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Autore: _ A r i a    03/01/2017    1 recensioni
{ KageKi | 2,3k words | missing moments | prompt: first/last kiss }
È cambiato tutto. Sono passati tre anni – tre anni, maledizione – e nulla sembra voler tornare al proprio posto. Aumentano le rughe e i graffi sulla pelle, diminuiscono i capelli e la voglia di scherzare che si ha in gioventù, se c’è una cosa tuttavia che proprio non ne vuole sapere di passare è la loro voglia di rincorrersi.
Ogni volta che s’incontrano, ormai quasi senza nemmeno accorgersene, non riescono a non finire uno nelle braccia dell’altro, per poi puntualmente rinnegare ogni cosa, sputandosi addosso odio e desiderando di non essere caduti ancora in tentazione, in quella spirale di peccato e negazione.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jude/Yuuto, Kageyama Reiji
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Schegge di vetro, sogni in frantumi — è tutto quello che resta



• A chi c’è
E a chi non c’è più •



Etere etilico.
Probabilmente non esiste modo migliore per descrivere la sensazione che prova quando i loro sguardi s’incontrano, una sinfonia di note spezzate, beato obnubilamento dei sensi.
Quella dipendenza fisica – e psichica – che li lega, impossibile spezzarla, somiglia così pericolosamente all’assuefazione da droga: la consapevolezza dell’erroneità, il desiderio smanioso di averne ancora.
Osservarsi è l’anestetico che lenisce il dolore, baciarsi il coronamento di sogni neri come l’inchiostro.
Quando lasciano incontrare le loro labbra per la prima volta intorno a loro ogni cosa è sprofondata ormai da ore nel piacevole oblio della notte, i suoni risultano più ovattati, tutto ha il sapore del proibito. Non saprebbero dire se si tratti di una loro impressione – angosciati dalla percezione di quanto sia sbagliato quel momento – o se quel retrogusto amaro e ferroso, così simile al sangue, che sentono in fondo al palato non sia un’illusione, bensì triste e crudele verità.
È un bacio che dura solo pochi secondi, come se avessero paura di sfiorarsi, in quella notte oscura ricolma di sensazioni psichedeliche. Si separano forse per paura, oppure per disgusto verso se stessi; fatto sta che di quel bacio, casto e involontario, nessuno dei due sembra esserne sazio.
«È stato bellissimo» mormora Kidou, retrocedendo di qualche passo, le punte delle dita fredde che si sfiorano le guance, che hanno subito acquistato colore, mentre la lingua scivola involontariamente sulle labbra, come se volesse raccogliere gli ultimi residui del sapore dell’altro; stenta a crederci, eppure l’iniziativa è partita proprio da lui.
«Non avremmo dovuto» replica una seconda voce, appartenente ad una figura seminascosta nell’oscurità, lo sguardo basso, colpevole e penitente.
«Sarebbe successo comunque, prima o poi» Yuuto avanza nuovamente, mettendosi a sedere sulle gambe dell’altro, piegato in ginocchio sulla moquette della stanza – è troppo buio per poter distinguere di che colore si tratti, Kidou però sa già che si tratta di un beige opaco «che tra noi ci sia chimica non mi pare un mistero, l’abbiamo sempre saputo entrambi; era solo questione di tempo.»
«Non doveva andare in questo modo» la persona alle sue spalle si prende la testa tra le mani, la disperazione che sembra prorompere fuori da ogni parte del suo corpo.
«Ah, no? E come, allora?» Kidou adesso sembra piccato, stizzito quasi, mentre cerca di reprimere in ogni modo il disappunto e la frustrazione che ora paiono attanagliarlo.
«Non lo so… ma non così» l’uomo poggia la testa sulla sua spalla, forse in cerca di conforto «voglio dire, tu sei ancora così piccolo, inoltre non ti merito, sei troppo puro per uno come me.»
