Stava
sognando qualcosa di strano e inquietante subito prima di svegliarsi e
accorgersi che la luce alla scrivania nell’angolo era accesa. Lì per lì
richiuse subito gli occhi, stringendosi le ginocchia fin quasi al petto e
cercando di scacciare quella sgradevole sensazione di pericolo che il brutto
sogno gli aveva lasciato addosso. Mugugnò, ruotando la testa nel cuscino fino
ad affondarcela, nella convinzione di poter emergere dall’altra parte della
piuma d’oca.
–
Ezio? –
Una
voce familiare e bisbigliata gli arrivò alle orecchie, e a fatica sollevò il
collo per riuscire a guardarsi intorno e capire da dove provenisse quel
richiamo. Era ancora nel limbo confuso fra la veglia e il sonno.
–
Ezio, ti ho svegliato? –
Il
ragazzo avvertì una punta di rammarico nel tono, ma almeno riuscì a capire la
direzione da cui giungeva, puntando di nuovo gli occhi alla scrivania da cui si
irradiava leggera, ma persistente, la luce che rompeva l’illusione della notte.
Solo in quel momento riconobbe anche una figura umana seduta al tavolo, che
adesso era voltata verso di lui e lo fissava. Quindi anche Leonardo era
sveglio.
Mugugnò
di nuovo non riuscendo a collegare i pensieri alla bocca, e con occhi ancora
socchiusi scosse la testa, mentre avvertiva alcuni ciuffi dei capelli
scendergli sulla fronte. Il suo cercava di essere un “no”, ma era troppo il
torpore che lo rallentava, come un trattore a venti all’ora davanti a una
Ferrari in una stradina di campagna a senso unico.
Leonardo
sorrise, distratto da quei ciuffi lisci ma scomposti in cui adesso aveva voglia
di infilare le dita. Si alzò e lo raggiunse sedendosi sul bordo del letto, al
suo fianco. Per svegliare uno come Ezio non sarebbe bastata neanche una banda a
suonargli direttamente in camera con installate delle luci da pista da ballo,
figuriamoci una semplice abat-jour su una scrivania a tre metri di distanza.
Leonardo
sentì il materasso accogliere il suo peso, mentre Ezio si sforzava visibilmente
di tenere gli occhi aperti tornando a peso morto con la testa sul cuscino. Il
piccolo codino che gli teneva i capelli sulla nuca ormai era quasi sfatto e lasciava
libere le ciocche di contornargli il viso stanco. Leonardo poggiò le dita sulla
tempia di Ezio, sfiorandogli la pelle mentre gli liberava la fronte dai capelli
castani.
–
Non riesci a riaddormentarti? – Domandò leggero, senza invadere bruscamente lo
stato comatoso dell’altro. Ezio, steso su un fianco e arrotolato su se stesso,
chiuse gli occhi nel momento in cui incontrò il tocco delle dita di Leonardo.
Inspirò, cominciando a sentirsi ormai distante dal sonno e sempre di più oltre
il confine della veglia.
–
Incubo. – Ciancicò monosillabico con le labbra semiaperte. Leonardo contrasse
il viso inclinandolo da un lato, e aprì il palmo sulla guancia di Ezio.
–
Oh. – Disse consolatorio. – E che accadeva? – Aggiunse carezzandolo, senza più
altri pensieri in testa. Ezio fece un altro bel respiro e si stiracchiò,
voltandosi poi supino e per la prima volta aprendo gli occhi completamente,
incontrando la figura di Leonardo ora ben definita nei colori e nei contorni.
La mano dell’artista era scesa dalla guancia fino al torace di Ezio, restando
lì ferma come una presenza rassicurante.
–
Mmh, c’erano delle galline… – Rispose Ezio confuso ma al tempo stesso
concentrato nello sforzo di ricordare.
–
Delle galline? – L’espressione di Leonardo era atona.
