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Autore: arangirl    04/01/2017    4 recensioni
Clarke Griffin sta vivendo il giorno più bello della sua vita, il giorno in cui finalmente sposerà il suo migliore amico e fidanzato dai tempi del liceo, Finn. Clarke non ha mai avuto dubbi sul suo futuro, e sposare Finn, costruire una famiglia con lui, ha sempre fatto parte dei suoi piani. O almeno così credeva prima di incontrare per sbaglio, camminando verso l'altare, uno sguardo verde smeraldo destinato a cambiare la sua vita per sempre.
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Imagine Me and You AU
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Finn Collins, Lexa, Raven Reyes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando Lexa aveva suggerito in modo molto ironico che dopo la partita sarebbero potute andare a ballare, si aspettava tutto meno che il posto in cui Clarke l’aveva portata.
 
 

Non che morisse dalla voglia di andare in una discoteca, non le piacevano i posti rumorosi e pieni di gente, ma se Clarke voleva era disposta a fare un sacrificio per lei. Invece Clarke l’aveva portata in una rumorosa sala giochi piena di ragazzini, con un sorriso così luminoso da fare concorrenza alle scintillanti luci dei giochi attorno a loro.
 
 

“Clarke… cosa ci facciamo qui?” Clarke indicò uno dei giochi davanti a loro, e Lexa capì immediatamente cosa aveva in mente la ragazza; era una di quei giochi per ballare con le frecce colorate che Lexa non vedeva almeno da una decina d’anni.
 
 

“Volevi una sfida di ballo, e ti ho accontentata.” Lexa la guardò stupita “Io su quel coso non ci salgo.”
 
 

“Non puoi dirmi di no Lexa, altrimenti vinco automaticamente io.” C’era una vaga espressione di sfida nello sguardo di Clarke, mista al divertimento che evidentemente provava nell’averla messa in un angolo, e Lexa per un momento rifletté sulle sue opzioni.
 
 

Valeva veramente la pena rischiare di mettersi in ridicolo solo per non darla vinta a Clarke? Con un altro sguardo all’espressione sicura di sé di Clarke Lexa prese la sua decisione.
 
 

Si tolse la giacca, appoggiandola con delicatezza sulla sedia accanto a lei e sorrise a Clarke “D’accordo, ma non hai idea di cosa stai scatenando.”
 
 

Clarke si mise in posizione e inserì i gettoni nella macchina, invitando Lexa a unirsi a lei. Quando la musica iniziò a risuonare attorno a loro, Lexa si sentì, come spesso le accadeva in presenza di Clarke, quasi fuori dalla realtà.
 
 

Iniziò a ballare e fu sorpresa di vedere che Clarke accanto a lei ci metteva persino più impegno. Doveva essere divertente vederle da fuori, due adulte che si muovevano come scalmanate per prendersi più punti possibili.
 
 

Lexa perse il conto dei minuti, troppo impegnata a seguire la musica e a guardare Clarke, bella come il sole sotto le luci del gioco, sentendosi felice come non le succedeva da tantissimo tempo.
 
 

Per questo quando la musica finì all’improvviso ci rimase quasi male, nonostante il punteggio davanti a lei dicesse che aveva battuto Clarke di qualche punto.
 
 

“Non è valido!” La ragazza le diede una leggera spinta con il braccio “Hai imbrogliato!”
 
 

Lexa finse di essere offesa “Non è assolutamente vero, ho vinto in modo leale! E adesso mi spetta un premio.”
 
 

Clarke la guardò incuriosita “Che cosa vorresti, campionessa?” Lexa valutò per un attimo le varie possibilità che aveva, poi sorrise quando trovò l’idea giusta.
 
 

“Vorrei vedere i tuoi disegni.” Clarke sembrò presa alla sprovvista dalla richiesta, l’espressione leggermente confusa.
 
 

“Se ti va, ovviamente.”
 
 

“Io… si certo. Non pensavo t’interessassero veramente.”
 
 

Lexa la guardò stupita “Certo che si Clarke. Sarebbe un onore vederli.”
 
 

Clarke arrossì visibilmente e le sorrise “Allora va bene. Dobbiamo andare nel mio studio però, spero che non ti dispiaccia.”
 
 

Lexa scosse la testa “Per niente.”
 
 
*
 
 

Quando Clarke aprì la porta del suo studio Lexa rimase un secondo interdetta nel vedere il caos attorno a lei, e Clarke sorrise “Il caos nel mio studio può essere usato come una realistica rappresentazione del caos nella mia testa.”
 
 

“Uno splendido caos.” Lexa distolse lo sguardo mentre Clarke arrossiva, muovendo i primi passi all’interno della stanza.
 
