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Autore: La_li    06/01/2017    0 recensioni
Sono quel tipo di ragazza che non ha mai omologato il proprio pensiero a quello della massa e non ha mai barattato il suo stile largo e … “blu” per una reputazione migliore. Non me ne frega nulla se non ho il giacchetto da trecento euro, le scarpe da cento e il cellulare da mezzo stipendio. Men che meno m’importa del valorizzare il mio fisico. E anche se m’interessasse qualcosa io non ce la farei mai a barattare le mie felpe larghe o i miei maglioni XL con camicette attillate o Jeans tanto striminziti da bloccare la circolazione del sangue.
E queste sono tutte cose che sa molto bene Luke Hemmings, l’unica persona con la quale io sia mai riuscita a rapportarmi davvero.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sedici anni e non aver ancora baciato nessuno. L’esserne consapevoli è una cosa piuttosto demoralizzante.
Soprattutto se il diretto responsabile sei proprio tu e non la volontà di chi la lingua in bocca te ce la dovrebbe ficcare.
Perché … dai. Alla fine l’amore arriva per tutti. Ma proprio per tutti tutti. E’ arrivato pure per Charlotte. Con mio grande stupore però è arrivato anche per lei, che con la sua dentatura gialla come un tuorlo d’uovo troppo cotto e l’alitosi perenne mi lascia davvero a riflettere su come faccia il suo ragazzo a baciarla. Mistero dei misteri.
Tornando a me:  il non essere mai stata innamorata in tutti i miei sedici anni la ritengo anche una cosa  normale, alla fine. Insomma: diciamocelo. L’amore è una cosa grossa, più per i grandi. A volte nemmeno loro riescono a reggerne il confronto, quindi figuriamoci se mai potrei farlo io.
Al massimo alla nostra età si può essere attratti, via. E quello che ci sembra di provare per certe persone, a volte non è altro se non un’infatuazione dettata dai nostri ormoni in fiamme.
Tralasciando il fatto che io non sono mai stata attratta fisicamente da nessuno all’infuori di Luke, la cosa che mi lascia più pensare è che a me, di ragazzi, non interessa proprio niente.
E … no. Nemmeno di ragazze, non tirate conclusioni affrettate.
Della serie: spiattellami davanti alla faccia un poster di Edward Cullen o … che ne so? Del suo “amico” d’avventure Jacob. A me non faranno mai nè caldo nè freddo. Al massimo potrei dirti che hanno entrambi due facce da culo che mi fanno salire il crimine (con tutto il rispetto per chi non la pensa come me). Soprattutto quando arricciano le labbra o socchiudono gli occhi nel disperato tentativo di sembrare  il più arrapanti possibile. A mio parere, (appunto) senza riuscirci.
Ok, scusatemi se sono corsa un po’ troppo fuori tema.  Tanto per ricollegare il tutto alla frase iniziale di questo inutilissimo “sfogo”: ho sedici anni e non ho mai baciato nessuno. E domani pomeriggio, alle quattro, ho pure un appuntamento con uno dei ragazzi più carini della scuola … stando a quello che mi dice Maya, almeno. Giusto per cambiare, a me quel cristiano non dice assolutamente nulla. Anzi, in caso mi urtano un po’ i suoi modi di fare e di dire. Camminata trascinata e pantaloni che un altro po’ scendono fino alle ginocchia. Sigaretta alla mano e citazioni da spaccone, da ragazzo truce che beve e fuma mica tanto per divertirsi. In caso, se lo fa, è per una questione di reputazione. E … dai, già il fatto che è disposto a barattare manciate della sua incolumità fisica con ‘ste stronzate qua gli fa perdere punti in partenza. Almeno con me.
Cioè, a quanto pare solo con me perché è proprio vero che grazie alla sua abbronzatura caramellata e ai suoi occhi neri, è riuscito a rubare il cuore (barra ovaie) a gran parte delle ragazzine della mia scuola.
Ma a me lui non dice niente sul serio. Troppo spavaldo, troppo sorridente (anche quando di divertente non c’è assolutamente nulla). E per ultimo ma non meno importante, mi dà troppo l’idea di estate. E io odio l’estate almeno quanto odio il caldo che si porta dietro ogni anno. Io amo il freddo, la sensazione del ghiaccio che punge la mia pelle, la carnagione pallida che contrasta con le labbra rosee.
E se ho accettato di uscire con lui è stato solo perché condizionata da tutte quelle vocine assillanti delle mie amiche e compagne di classe che, prima di entrare a scuola, hanno visto proprio come tutto il resto degli studenti lo striscione che Elia, (così si chiama sto’ tizio), mi ha dedicato all’ingresso della struttura.
“Lascia che io ti ami, perché nient’altro vorrei mai fare per il resto della mia vita.
To Lara,  with love.
Elia.”
Che quando l’ho letto la mia espressione facciale era un misto tra il divertito, lo scioccato ma soprattutto lo stuccato. Perché per quanto qualcuno possa amarle, io detesto certe dimostrazioni di affetto. Quelle troppo espansive e scontate nella loro imprevedibilità.
In ogni caso, adesso che con lo zaino tirato s’una spalla soltanto me ne sto tornando sulla strada di casa, inizio a pentirmene più di quanto mi piaccia ammettere.
 Giro le chiavi nel portone una volta arrivata mentre un nodo stringe la mia gola. Ho davvero paura per domani sera.
E se dovesse provare a baciarmi? Come reagirei? Davvero riuscirò a stare bene con un quasi che completo sconosciuto? Sul serio riuscirò a non deluderlo e a comportarmi all’altezza di uno del suo calibro?
Insomma, io sono quel tipo di ragazza che nasconde le guance rosse dietro ai lunghi capelli o che gioca con il braccialetto al polso quando è in imbarazzo.
Sono quel tipo di ragazza che se non approva un tuo pensiero o ha da ridire riguardo il tuo carattere non si fa problemi a dirlo. Non con cattiveria, assolutamente … anzi. Cioè, il classico esempio dell’amica che chiede all’altra come le sta il vestito e che anche se sembra una salsiccia stretta in un sacco di patate le risponde comunque bene. Io pur di non farti girare conciata in quel modo te lo dico schietta schietta che proprio non vai.
Sono quel tipo di ragazza che non ha mai omologato il proprio pensiero a quello della massa e non ha mai barattato il suo stile largo e … “blu” per una reputazione migliore. Non me ne frega nulla se non ho il giacchetto da trecento euro, le scarpe da cento e il cellulare da mezzo stipendio. Men che meno m’importa del  valorizzare il mio fisico. E anche se m’interessasse qualcosa io non ce la farei mai a barattare le mie felpe larghe o i miei maglioni XL con camicette attillate o Jeans tanto striminziti da bloccare la circolazione del sangue.