–
…credo. – Gli occhi dell’Auditore si fecero sottili mentre poggiava una mano
sopra quella di Leonardo, lì dove il proprio torace si alzava e abbassava,
quieto.
–
Perché sei ancora in piedi? – Domandò Ezio indossando adesso l’abito del
compagno premuroso, che era sempre quello che gli donava di più. Leonardo
sorrise, picchettando con le dita l’addome del ragazzo e scivolando verso
destra con la testa.
–
Il solito. – Rispose tirando indietro i capelli mossi con la mano libera e mostrando
le lentiggini sulle guance. Ezio sospirò, sapendo che c’era ben poco che
potesse fare per aiutarlo. Il genio, d’altronde, era Leonardo.
–
Quando c’è l’inaugurazione? – Domandò il più giovane sentendo la lucidità
aumentare, i sensi svegliarsi e il cervello cominciare a connettere.
–
Settimana prossima. – Rispose l’artista con un sospiro, segretamente grato per
quella pausa inaspettata. Ezio annuì, senza riuscire a trattenere uno
sbadiglio.
–
Tanto indietro? – Domandò soffice, preoccupato di accompagnare la domanda con
un leggero movimento dei polpastrelli sul dorso della mano di Leonardo. Su
questo almeno erano simili: la procrastinazione prendeva a calci in culo
entrambi. Leonardo inarcò le sopracciglia, prendendosi il tempo necessario per affrontare
l’amara verità.
–
Tanto indietro. – Ripeté, stavolta come un’affermazione. Gli occhi neri di Ezio
lo guardarono con la comprensione di chi già conosceva la risposta. Gli
sorrise, ora anche con le labbra, e fece forza su un gomito per tirarsi su a
sedere con le gambe incrociate.
–
Ti faccio compagnia. – Fece, sciogliendosi i capelli e pettinandoli
all’indietro con le dita. Leonardo poggiò entrambe le mani sulle ginocchia
dell’altro, sporgendosi col viso.
–
Non esiste. Torna a dormire, è tardi. – L’intenzione era di mostrare polso, ma
il tono gli venne fuori più indulgente di quanto aveva sperato. Ezio continuava
a sorridere, incurante di quell’ordine male espresso mentre si tirava su i
capelli e li legava con l’elastico in un unico ciuffo, con le punte sparate
verso l’alto. Dondolò avanti e indietro un paio di volte, la tipica espressione
sbarazzina dipinta sul viso; poi si lasciò cadere verso di lui fino a poggiare
le labbra su quelle di Leonardo, sulle quali lasciò uno schiocco degno di quel
nome.
–
Ma prima, pipì. –
L’artista
non ebbe tempo di reagire e nemmeno granché da ribattere, e lasciò che fosse
solo un sospiro arreso a fare da sottofondo ai movimenti di Ezio che lasciava
il guscio caldo delle coperte, carponi. Quando però gli passò accanto, Leonardo
gli sganciò una manata sul fondoschiena, a metà fra la pacca e il ceffone, fra
l’affetto e il rimprovero.
–
Ahi! – Ezio si lamentò a gran voce dello sgarbo ma, ciò nonostante, l’evento
non interruppe la gattonata, e come nulla fosse raggiunse il bordo del letto,
montò in piedi e se ne filò in bagno a piedi scalzi, senza nemmeno voltarsi.
Tutta scena, pensò fra sé l’artista. Seguì il più giovane con lo
sguardo finché non lo vide scomparire nell’oscurità del corridoio e si alzò dal
letto con una stanchezza piombata addosso tutta insieme. Tornò alla scrivania,
seduto davanti allo schermo del suo Mac. Sbuffò nel ritrovarsi di nuovo solo di
fronte al progetto di Autocad, così palesemente indietro da non riuscire a
trovare una scusa convincente per giustificarsi e salvarsi la coscienza.
