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Autore: strayheart00    04/01/2017    0 recensioni
Andrea è da sempre conosciuta con l'epiteto di "regina dei ghiacci". Ha una vita che molti definirebbero perfetta, eccetto lei e chi la conosce davvero.
Giulio è invece "il re degli stronzi" soprannome affibbiatogli da Andrea l' istante dopo essersi conosciuti.
Sin dal loro primo incontro sono in lotta per il potere e la fama e ogni volta che uno dei due fa un passo verso la vittoria, l'altro gli mette i bastoni tra le ruote. Dopo ben quattro anni di continue battaglie arriva finalmente l'occasione che potrà decretare il vincitore: la possibilità di candidarsi alla carica di rappresentante d'istituto. A questo punto la guerra tra i due diventa più spietata che mai, con colpi bassi e terribili piani che porteranno a conseguenze inaspettate.
Si trovano infatti costretti a firmare un armistizio quando un bacio gli fa provare sensazioni che non dovrebbero. Così quella che è la loro eterna guerra si trasforma in un gioco, fatto di odio e attrazione. Le scommesse sono aperte: chi tra i due si farà male per primo?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Don't let me go
I need a savior to heal my pain
When i become my worst the enemy

[My Demons-Starset]


Cinque anni prima

L'orologio in cucina segnava l' 01.20 precise e mia madre ancora non era a casa. Inizialmente non mi ero preoccupata più di tanto del suo ritardo, ma adesso, a notte fonda, l'ansia mi attanagliava lo stomaco. Quando la sua coinquilina mi aveva chiamata per dirmi che di mia madre, Marisa, non aveva più notizie da quella mattina, avevo chiesto a mio zio di accompagnarmi da lei ma lui aveva fatto finta di non sentirmi. Così avevo aspettato che lui andasse in ospedale per il turno di notte per correre fuori di casa. Avevo chiesto ad Angel di coprirmi con zia perché non avevo la minima idea a che ora sarei potuta rientrare. Lei in un primo momento non ne voleva sapere nulla, ma dopo aver visto la mia ansia e gli occhi lucidi aveva accettato. Ero riuscita per un pelo a prendere l'ultimo pullman della giornata che si dirigeva fuori dal centro, dritto nel cuore della periferia. In quel momento non stavo facendo altro che muovermi in giro per quelle quattro mura come un anima in pena. Carla, la donna sulla trentina che viveva con mia madre, era andata a lavoro. Non sapevo esattamente cosa facesse ma non mi importava, almeno fin quando avrebbe controllato la mamma al posto mio. Mi alzai dalla sedia e andai a controllare dallo spioncino sperando di intravedere la figura minuta e fragile della donna che mi aveva messo al mondo. Proprio mentre mi stavo allontanando, delusa nel osservare le scale ancora una volta vuote, riuscì finalmente a vederla. Un uomo che non avevo mai visto prima la portava di peso sulle spalle come fosse stata un sacco di patate. Bussò alla porta e io sussultai dallo spavento ma la apri senza indugiare, troppo preoccupata per le condizioni in cui versava mia madre. L'uomo la scaricò con un gesto brusco sul pavimento del salone e così mi permise ti ho osservare il volto della donna. La scena che mi si parò di fronte fu una delle più brutte della mia vita e difficilmente potrò mai dimenticarla. Quasi urlai dallo spavento quando vidi il suo volto deturpato, gonfio e pieno di lividi e le varie ferite che aveva sul corpo, alcune più profondi e gravi di altre. Mi scagliai subito contro quell'uomo perché convinta fosse colpa sua, ma lui prevedendo le mie intenzioni mi blocco prima di parlare.
«Lavora nel mio locale e quando è arrivata questa sera era già così». Adesso che lo guardavo negli occhi potevo vedere il dispiacere diffondersi nelle sue iridi marroni. «Conosci qualcuno che avrebbe potuto ridurla così?».
Lui chiuse la porta con un calcio, non mi ero resa conto che fosse ancora aperta.
«Senti piccola tua madre ha problemi con molta gente, quindi sicuramente più di qualcuno avrebbe potuto ridurla così».
Sapevo che aveva ragione, mia madre era famosa per i guai in qui si cacciava. Proprio un suo sbaglio ci aveva portato a vivere separate, sgretolando la nostra già instabile famiglia.
«Tu hai visto qualcosa?».
Inizialmente non rispose dato che continua a guardare il viso distrutto di mia madre, ma infine mi guardo negli occhi fin troppo serio.
«Ti posso solo dire di portarla urgentemente in ospedale e soprattutto di portala via da questa città prima che sia troppo tardi».
Non mi diede nemmeno il tempo di cogliere il pieno significato delle sue parole che subito uscì dalla porta. Fu la prima e ultima volta che lo vidi ma non dimenticherò mai il suo volto. Presi con le mani tremanti il telefono e composi velocemente il 118. Quando mi risposero parlai in maniera veloce e concisa senza permettere alle lacrime di scorrere sulle mie guance. Non potevo piangere, dovevo essere forte per entrambe. Solamente quando avevi risolto tutte quella faccenda mi sarei permessa di crollare.

~~~~

Quando mio zio mi aveva vista ferma nel pronto soccorso mentre mia madre veniva trasportata d'urgenza in sala operatoria non aveva detto una parola, nessuno rimprovero, sapeva che avrei fatto di tutto per aiutarla e forse proprio questa sua consapevolezza aveva reso più semplice la decisione che avrebbe preso da lì a poche ore. Mi raggiunse in pochi passi per poi stringermi tra le braccia.
«Va tutto bene bambina mia, vedrai che lei starà meglio».
Speravo che fisicamente si sarebbe ripresa, ma quello che mi preoccupava era ben altro e lui lo sapeva.
«Si farà uccidere se continua così».
Lui mi lasciò andare per sedersi su una di quelle scomode sedie di plastica arancioni.
«Lo so».
Sospirai pesantemente e presi posto accanto a lui.
«Dobbiamo fare qualcosa. Devi aiutarmi zio».
La voce mi uscì rauca.
«Lo farò Andrea, te lo prometto» .
Volevo fidarmi di lui, ne avevo davvero bisogno.