«Che razza di scusa è mai questa?» Kidou alza gli occhi al cielo, per poi accarezzargli pazientemente una guancia «posso assicurarle che ero nel pieno delle mie facoltà mentali – e lo sono tuttora, a dir la verità – quando ho deciso di darle quel bacio. Non ho assolutamente alcun rimpianto in merito.»
«Non è questo quel che intendevo» Kageyama sospira, stringendo a sé il corpo del ragazzo.
«Allora cosa?» domanda ancora Kidou, inclinando appena la testa di lato per via della momentanea confusione.
«Che potresti pentirtene, prima o poi» Reiji sospira mestamente, fissando un punto indefinito della stanza «anzi, te ne pentirai sicuramente. Non sono la persona che conosci, Kidou.»
«Non mi va di pensare al futuro. Non stavolta, perlomeno» Yuuto gli stringe le braccia al collo, con espressione laconica «per una volta ho solo voglia di godermi tutti i lati piacevoli che questa situazione potrebbe avere.»
«Quale situazione? Stare qui, al buio, tra le mie braccia?»
«Eh già.»
«Oh, potrebbe avere molti più lati piacevoli di quanti tu possa immaginare, signorino» Kageyama si lecca le labbra, d’improvviso quella situazione non gli sembra più così spiacevole.
«Allora voglio che lei me li insegni tutti, Comandante. Dal primo all’ultimo, nessuno escluso» ribatte il ragazzo, le guance di nuovo rosse per la consapevolezza di quel che le sue parole stanno volutamente sottintendendo.
«Potrei anche accettare questa proposta. Nessun rimpianto?» s’informa Reiji, lo sguardo improvvisamente attento e calcolatore.
«Nessun rimpianto, certamente» gli assicura Kidou, che già csi sente completamente soggiogato da quelle parole.
«Molto bene, allora» Kageyama si tira in piedi, prendendo in braccio Kidou e attraversando con lui la stanza fino a raggiungere il letto, sul quale lo adagia con cura «perché si dà il caso che io abbia intenzione di trascinarti giù con me nell’abisso ancora più in fondo.»
«Magnifico» sussurra Yuuto, gli occhi rossi che scintillano di felicità.


È cambiato tutto. Sono passati tre anni – tre anni, maledizione – e nulla sembra voler tornare al proprio posto. Aumentano le rughe e i graffi sulla pelle, diminuiscono i capelli e la voglia di scherzare che si ha in gioventù, se c’è una cosa tuttavia che proprio non ne vuole sapere di passare è la loro voglia di rincorrersi.
Ogni volta che s’incontrano, ormai quasi senza nemmeno accorgersene, non riescono a non finire uno nelle braccia dell’altro, per poi puntualmente rinnegare ogni cosa, sputandosi addosso odio e desiderando di non essere caduti ancora in tentazione, in quella spirale di peccato e negazione.
È di nuovo notte, ancora una volta le tenebre avvolgono sinuose e soffocanti qualsiasi contorno, rendendo quella camera una massa oscura e informe.
Un’altra stanza d’albergo, l’ennesima storia che si ripete. È un copione già visto, quello, per quanto nessuno dei due sembri intenzionato ad abbandonarlo.
Sembrano due guerrieri caduti tra la neve, mentre ora riposano esausti, il respiro affaticato e il battito cardiaco che proprio non ne vuole sapere di rallentare.
Kidou si rigira quietamente tra le coperte, gli occhi sbarrati. Per quanto si senta stanco non sembra proprio riuscire a prendere sonno, che sia per via dell’adrenalina in circolo nel suo sangue o per qualcos’altro non saprebbe proprio dirlo.
Accanto a lui, invece, Kageyama pare proprio essere crollato addormentato. Lo sente respirare regolarmente, il petto nudo che si alza e si abbassa sotto le lenzuola di raso bianco. Yuuto vorrebbe riuscire a raggiungere lo stato di pace necessario per poter riposare in quel modo beato, tuttavia quella capacità non lo accompagna, questa notte.