Strizzò
gli occhi un paio di volte, non trovando altra consolazione se non quella che
le sue mani adesso avrebbero potuto accarezzare Ezio per alcuni minuti. Riprese
fra le dita la penna della tavoletta grafica, richiamando a sé la
concentrazione da poter orientare sul dovere. A volte gli piaceva chiamarlo “il
vizio della creatività”: quella peculiare inclinazione per cui le ore della
notte risultavano essere il momento della giornata più fecondo per dare forma ai
propri talenti. Ma sapeva che quella era una storia che si raccontava da solo,
e che il suo era un vizio incallito, senza nessun vezzeggiativo a smorzarne la
tossicità. Eppure gli piaceva così; guardare negli occhi la sua figura alla
specchio, con sguardo denso di stima e impenitente, e finire col ripetere
sempre la stessa giornata. L’unica eccezione in quella tabella di orari astrusi
e sballati, era Ezio; l’unica incognita a cui lasciava sconvolgere i suoi piani
mai pianificati.
Il
rumore di un metallo che raschiava su una superficie liscia gli fece correre un
brivido lungo la schiena che lo drizzò sull’attenti, costringendolo a voltarsi
per trovare l’origine di quel disturbo che rischiava di fargli sanguinare le
orecchie. Vide Ezio rimontare sul letto, accasciandosi di nuovo a peso morto
con il bacino sul cuscino e la schiena a muro. L’unico dettaglio aggiunto era
un piatto di lasagna che il ragazzo stava infilzando con la forchetta.
Leonardo, basito, sollevò una mano come se quel gesto potesse parlare per lui
ed esprimere il suo disappunto. Ma poi trovò doveroso aggiungere una nota
vocale.
–
Ezio. – Cominciò, non riuscendo a smorzare il tono incredulo. Il ragazzo, col
boccone già nella bocca e intento a masticare, sollevò gli occhi; non c’era più
traccia in lui del torpore di poco prima.
–
Ezio…perché la lasagna? – Gli occhi di Leonardo si fecero interrogativi, come
quelli di un insegnante che cerca di capire se la firma sul libretto delle
giustificazioni sia del genitore o dell’alunno copista. Ezio, che saltava dai
pensieri alla bocca avvalendosi raramente dello strumento del ragionamento, diede
l’unica risposta che poteva abbattere l’artista e ogni suo tentativo di
argomentazione.
–
Avevo fame. – Affondò di nuovo la forchetta nella lasagna fredda di frigo,
mentre il suo ciuffo ondeggiava ad ogni movimento della testa. Leonardo alzò
gli occhi al cielo, e con quelli anche bandiera bianca, grattandosi la nuca per
prendere tempo. A volte le sue risposte riuscivano a disarmarlo senza colpo
ferire.
–
Sono quasi le tre del mattino. – Rispose, illudendosi che condividere l’orario
con lui potesse demotivarlo dal finire quel piatto. Ezio ingoiò, aprendo gli
occhi con stupore e indicando Leonardo con la forchetta.
–
Cavoli, tu non dovresti proprio lavorare a quest’ora. –
Leonardo
poggiò un gomito sul tavolo a sorreggersi la testa con la mano, non potendo
fare a meno di trovare divertente come nella sua ingenuità riuscisse sempre a
farlo sorridere.
–
Mh, parlavamo di te comunque. – Gli angoli della bocca si tesero verso l’alto
mentre la luce dello schermo gli illuminava metà viso. Ezio sorrise, come
sapeva fare lui, riuscendo a far pizzicare qualcosa dentro il petto
dell’artista, che mascherò bene la reazione corrucciando lo sguardo.
–
E comunque quell’avanzo era mio. – Lo sguardo era piccato, la voce no.
Ezio
scosse la testa e scrollò le spalle.