~~~~

L'orologio della sala d'aspetto tichettò le 5.00, erano passate tre ore da quando i medici avevano trasportato in sala operatoria la mamma. Ogni mezz'ora zio andava a chiedere degli aggiornamenti sulla situazione ma nessuno voleva dirci niente e io mi sentivo come in un cazzo di vicolo cieco. Verso le quattro mi aveva chiamato mio padre. Mi aveva spiegato che sarebbe arrivato con il primo volo e che nel frattempo nessuno doveva prendere decisioni su eventuali complicanze. Forse era un discorso un po' troppo pesante da fare ad una ragazzina se ci ripenso, ma in quel momento volevo solo che il mio papà tornasse a casa. Erano corse in ospedale anche mia zia insieme ad Angel per assicurarsi che stessimo tutti bene. Si erano sedute accanto a me ed eravamo rimaste in religioso silenzio fino all'arrivo dello zio. Con una faccia più grigia che rosa, mio zio si dirigeva a piccoli passi verso di noi. La sua espressione era indecifrabile, quasi come un enigma nazista. Quando fu dinanzi a me, puntò i suoi occhi azzurri, gli stessi della mamma, sulla mia figura.
«Credo che tu debba richiamare tuo padre e dirgli di essere qui nel giro di un'ora».
Se prima il mio stomaco era bloccato dall'ansia e dalla preoccupazione, dopo le sue parole anche un senso di vomito si propagò nel mio ormai stanco corpo.
«Perché dovrei farlo? E ti prego di non mentire. Non addolcirmi la pillola, so perfettamente da sola quant è grave la situazione».
Ormai la mia mente era pronta al peggio, mentre il mio cuore si spaccava in mille pezzi sempre a mano a mano più piccoli.
«Ha due ferite da lama, una sul fianco che ha perforato i polmoni, tre costole rotte e un'overdose in corso».
La voce dello zio era un misto di dolore e rabbia. Dolore verso sua sorella che rischiava sempre di più la morte ogni giorno che passava e rabbia perché non era riuscito ad aiutarla e proteggerla da se stessa. «Quante probabilità di sopravvivenza?».
La mia invece era piatta, calma in maniera innaturale. Non mi sembrava possibile che mia madre stesse lottando contro la morte per l'ennesima volta, l'avevo visto succedere molte volte quando eravamo solo io e lei. Come quando si tagliò le vene in cucina mentre mi stava preparando la cena. Anche in quell'occasione, come in tutte le altre, pur essendo solamente una bambina ero riuscita a chiamare i soccorsi ed evitare che morisse. Quella volta però la paura che la vita potesse davvero abbandonare il suo corpo mi attanagliava la gola impedendomi di respirare.
«Sei intelligente Rea, non hai bisogno che io risponda alla tua domanda».
Zio mi mostrò tutto il suo dolore nel pronunciare quella frase. Vedevo come la sofferenza lo stesse lacerando da dentro perché era la stessa cosa che stava accadendo a me. Quando qualcuno che ami rischia di morire il dolore che provi non ha eguali. Parte dal cuore e scorre nelle vene, infettando il sangue e ogni organo del corpo. Il cervello rifiuta di concepire gli eventi come reali e ti sembra tutto solamente un brutto sogno dal quale speri di risvegliarti.
«A volte vorrei non esserlo e credere ancora alle favole».
Non riuscivo a liberarmi del tono innaturale che continuavo ad utilizzare, convinta parlare in quel modo mi facesse sembrare meno fragile. Era solo una futile speranza la mia, dato che una qualunque persona che mi avesse osservato avrebbe visto un volto devastato e stanco. «Nemmeno da piccola ci credevi alle favole».
Le labbra dello zio si aprirono in un piccolo sorriso nel ricordare quei momenti ormai tanto lontani dove tutto era più facile.
«Quanto vorrei che non fosse vero». Non potevo negare che sin da piccola avevo una visione molto più matura rispetto a quella dei miei coetanei, forse è una cosa che succede quando tua madre è un alcolista con manie di suicidio.
«Non dire così Rea. Neanche se avessi avuto un'altra vita potevi essere una bambina di quelle vanitose e stupide». Zio mi conosceva meglio di chiunque altro al mondo, lui era l'unico che sapeva davvero come ci si sentisse a voler bene alla mamma e al contrario di tutti non mi giudicava per il semplice fatto di non volerla abbandonare a se stessa.
«Mi scoccia dire che hai ragione zietto».