È sgattaiolato fuori dal dormitorio della sua squadra in punta di piedi, cercando di fare quanto meno rumore possibile – come un ladro, s’ammonisce mestamente. La verità è che – Yuuto lo sa bene – nessuno accetterebbe quella relazione malata, men che meno i suoi compagni.
Kidou riesce quasi a sentire le loro voci nella mente – “ma come”, sussurrano, “per tutti questi anni non hai fatto altro che ripetere che non volevi più avere niente a che fare con lui e poi la notte corri a rifugiarti nel suo letto” gli direbbero, senza ombra di dubbio. Il timbro graffiante e sbeffeggiante di Fudou si erge su tutti – e Kidou sa perfettamente che hanno ragione, tutti quanti, peccato che quella trappola mortale sia come assenzio, per lui: gli raschia la gola e gli brucia lo stomaco eppure, nonostante tutto, non riesce a non desiderare di averne ancora.
Le prime volte il più grande terrore di Yuuto era che potessero coglierli in flagrante mentre tutto ciò avveniva, ora a tormentarlo è invece il pensiero che qualcuno possa notare la sua assenza. Quel pensiero convince definitivamente Kidou ad alzarsi, nonostante nutra un profondo dispiacere per questo.
Non sa perché, tuttavia è come se avvertisse che quella sia l’ultima volta. La consapevolezza che, di lì a poco, sarà costretto a mettere un punto a quella storia lo logora al punto da star male, mentre sente lo stomaco lacerarsi per l’ansia.
Getta un’occhiata clandestina alla sua destra, restando per diversi secondi incantato ad osservare il suo guerriero protettore, il suo Comandante sprofondare sempre più in quel sonno meritato – dopo tante fatiche, dopo tanti tormenti. Le palpebre sono abbassate dolcemente sugli occhi, le labbra distese in una linea retta appena definita, che sembra quasi sfocata alla luce lieve dei lampioni, laggiù in strada.
Kidou si stinge il lenzuolo al petto, mentre si tira su a sedere. Gli dispiace andarsene così, senza nemmeno un saluto, eppure è certo che con uno strappo netto sarà più facile separarsi da lui, mentre se indugiasse ancora finirebbe per non andarsene mai più.
L’indomani ci sarà la partita tra il Giappone e l’Italia. È uno scontro decisivo, dopo il quale è probabile che le due rappresentative non s’incroceranno un’altra volta. Il pensiero di non poterlo vederlo di nuovo, che quei pochi minuti siano gli ultimi a loro disposizione da passare insieme è insostenibile, soprattutto se Kidou pensa che uno di loro due li sta trascorrendo da incosciente.
Quella consapevolezza è troppo dolorosa per poter essere accettata, così Kidou, senza aggiungere nemmeno una parola, si tira su a sedere, tenendo il lenzuolo ancora stretto contro il petto. Improvvisamente in quella stanza sembra fare molto più freddo e Yuuto è abbastanza certo che non sia perché non ha indosso i suoi vestiti.
Mentre con lo sguardo setaccia il pavimento alla ricerca dei pantaloni – impresa pressoché impossibile, in quella dannata penombra – sente una mano poggiarsi sul suo braccio. In un primo momento non riesce a trattenersi dall’istinto di trasalire, quando tuttavia si volta, rendendosi conto di chi sia il proprietario di quel tocco – anche se era piuttosto logico, si riprende – non può fare a meno che tranquillizzarsi immediatamente, sebbene la sorpresa fatichi a svanire dal suo volto.
«Te ne vai già?» la voce di Kageyama è impastata di sonno e risentimento, tradendo una certa dose di reconditi sogni e speranze.
Kidou si morde un labbro, non sa bene cosa dire; ha come l’impressione che, a qualsiasi frase dovesse ricorrere, finirebbe irrimediabilmente per essere quella sbagliata.
«Devo andare» risponde, l’afflizione ben percepibile nella voce «se scoprono che non sono in camera mia finirò per beccarmi una sospensione e il rientro immediato in patria.»