–
Questa è una menzogna. – La serietà con cui pronunciò quella frase quasi costò
a Leonardo la maschera. Il maggiore fece una smorfia e mugugnò, liquidando con
un cenno distratto il ragazzo e tornando sullo schermo del Mac, le mani
all’opera e gli occhi incollati al progetto. Cercò di ritrovare uno stato di
immersione, ma i saltuari tintinnii della forchetta interrompevano i suoi
flussi creativi, e quello che ne cavò fu solo imprecisione nei dettagli.
–
Leo. – Ezio tornò a pronunciarsi dopo quasi mezz’ora di assenza verbale. Cosa
strana, visto che non era solito separare i diversi usi della bocca: mangiare e
parlare. Quel richiamo giunse alle orecchie di Leonardo, ma non fu sufficiente
a farlo reagire, troppo concentrato a pensare come concentrarsi.
–
L-e-o – Riprovò Ezio, stavolta con più voce e con una scansione del suo nome
quasi seccante. L’artista concluse che non aveva scampo, e con un sospiro un
po’ frustrato, un po’ grato, si voltò verso di lui concedendogli completa
attenzione. Ezio, con la vittoria dipinta sul volto, poggiò la mano sulle
lenzuola scomposte nel posto vuoto accanto a lui, tamburellando sopra il palmo.
–
Perché non ti sposti qui? –
Stavolta
al pizzico nel petto si sostituì la sensazione di una carezza, che quasi lo
sciolse. Era un invito davvero difficile da rifiutare, persino per un
insofferente come lui. Sospirò, forse per la quindicesima volta in meno di
un’ora, e si alzò dalla sedia mentre un sorriso si dipingeva sotto le sue lentiggini.
Staccò il Mac dalla presa, prendendolo fra le braccia e facendo per avvicinarsi
al letto, ma venne ammonito.
–
Senza quel coso. – Fece Ezio con un tono che non indicava un suggerimento.
Leonardo
si fermò, in piedi a metà strada fra la scrivania e il letto, facendo uscire lo
sconforto dalla bocca.
–
Questo coso lo devo usare. –
Ezio
fece no con la testa, le labbra strette in una sicurezza che avrebbe convinto
anche il più titubante.
–
Mettiti qui e ti mostrerò che non ne hai bisogno. –
Riconobbe
un tocco di seduzione in quella frase, ma non abbastanza da invogliarlo ad
arrendersi così presto. Leonardo si strinse al petto il Mac.
–
Ah no? – Domandò vago, lasciando all’altro campo aperto per sfruttare la sua
fantasia.
–
Sono altre le cose di cui hai bisogno
adesso. – Incalzò Ezio, ma correggendosi subito.
–
Cioè, volevo dire i cosi. –
Leonardo
contrasse lo sguardo, confuso. Qualunque obiettivo avesse in mente di
raggiungere con quell’ammicco contorto, l’aveva mancato completamente. Prosciugato
nella motivazione, si voltò a poggiare sulla scrivania il Mac: la sconfitta di
averlo fatto vincere.
–
Mi riferivo a un altro coso. – Insisté
Ezio percependo una non reazione e cercando di recuperare goffamente. Leonardo
si chinò a spegnere l’apparecchio, alzando gli occhi al cielo come quando il
fratello minore assicura di aver capito la battuta dal doppio senso osceno.
–
Ezio, se dici un'altra volta coso… –
Lasciò la frase in sospeso per sottolineare il pericolo di una minaccia. Tuttavia,
ancora di spalle, Leonardo non ebbe occasione di osservare il sorriso pericolosamente
vicino a una risata che colpì Ezio in quel momento; non contento, il più
giovane si accucciò sul materasso rotolando da un lato, come un animale
domestico.
–
Fila a lavarti i denti. – Fece Leonardo voltandosi di nuovo verso di lui,
frecciandolo con gli occhi. Ezio schivò il colpo, ma capì l’antifona.
–
Okay, okay. – Disse mugugnando, strisciando pigramente fino al bordo del letto.