 

Era stato strano camminare fianco a fianco con Clarke nella scuola deserta, in silenzio, nel cuore un misto di imbarazzo ed eccitazione; ora che era davanti alle opere di Clarke, si sentiva come una bambina a Natale.
 
 

“Questo è di qualche anno fa, lo tengo qui perché mi piace particolarmente.” Indicò uno dei quadri davanti a loro, raffigurante un paesaggio invernale, una scogliera ricoperta da un sottile strato di neve, il mare mosso e scuro tanto realistico da sembrare vivo, pronto a uscire dal dipinto e sommergerle entrambe.
 
 

“E’ bellissimo. E così realistico…” Clarke sorrise “L’ho fatto di ritorno dal mio viaggio di laurea. Io e Finn siamo andati in Norvegia.”
 
 

Lexa la guardò sorpresa “L’hai dipinto a memoria? E’ incredibile.” “Avevo preso qualche scatto, ma mi affido di più alla mia memoria. Faccio sempre così, quando vedo qualcosa che m’interessa, è come se ne catturassi i dettagli nella mente.”
 
 

Lexa avrebbe voluto toccare il dipinto, lasciar scivolare le dita sulle dense pennellate di colore che Clarke aveva lasciato sulla tela con gesti metodici e precisi, ma si trattenne per paura di rovinare un quadro tanto bello.
 
 

“E cosa t’interessa, di solito?”
 
 

Lexa notò il rossore che salì alle guance di Clarke, e scosse la testa “Scusa, non sono affari miei.”
 
 

“No no, tranquilla. Solo che… è difficile da spiegare. A volte non capisco nemmeno io perché certe cose mi restino nella mente, senza che io riesca a farle sparire.”
 
 

Si guardarono negli occhi, e Lexa riuscì a sentire la tensione crescere nell’aria intorno a lei. Forse andare lì non era stata una buona idea. Distolse lo sguardo da Clarke, schiarendosi la gola “Posso vederne un altro?”
 
 

Clarke annuì e si spostò verso un quadro al centro della sala, vicino a dove erano posati diversi colori, alcuni ancora freschi. “Questo è quello su cui sto lavorando in questi giorni. Non so perché, non riesco a finirlo. Non sono mai soddisfatta.”
 
 

Lexa fissò a lungo il dipinto, un altro paesaggio, un campo di un verde brillante illuminato dal sole, circondato dalla foresta; era un dipinto magnifico, ma effettivamente anche lei percepì che qualcosa mancava.
 
 

“Dovresti metterci dei fiori.” Lo sguardo di Clarke passò dal quadro a lei “Come scusa?”
 
 

Lexa sorrise, imbarazzata al pensiero di suggerire a un artista come fare il suo lavoro “Dovresti metterci dei fiori, in quel campo. Ci vuole una nota di colore in tutto quel verde.”
 
 

Il volto di Clarke s’illuminò con un sorriso “Ma certo… Che stupida, non ci avevo pensato. Cioè sì, ci avevo pensato, ma poi non sapevo che fiori fare, cosa poteva starci bene, e avevo abbandonato l’idea sul nascere. Però hai ragione, così manca di realismo.”
 
 

Lo sguardo di Clarke si fece all’improvviso più attento mentre scrutava la tela “Ma voglio metterci qualcosa di significativo, di importante. Puoi aiutarmi?”
 
 

“Cosa ti serve sapere?” Lexa si avvicinò a lei, osservando meglio il dipinto. “Puoi parlarmi del significato dei fiori? Quando ti ho sentita parlare nel tuo negozio… era così interessante.”
 
 

Fu Lexa questa volta ad arrossire imbarazzata “Non ne so poi così tanto. Ma prova a dirmi un fiore, vedrò quello che riesco a fare.”
 
 

Clarke la fissò negli occhi, e Lexa si perse per un momento nei riflessi azzurri del suo sguardo.
 
 

“Parlami del giglio.”
 
 

Lexa sospirò leggermente, se l’era aspettato “Il giglio… meglio di no.”
 
 

Clarke finse di imbronciarsi “Ma è il mio preferito.”
 
 

“Lo so.” Lexa spostò lo sguardo verso un punto indefinito alla sua destra “Chiedimi dell’azalea.”
 
 

Clarke rise “D’accordo, cosa mi dici dell’azalea?”
 
 

Lexa fece un passo indietro, cercando di alleggerire la leggera tensione che sentiva in quel momento “L’azalea significa ti auguro sicurezza economica.”
 
 

Clarke la guardò stupita per un attimo prima che entrambe scoppiassero a ridere “E’ sicuramente molto poetico Lexa. Starebbe benissimo nel mio quadro, potrei persino intitolarlo –Sicurezza economica-“
 
 

“Non ho mai detto che i fiori debbano portare poesia.”
 
 

Clarke le diede una leggera spinta con la spalla, e quel solo tocco fece recuperare a Lexa tutto l’agitazione che aveva sentito scivolare via con la risata di poco prima. Stava giocando col fuoco.
 
