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Autore: _Pulse_    26/05/2009    3 recensioni
Che cosa fareste voi se sognare fosse contro le regole? Non è proprio contro le regole, però vuol dire andare contro alla normalità. È un concetto abbastanza difficile da spiegare, ma ci arriveremo presto. Anche perché io non ne ho mai saputo molto di normalità, visto che sin da bambina ho avuto poteri straordinari, fuori dal normale, totalmente fuori dal normale. Ho ricevuto un dono. Non l’ho mai visto come tale e per ora non credo che lo vedrò mai diversamente. Ma andiamo con ordine.
(Nuova ff!! Grazie a tutti quelli che hanno commentato le precendenti, sopportandomi alla grande.. Vi Adoro!)
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: Nuova ff!! E il conto alla rovescia comincia!! Dai, forza.. Sopportate questa e poi avrete il seguito tanto atteso di "Surf che Passione"... ^^
Grazie a tutti in anticipo!! Ary



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Che cosa fareste voi se sognare fosse contro le regole? Non è proprio contro le regole, però vuol dire andare contro alla normalità. È un concetto abbastanza difficile da spiegare, ma ci arriveremo presto. Anche perché io non ne ho mai saputo molto di normalità, visto che sin da bambina ho avuto poteri straordinari, fuori dal normale, totalmente fuori dal normale. Ho ricevuto un dono. Non l’ho mai visto come tale e per ora non credo che lo vedrò mai diversamente. Ma andiamo con ordine.

Era una mattina di metà settembre, grigia e decisamente triste dopo i tre mesi di vacanza in cui non c’era stato altro che il sole sopra le nostre teste. Ok, forse dov’ero stata io non era stato sempre così, però era veramente triste, e questo non aiutava il mio morale già a terra di suo.

Era già ora di tornare a scuola, non riuscivo a crederci. Avevo passato le vacanze in Antartide – No, non c’era stato per niente il sole di cui parlavo – con mia madre e il Consiglio degli Anziani, ad allenarmi a dominare il mio dono. C’erano voluti anni prima che riuscissi a controllarmi, e ci ero riuscita così bene che anche gli Anziani erano rimasti sorpresi. “Incredibile, mai vista una cosa del genere.” Quello era il commento più vivo nella mia mente, perché mi aveva riempito il cuore di gioia, e poi perché chi l’aveva pronunciato era una persona alla quale tenevo particolarmente: mio nonno. Aveva gli occhi azzurri e una lunga barba bianca, unita alla fine in un ciuffetto legato con una striscia di pelle annodata a fiocco; era una bella persona, e una delle menti più brillanti che avessi mai conosciuto. Da piccola era stato lui a spiegarmi ciò che ero, perché ero diversa. Mi aveva anche “addestrata” personal-mente, era riuscito a farmi capire che dovevo stare attenta e che non dovevo abusare del mio potere. Era orgoglioso di me perché avevo sempre avuto la testa sulle spalle, forse ero così anche perché il mio potere non mi serviva granché.

«Ciao Marilyn

Mia madre era sempre stata appassionata di cinema e mi aveva dato il nome di Marilyn Monroe. Valle a capire, le mamme.

«Ciao Luna, quanto tempo!», salutai la mia amica con un nome bello e invidiabile – non che non mi piacesse il mio nome, però il suo era molto meglio – con un bacio leggero sulla guancia.

Era alta quanto me, i capelli ricci e morbidi sulle spalle, gli occhi verdi e un fisico da tipica ragazza australiana. Indossava una canottiera bianca abbastanza scollata e dei pantaloncini corti che le stavano benissimo sulle sue gambe lisce e abbronzate, ovviamente. A confronto, io sembravo una mozzarella. Infatti mi ero messa i primi jeans a pinocchietto che avevo trovato nell’armadio e una comunissima maglietta a righe.

«Be’? Che mi racconti? Ho provato a chiamarti per tutta l’estate, ma diceva che eri sempre irraggiungibile. Il tuo cellulare deve essere andato, sai?»

«Oh, sì… Dovrei proprio cambiarlo.»

Nessuno sapeva del mio piccolo grande dono e nessuno avrebbe dovuto saperlo. Adesso che ero abituata, tenere il peso del segreto sulle spalle non era difficile, ma dovevo starci comunque attenta, e poi non volevo che per colpa mia traslocassimo in un’altra città. Adoravo l’Australia, il suo sole caldo sulla pelle e il sapore di sale sulle labbra dopo un tuffo nell’oceano. Non avrei mai voluto cambiare. E poi lì c’era Luna, la mia migliore amica.

Ci dirigemmo verso la nostra aula, la campanella era già suonata e i corridoi erano gremiti di studenti sconsolati per il nuovo anno scolastico che stava per iniziare.