–
Ezio. – Il tono di Leonardo suonò come un monito e il più giovane, non capendo
cos’altro avesse mai fatto, si voltò provando ad immaginarle tutte. L’artista
indicò col viso il piatto e forchetta lasciati in fondo al letto da quello
spirito distratto e incosciente qual era Ezio Auditore: riusciva a fare
attenzione solo alle cose che riteneva necessarie o interessanti, che
generalmente ruotavano intorno alla sfera alimentare o sessuale. Tutto il resto
era nebbia.
–
Oh. – Commentò il ragazzo, col tono di chi pensa “Ah, ma è solo quello”. Qualche passo indietro e levò
l’intruso, sgattaiolando via come un gatto dopo aver fatto crollare l’albero di
Natale. Leonardo lo guardò andare, con la mente vuota. Il suo Mac era spento e
ormai lo era anche il suo cervello. Il progetto per l’inaugurazione della
mostra avrebbe aspettato fino all’indomani mattina –se si fosse svegliato
abbastanza presto da vederla, la mattina. Altra cosa su cui, lui ed Ezio, erano
simili; da considerare a volte un vantaggio, a volte un danno.
Si
levò dalla scrivania, aprendo entrambi i palmi sul viso e massaggiandosi gli
occhi. Si sfilò la camicia restando con la canottiera e si sedé sul bordo del
letto, nel lato di Ezio, perdendo tempo a controllare le notifiche del
cellulare. Era bravo ad intrattenersi con nulla. Poi un peso silenzioso gli
premé sulla schiena, e un braccio gli strisciò intorno al collo, cingendolo, un
profilo gli si poggiò sulla spalla e una voce giovane e calda gli sussurrò
all’orecchio:
–
Vuoi smetterla con questi schermi? – C’era l’onda di un rimprovero in quella
domanda retorica, ma Leonardo non poté fare a meno di sorridere e ammettere che
aveva ragione. Forse doveva staccare più spesso la spina dalla tecnologia.
–
Mmh. – Pensò l’artista a labbra serrate, socchiudendo gli occhi e lasciando
scivolare il cellulare fra le dita, finché non ricadde fra le lenzuola come
oggetto privo di attrattiva. Spostò il viso fino a incontrare il profilo di
Ezio che sporgeva dalla sua spalla sinistra, e poggiò le labbra sulla guancia
rasata e morbida, parlando alla sua pelle.
–
Sei stato convincente. – Spinse su di lui, lasciandogli dei baci carezzati e
respirando un po’ del suo odore che sapeva di casa. Ezio si lasciò andare,
inclinando il viso per dargli spazio e godere al meglio delle sue attenzioni.
Chiuse gli occhi e tremò appena per quel ruvido contatto con la barba fine di
Leonardo. Del sonno, adesso, non era rimasta più nessuna traccia.
Ezio
riaprì gli occhi e cinse anche l’altro braccio intorno al collo del compagno,
trascinandolo giù sul materasso con una mossa che era un attacco mascherato da
invito. Il maggiore soffocò una protesta poco prima di finire affondato sul
cuscino. Ogni volta che si avvicinava al riconoscimento che persino Ezio fosse
un essere umano adulto, qualcosa succedeva improvvisamente e le sue convinzioni
regredivano alla certezza che invece fosse solo una bestia di bell’aspetto, vivace
e senza controllo. Prima che potesse esprimere a voce la sua opinione su quella
mossa barbara, le gambe di Ezio si stavano già torcendo intorno ai suoi
fianchi, in una morsa che nemmeno nella lotta greco-romana.
–
E…zio – Borbottò Leonardo cercando di liberarsi dalla stretta della canaglia,
non completamente infastidito da quella costrizione, ma ancora con la voglia di
essere sorpreso. Il più giovane affondò il viso sotto la mascella di Leonardo e
spalancò le fauci, azzannandolo come un Golden Retriever che vuole giocare e
non ha la pazienza di aspettare. Leonardo si arrese alla piega che le sue
labbra stavano prendendo e lasciò sfuggire un sorriso a cui seguì una risata
smorzata, se non altro per i capelli di Ezio che, seppur legati, gli
solleticavano lo zigomo.
