che la morte aveva messo in discussione.

La spartizione dei beni, delle terre, la successione... pensò a questo fino all'ultimo respiro. A lei era rimasto il rimpianto dell'ultimo abbraccio, benché avesse avuto una vita intera per starle accanto.

Toccò a Neloth prenderne il posto. A corte, nel suo cuore. Altri anni passati invano, in un'estenuante attesa.

Perché era ostinata a fingere, per non ammettere di essere rimasta la stessa, stupida ragazzina di sempre? Che fosse una scusa, per non mostrare il lato debole ?

“Non lo amo, solo un'idiota potrebbe farlo.”

Le venature del fungo si contrassero in un reticolo infinito di brandelli fumanti.

“Basta castronerie per oggi,” tuonò Neloth, con la barba di un demone e gli occhi scuri. “Non voglio più vedere nessuno, questa è casa mia. Fuori di qui, ora.”

“Padrone!” Era troppo tardi, aveva rovinato tutto.

Fuori di qui!” Le dunmer raccolsero al volo le loro cose. Nel tafferuglio scivolarono dalla tovaglia ricamata stoviglie, spezie e dolciumi; s'infransero sul tappeto di muschio e rotolarono via, trascinandosi dietro paure e rimorsi.

Rimasero soli, l'uno di fronte all'altra. In un guizzo tutto tornò, limpido come acqua: la sala dei messaggeri aveva un doppio fondo comunicante con uno stanzino nascosto, in cui il mago poteva spiare gli ospiti convenuti prima delle udienze. Era stato lì dietro tutto il tempo, per accertarsi che fosse realmente senza macchia, che almeno lei non si parasse dietro un muro di ipocrisia e adulazioni.

“Era buono il tè.” Afferrò la caraffa, scaraventò pure quella a terra. “Era bella la tua risata. Peccato che fosse tutto un inganno.”

“Padrone...” Arara era sul punto di scoppiare in lacrime.

“Non mentirmi!” S'avventò su di lei, stringendole il mento tra due dita secche e nodose. La costrinse a non indietreggiare. “Torna a lavoro, donna, fa' qualcosa di utile. Prendi la boccetta d'unguento, ma prima sistema questo disastro. Raccogli i cocci, vedi di aggiustare qualcosa. Altrimenti, fingiamo che tutto ciò non sia avvenuto... questa follia imperiale della nuova vita. A me piace la tradizione, veder strisciare gli inetti.”

Scomparve col fruscio della tunica, diede sfogo alla frustrazione. Riguadagnar fiducia sarebbe stato molto difficile, poteva, perlomeno, trovare una ragione per piangere. Gli pesava il rifiuto: non aveva mai indagato sui sentimenti di Neloth perché le pareva improbabile – quasi inammissibile – che un elfo indurito dagli anni e dalle lotte al potere conservasse un lato ingenuo, affabile.

“Padrone, anch'io non accetto compromessi. E amo mettervi alla prova per scoprire se sapete essere coraggioso, più di lui”.

Attraversò il corridoio, rimase sotto l'arco. Si scrutarono a lungo, fu lui il primo a voltarle le spalle e sfilarsi la giacca di damasco. Venne giù anche la tunica, finché non si ritrovò indosso solo la camicia intima e le braghe.

Arara prese a massaggiargli le giunture dalle caviglie sino alle ginocchia, col capo chino. Trattenne i singhiozzi, rassegnandosi a un susseguirsi di azioni senza mordente, senza complicità.

Era fisicamente cambiato, da quando le aveva messo gli occhi addosso per la prima volta... l'interesse che gli aveva suscitato, invece, rimaneva integro.

“Più energia con quelle dita!” Urlò, mantenendo le distanze.