«Dai, raccontami che cos’hai fatto in questi mesi in cui non ci siamo viste», mi propose Luna, camminandomi accanto.

Era davvero bella, se fosse stato per me, avrei già fatto cambio con lei. Io, sebbene fossi diversa, non avevo nulla di particolare, a parte il simbolo che definiva la mia diversità, inciso in argento all’interno del polso destro, ma quello non contava, nessuna persona normale poteva vederlo.

Ero alta come la maggior parte delle ragazze della mia età, snella forse meno della maggior parte degli stuzzicadenti che erano le mie compagne, ma non mi lamentavo, mia madre sosteneva che fossi troppo magra, figuratevi voi; i capelli erano biondi e lunghi e mi arrivavano fino in fondo alla schiena, di solito li tenevo legati per non creare invidie tra le ragazze: in effetti i miei capelli erano il mio punto forte, brillavano al sole ed erano così lunghi da creare invidie praticamente a tutto il sesso femminile; non li avevo mai tagliati, a parte qualche spuntatina per togliere le doppie punte. Avevo gli occhi di una strana tonalità di blu, quasi elettrico, che mano a mano che si avvicinava alla pupilla diventava sempre più chiaro, fino ad arrivare ad un azzurro ghiaccio. Mia mamma mi aveva spiegato che avevo preso metà del suo colore, il blu, e metà di quello del nonno, l’azzurro, creando quella rarità. Io non ci vedevo nulla di così particolare, non volevo vedere. E ci riuscivo fin troppo bene a non volere.

«Nulla di particolare», deviai.

«Come nulla di particolare? Non ci credo. È impossibile che in tre mesi tu non abbia fatto nulla di particolare! Neanche un ragazzo carino?»

Odiavo mentire alla mia migliore amica e odiavo dover parlare con lei di ragazzi. Io ce la mettevo tutta a fingere di avere una vita sentimentale, ma in realtà cercavo di tenere a distanza tutti, anche le ragazze – tranne Luna perché mi aveva conquistata letteralmente –, ero troppo pericolosa. In fondo non avevo bisogno di nessuno.

Sperai che qualcosa la distraesse dall’argomento in cui si era inoltrata, non volevo ricorrere ai miei poteri.

Cercavo di vivere una vita normale, di usare il meno possibile il mio dono, di far finta che non esistesse, ma a volte era davvero difficile, come, per esempio, quando Luna si metteva a parlare di ragazzi.

Arrivò la tanto sperata distrazione, ma a quel punto avrei tanto voluto continuare a parlare di ragazzi.

«Oh, oh, oh! C’è Thomas! Che carino!», gridò a mezza voce.

Mi passai una mano sul viso, stravolta. Sapevo già che cosa mi aspettava. Ma che ci trovava di così interessante in lui? Che ci trovavano tutti quanti in lui? Proprio non riuscivo a capirlo e non volevo nemmeno provarci, a dirla tutta.

«E dai Mary, non puoi dire che non sia bello!», continuò scuotendomi con insistenza il braccio.

«Dovrò portarla a fare una visita oculistica, uno di questi giorni», mormorai pensando tra me.

«È semplicemente stupendo…»

«Ti devo ricordare che è fidanzato?»

«Ma chissene frega!»

«Faresti anche la ruota di scorta?!» Ero allibita, magari il mio modo di vedere le cose era davvero un dono, dovevo ricredermi. O forse ero solo deficiente e la visita oculistica dovevo farla io, magari i miei occhi avevano qualche problema, oltre al colore.

«Per uno così, farei anche la serva.»

Guardai in direzione di Thomas: camminava con un braccio attorno alle spalle della sua ragazza, una smorfiosa di prima categoria, ridendo e scherzando con i suoi amici.

Cercai di concentrarmi sulla bellezza che tutte le ragazze vedevano in lui, eccetto me. Davvero, non ci trovavo nulla di così particolare: magro, i muscoli presenti ma non visibili sotto i vestiti, alto nella media, forse qualche centimetro più di me, capelli castani chiari, più sul biondo, e occhi di uno strano miscuglio tra grigio e verde chiaro. Forse quella era l’unica caratteristica che lo poteva rendere diverso dalla massa, ma non adorato come un dio.

«Mah. Giuro Luna, non ti capisco.»

«Io l’ho sempre detto che hai qualcosa di strano.» Mi guardò con i suoi occhi indagatori ma divertiti allo stesso tempo e sentii il peso del segreto molto più pesante del solito, nel cuore mi si era stretta una morsa che mi dava fastidio.

«Ehi Mary, che c’è? Sembra che hai visto un fantasma!», mi sfiorò la guancia con la mano e rinvenni. Quant’ero stata immobile, stretta dalla morsa della bugia? Tanto da far preoccupare Luna.