–
È inutile, non puoi competere. – Sentenziò Ezio staccandosi dalla sua mascella e
annunciando la vittoria all’orecchio di Leonardo.
–
Non con le energie che mi ha dato la lasagna. – Continuò, con tono ancora più
ridicolmente serio, mentre Leonardo accettava quello stato di cose sorridendo
all’idiozia del ragazzo col quale condivideva molto più di quel letto.
–
Va bene, va bene. Hai vinto, Auditore. –
Batté
il palmo sul materasso in segno di resa –come se mai avesse avuto veramente
intenzione di sforzarsi– e ruotò gli occhi indietro per riuscire a incrociare
la sua faccia e leggere i suoi pensieri. Ezio gongolava con un sorriso da
Vigilia di Natale, e allentò la presa di quel poco per lasciarlo illudere di
essere libero. Sembrava un cane scodinzolante in attesa del biscotto premio.
E
il premio in effetti giunse, ma inaspettato e molto diverso da come se lo era
immaginato: l’artista si sfilò da sotto la testa il cuscino e lo scaraventò in
faccia al più giovane, colpendolo con una precisione imbarazzante. Se il
cuscino fosse stato un calco, i lineamenti di Ezio sarebbero stati riprodotti
alla perfezione in tutti i dettagli. La vittima ciancicò un lamento smorzato e
si accasciò sul materasso, sconfitto in un sol colpo e con ancora il cuscino a
coprirgli chissà quale espressione dipinta sulla faccia.
Leonardo
non perse tempo e con uno scatto che stupì lui stesso si accavalciò sopra Ezio,
accomodandosi sul bacino stretto. Il povero Auditore, con un altro piagnisteo
infagottato dal cuscino, balzò per la sorpresa, tornando però supino per la
pressione che Leonardo esercitava sul suo povero addome, imposta così rude e
inattesa. Continuando a lamentarsi con mugugni soffusi, prese il cuscino e se
lo tirò via dalla faccia, mostrando un cocktail di sconforto e vittimismo negli
occhi.
–
Ti facevo un pacifista Leo… – Si lamentò col fiato corto, portandosi una mano
alla bocca prima di tossire un paio di volte. Leonardo, da parte sua, se ne
stava trionfante sopra lo sconfitto con le ginocchia strette intorno ai
fianchi, un sorriso a mezza luna e i palmi delle mani piantati sui pettorali ben
allenati del compagno. Fingeva di volerlo tenere chino e immobile sul
materasso, ma in realtà voleva solo godersi il tatto di quel corpo perfetto che
aveva la fortuna di poter apprezzare ogni giorno.
–
Mpf. – Leonardo alzò le spalle con ironia, come se la cosa non lo riguardasse,
e lasciò che i polpastrelli affondassero sulla maglia del ragazzo disteso.
–
Sei troppo ingenuo, Ezio. – Concluse fingendo uno sguardo impietosito.
Il
più giovane puntò le piante dei piedi fra le coperte e sollevò le ginocchia
fino a toccare la schiena di Leonardo. Si stava mettendo comodo.
–
Basta lavoro adesso. – Ordinò incrociando le braccia dietro la nuca e lasciando
che l’altro si godesse quel breve momento di vittoria concessa. Gli piaceva accordare
un vantaggio al suo avversario preferito, e quel pensiero era ben espresso nel
sorriso che gli stava rivolgendo, sornione quanto bastava.