Dire quella frase aveva fatto scemare un po' quella tensione che respiravo nell'aria dal momento in qui avevo messo piede in quella maledetta casa. Dopo nessuno dei due parlò per un po' di tempo, ognuno troppo perso nei propri pensieri e sensi di colpa. Quasi senza rendermene conto iniziai a ritornare con la memoria a quei ricordi che tenevo custoditi sotto chiave. L'unico modo che la mamma aveva per sopravvivere era la competenza dei dottori che la stavano operando. Quella constatazione mi rendeva estremamente nervosa, tanto da rischiare un collasso nervoso, mentre nella testa mi vorticavano milioni di ipotesi su quello che poteva accadere. Nonostante tutto però, recuperando un po' di lucidità dai meandri più nascosti del cervello umano, continuai a sperare nella scienza e nei chirurghi per quelle che credo furono ore. Vedevo la gente camminare e gli infermieri e dottori correre. Alcuni avevano un volto segnato dalla sofferenza, altri invece sprizzavano gioia da tutti i pori, quelle erano le persone che mi facevano alzare gli occhi al cielo e sbuffare. Guardai per l'ennesima volta quella notte l'orologio sulla parete e mi accorsi che era trascorsa un'altra ora. Sentivo il bisogno di alzarmi da quella sedia altrimenti avrei definitivamente perso la testa. Così mi incamminai in quel tetro ospedale con una destinazione ben precisa nella mente.

~~~~

Ci misi un po' di tempo per trovare quello che stavo cercando, dato che era a diversi piani dal quello in cui mi trovavo io. Quando mi ritrovai davanti alla cappella non sapevo se entrare o no visto che non mettevo piede in una chiesa dal giorno del mio battesimo. Le cappelle degli ospedali di solito sono piene di gente che prega un dio di dubbia esistenza ma quella notte era vuota. Una fioca luce illuminava la sala rendendola ancora più tetra di quanto già non apparisse. Presi posto in una delle tante panche di legno che costeggiavano la navata centrale. Il senso di vuoto che mi stava schiacciando sembrò affievolirsi nel momento in cui iniziai a pregare. I muri degli ospedali ascoltano più preghiere che i muri delle chiese perché la disperazione ti porta a cercare un qualcosa di più grande di te o delle capacità di un chirurgo. Il dolore ti costringe ad affidarti ad un essere mistico, superiore, inesistente. «Dio... Io non so se esisti ma facciamo finta che ne sia convinta per stanotte eh? Tu non sei mai stato dalla mia parte o da quella della mamma. Siamo state sempre io e lei contro il mondo... Quindi ti prego, ti prego! Fa che la mamma stia bene e non muoia... Io ho bisogno di lei.... È la mia mammina!». Le lacrime ormai scorrevano senza sosta sul mio viso senza che io potessi far nulla per impedirlo.
«Dio! Ti prego! Non posso perderla! Anche se è la peggior madre del mondo io le voglio bene e sono sicura che anche lei me ne vuole... Quindi fa che sopravviva. Giuro che mi prenderò cura di lei e non la lascerò mai sola, ma ti prego!».
A quel punto scoppiai a piangere, il mio corpo, scosso dai singhiozzi, tremava in maniera incontrollata.
Non so quante volte sussurai il nome di Dio seguito da quello della mamma.  Non so per quanto tempo piansi come non avevo mai fatto. So solamente che
ad un certo punto percepì una mano sulla schiena ed un corpo caldo che entrava in contatto con il mio. un'infermiera, dal camicie bianco e i  capelli rossi, mi stava abbracciando. Aveva un viso che infondeva amore e due occhi verde mare che mi sorridevano. Non scappai dinanzi a quello dimostrazione d'affetto da parte di una sconosciuta e così mi lasciai cullare dalle sue braccia, nella mia mente credevo di potermi fidare di quella persona. Pian piano mi allontanai mentre il mio corpo riprendeva il controllo su quelle emozioni che mi avevano così sconvolta. L'infermiera mi sorrise calorosamente e, prendendo le mie mani tra le sue, le strinse forte prima di darmi la notizia che avrebbe, di lì a poco, portato cambiamenti drastici nella mia vita.
«Sta bene. Tua madre sta bene».














Angolo autrice
Ecco il prologo di questa mia nuova storia, spero che vi piaccia! Purtroppo aggiornerò con molta lentezza a causa della scuola. Quindi vi chiedo già scusa per tutti i ritardi che farò!
Al prossimo capitolo...

 

   
 
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