E queste sono tutte cose che sa molto bene Luke Hemmings, l’unica persona con la quale io sia mai riuscita a rapportarmi davvero.
Sei anni d’ amicizia che si è andata a consolidare con il tempo, tra risate tanto sentite da trascinarti alle lacrime e confessioni su segreti a volte fin troppo intimi per poter essere rivelati a chiunque.
Ma tra di noi è difficile percepir calare l’ imbarazzo, ormai ci conosciamo così bene che a volte riusciamo a capire cose dell’altro che nemmeno noi stessi andremmo mai a pensare.
Come quella sera, quando sdraiati sul mio letto con il volto rivolto al soffitto e la luce della camera spenta, Luke ha iniziato a raccontare leggende e storie Horror davvero inquietanti.  Che poi un raggio di luna penetrava dal ricamo delle tendine, illuminando il suo volto e rendendo il tutto ancora più macabro e lugubre.
Quella sera gli ho confessato di aver ancora paura dei fantasmi, demoni, spiriti e quel genere di cose lì. All’inizio c’ha fatto una risata su ma quando si è reso conto che ero seria ha scrollato le spalle con fare ovvio per poi socchiudere le labbra.
-E’ perché hai paura di rimanere sola. Se ci pensi, quando sei in compagnia non ti fanno paura, no?- ha detto.
Sorrido a quel ricordo e percepisco un po’ del peso che opprime il mio petto andarsene altrove. Sparecchio la tavola e me ne vado in camera. Una manciata di secondi dopo il mio corpo è premuto contro il materasso del mio letto.
Mamma credo che tornerà questa notte sul tardi, papà non prima di venerdì sera. E oggi è lunedì e fuori la nebbia abbraccia gelida l’intera città e le macchine sfrecciano veloci sull’asfalto altrettanto grigio.
Il cellulare vibra nella tasca della mia felpa e io c’infilo una mano dentro per afferrarlo.
“Mortino”, leggo sul display. Perché voi dovreste vederlo Luke quando fa la faccia da cucciolo. Credo sia una delle cose più adorabili di questo mondo, proprio come lo scoiattolo in Madagascar (ammesso e non concesso che sia proprio uno scoiattolo). O forse anche di più.
-Ho lasciato Ilenia- cita il messaggio. Sorrido involontariamente ma so che non vorrei farlo. Perché anche se detesto il solo pensiero di dover condividere Luke con qualcun’altra, devo comunque imparare a non darlo a notare nemmeno a me stessa. L’ultima cosa che voglio è che il biondo venga a conoscenza della mia folle paura di poter essere rimpiazzata da lui troppo in fretta.
Paura di non essere abbastanza, all’altezza di tutte le ragazze che gli fanno il filo o cercano d’instaurare un qualsiasi rapporto di amicizia con lui.
Non ci vuole molto per trovarne una migliore di me, in fondo.
Una che si faccia meno di tremila complessi mentali per ogni cosa e che non ti rompa alle tre di notte in preda a un attacco di panico e in cerca d’aiuto.
L’ultima volta, una cosa del genere, è successa una settimana fa. Alle quattro di notte in un apparente stato di sonno. Ho spalancato gli occhi senza però riuscire a farlo davvero, percependo l’anima separarsi dal corpo e perdere del tutto il controllo su di lui. Con le braccia incollate al letto  e il cuore che pareva sprofondare sempre di più.
Paralisi nel sonno, la chiamano. Una crisi di panico mentre dormi, insomma. Ti senti morire nella frazione di un minuto mentre in quella dopo spalanchi gli occhi nel buio della stanza e tremi di paura.
Non ce l’ho fatta nemmeno ad allungare la mano per accendere la bajure; avrei potuto sfiorare e disturbare qualcuno di loro.
Allora ho tirato il piumone fin sopra la testa nonostante lì sotto facesse un caldo tremendo. Magari, laggiù, per una qualsiasi ragione non mi avrebbero raggiunta.
Solo che il cuore di smettere di tremare non ne voleva sapere e già che il respiro era corto di suo, tra le coperte quasi non riuscivo a respirare per niente.
 Allora non ce l’ho fatta più: ho afferrato senza far rumore il cellulare da sotto il cuscino e ho composto il numero di Luke, con le lacrime che correvano lungo le guance e finivano il loro percorso sul mento e sulle labbra.
-Lilla?- ha risposto dopo almeno cinque squilli con la voce roca e impastata dal sonno.
-Aiutami, Luke. Ti prego, io non ce la faccio. Non questa volta. Aiutami- l’ho implorato tra i singhiozzi e ho sentito le lenzuola strisciare e l’interruttore di una bajure accendersi.  Magari si era tirato a sedere.
-Piccola, ascoltami. Andrà tutto bene. Andrà tutto bene, davvero.  Smetti di piangere che non sei sola, non avere paura. Lo so che sei forte e lo so che ce la puoi fare a superare anche questa, non avere paura. Ci sono io-  e vi giuro che sono poche le cose che amo, ma una di queste è sicuramente il modo in cui si rivolge a me nei momenti di debolezza. Il suo timbro di voce e la fiducia verso i miei confronti che trabocca dalle sue parole. Lui crede in me e questo è bastato per farmi rallentare il battito cardiaco e regolarizzare il mio respiro.
Ho smesso di singhiozzare gradualmente e Luke se n’è accorto perché: “Meglio?” mi ha chiesto.
-Si. Ma la luce. Io non ce la faccio ad accenderla- gli ho spiegato mentre mi ostinavo a rimanere incastrata tra le lenzuola e il piumone. L’ho sentito sorridere e io mi sono tranquillizzata ancora di più.
-Lo sai? Sta mattina in classe con la Bernice mi sono messo a lanciare areoplanini di carta. E non si è accorta di niente, fin quando non ne ho lanciato male uno e l’ho colpita con la punta in un occhio- ha cambiato discorso come ogni volta e io ho apprezzato con tutto il cuore il suo pensiero. All’inizio ho faticato un po’ per concentrarmi sulla sua voce ma poi sono riuscita a immaginarmi la scena e un sorriso è sfuggito anche a me.
-Sei un coglione- gl’ho detto mentre, pian piano, trovavo nella sua voce il coraggio di sgusciare fuori dalle coperte. Il buio non mi faceva più così tanta paura.
E abbiamo parlato per più di mezz’ora, fin quando le palpebre non si sono fatte insopportabilmente pesanti e non avevamo più nient’altro da dirci.