«Capisco» Kageyama si stiracchia tra le coperte, facendo per voltarsi dalla parte opposta; Kidou sta per tornare alla sua ricerca dei panni sparsi in giro per la camera, quando avverte l’improvviso impulso di voltarsi. Non deve fare nemmeno troppa strada, poiché a metà del suo slancio verso Kageyama viene raggiunto proprio da Reiji, che evidentemente – come al solito, d’altronde – ha avuto la sua stessa idea nel medesimo istante. Le loro labbra s’incontrano ancora una volta, fameliche, insaziabili, petali di rosa all’alba, appena schiusi e umidi di rugiada che si cercano l’un l’altro.
Più si baciano e più avvertono la necessità di averne ancora, mentre si cercano e Reiji lo attira nuovamente verso di sé. In quel bacio ci sono molte più parole di quelle che realmente riusciranno mai a rivolgersi: il bisogno di entrambi di appartenersi, ancora una volta, la gioia e l’ebbrezza che avvertono sulle labbra e in tutto il corpo quando la consapevolezza di quella situazione proibita li colpisce in pieno, il dolore e l’abbandono al pensiero che, ancora una volta, tutto ciò stia per giungere al termine.
Yuuto si separa a malincuore da Kageyama, ricacciando indietro con forza le lacrime; Reiji invece trattiene il labbro inferiore del ragazzo tra i denti, applicandovi una pressione decisa ma non dolorosa, per poi sbuffargli fiato caldo sul volto. Lo vuole ancora, perché negarlo? Sa bene tuttavia di dover lasciarlo andare; è la cosa giusta da fare, cerca di convincere se stesso – peccato che cedere a quella cognizione sia così difficile, stavolta.
«Vai» mormora, le labbra che mentre parla sfiorano quelle del ragazzo «ci vediamo domani in campo. Sarà un bello scontro.»
Kidou chiude gli occhi. Non crede di avere la forza necessaria per poter ribattere a quelle parole, così si mette in piedi, per poi piegarsi a terra subito dopo, alla ricerca dei propri indumenti. Si riveste nel più totale silenzio, mentre può quasi sentire il vento soffiare all’esterno.
Quando è ormai pronto e si sta avviando verso la porta, si arresta di colpo, voltandosi indietro. Fissa ancora la figura di Kageyama, pensieroso. Così tante parole non dette gli ronzano per la mente e così tante vorrebbe confidargliene, alla fine però decide di ricorrere solo a quelle che, in quel momento, gli sembrano strettamente necessarie.
«Kageyama-san?»
«Mh?»
«Alla fine non ho davvero avuto nessun rimpianto, in merito a quel che è successo tra noi.»
Per degli istanti mascherati da eternità Kageyama resta a fissare il soffitto della stanza, come assorto in una meditazione troppo silenziosa e troppo lontana per poter essere raggiunto da qualsiasi pensiero. Quando tuttavia Kidou sta ormai per gettare la spugna e uscire da quella stanza, finalmente lo sente replicare – quasi non se l’aspettava più.
«Nemmeno io, Kidou. Nemmeno io.» sospira, la voce che resta sospesa tra loro due.
Kidou si lascia sfuggire un lieve sorriso: per Kageyama un’affermazione del genere equivale ad una dichiarazione d’amore.
«Buonanotte, Kageyama-san» conclude Yuuto, proprio un attimo prima di aprire la porta e scivolare fuori, in corridoio, il tutto lasciando rimanere gli alloggi della nazionale italiana immersi in un silenzio surreale.
«Buonanotte, Yuu-kun» replica Reiji, quando la porta della stanza si è ormai chiusa e Kidou è definitivamente svanito dalla sua vita, come sabbia che troppo in fretta rotola tra le dita.


