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Autore: Lunaticalene    05/01/2017    0 recensioni
È il momento di congedo tra una giocatrice di ruolo e i suoi personaggi nel momento in cui, il tempo e la crescita, la costringono ad abbandonarli. È la necessità dell'autrice di prendersi un momento per salutarli e capire che forse non sono andati definitivamente persi.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« The passengers of flight one eight eight two are invited to gate seventeen »

 

La voce pre-registrata risuona nella sala bianca. C'è troppa luce, troppo chiara perchè io possa comprendere i contorni delle cose, rendendomi incapace di definire, in un primo momento, il luogo in cui mi trovo. Mi abituo lentamente al nuovo ambiente e solo ora mi accorgo di aver corso. Indosso il mio maglione grigio, a coste sottili, quello con le croci di pelle nera sui gomiti. Ha la decenza di arrivare a coprirmi il sedere, come non fa più da quando ho messo su quei quattro chili di troppo, dando un senso e non un'indecenza ai leggins neri che porto a fasciare le gambe e che ho ovviamente abbinato ai miei stivali col tacco “basso”, largo, in un monocromo che mi avvolge il collo, lasciando i lembi lunghi della sciarpa a penzolare davanti e dietro la schiena. Almeno non ho messo i guanti col pelo o il cappello da coniglio viola. Coi capelli corti i cappelli mi piacciono poco. Sembro pelata e decisamente non ci tengo. Ho al collo la moneta degli Eroi dell'Olimpo, girata dal lato che mostra ovviamente l'omega mentre al pollice ho l'anello con la H e gli aironi di lato. Ci vuole un po' di fantasia a definire il tipo di volatile ma non mi importa. La fedina d'argento è all'anulare sinistro mentre quella fascetta decorata di cardi, realizzazione letteralmente fedele alla Gabaldon è speculare a destra.
Entrambe le mani sono poggiate alle ginocchia mentre recupero fiato, nemmeno avessi corso la maratona alle olimpiadi.
Metto a fuoco il duty free in cui mi trovo, vicino alle sedie per l'attesa di imbarco tra i gate diciassette e ottantanove. Un caffè dai colori sospesi tra il nero e il blu si delinea alla mia sinistra rendendo quell'ambiente simile all'aeroporto di Edimburgo. È solo ora che mi rendo conto che l'uomo che ho rincorso è in piedi davanti a me e mi osserva, coi suoi occhi troppo azzurri e il suo bel completo.
Lo guardo. Senza dire una sola parola. Colleziono ogni dettaglio prima di gettargli le braccia al collo. In senso figurato ovviamente. Al collo arriverei comunque male, assumendo una posa rigida e plastica che adesso non sarei mai capace di mantenere. Al contrario affondo il viso nella sua camicia bianca mentre stringo la stoffa nera della sua giacca con le dita, là, dietro la sua schiena, circondandolo. Chissà se una giacca di Armani è davvero così morbida o se sono solo io che ho bisogno di sentirla così.
Inizio a piangere quando è lui ad abbracciarmi. Profuma di lavanda e mi odio un po' perchè a me la lavanda fa schifo.
« mi....mi dispiace » glielo dico piano, sottovoce, con sillabe spezzate e tremule.
« va tutto bene » sussurra piano, con quell'accento che mi sono convinta di adorare, con quella dolcezza che solo lui può rivolgermi. Pronunciando parole a cui non sono più capace di credere.
« Io...io non credevo che facesse così male »
Lui mi accarezza la testa, piano.
« Questo perchè tu ti convinci sempre di non amare le persone che sono capaci di toccare davvero il tuo cuore » non mi giudica. So che quelle parole sono quanto di più lontano possa esistere da un giudizio.
La parte più fragile di me mi stringe e mi consola. Mi tiene in piedi, come solo lei è capace di fare. « Tu mi ami. E come in tutte le più belle storie d'amore lo capisci solo alla fine. »
« Io...io tornerò a prenderti. Io...io non voglio lasciarti. »
« Ma tu non mi hai lasciato. Tu non hai lasciato nessuno di noi. » mi solleva il viso, asciugando le lacrime che scivolano sulle guance « e ti sei sbaffata il kajal »
Tiro su col naso.
« Io... »
« I feel like no one, ever told the truth to me » inizia piano a cantare, senza allontanarsi da me, tanto che posso vedere il suo petto alzarsi e riempirsi una volta.
« about growing up and what a struggle it will be (1) » termino io, parlando, in mezzo ai singhiozzi diventati sterili.

I passeggeri del volo uno, otto, otto, due sono pregati di avvicinarsi al gate diciassette.

« Hai sentito bel culo? Non far arrabbiare la hostess su. » un accento tedesco si insinua tra me e lui e una venere di rimmel e trucco compare oltre la sua spalla destra, i suoi occhi di cerbiatto che menzogneri puntano me.
« Perchè tu non fai così male? » le domando, scivolando lentamente sul latex che la riveste come una pelle indecente e ad un tempo stesso perfetta e cesellata. Quasi a mettere alla prova la sua pazienza che so oscillare pesantemente tra infinito e niente.
« Perchè non ti appartengo davvero. Io sono nata per essere mia » soffia, in una replica rossa come le sue labbra di Biancaneve distorta. Un passo indietro, nel rumore dei tacchi alti. « e poi io vivo nel tuo nome, costantemente » pronuncia, superba come un angelo caduto dal cielo fin dentro l'inferno, mentre allunga le dita verso la mano dell'uomo che prende a scivolare via dalle mie braccia.
« Le storie d'amore si concludono con un bacio » sussurro, poco credibile.
« Lo sai che a me non puoi chiedere un bacio » sorride, gentile e quasi etereo.
« Lo so » replico, lasciandomi sfuggire un sospiro « Mi manchi » pronuncio, in un presente già futuro.
« Anche tu »
« Tornerò davvero a prenderti » prometto.
« No. Non tornare da me Little One » sorride, ormai fuori dalla portata delle mie dita « Questa volta vivimi »

I loro passi si allontano mentre il Gate si apre davanti ai due soli passeggeri da imbarcare. La Hostess dai probabili capelli blu, mossi fino alle spalle controlla il loro biglietto. È solo una ragazzina, vestita con un tailleur blu che non la invecchia di un giorno, al collo, un ciondolo argentato laccato di rosa ha forma di un rollerblade. Sto per correre di nuovo. Per fermarlo. Ma lui e la mia sirena di latex dai capelli bicolore scompaiono oltre una porta di vetro e acciaio.

Quattro braccia mi circondano e una coppia di voci mi sussurrano vicino al volto.

« Nessuno se va per sempre » sussurra una voce, dal caldo accento francese.
« Continuiamo a tornare. Sempre. Ogni volta che ne hai bisogno » prosegue un terribile accento della Virginia.
« Ora piangi ma Cherie. Spegni la luce e piangi. »

I passeggeri del volo uno, otto, otto, due si preparino al decollo. Arriveremo a destinazione tra sei ore. Vi ricordiamo di presentare, al vostro arrivo, il visto che avete ricevuto al momento del congedo. Vi ricordiamo di conservarlo per far fronte alle successive convocazioni previste. 

1. Too much love will kill you, Queen.
 

   
 
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