-Vorrei essere lì con te- mi ha detto e io ho sorriso ancora, che le mie labbra di rilassarsi non ne volevano proprio sapere.
-Anche io vorrei che fossi qui- ho ammesso mentre percepivo il cuore gonfiarsi d’aria al solo pensiero.
-Domani ti abbraccio- e con una promessa del genere non ho potuto fare altro che addormentarmi felice, con il ricordo dei demoni che tormentano le mie notti lontano e sbiadito.
Rispondo al messaggio incitandolo a continuare. Una manciata di secondi e lui fa lo stesso.
“E niente, adesso è davanti al portone di casa mia che urla di volermi ammazzare. L’ha presa bene, insomma. Ah, e dice anche che sono un coglione cagasotto perché non tiro fuori le palle e non scendo giù a parlarle … lo farei, ma ho davvero paura che possa picchiarmi a sangue, so che ne sarebbe in grado”
Scoppio in una risata incontrollata anche se non è qui con me.
 Solo lui può cacciarsi in certe situazioni, solo lui. Scuoto la testa mentre rispondo al messaggio con un ironico:“Ho capito, ti devo salvare io anche questa volta. La tua eroina sta arrivando” scritto di fretta. Afferro il giacchetto e mi sciolgo i capelli. Scendo in garage, infilo il casco blu elettrico per poi salire sul motorino e girare la chiave. In cinque minuti sono davanti a casa sua  e la scena che mi si presenta davanti è la stessa descritta da lui.
Una ragazza bionda che piange e urla insulti conditi da insulti ancora peggiori dei precedenti al povero Luke, che s’ostina a nascondersi dietro alla tendina di seta della sua camera.
Scendo dal motorino e la tipa si accorge della mia presenza, tant’è che mi corre incontro implorandomi in lacrime di convincere il biondo a farlo scendere da lei.
-Stammi a sentire tesoro, adesso come adesso credo che Luke non darebbe ascolto neanche a me. Perché non ci riprovi domani, quando tutti e due sarete un po’ più tranquilli e meno scossi dall’accaduto? E’ che … sai? Lui non vuole darlo a vedere, ma soffre almeno quanto te per quello che è successo. Me l’ha scritto per sms cinque minuti fa- cerco di consolarla mentre continuo ad accarezzarle la spalla con fare amichevole.
-Ma allora, perché l’ha fatto? Perché mi ha lasciata?- mi sbraita contro e capisco che le mie carezze di conforto non devono esserle molto utili.
Già, Loren. E adesso che t’inventi? Perché l’ha lasciata?
-Perché soffre di eiaculazione precoce e si vergognava a dirtelo. Allora ha preferito troncare i rapporti ancor prima che si potessero creare situazioni imbarazzanti-
Che? E questa da dove mi è uscita?
Mi trattengo dallo scoppiare a ridere quando vedo la bocca della bionda spalancarsi e il sangue affluirle alle guance. Per lo meno ha smesso di piangere.
-Dio … m-ma io non lo sapevo. O merda, sono stata una stronza di prima categoria! Ti prego chiedigli scusa da parte mia, domani lo farò io stessa- mi chiede dispiaciuta come pochi e io quasi me ne pento. Un po’ per aver intaccato la reputazione di Luke, un po’ perché adesso questa tipa qua si sta sentendo veramente tanto in colpa.
-Lo faccio subito. Tu non autocommiserarti troppo però, ciao bella- la saluto e sento la serratura del portone scattare. Il biondo deve avermela aperta quando ha visto la sua ex allontanarsi finalmente da casa sua.
Salgo le scale e trovo il portone del suo appartamento spalancato. Lo chiudo dietro di me mentre noto che in sala non c’è nessuno. Lo raggiungo in camera da letto, quella con le pareti macchiate di blu e nero. Quella in cui abbiamo trascorso troppe notti insieme per poter essere contate sulle dita delle mani, ma comunque troppo poche per poter averne abbastanza di quello che siamo. Lo trovo tutto preso dalla wii. Mi lascio andare sul letto accanto a lui senza nemmeno salutarlo. Non prestiamo più attenzione a certi convenevoli da ormai più di tre anni.
-Si può sapere come hai fatto?- domanda riconoscente e, ancora una volta, mi devo trattenere dal ridere.
-E’ un segreto-
E tale spero che rimanga.
Il telefono squilla nella tasca dei miei pantaloni e io non riconosco il numero di chi mi sta chiamando. Rispondo comunque e porto il dispositivo all’orecchio.
-Lorn?- mi ci vuole un po’ per associare la voce a un volto a me familiare ma quando ci riesco, subito una smorfia di disgusto e preoccupazione compare sul mio volto. Con quello che è successo me n’ero quasi dimenticata. Luke se n’accorge e decide d’interrompere la partita in corso per origliare la chiamata.
E’ anche da piccole attenzioni come queste, che capisco che a me ci tiene davvero. Soprattutto perché stava vincendo la partita ed era consapevole che, bloccandola, sarebbe stato costretto a rincominciarla da capo.
-Elia, ciao. Dimmi- con un po’ di sforzo fingo interesse nel tono di voce.
-Dolcezza, volevo solo dirti che ti aspetto domani alle otto, in piazza. Se per te non è un problema, ovviamente-
-Ah, ok- le budella si contorcono per il disgusto. Dai? Sul serio? Dolcezza? Dio, non sono una caramella.
-Ti sento un po’ strana … è successo qualcosa?- e adesso ci manca solo che inizia a improvvisarsi psicologo della situazione. E’ l’ultima cosa di cui ho voglia.
-No, no. Ma ora devo andare. A domani- riattacco la chiamata senza nemmeno aspettare una sua risposta.
Il biondo, che nel frattempo si è gustato tutta la scena, mi guarda perplesso e:-Chi era?- chiede.
-Elia, del quinto anno. Mi ha invitata ad uscire e io ho accettato, come una cretina- le parole scivolano via dalle mie labbra e il petto si fa subito più leggero. Di poco ma cerco di farmelo bastare comunque per stare meglio.
L’espressione di Luke oscilla tra la divertita e la preoccupata. E io mi chiedo il perché della seconda.
-Perchè? Le ragazze della nostra scuola venderebbero un arto pur di stare al tuo posto- lascia scorrere le lunghe dita tra i suoi capelli biondi tirandoli all’indietro, tipico di quando è nervoso o interdetto. O tutte e due le cose insieme.
-Non io. Io sono solo fottutamente preoccupata per domani sera, tutto qui. E se mi bacia? Che cazzo faccio se mi bacia, Luke?- stringo i capelli con le mani e lancio un urletto isterico per poi rigirarmi a pancia all’ingiù. Affondo il volto nel piumone che profuma di lui mentre lo sento abbandonare definitivamente la partita per stendersi al mio fianco.