Quando la notizia della morte di Kageyama gli giunge alle orecchie, a Kidou non resta da far altro che stringere un paio di occhiali da sole scheggiati tra le dita – quel paio di occhiali da sole. Con rancore e delusione pensa alle cose che ha ormai irrimediabilmente perduto, quelle ore rubate alla notte, quei sogni che per una manciata di minuti per i quali poteva quasi illudersi, ancora un po’, di vederli tramutarsi in un’amabile realtà. Ma i sogni, si sa, son fatti per restare tali, ecco perché ora che Kidou sentiva di essersi risvegliato da quel magnifico sogno tutto quel che gli rimaneva in mano non era che polvere di sogni, del tutto inutile – non voleva volare, non se accanto a lui non c’era Kageyama.
E Kageyama non c’era più, adesso.




Angolo autrice

E… okay, non so bene cosa sia questa “cosa” orrenda, immagino uno dei miei soliti deliri che tiro fuori quando mi riduco a scrivere fino all’una di notte. Che poi io questa fic non la volevo neanche pubblicare, è stata mia sorella che ha insistito, “no, dai, è bella, pubblicala”, quindi se fa schifo la colpa datela a lei--
Va bene, va bene, mi calmo. Mi pare il minimo, dopotutto.
Ehm, anzitutto, salve. Se quella dell’altro giorno era l’ultima fic del 2016, possiamo dire che questo aborto elaborato inauguro ufficialmente il 2017. Il che, in effetti, visti i risultati non credo sia un buon segno—
Okay, giuro solennemente di piantarla. Il punto è che, secondo me, nutro una forte incapacità di scrivere seguendo dei prompt. Mi pare di creare storie… boh, non saprei neanche come definirle. “Mozze”? Ecco, sì, diciamo così. Mi sembra sempre che ci manchi qualcosa, forse un pizzico in più di sentimento – sarà che ormai sono abituata a scrivere fic solo “a briglia sciolta”, per così dire. Però ieri, quando ho visto questo prompt su Twitter (in realtà il post è di Tumblr, vi lascio il link qui, così, qualora qualcuno di voi dovesse avere la malsana idea di seguire le mie orme e farsi un po’ del male con del sano e genuino angst, che alla fin fine non fa mai male… no?) sono rimasta letteralmente folgorata, perciò mi sono detta: beh, dai, perché non provarci? Ed ecco che il risultato finale è stato questo. Non sono propriamente soddisfatta e so bene che su Efp andrebbero pubblicate le storie che più convincono l’autore, però che dovevo fare, ormai la fanfic l’avevo preparata, non postarla mi sembrava uno spreco di energie…
Si capisce che sto dicendo tutto ciò per cercare di convincermi che non sia poi così sbagliato pubblicarla? Sì? Okay.
Alla fine, l’unica cosa che mi convince totalmente di questa – brevissima – shot è il titolo, che trovo molto melodioso e intrigante come tessersi lodi da soli parte uno di ottomila duecento che io sia una persona estremamente complessata non è certo un mistero, tant’è vero che, come mio solito, mi è venuto prima in mente il titolo e poi ho scritto la fic. Okay, so che è un’abitudine estremamente controproducente, però se ne devono uscire certe ‘perle’ Aria basta egocentrismo pls allora forse non è poi così dannosa. Tornando a noi, il titolo fa ovviamente riferimento all’ultima parte della shot (quindi, in un certo senso, potrebbe essere considerato una sorta di spoiler? Probabilmente sì) in cui si capisce che le schegge di vetro a cui fa riferimento Kidou sono quelle degli occhiali da sole rotti di Kageyama che lui stesso tiene in mano, dopo averli recuperati in seguito all’incidente (vedi ep. 3x106), mentre i sogni infranti sono chiaramente quelli riguardanti l’idea di un futuro in cui lui e Kageyama vivono felicemente insieme. Madonna, quanto angst—
Della fic in sé per sé, invece, credo di dover spiegare ben poco: sono due macromomenti, due missing moments, il primo ambientato in un plausibile ritiro della Teikoku, quando Kidou avrà circa undici anni ebbene sì, Kageyama riusciva ad essere losco già quando Yuuto aveva ancora quell’età. Sigh. Che poi l’iniziativa di quel bacio parte proprio da Kidou stesso, infatti immagino il momento di iniziale spaesamento di Kageyama, che molto probabilmente avrà pensato qualcosa del tipo “Avrei dovuto proibire a Genda di portare quella fiaschetta di liquore”. Me lo immagino benissimo, ahah. A parte gli scherzi {ed i miei scleri} in realtà suppongo che Yuuto fosse sobrissimo, altrimenti la frase “posso assicurarle che ero nel pieno delle mie facoltà mentali – e lo sono tuttora, a dir la verità” starebbe lì molto arrandom e no, questo non è decisamente il nostro caso. Tra l’altro, se non ci fosse stata quella frase il tutto avrebbe avuto un’aria molto “non-con” e, signori, no grazie: la KageKi è la mia OTP, perciò posso assicurarvi che questi due cuccioli li preferisco di gran lunga quando sono entrambi coscienti e consenzienti in merito a quello che stanno facendo. Che poi dopo abbiano fatto cose losche a noi importa poco.