“Mi dispiace, sono rimasta una ragazzina capricciosa. Volevo che qualcuno s'accorgesse di me, che mi facesse sentire importante... avete colto il mio desiderio. È solo una facciata la scortesia, perché non lasciate che gli altri entrino nell'alveo della creazione. Non permettete che vi tocchino, mentre la mia mano potrebbe stringere un coltello, danneggiarvi. Possedete dei modi eccentrici, spiazzanti. Avevo il compito di assistervi, di leggervi come un libro aperto. Mi dispiace!”

“Sai quando ti accorgi che qualcuno ti ama?” Neloth le porse una mano, non voleva più vederla in ginocchio: la invitò a rialzarsi. “Quando fa per te ciò che non chiedi. Era un accordo tra me e tuo padre: lo compativo, aveva avuto la sfortuna di sfornare una femmina petulante, una bestiola dagli artigli affilati che si sarebbe presto unita al branco di sgradevoli nobildonne. Invece mi hai tenuto testa, hai dimostrato il contrario. Vai oltre le aspettative, anche se sento di somigliare a quel vecchio, perché non riesco a dimostrartelo.”

“Non siete vecchio.” Sussurrò Arara. L'unguento scivolava tra le pieghe dei muscoli, s'infiltrava sotto le unghie, bagnava i loro arti.

“Sei una megera. E il tuo tè è raccapricciante.”

“Cosa?” Lei si ritrasse, risentita.

“Rispedisco al mittente una pessima bugia. Per fortuna ho più dimestichezza nel fingere.”

L'abbracciò, imprigionandola a sé e serrando il cappio; perdendo il controllo e bisbigliandole quelle frasi da amante perdigiorno che lo facevano apparire ridicolo.

“Ho freddo.” Tagliò corto con un sorriso malizioso.

“Vi voglio in salute.” La portavoce recuperò gli strati della ricca veste, le furono strappati via.

“Riscaldami, allora.” Osò, ritornando dove tutto era cominciato. Viaggiando lontano, molto molto lontano.

 

Nonostante l'iniziale incredulità, Arara si decise a varcare il portale e teletrasportarsi a Solstheim. Il fungo era in fase di crescita, le spore avevano attecchito nel terreno e sviluppato tre germogli, da cui sarebbero stati ricavati l'accesso principale allo studio e le stanze di servizio. Neloth aveva adibito a dormitorio l'ala d'alchimia, il resto della truppa trovò riparo nelle tende piantate poco innanzi, alla base del crinale. C'era la sabbia a segnare il corso dei pianeti, a fluttuare ed anticipare le maree. La definiva una lotta contro il tempo: si era ripreso da una visione scosso e amareggiato, sembrava che fosse tornato reduce da una battaglia contro Mehrunes Dagon e i pilastri della Casa dei Disordini.

Dubitare, in circostanze comuni, era del tutto fuori questione. Tuttavia, l'oscuro vaticinio si era impadronito del mago Telvanni, ossessionato dalla fretta di portare a termine il progetto e di seguire gli indizi sulla sua mappa eterea. Dava segni di dislocazione fisica e mentale, spronava Elynea a sfruttare ogni risorsa per innalzare la torre in cui la storia Telvanni non si sarebbe estinta.

Difficile spiegare ad un bambino ciò che risultava incomprensibile persino ai saggi del Tempio. Neloth non era impazzito, con distacco e determinazione aveva scritto liste su cui comparivano nomi, materiali e numeri per costruire un insediamento nella parte più brulla di Solstheim.

“Mamma, ho sonno.”

Arara soffiò sulla lanterna di terracotta e il buio l'avvolse, assieme alla creatura che abbracciava. Nelfrith era stato il primo, un dono passato pressoché inosservato, figlio di quei giorni degni del loro nome. Nuova vita, sbocciata a Morrowind e persino lì, in mezzo alla solitudine.

“Quando verrà fuori? Dorme nel fungo e non si sveglia.”

“Presto nascerà e ti farà compagnia. Così è stato anche per te, devi aver pazienza. Le attese hanno un inizio e una fine.”