Allunga una mano verso la mia guancia e la sfiora più volte con i polpastrelli. Il suo tocco dolce mi fa rabbrividire e io lo lascio fare per un po’. Poi raggiungo la sua mano con la mia e mi faccio spazio con le piccole dita tre le sue. E’ assurdo il modo in cui combaciano alla perfezione. Vedo il biondo trattenere appena il respiro mentre mi faccio ancora più vicina a lui.
-Lo assecondi. Alla fine provare non costa nulla, no? Se scopri che ti piace, bene. In caso contrario niente-
E quelle che rotolano via dalla sua lingua sono parole che non gli appartengono e che nemmeno vorrebbe dire. Io lo so.
-Costerebbe il mio primo bacio, Luke. E io non voglio darlo a lui … io … io ho troppa paura di sbagliare e di pentirmene. Non voglio darlo a un quasi che perfetto sconosciuto ma a una persona di cui mi fido. Di cui mi fido davvero- continuo a guardare la mia mano giocare con la sua perché so che non riuscirei a reggere il confronto con le sue iridi screziate d’argento, non in questo istante. Mi sento troppo vulnerabile.
-E tu ti fidi di me, Loren?- la domanda arriva alle mie orecchie con lo schianto di un treno che va a sbattere contro una lastra d’acciaio spessa metri e metri.
E mentre il cuore urla scuse mute alla ragione e la mano di Luke raggiunge nuovamente la mia guancia per accarezzarla, nella mia testa inizia a formularsi un’assurda ipotesi sul perché lui abbia deciso di farmi proprio questa domanda e proprio in un momento come questo.
-Sì- rispondo semplicemente in attesa di un suo chiarimento. Alzo lo sguardo e lascio i miei occhi liberi di sprofondare in quei ritagli d’oceano che sono le sue iridi.
La sua mano si sposta di nuovo per raggiungere il mio braccio. I polpastrelli delle lunghe dita lo sfiorano più volte in un’impercettibile carezza ma che al mio stomaco passa in tutti i modi tranne che inosservata.
-E allora lascia che sia con me il tuo primo bacio, perché il solo pensiero che qualcun altro possa avere il privilegio di sfiorare le tue labbra con le sue mi manda in bestia come nient’altro riesce a fare- ammette mentre il suo tono di voce si fa più simile a un sussurro. Le guance gli sfumano di un rosa più acceso mentre percepisco le mie tingersi di un rosso vivace.
E il cuore, ormai, più che in petto me lo sento battere in gola.  Cosa dico? Cosa faccio? Come rispondo? Davvero voglio baciarlo?
-E se poi questo dovesse intaccare la nostra amicizia?- domando dopo un po’, mentre la mano di Luke corre dietro la mia schiena per stringermi ancora di più a lui.
Il profumo di muschio bianco m’invade le narici e non posso fare a meno d’immaginare le sue labbra premere contro le mie. E no, tranquille. La teoria delle farfalle allo stomaco conferma il mio disinteresse nei confronti dell’amore e di lui, perché quelle che sento sbattere contro le mie pareti in questo momento non sono affatto graziosi insettini dalle ali di seta. Io c’ho le biglie d’acciaio, dentro.
“Loren, mi hai beccato mentre mi masturbavo in camera e non te ne sei fatta un problema. Ho letto tutti i tuoi diari segreti e ogni sorta di stronzata che c’avevi scritto dentro. Ti ho vista nuda almeno due o tre volte da quattro anni a questa parte e a te è successo lo stesso con me. E nonostante queste e tutte le altre cose più che imbarazzanti che ci sono capitate in tutta la nostra carriera da migliori amici, niente di niente è riuscito a cambiare il rapporto che abbiamo nemmeno di un po’. Figurati se potrebbe riuscirci un bacio” sorrido mentre mi perdo nei ricordi e io mi sento più tranquilla.
“Prometti che non riderai di me, se ti bacerò male?” domando e le guance arrossiscono ancora di più.
Luke sorride, guardandomi come se fossi la cosa più tenera e adorabile di questo mondo. Non penso di esserla, so di non esserla, ma lui mi ci fa quasi credere.
“Prometto. Sono qui per evitare che accada proprio questo con Enea, giusto?”
“Elia” sputo e ho i brividi di disgusto solo al pronunciare il suo nome.
“Non m’importa. L’unica cosa che voglio adesso è che tu ti fida di me, per il resto lasciami fare. Questa volta comando io”
E non faccio in tempo a ribattere che mi sfila piano il cuscino da sotto alla testa per spostarlo verso i piedi del letto.
La sua mano abbandona il braccio mentre si tira a sedere per posizionare entrambe le gambe ai lati del mio bacino. Fa leva sui polsi mentre si stende sopra di me senza però toccarmi davvero con il suo corpo, rigido e teso come non mai.
E non m’importa se Luke ha detto che tutto questo non riuscirà mai a cambiare ciò che siamo, perchè io nell’aria percepisco gravare l’importanza di una promessa della quale nonostante fossimo entrambi consapevoli, da un po’ di tempo a questa parte abbiamo deciso comunque di dimenticarci.
Il biondo accosta le labbra al mio orecchio sinistro per sussurrare un roco: -Sono solo io, stà tranquilla- che arriva dritto al cuore e me lo buca.  Allunga una mano verso il mio fianco giusto per accarezzarlo e stringerlo un po’ ma in questo momento non è tanto di coccole che ho bisogno quanto di certezze. Perché ho una folle paura che dopo quello che sta per succedere possano andare persi troppi punti di riferimento e troppe parti di noi.
Così allungo una mano verso la sua e la stringo forte; lascio intrecciare le nostre dita e finalmente riacquisto un po’ di sicurezza e tranquillità.
Gli occhi rimangono aperti mentre le labbra di Luke soffiano sul mio collo e un calore denso e deciso m’invade il basso ventre. Lo vedo spostarsi verso l’angolo della mia bocca e lasciarci un tenero bacio.
I nostri sguardi non si strecciano nemmeno per un secondo e quel poco di determinazione che sono riuscita ad acquistare negli ultimi minuti scema quando riesco a leggere anche nelle iridi del biondo un pizzico di paura e un altro ancora di preoccupazione.
-Chiudi gli occhi- dice in un sussurro dolce sulle mie labbra e io ubbidisco lasciando calare le palpebre.
Il suo respiro più vicino,                     
le mani che stringono più forte,
i muscoli che si tendono maggiormente,
calori che si mischiano e si perdono insieme.