 

“Andiamo Lexa, dimmi del giglio.”
 
 

Gli occhi di Clarke la guardavano così speranzosi che le ultime resistenze di Lexa cedettero con un sospiro “Il giglio significa: ti sfido ad amarmi.”
 
 

Clarke si bloccò, come congelata, gli occhi spalancati come se avesse appena visto un fantasma. Lexa avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma ne era come catturata. Clarke era come un magnete che la tirava a sé; Lexa non era mai stata abbastanza forte da resistere al suo richiamo.
 
 

Ringraziò il cielo quando fu Clarke a distogliere lo sguardo, fissando con insistenza il pavimento.
 
 

“E’ tardi, forse dovremmo rientrare. Grazie della bella serata.”
 
 

Lexa le sorrise nonostante tutto “Grazie a te. Oggi è il mio compleanno.”
 
 

Clarke alzò di nuovo la testa, un’espressione incredibilmente stupita in volto “Avresti dovuto dirmelo. Ti ho pure portata a quell’inutile partita…”
 
 

“No davvero, è stata una splendida serata. Di solito io non faccio nulla per il mio compleanno. Questo… questo è stato davvero bello.” Lexa aveva detto questo, perché non era riuscita a trovare una parola più adatta per quello che avevano appena vissuto.
 
 

Clarke scosse la testa “Non ho nemmeno un regalo da darti…” si guardò intorno, come alla ricerca di qualcosa.
 
 

“No Clarke, davvero non devi. Mi sono divertita molto, mi basta questo.” Mi basta stare con te, avrebbe voluto dire, ma era quasi sicura che Clarke non l’avrebbe sentita comunque, perché si era messa a cercare qualcosa tra gli scaffali disordinati della stanza.
 
 

“In realtà ho qualcosa per te.” Prese quello che sembrava un blocco da disegno, prima di tornare verso di lei, il volto accaldato “Ma mi devi promettere di non ridere.”
 

 
*
 
 

Clarke riusciva a sentire con precisione assoluta i dettagli del blocco da disegno sulle sue dita, il battito del suo cuore leggermente accelerato mentre si avvicinava a Lexa.
 
 

Quella serata era stata a dir poco strana, piena di momenti in cui si era sentita assolutamente persa, come se tutto ciò che sapeva, che fino a un momento prima le era stato chiaro fosse svanito nel giro di un secondo.
 
 

Lexa la guardava incuriosita, con quei suoi grandi ed espressivi occhi assurdamente verdi, di un colore così unico che nemmeno in mille anni Clarke sarebbe riuscita a riportarlo sulla tela.
 
 

In quel momento, dopo tutte le confessioni, dopo averle mostrato i suoi dipinti, Clarke si sentiva vicina a lei come non mai. Eppure c’era ancora qualcosa, qualcosa d’impercettibile ma allo stesso tempo presente, sempre presente tra di loro; Clarke temeva e desiderava allo stesso tempo il momento in cui quel qualcosa si sarebbe spezzato.
 
 

“Cos’è? Prometto di non ridere.” A Clarke ci volle tutto il coraggio che sentiva dentro per aprire il blocco da disegno e mostrare a Lexa il suo ultimo schizzo. Era lei, ovviamente era lei, in piedi davanti al terrazzo di casa sua, intenta a osservare il cielo.
 
 

Clarke l’aveva disegnata più e più volte, eppure era quello il ritratto che le piaceva di più, nonostante si rendesse conto che non sarebbe mai riuscita a riportare esattamente la bellezza di Lexa su di un semplice foglio.
 
 

Alzò lo sguardo per osservare la reazione di Lexa, e quando vide i suoi occhi brillare di emozione capì di aver fatto la cosa giusta mostrandole il suo disegno, per quanto imbarazzata potesse sentirsi in quel momento, così esposta alla sua musa.
 
 

“Clarke tu…” Lexa scosse la testa, spostando lo sguardo da lei al quadro ripetutamente, come se non credesse a ciò che aveva davanti agli occhi “E’ così che mi vedi?”
 
 

Clarke sorrise e annuì, la gola secca per l’emozione “Non sono mai stata così bella.”
 
 

Oh e invece lo era, in quel momento, davanti a lei, così vicina che Clarke poteva quasi toccarla.
 
 

“Grazie per averlo fatto, anche se ci sarà di certo un soggetto più indicato alla tua arte.”
 
 

Lo stava facendo di nuovo, Clarke se ne rese conto, Lexa stava cercando di allontanarsi, di fuggire da quella nuova intimità che avevano scoperto insieme, ma lei non intendeva permetterglielo.
 
 

“Che posso dirti…” La sua voce era poco più che un sussurro “Mi sei rimasta in mente, e non riesco a farti sparire. Non voglio farti sparire.”
 