È la vita, avrebbe aggiunto. Restò in silenzio perché avrebbe capito da solo, prima o poi.

Di notte la sabbia si trasformava in terra di sepoltura. Erano le anime a bruciare nei propri corpi, a dare ad essa sembianze mortali. La copertura in stoffa si piegò con la brezza, il sipario calò rivelando la figura di Neloth illuminata da una processione di fiammelle. La fissò intensamente, accogliendo la sua immagine – la sua presenza – dunque prese ad armeggiare fra le stoviglie e a prepararsi un tè di radice canis, l'unico arbusto in grado di rammentargli il calore di Morrowind.

Nelfrith si era assopito: l'andatura leggera del suo respiro accompagnava il borbottio dell'acqua nel catino, il crepitare lento della fiamma spirituale. Neloth aveva sembianze monolitiche, fissava i frammenti di corteccia inabissarsi ed emergere da recessi insondabili.

“Ricordo ancora quel giorno in cui ti portai i ramoscelli. Mi dicesti che nessun tè di Vvandenfell possedeva le caratteristiche di quella torbida miscela. Adesso hai trovato le giuste note in questo groviglio di rami secchi. Se fosse stato altrimenti, nulla sarebbe accaduto.”

“Sciocchezze.” Biascicò, lucidando l'orlo della tazza preferita e ridotto a servirsi da sé. “Mi stavo perdendo in un bicchiere d'acqua poiché andavo cercando la felicità in una manciata d'erbe. Apri le orecchie, donna, e ficcatelo bene in testa: potrei non ripetermi. Ho compreso dove essa cresce e quali sono i frutti. Non tediarmi ancora, l'alba è dura quanto il tramonto che l'ha preceduta e certe affermazioni suonano scontate. Ho portato ciò che mi serve per vivere e questo è quanto.”

“Ma...”

“Non fare domande.” Con Nelfrith era gentile, non gli spettavano paternali. Aveva idee antiquate sulle donne, sugli arredi e la coltivazione della torre. Eppure c'era un segreto che era determinato a non rivelarle. Talmente imprevedibile e doloroso da mettere in crisi persino il suo tenace ottimismo.

Gli ripeteva sempre che doveva considerarsi fortunata a stargli accanto, in quelle terre aspre. Non lo metteva in dubbio, per Arara qualsiasi posto era casa. La tratteneva la voglia di guardarsi indietro, di materializzarsi a Sadrith Mora e camminare per le vecchie strade.

Non avrebbe abbandonato il suo mondo, non tanto facilmente. Evitava di soffermarsi sul passato, di tornare a Tel Naga, seppur col pensiero. Reputava offensiva la sua mancanza di riguardo: era come se la nostalgia, per Neloth, fosse morta e sepolta a Vvandenfell.

L'ennesimo, stravagante capriccio. Aveva trovato soluzione al dilemma per annientare i timori. Strinse Nelfrith al petto, si rifugiò sotto le coperte e rinnovò la sfida, mentre contemplava la bellezza dei ricordi nei propri sogni.

 


A sip of happiness...

Solo ieri sono riuscita a portare a termine questa storia, da mesi nella mia mente e frutto di due settimane di ripensamenti e perplessità. Mi sentivo in dovere di fare un regalo speciale a chi mi ha seguito l'anno scorso, nonostante non sia stato il più prolifico dal punto di vista creativo. Grazie per essere entrati a far parte di questo mio Elder Scrolls e di sostenerlo, coi vostri preziosi consigli.

L'unico filo conduttore della vicenda è una conclusione scontata: le apparenze ingannano e non tutto è ciò che sembra. Anche Neloth e Arara sono costretti a mettersi in discussione, continuamente.

La vita non ha regole precise, per questo si può cambiare.

Buon anno a tutti voi!

P.S: Pubblicherò gli approfondimenti come al solito, in separata sede. Come sempre, potete chiedermi qualunque cosa o condividere con me le vostre impressioni. :')

  
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