E quando le sue labbra s’infrangono contro le mie, una voglia incontrollata di portarlo ancora più verso di me, annoda le viscere del mio stomaco.  La mano raggiunge veloce la sua maglietta e la stringe forte tra le dita, tirandola verso il mio corpo per un contatto maggiore.
Luke si distanzia dalle mie labbra d’un paio di millimetri e ho paura che sia durato tutto troppo poco.
-Lo sapevo, sono morbidissime- sussurra ancora una volta per poi aggiungere con soffocato sforzo:- Loren … se vuoi che io smetta, dillo subito-
E adesso che gli rispondo a fare? Infilo le mani tra i suoi capelli e lo attiro a me quasi bruscamente per poi lasciare libere le mie labbra di combaciare nuovamente con le sue.
La lingua del biondo percorre lenta e dolce il mio labbro inferiore. Le biglie sbattono sempre con più rincorsa nel mio stomaco mentre stringo delicatamente tra i denti il suo superiore per succhiarlo appena.
Le mani corrono ai fianchi di lui per allacciarsi dietro alla schiena. Voglio stringerlo a me e percepire il suo corpo, perché il calore ch’emana è l’unica alta temperatura di cui io non mi stancherei mai.
Quella che provo quando la sua lingua raggiunge la mia, è un emozione troppo forte per poter essere descritta con le parole. Perché lui sa di caffè , m’inebria i sensi e m’offusca la ragione. E quando Luke lascia i fianchi liberi di premere contro i miei, io non ci capisco proprio più niente.
Lingue che s’intrecciano, mani che si cercano, bacini che si scontrano.
Consapevolezze tenute nascoste ma destinate sin dall’inizio a non rimanere tali.
Promesse che si spezzano quando le mie mani corrono ai lembi della maglietta di lui e le sue al laccio dei miei pantaloni.
Non erano questi i patti, non era questo l’accordo. Stupida ragione che viene a mancare nel momento del bisogno e stupido amore che deve necessariamente rovinare sempre tutto.
Premo i palmi contro il petto di Luke in un’azione istintiva e quando le sue labbra si staccano dalle mie così bruscamente percepisco il cuore sprofondare in una voragine. Perché io ho ancora voglia di lui e la consapevolezza di non poter più assaporarlo mi grava sul petto.
Rotolo via da sotto il suo corpo e il biondo mi guarda con gli occhi persi di chi sa di aver appena fatto il passo più lungo della gamba.
Entrambi ansimanti in cerca d’ossigeno, con le iridi dilatate dalla paura e le labbra rosse.
-Io … io credo che sia ora che torni a casa. Mamma mi starà sicuramente aspettando- mento con voce velata mentre recupero il mio cellulare dal letto e me lo metto in tasca. Raggiungo la porta e sto per andarmene ma la presa gelida di Luke raggiunge il mio polso e lo stringe.
-Loren, fermati. Non è successo niente, è stato solo uno stupidissimo bacio. Nulla di più- ma nemmeno lui è convinto delle sue parole e inoltre glie l’ho sempre detto che non è bravo a mentire.
Lo guardo negli occhi con freddezza mentre percepisco il nero delle mie iridi farsi sempre più liquido.
-Cerca di essere più convincente, la prossima volta- gli consiglio con voce flebile prima di uscire definitivamente da quella casa.
Che sia maledetta io, ma che sia dannato anche l’amore e ancor di più le sue labbra profumate di caffè.
Aumento il gas accelerando ancora di più nel disperato tentativo di sfogare ogni briciola di rabbia dispersa in me e in meno di cinque minuti sono davanti al portone di casa, in lacrime e con mille paure che mi trafiggono il cuore.
Buttatemi sotto un ponte o in mezzo alla strada, privatemi dei miei lunghi capelli mori o delle dita delle mani. Anche di tutte e dieci se proprio volete, ma non levatemi Luke perché il solo pensiero mi ammazza dentro.
Raggiungo il bagno e libero il mio corpo da ogni indumento. Il getto gelido della doccia si confonde con le gocce bollenti delle mie lacrime.
 
A scuola ci arrivo da sola. Luke non è venuto per accompagnarmi, non come ha sempre fatto tutte le mattine da cinque anni a questa parte.
Mi sento fragile e vulnerabile senza di lui al mio fianco.
Non ho con chi ridere, nessuno da prendere per il culo o che mi tiri per il braccio quando una macchina mi passa troppo vicina.
 Quasi potrei mimetizzarmi in mezzo a tutto questo grigio.
Arrivo in classe con cinque minuti d’anticipo. Mi siedo al mio solito banco per poi sfilare penna e quaderno. Sfilo anche il pennarello indelebile dall’astuccio e senza starci troppo a pensare lo utilizzo per disegnare una L sul polso, in prossimità delle vene.
Il professore di matematica entra dopo il resto degli studenti e la lezione inizia. Arriva la ricreazione e Claire mi parla di quanto, con sua sorella Annie, non riesca proprio ad andarci d’accordo. Io non l’ascolto.
Quarta ora, storia.
Dio, se esisti sul serio, batti un paio di colpi e preservami da tale supplizio.
Sorrido tra me e me quando qualcuno bussa alla porta giusto due volte. La professoressa vocia un’avanti annoiata e riconosco la figura di Luke sin da subito.
Cuore, piantala di battere così forte.
Guance, per favore, tornate alla vostra tinta di rosa originaria.
Il suo sguardo vaga tra i banchi della mia classe alla ricerca di qualcosa. Capisco che quel qualcosa sono proprio io dal modo in cui inchioda di colpo le iridi sulla mia figura.
E i suoi occhi tornano a farmi sentire unica e io ricordo di appartenere alla sua persona, di essere totalmente dipendente da quello che siamo insieme, anche se da lontani.
Mi faccio piccola piccola sulla sedia mentre il biondo chiede alla donna seduta dietro la cattedra il permesso di farmi uscire per giusto cinque minuti.
Ma io non me la sento di affrontare una conversazione con lui adesso, per quanto mi manchi di già.
Devo ancora cercare di auto-convincermi che in realtà tra di noi non è cambiato niente di niente.
Ma di questo, cosa ne deve sapere mss. Green? La vedo annuire con la testa e, con le gambe molli e il battito cardiaco accelerato, mi alzo dal banco e raggiungo la porta.
-Beata lei che se la fa con Hemmings- sento sussurrare da una ragazza della prima fila e io non mi trattengo dall’incenerirla con lo sguardo. Luke mi afferra la mano prima di richiudere la porta dietro di noi e il sangue scorre troppo velocemente nelle mie vene.