 

Lexa alzò lo sguardo allora, incrociando i suoi occhi, senza distoglierli questa volta, mentre avvicinandosi alzava leggermente il braccio, per scostarle con leggerezza una ciocca di capelli dalla fronte, e quando le sue dita le sfiorarono la guancia, Clarke non riuscì a trattenere un brivido.
 
 

“Clarke…” Lexa sussurrò il suo nome, come confusa, in preda a sentimenti che non riusciva a capire; ma in quel momento Clarke riusciva a capire benissimo ciò che provava, ciò che voleva.
 
 

Si sporse lentamente verso di lei, le loro labbra ormai così vicine da respirare lo stesso respiro; qualunque fosse quella cosa che le aveva divise fino a quel momento, sembrava essersi frantumata in mille pezzi.
 
 

“Clarke!”
 
 

Clarke sussultò tanto che il blocco da disegno le cadde dalle mani, schiantandosi a terra con un tonfo sordo, e Clarke si girò verso la fonte della voce, impallidendo visibilmente nel vedere la sua amica Octavia davanti alla porta, che fissava lei e Lexa con stupore.
 
 

“Io… hey Octavia. Come mai qui?” Clarke riuscì a sentire Lexa allontanarsi di qualche passo dietro di lei, e si domandò con paura che cosa esattamente avesse visto Octavia.
 
 

La sua amica le sorrise, ma Clarke la conosceva abbastanza da dire che era solo un sorriso di circostanza “Ho dimenticato la borsa in classe, ero venuta a riprenderla e ho visto la luce del tuo studio accesa. Pensavo ti fossi fermata a lavorare ed ero venuta a vedere se ti andava di bere qualcosa insieme. Ma vedo che sei impegnata… Ciao Lexa.”
 
 

Lexa arrossì leggermente, facendo ritornare un vago colorito nel suo volto ora più pallido che mai “Ciao Octavia, è un piacere conoscerti.”
 
 

Clarke si domandò per un attimo come facesse Octavia a sapere chi era Lexa, ma non era quello il momento di porsi certe domande “Si io… le stavo facendo vedere i miei quadri. Adesso dovrei proprio accompagnarla a casa.”
 
 

Lexa accanto a lei annuì con imbarazzo “Sì, è già tardi. Io… io non ho dato da mangiare al mio gatto.”
 
 

Octavia annuì “Certo, sarà per un'altra volta. Magari Clarke… puoi darmi un passaggio a casa? Sono venuta a piedi e fa piuttosto freddo.”
 
 

Clarke annuì “Ma certo. Andiamo.”
 

 
*
 
 

Il viaggio in macchina fu una delle situazioni più imbarazzanti che Clarke avesse mai vissuto. Lei era tesa come una corda di violino, perché era certa che Octavia sapesse. Lei era sempre stata brava a capire queste cose al contrario di lei e Raven, e a Clarke era bastato uno sguardo per sapere che l’amica aveva intuito la sua situazione.
 
 

Lexa era scesa dalla macchina con un saluto tirato, il foglio con il suo disegno piegato tra le mani.
 
 

“Grazie Clarke. Buonanotte.”
 
 

“Buonanotte Lexa. E ancora buon compleanno.”
 
 

Clarke avrebbe voluto dirle di più, fermarsi e parlare con lei di quello che era successo, ma la presenza di Octavia incombeva accanto a lei, così riprese a guidare nel silenzio assoluto, finché non accostò accanto alla casa della ragazza.
 
 

Solo in quel momento Octavia si girò a guardarla negli occhi, con un’espressione preoccupata che raramente le aveva visto in volto.
 
 

“Clarke, cosa stai facendo?”










Note: Ciao a tutti, e tantissimi auguri di buone feste e di buon anno in ritardo! Speravo di finire prima questo capitolo, ma tra parenti e viaggi vari non ci sono prorio riuscita, quindi prendetelo come un regalo natalizio in ritardo (nonostante l'angst finale, sorry).  Come sempre grazie per le recensioni e per seguirmi ancora nonostante il ritardo cronico, fatemi sapere se il capitolo e l'appuntamento in generale vi sono piaciuti, soprattutto i cambiamenti che ho fatto in questa volta! Mi sa che adesso ci rivedremo a fine sessione, l'università non perdona, meh.
Come sempre, alla prossima!


PS: vorrei ringraziare la mia dolce metà che mi sopporta nonostante io sia una drama queen, e che legge tutto quello che scrivo anche se non è italiana e le mie frasi sono un casino perché ci metto troppe subordinate; sei tu la mia musa!


PPS: Lo so ho scritto troppe volte ritardo. Ma è tardi, capitemi.


PPPS: Octavia la prossima volta stai a casa tua, grazie.
  
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