Ho davvero detto “cucciolo” a Kageyama? Ehm, ma anche no?
L’ultima parte è invece ambientata durante il FFI, obv. Avevo già provato a scrivere una cosa del genere, tempo addietro, solo che non l’avevo mai finita ed era molto più esplicita-- okay, mi concentro. Mi piace un sacco come ho reso questa scena non avevamo detto basta con l’egocentrismo? perché in tutto ciò c’è qualcosa di decisamente poetico, forse nella parte delle labbra che vengono paragonate a dei petali di rosa inumiditi dalla rugiada mattutina o forse in quella della similitudine dei due corpi abbandonati tra le lenzuola di raso con quelli dei guerrieri caduti nella neve. Okay, forse questa fic ha anche dei lati positivi, se ci sono tuttavia è solo ed esclusivamente merito delle mie migliori amiche, le similitudiniTM.
L’ultima parte, invece, è forse quella più struggente e poetica, oltre ad essere il punto in cui, come ho già detto, mi ricollego al titolo della shot.
E niente, è tutto. Scusatemi davvero se vi riempio di disagio in questo modo, con queste 2.200 parole di infimo angst, ma ahimé altri modi non ne conosco. Prima di andarvene – okay, lo so, vi ho già abbondantemente rotto le scatole con tutto ciò e le note sono lunghe come mezza fic, but – visto che prima ho nominato Twitter, mi faccio un attimo di auto-spam. Per chi non lo sapesse ho modificato la mia bio Efp – andate a vederla, è l’ammmore – e lì ho aggiunto il link alla mia pagina Twitter. Se qualcuno avesse voglia di venire a dare un’occhiata, di dare una scorsa al mio account o alle cazzate a ciò che pubblico, sappiate che siete benaccetti anche lì. La maggior parte dei miei tweet contiene scleri/headcanon (in particolare su Kageyama e Kidou) capita tuttavia che, nel bel mezzo di quella poltiglia, ci sia anche qualcosa di più serio – per dirvi, il 16 esce lo screenplay di Animali Fantastici e il 20 il terzo outer code di Inazuma Eleven, perciò aspettatevi commenti a caldo (e a freddo) in merito. Quindi no, niente, se avete voglia di passare mi farebbe un sacco piacere, se poi avete voglia di fare quattro chiacchiere ci si può sentire per DM sempre su Twitter oppure nei messaggi privati qui su Efp. Lo sapete, sono una persona estremamente sola e mi fa sempre molto piacere scambiare qualche parola con qualcuno.
Bene, adesso è veramente tutto. Ringrazio chiunque abbia letto la fic – per quelli che sono arrivati fino alla fine di queste note d’autrice estremamente demenziali: siete degli eroi, sappiate che vi stimo davvero tanto – chi dovesse inserire la storia tra le preferite/ricordate nessuno e l’eventuale inesistente anima pia che dovesse recensire questo… coso. E sappiate che voglio bene anche a voi, che sulla fic ci avete cliccato per sbaglio.
               
A presto (spero)

Aria
   
 
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