Gli occhi del biondo sono freddi come la sua presa, per la prima volta dopo tanto tempo non riesco a leggere il suo stato d’animo da nessuna parte.
Guarda dritto davanti a se mentre continua a camminare rapido, diretto in fondo al corridoio; non una parola fuoriesce dalle sue labbra e io mi limito a fare lo stesso.
E’ tutto troppo nuovo per me. La sua indifferenza mi spaventa, cerco di non darlo a vedere ma so già di non esser brava quanto lui a nascondere quello che sento, che provo, che penso.
Saliamo due rampe di scale e in un battito di ciglia ci ritroviamo sul terrazzo della scuola, con le braccia incrociate sopra al parapetto in ferro battuto. Gli occhi che si perdono tra i dettagli di quel panorama autunnale e le nostre mani ancora intrecciate.
Mi volto per guardarlo in faccia perché tutta quest’indifferenza mi sta facendo stare male e il silenzio mi sta lasciando troppo tempo per riflettere così:- Perché mi sei venuto a chiamare in classe? Non potevi aspettare che suonasse la campanella?- chiedo con la voce che trema impercettibilmente.
-Avevo voglia di te adesso- scrolla le spalle senza degnarmi nemmeno di uno sguardo e il mio cuore viene abbracciato da un caldo torpore.
-Mi mancavi anche tu- confesso e dentro di me percepisco troppe certezze sgretolarsi gradualmente.
La mano di Luke stringe ancora un altro po’ la presa mentre l’altra corre a sfilare un pacchetto di Marlboro dalla tasca dei jeans neri per estrarne una. Se la porta alla bocca e riesce ad accenderla al primo tentativo.
Lo guardo socchiudere le labbra intorno al filtro e inspirarne avidamente la sostanza per poi farla fuoriuscire sotto forma di fumo denso.
-Non mi hai mai detto di aver ricominciato- gli faccio notare sciogliendo la mia mano dalla sua.
Odio quando non mi dice le cose, odio il fatto che non si fidi ancora del tutto di me. Nonostante siano passati ormai quasi sei anni.
Ma ancora di più lo odio quando si fa del male con le sue stesse mani.
-Finisco questo decino e poi smetto, promesso-
E sembra davvero che mi stia prendendo per il culo, perché sappiamo entrambi fin troppo bene cosa n’è stato dell’ultima delle sue promesse.
Sorrido amaramente per poi rivolgergli un acido:- Ti avrei creduto di più se avessi evitato di promettere-
Faccio per aprire la porta e tornarmene in corridoio ma Luke si fa più vicino e mi blocca per la seconda volta in due giorni, con una stretta di polso e due iridi tanto fredde e impenetrabili da sembrar fatte di vetro. Mi volto verso di lui pronta a dirgli che si è fatta l’ora di tornare in classe ma il suo sguardo di ghiaccio riesce a paralizzare ogni mia volontà.
-Piantala, Loren. Piantala di fingere che non ti sia piaciuto, piantala di obbligare te stessa a credere di non volerlo fare ancora e ancora proprio come vorrei io. Perché so che hai bisogno di me esattamente come io ho bisogno di te, e di certo non d’ amico. Ormai non ci bastiamo più in quel senso e lo sai pure tu. Anche se magari non riesci ancora ad abituarti all’idea, ma non è deviando il problema che riuscirai, che riusciremo a superarlo. A meno che tu non voglia mettere a rischio la nostra amicizia, ma sappi che non ti permetterò di buttarci via così- 
E ogni  tassello torna al suo posto mentre vecchie certezze vengono rimpiazzate da nuove e la mano di Luke scorre per tutta la lunghezza della mia schiena per poi finire a stringere il mio fianco e attirarmi a lui.
Questa volta sono io a baciarlo per prima, sono le mie labbra che corrono disperate verso le sue.
E’ la mia lingua che percorre il suo labbro inferiore per poi delineare il piercing e succhiarlo appena.
E in una manciata di secondi i nostri sapori s’ uniscono e si fondono e le sue mani corrono alle mie guance per accarezzarle mentre le mie s’intrecciano tra i suo capelli biondi con l’obiettivo di tirarli appena.
Il bacino di Luke combacia con il mio mentre mi spinge sempre più indietro, fino a far aderire completamente la mia schiena alla gelida parete di quella squallida struttura.
Mi ritrovo alla disperata ricerca d’ossigeno quando il biondo infila la mano sotto alla mia maglietta e preme il  gelido palmo contro la mia schiena. So che non è un gesto dettato dalla malizia, il suo. So che lo fa solo perché ha un disperato bisogno del mio calore e ama il contatto della sua pelle contro la mia. Me lo ripete spesso, che il suo gelo si scioglie un po’ solo quando è al mio fianco.
Luke interrompe il bacio di botto e percepisco il suo respiro appena affannoso sul collo. La mia mano corre  verso una sua spalla e s’insinua anch’essa sotto la maglietta. La stringo appena mentre il biondo trascina le labbra verso il mio collo senza mai allontanarle di troppo, per poi accarezzare un lembo di pelle appena dietro all’orecchio e succhiare forte.
Graffio lentamente la pelle diafana della sua spalla quando alla lingua s’uniscono anche i denti ma non lo interrompo. Gli appartengo sotto tanti punti di vista e farlo sapere al mondo non è una cosa che mi spaventa. Anzi.
Quando ha terminato il suo lavoro mi guarda negl’occhi e io scopro i suoi lucidi e rossi. Si lecca il piercing in argento e:”Questo lo fai vedere a Enea, dopo aver declinato l’appuntamento con lui di domani”
“Elia”
Sorrido scuotendo la testa e non faccio in tempo a battere le ciglia un’altra volta che le labbra di Luke sono di nuovo sulle mie. Le sue grandi mani corrono verso la parte posteriore delle mie cosce e le allargano appena. Con un solo salto riesco a farle stringere intorno alla sua vita e il biondo quasi non riesce a mantenere l’equilibrio.
Si lascia cadere a terra con la schiena contro il muro e continuiamo a baciarci, sfiorarci e provocarci per un lasso di tempo che purtroppo non è abbastanza lungo da poter essere soprannominato infinito.
E’ successo tutto così in fretta. Il giorno prima Luke Hemmings c’era e quello dopo chissà che fine aveva fatto. Forse adesso è in paradiso, continuava a ripetersi Illy Bones. Ammesso e non concesso che n’esistesse davvero uno. Ma lei cosa ne poteva sapere, di quello che accadeva dopo la morte? Fatto fuori a coltellate, infilzato fino all’ultimo respiro.