–
Ma come? – Fece l’artista con rammarico, aprendo ora le mani verso le spalle di
Ezio, ampie e definite a norma del Canone di Policleto. Si chinò su di lui, abbassando
la schiena e facendo pesare ogni secondo che lo avvicinava al suo profilo
liscio e fanciullesco. Con le mani aperte percorse tutte le braccia fino a
giungere ai polsi, ultimo avamposto prima della testa che nascondeva le mani al
di sotto; li strinse con una forza vestita di fascino dorato, a fargli
intendere che non c’era intimidazione in quel gesto. Il suo respiro si
infrangeva sulle guance di Ezio, tanto gli era vicino, e quegli occhi scuri non
facevano altro che aumentare la sua voglia di scoprire quanto a fondo poteva
scavare. Parlò a bassa voce, mentre il contatto fra i loro corpi accendeva
scintille di cui a breve non sarebbe più stato il padrone.
–
Pensavo di dedicarmi a un altro lavoro, adesso… –
Gli
occhi di Ezio brillarono dal desiderio di partecipare a quelle lusinghe
maliziose, per lui fonte di provocazione e divertimento. Sbatté gli occhi e
riempì i polmoni d’aria, schiudendo le labbra per iniziare la sua parte, ma
venne interrotto prima di poter cominciare: le labbra di Leonardo si
incastrarono con un tetris perfetto nello spiraglio che il più giovane gli
aveva riservato. E lì colpì, senza il bisogno di essere aggressivo e nemmeno
frettoloso; voleva distillare quel momento e sigillarne il ricordo.
Tutta
l’aria di cui l’Auditore si era caricato, la lasciò scorrere via lentamente, permettendo
al suo addome di abbassarsi, rilassato e spontaneo, mentre gli occhi si
chiudevano per raggiungere un altro posto, lontano da quel perimetro di
lenzuola sgualcite e color panna. Ogni muscolo si sciolse, e in un primo
momento le sue labbra non risposero, godendosi quell'attacco dal sapore di
malto. Leonardo accompagnò l’abbandono del compagno, spingendo su quella
morbidezza che non l’aveva mai respinto e dimenticando la notte, il disordine e
ogni scadenza. Quel ritaglio era per lui soltanto, e aveva bisogno di Ezio per
renderlo loro.
Non
contò i secondi di quel bacio, ma quando se ne staccò pensò che non sarebbero
mai stati abbastanza. Permise ai loro occhi di incontrarsi nel silenzio di un
battito accelerato e ai loro nasi di sfiorarsi nell’incertezza della prossima
mossa. Le dita di Leonardo intorno ai polsi di Ezio ormai non erano che
carezze.
–
Ce la fai a restare sveglio ancora un po’? –
Domandò
vicino alla sua bocca, nutrendosi dell’illusione che il contatto fra i loro
respiri non si fosse ancora interrotto. I capelli lunghi e mossi dell’artista
ricadevano nel vuoto coprendogli parte degli occhi chiari, mentre le punte
sfioravano gli zigomi del più giovane che lo guardò come se non avesse nessun
altro al mondo, macchiando poi la purezza di quell’espressione con una punta di
sfida.
–
Ce la fai a starmi dietro? –
Un
sorriso affondò sul volto di Leonardo che scosse la testa un paio di volte, leggero
come una piuma. Quella seducente unione di mitezza e impudenza era ciò che di
Ezio lo aveva stregato, e ciò che gli faceva venire voglia di rimproverarlo ma
anche di baciarlo come se fosse la loro ultima notte sulla terra.
–
Il solito idiota… – Pronunciò in un soffio caldo mentre una voce dentro di lui
gli suggeriva di non perdere tempo, chiudere gli occhi e sfondare a testa china
il muro delle formalità che non apparteneva a quell’ora della notte.
I
loro corpi scivolarono ancora più aderenti, attratti come due cariche di segno
opposto; le bocche si aprirono a cercare quello che mancava per completarsi; e
le dita si intrecciarono in corone di fiori destinate a non appassire. Nella
cornice di una limpida notte di fine estate, rimase solo l’abat-jour a disegnare
le loro ombre sulla parete, unica testimone di un’unione priva di attese e di scadenze,
sancita nella durata non dal tempo ma dai respiri interrotti.