«No, niente. Sarà meglio andare in classe.»

«Ok. Ci vediamo dopo?»

«Ahm… No, devo subito tornare a casa dopo.» Non era il caso di uscire con ancora quella morsa nel petto, non avrebbe fatto altro che peggiorare nel pomeriggio, ne ero certa.

«Come mai no? Io volevo raccontarti quello che ho fatto durante le vacanze, visto che tu…»

«Domani. Domani mi racconterai tutto quello che vorrai, promesso.» Già mi pentivo della mia promessa, avrebbe parlato esclusivamente di ragazzi e io avrei dovuto ascoltare, gliel’avevo promesso.

Filai in classe senza fare attenzione a chi mi stava intorno, come sempre, e mi sedetti al mio solito banco in fondo all’aula, di fianco alla finestra che dava sul cortile, sul verde degli alberi, inscurito dalla mancanza del sole, e i colori dei fiori tra l’erba. Lì potevo pensare comodamente ai fatti miei senza che i professori se ne accorgessero, e poi ero brava a far credere le cose.

Fui sollevata quando la morsa pian piano si ammorbidì sul mio cuore lasciandomi respirare meglio, sembrava quasi reale, non solo una sensazione.

Di fianco a me c’era ancora il posto libero, e anche quello aiutò la rinascita del mio buon umore, svanito quella mattina, subito dopo aver aperto le finestre ed essermi accorta che il cielo di solito limpido era ricoperto da grossi nuvoloni grigi carichi di pioggia.

Ma quella minima traccia di buon umore svanì presto, quando, durante il solito saluto di rientro del professore, entrò in classe Thomas, il ragazzo capace di stendere tutte le ragazze della scuola con un sorriso solo, tranne me.

«È in ritardo», disse il professore in tono severo.

Almeno non gli cascava ai piedi e per questo iniziai a nutrire più simpatia verso di lui.

«Ma com’è possibile arrivare in ritardo il primo giorno di scuola?»

«Mi sono intrattenuto a parlare con i miei amici, era un po’ che non ci vedevamo.»

Al suo sorriso sentii diversi sospiri incantati e gli occhi di tutte le ragazze, esclusa me per fortuna, erano puntati su di lui, sembravano dei cagnolini.

Strano che non scodinzolino o che non sbavino sul banco, sogghignai.

«Non mi interessa che cos’ha fatto, e la sua scusa non è accettabile. Quindi, se vuole evitare un richiamo il primo giorno di scuola, la smetta di perdere tempo e si muova a prendere posto.»

Mi accorsi che l’unico posto libero era proprio quello accanto al mio, e sarebbe stato occupato da Thomas. Il cuore incominciò a battermi all’impazzata per il nervosismo.

Non voglio che si sieda qui!, gridai mentalmente chiudendo gli occhi.

Li riaprii piano e vidi Thomas fermo come un robot, immobile accanto al banco.

«Prof, dove mi metto?» chiese, con lo sguardo ancora vitreo.

Avevo combinato un casino. Mi ero lasciata andare, non avrei dovuto farlo, ma provavo uno strano senso di soddisfazione, e ghignai vedendo la figura dell’idiota che stava facendo.

«Mi sta prendendo in giro? Lì di fianco alla tua compagna! E si muova una buona volta!», sbottò il prof innervosito.

Thomas ritornò presente scuotendo la testa e si mise seduto accanto a me, non capendo cosa gli fosse successo per un minuto. Mi guardò e fece un sorriso che mi colpì.

Non mi aveva mai sorriso prima, perché ora lo fa?

Non riuscivo a spiegarmi niente di quel ragazzo, e mi dava i nervi.

«Ciao, tu sei…?» disse, cercando di ricordare il mio nome, ma gli fu difficile, perché mai prima d’ora aveva avuto il bisogno di ricordarselo o più semplicemente di saperlo.

«Marilyn», dissi mettendomi più lontana possibile da lui, senza guardarlo in faccia.

«Hai un bel nome, Marilyn», sorrise ancora.

Ma che stava facendo? Pensai che sarebbe stato molto meglio non pensarci, era troppo difficile persino per me capirlo.

Vidi con la coda dell’occhio che si era girato e guardava il professore, ma aveva la fronte corrugata, probabilmente si stava ancora scervellando sul perché io non gli mostrassi le solite attenzioni che gli dedicavano tutti. Doveva essere frustrante per lui, se non del tutto inconcepibile. Magari pensava anche lui che avessi qualcosa che non andava.

La morsa si fece più stretta intorno al mio cuore. Era quello il motivo per il quale mi ostinavo ad usare il meno possibile i miei poteri: io ero diversa, anche se non avrei voluto esserlo.

   
 
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