A scuola lo sapevano tutti, perfino i professori. Così come tutti erano a conoscenza dello stretto legame tra i due. Perché era impossibile per loro passare inosservati, quando camminavano per i corridoi con le mani intrecciate e le loro risate che riempivano l’aria. D’altronde, quella d’ Illy Bones e Luke Hemmings era quel genere di coppia che tu arrivavi ad odiare e a maledire per la troppa invidia che provavi verso di loro.
Ma quando alla ragazza veniva detto che le cose belle sono sempre destinate a finire presto, lei non avrebbe mai pensato che davvero sarebbe accaduto così tanto in fretta. E tutto, ma davvero, qualsiasi cosa sarebbe potuta accadere, qualsiasi cosa avrebbe preferito che accadesse al posto della morte di Luke. Perché da quando lui non c’è più se n’è andata anche lei. Tu la vedi, certo, ma in realtà sta da un’altra parte. Probabilmente dove si trova pure il biondo, anche se nemmeno lei stessa sa dirti precisamente dove. Ma con la mente è sempre lì, a ricordare i pomeriggi trascorsi insieme e tutto quello che di lui la faceva più ridere. E le viene da sorridere piano. Perfino in una situazione di merda come questa riesce ancora a farlo anche se questo, a volte, la fa sembrare pazza.
Ma non le importa, se ne infischia di quello che la gente pensa di lei. Perché tanto quella gente non è Luke e per quanto le riguarda può anche bruciare tutta che nemmeno se ne renderebbe conto.
Con il volto nascosto tra le braccia incrociate sul banco di scuola, un sorriso nascosto e una lacrima forse più fredda delle altre, Illy Bones capisce che questa vita senza di lui è insopportabilmente monotona e priva di senso.
La morte di Luke è stata un po’ come privare la cornice dal quadro più bello. Non ti ci fai niente con quella e basta, no? Ok che puoi sempre riempirla con un altro dipinto, magari più bello, magari più colorato. Ma a parte che per lei era impossibile credere di riuscirne a trovare uno migliore di lui, Illy detestava anche il solo pensiero di dover ritrovarsi costretta a rimpiazzare Luke con qualcun altro.
E non ci sarebbe mai riuscita nemmeno volendo, piuttosto avrebbe preferito rimanere da sola con il suo ricordo.
Perché solo quello sarebbe stato mille volte meglio di quaranta dei ragazzi più fighi dell’intero pianeta messi tutti insieme, di questo ne era sicura.
Non si stupisce quando la professoressa, notandola persa sul suo banco, le consiglia di andare in bagno per darsi una sciacquata al viso. Come se facendolo avrebbe potuto porre fine a tutto … a tutto quello, ecco.
Perché non c’era aggettivo che teneva, nessun colore in grado di rendere decentemente ciò che provava Illy da quando lui se n’era andato, portando con se anche una parte di lei. O forse tutta, la mora non riusciva a capirlo. Non capiva più niente, d’altronde. Nemmeno quello che avrebbe dovuto fare d’ora in avanti.
Con una maschera glaciale se n’esce semplicemente da quell’aula squallida e opprimente, diretta in bagno con il solo scopo di chiudercisi dentro. Le pareti bianche macchiate per sempre da scritte che urlano odio e spiegano quello che noi, generazione corrotta e malata, siamo e saremo e perché non cambieremo mai. Che poi non sono altro che scampoli della nostra vita che non potranno mai essere né soppressi né nascosti, nemmeno con una tinta di vernice più scura.
Sfila le mani dalla tasca della felpa e le porta ai capelli per tirarli forte. Ha tanta voglia di urlare. Di far sapere al mondo che quello che sta passando lei è ingiusto, che rivuole indietro il suo Luke perché ha bisogno di poter ancora respirare il suo profumo di muschio bianco e il cuore in petto continua ad avere sempre più bisogno dell’abbraccio caldo della sua risata. Ma si trattiene, perché tanto nessuno può farle niente. Lei è lì da sola tra quelle quattro lastre di cemento che sembrano aver voglia di schiacciarla da un momento all’altro. E’ sola ma sa che nulla cambierebbe se fosse circondata da qualcuno perché nessuno di loro sarebbe lui.
Chiude le mani intorno al naso e trattiene il respiro fin quando i polmoni non le bruciano come il vuoto nello stomaco.
“Vienimi a prendere e portami via, vienimi a prendere e portami via, vienimi a prendere e portami via …” cantilena con la voce rotta di chi non parla più da troppo tempo.
“Vienimi a prendere, perché qui senza di te fa tutto schifo”
Ma lui è già lì. Lui le è inginocchiato davanti con la mano che le carezza la guancia e le lacrime che cadono dai suoi occhi di angelo per arrivare al pavimento, senza però mai toccarlo davvero.
Lui è lì con le ali bianche paralizzate, incapaci di fare ogni movimento. Ci metterà un po’ per imparare a volare, dovrà fare pratica. Ma più che altro dovrà alleggerire il suo cuore, perché ora come ora è così pesante che non gli permetterebbe di liberarsi in aria nemmeno se quelle soffici piume ce le avesse da una vita.
Poi, il dolore della giuntura delle penne alla schiena è atroce. Ma lui, adesso come adesso, quasi non lo sente. L’unica cosa che percepisce è la voce secca e spezzata di lei e Luke non può fare niente per imbottire il vuoto allo stomaco che quella visione gli provoca.
“Ti giuro, piccola mia. Te lo giuro che mi manchi tantissimo anche tu, te lo giuro che perfino il paradiso senza di te è un vero inferno. Ma è andata così e io non posso tornare. Non posso” e l’ultimo sussurro mozzato di lui si scioglie in una lacrime fredda come l’azzurro dei cieli tersi in inverno.
Ma tanto … che importa? Lei non può sentirlo. E così sarà per ancora troppo tempo. Sarà così anche quando lei s’innamorerà ancora e ancora e piangerà quando le spezzeranno il cuore o gioirà quando si sposerà e scoprirà di essere incinta dell’uomo che ama. E lui ci sarà sempre, anche se starle vicino potrebbe farlo star male. E Dio glie l’ha offerto un posto in paradiso. Ma non gl’importa. Preferisce di cento volte soffrire al suo fianco piuttosto che stare bene senza di lei. E se da una parte questa consapevolezza lo consola, dall’altra lo strazia e gli sgretola il cuore come carta bruciata che si riduce in cenere.
“Ti amo, Luke. So che non puoi sentirmi, ma io queste due parole te le volevo dire già da tanto tempo. Ti amo ed è così bello poterlo finalmente dire anche se tu non mi senti. E no, non m’importa se Dio crede che sono pazza” sorride debolmente mentre una lacrima s’insinua tra le fessure delle sue labbra rosse come ciliegie.
“Ti amo e stavo cercando il momento giusto per dirtelo, che però non ne voleva sapere di arrivare. Ti amo e scusa se te lo sto ripetendo troppe volte e tutte insieme, adesso che, tra l’altro, è anche troppo tardi. Il punto è che vorrei che tu mi sentissi, che magari da lassù o dovunque tu sia cogliessi il mio messaggio e … e forse, se lo ripeto più volte, ho più possibilità che tu mi senta. Ti amo Luke e ti giuro che non amerò mai più nessuno quanto ho amato te, né adesso né mai. Perché con me c’eri tu quando io piangevo, per gioia o tristezza che fosse. Perché d’iridi azzurri ne ho visti tante e anche di belle. Ma i tuoi, i tuoi occhi, non erano belli solo per il colore. Quello, per quanto incredibile fosse, era il minimo. Tu c’avevi qualcosa dentro che ti trapelava da tutto quel blu, così bello e unico che non mi sarei mai stancata di poterlo guardare da vicino.
Volevo fartela breve ma non ci sono riuscita. Scusami, ora ci riprovo. Luke io ti amo. Io ti amo e tu mi manchi. E qui fa tutto schifo senza di te. Solo questo”
Leggere per voi queste parole forse è stato facile. Per lei non è stato lo stesso dirle. Non con il cuore incastrato in gola e le lacrime che le impastavano la bocca, aromatizzandola del loro stesso sapore. Non mentre, con un ago intrinseco di china nera, continuava a penetrare il primo strato di pelle del fianco marchiandolo a vita con l’iniziale dell’unica persona che per lei avesse mai contato davvero qualcosa.
E Luke l’abbraccia e le lacrime di lui si fondono con le sue senza che nessuno possa accorgersene.
La bacia ma non sente più il suo sapore, quello di caffè che tanto gli piaceva.
E Loren ripensa alla lezione d’italiano, alla prima. A quando mss. Green le ha fatto leggere per tutta la classe le parole di Jobs. Quelle pronunciate da lui poco prima di morire, si dice. Vere o no, lì per lì le erano piaciute. Riflettendoci bene, mentre lei leggeva, le veniva da credere che Steve avesse ragione. Vivere ogni giorno come se si fosse sempre in punto di morte per godersela davvero questa sfilza di alternanze tra oro e argento e azzurro ceramico e nero viscoso.
Questo, solo questo era il segreto per essere felice. Semplice, no? Quasi troppo.
Ma ora, ripensandoci su un po’ meglio, le parole di quel brano le s’intrecciavano in testa confondendosi e mischiandosi tra di loro come innumerevoli tasselli di un puzzle sconnesso. Perché essere folli voleva dire tutto e non voleva dire niente.
Adesso, per esempio, Loren si ritrovava ad alternare sorrisi dolci e malinconici a lacrime tanto salate da grattarle le guance e screpolarle le labbra.
Era questo, Jobs, quello che tu intendevi per folle? Ma se per lei fosse ormai diventata una cosa normale? Una cosa da lei, un banale vizio per nascondersi in una follia nella quale lei di pazzo non riusciva ad intravedere assolutamente nulla, se non un rifugio sicuro che magari le avrebbe permesso di sfuggire alla morte.
Ma quando ti ritrovi a credere che peggio di così non potrebbe mai andare, ecco che la vita rivoluziona ogni tua idea. O forse, nel caso di Luke, a farlo è la morte.
Perché Loren la risposta la scoprirà presto.
Perché lei inizia già ad intuirla mentre l’ago che stringe tra le piccole dita della sua mano corre verso la superficie interna del polso. E Luke vorrebbe fermarla. Luke glie lo urla di non fare cazzate, perché con questo gesto non è da lui che tornerà. Il biondo lo sa. Ma non riesce ad afferrarla, non riesce a fare niente. E se prima la mora riusciva a capire ciò che lui voleva dirle senza nemmeno il bisogno che aprisse la bocca, adesso il biondo sta urlando ma la ragazza non lo sente. Nemmeno di striscio, neanche da lontano.
E l’ago scorre con più pressione, preme maggiormente contro la pelle pallida e taglia di netto una delle tante vene, facendo schizzare da lei sangue come da una fessura secca e grettata. Macchia il marmo gelido e firma le pareti di lei. Poi fa lo stesso con la seconda, con quella vicina, ma spezza anche quella più lontana mentre le ultime lacrime fredde e trasparenti si fondono e si nascondono tra il sangue viscoso e scarlatto.
Poi capisce e la verità l’ammazza dentro prima che lei riesca ad ammazzarsi fuori.
Poi lei comprende, che in quel momento, il suo atto folle (quello che sarebbe stato in grado di riportarla da lui), non sarebbe di certo stato il suicidio.
Alzarsi da terra e digrignare i denti, tenere vivo il ricordo di Luke ma non lasciarsi morire per quello. Nasconderlo, soffocarlo, farsi forte e lanciarlo lontano. Perché tanto lui le era così vicino. Lo sa perché tra un battito di ciglia e quello dopo lei lo vede piangere, con le ali che sbattono frenetiche nel tentativo di spingere ad acciuffare la sua anima prima che essa sprofondi troppo in basso. Le piume intorno a loro che cadono a terra e si dissolvono con l’attrito del pavimento, come speranze mai esistite davvero.
Un ultimo grido di lui che si annulla dinnanzi al gemito di lei. Quello più triste e straziato. Un verso di arresa, trascinato e pesante. Pesante come il suo corpo quando si accascia a terra senza vita, non troppo tempo dopo.
E Luke rimane solo, solo con la figura pallida di lei sdraiata al suo fianco e il rosso che gli raggiunge le ginocchia senza però macchiargliele davvero.
Lui lo sapeva, ancor prima di lasciarsela sfuggire con gli occhi di un cristallo liquido e la pelle ceramica. Luke lo sapeva che chi si crede tanto forte da poter decidere il giorno della propria morte, non è in paradiso che vola.
Dio glie l’ha spiegato. Destinato a bruciare tra le fiamme senza la possibilità di dissolversi mai tra il giallo e il rosso davvero.
Perché l’anima non è come il corpo. Lei è astratta, non si consuma. Impalpabile come il fuoco stesso, come il ricordo delle sue braccia, delle sue labbra. Come tutto quello che di loro e di lei non sarebbe più tornato. Mai più. Perché … sia chiaro: dall’inferno non c’è via di fuga.
 
 

 

 
   
 
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