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Autore: lunadelpassato    07/01/2017    0 recensioni
Un capitano dovrebbe essere in grado di fare la prima mossa.
Perché allora è così difficile per lui dichiararsi al suo Primo Ufficiale?
(Entrambi credono che il loro sentimento non sia ricambiato e durante una partita a scacchi il Capitano prova ad esprimere ciò che prova, anche se non va proprio come aveva sperato.)
[TOS ma va bene anche con la AOS se lo desideri ardentemente]
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un capitano deve mantenere il sangue freddo in qualsiasi occasione.

 

Il Capitano spostò il suo re un po’ troppo bruscamente, evitando per un pelo che cadesse rovinando il mosaico di pedine. Tossicchiò come se il suono mascherasse il tremito involontario della sua mano. Si maledì mentalmente. Odiava perdere il controllo.

Non ricordava esattamente quando quelle partite contro il suo Primo Ufficiale fossero diventate una irrinunciabile abitudine, eppure i movimenti tra loro erano così familiari che sembrava lo facessero da una vita; spesso il Capitano si era chiesto inutilmente cosa facesse prima di invitare l’amico a giocare per la prima volta.

I suoi occhi nocciola si spostarono inquieti sui capelli corvini del suo sfidante, ignorando le sospettose iridi nere che evitava dall’inizio della partita.

 

Un capitano deve sempre dare un’immagine di sé solida, autoritaria (e un pizzico egocentrica).

 

Senza sgonfiare le spalle orgogliose o permettere allo sguardo di calare sulle sue mani, il Capitano ingoiò il groppo della tensione con l’aria più convinta che potesse mettere su.

Il Primo Ufficiale lo fissava apatico come suo solito, ma ignorava totalmente il gioco, dimostrando di rivolgere più interesse verso lo stato del Capitano che verso la propria palese vittoria. Non l’avrebbe mai ammesso con se stesso, ma era esattamente così. Lo conosceva abbastanza, dopo tre anni a bordo della stessa nave, da poter riconoscere ogni sua emozione.

Il Capitano lo sapeva. Sentì l’affetto scaldargli il grembo, e quasi sorrise, prima che questo si trasformasse a sua volta, dopo pochi istanti, nel dolore tagliente della paura. Non era ancora il momento. Non doveva ancora pensarci. Decise di non parlare, cercando di togliere dalla mente il nuovo strato di tensione che gli aveva stretto lo stomaco.

Prendendo il respiro che non si era accorto di aver mozzato, sorrise al suo sfidante, aspettando la mossa finale.

Il Primo Ufficiale aspettò sei-punto-tre secondi prima di muoversi. Era troppo facile. Aveva vinto la partita in meno di quindici minuti; assolutamente inusuale. Perché il Capitano era così distratto?

Lo guardò di nuovo, cercando di acchiappare le iridi nocciola nelle sue. Non ci riuscì. Da quando era entrato nella stanza, il Capitano non faceva che evitare il suo sguardo, come se qualcosa lo turbasse al livello di aumentare vertiginosamente il suo stato di tensione.

Il Primo Ufficiale aveva visto molte volte il Capitano crucciato, ma prima di allora non era stato mai tenuto sulle spine da lui per un tempo così lungo.

Inclinò la testa, fingendo di studiare una mossa che appariva palese per osservare l’espressione tesa del suo superiore. Represse il pensiero assurdo che, se avesse accarezzato la guancia contratta del Capitano, la tensione in lui sarebbe diminuita.

Per la dodicesima volta quella sera, alzò lo sguardo in cerca degli occhi nocciola che tante volte gli avevano sorriso; per la dodicesima volta, li trovò sfuggenti.

 

Un capitano può consultarsi con i suoi sottoposti, ma gli spetta la decisione finale.

 

Quando il Capitano perdeva a scacchi, c’era sempre un punto da discutere. Il Primo Ufficiale l’aveva imparato a sue spese, dopo tanto tempo in servizio. Di solito, però, le partite erano decisamente più articolate. Per fargli diminuire tanto l’efficienza nel gioco in cui era solito vincere, qualunque fosse la cosa che dovevano discutere, era particolarmente ostica. Il Primo Ufficiale ignorò un moto di preoccupazione. Era illogico provare quel sentimento, sopratutto durante una partita in corso; anzi, prima questa si sarebbe conclusa, prima avrebbe scoperto ciò che turbava la mente del suo Capitano. Di nuovo, le dita gli formicolarono dal desiderio di toccargli il viso. Soffocò il prurito prendendo la pedina e posizionandola sulla scacchiera.

Il Capitano posò la schiena sulla sedia, sorridendo, ma le sue spalle rimasero dritte e le mani non smisero di tormentarsi. Cercò di convincersi fosse per mantenere un contegno proverbiale e non perché fosse teso come una corda. Ci riuscì. Il suo sguardo rimase incagliato in un punto indefinito oltre il suo sfidante, incapace di mostrare la tensione che lo stava mangiando vivo.

Perché, si chiese il Primo Ufficiale stringendo le labbra, gli esseri umani hanno il vizio di rendere le cose così difficili? Non era logico iniziare un discorso con una partita a scacchi fallimentare. 

Sollevò un sopracciglio, in attesa che il Capitano rompesse il silenzio.

 

Un capitano non può permettersi di togliere la maschera di perfezione che indossa davanti ad altri.

 

Il Capitano arrossì, distolse lo sguardo dal punto fisso e finalmente lo lasciò cadere nelle mani. Non parlò.

Il silenzio che seguì portò il primo ufficiale a pensare.

La questione aveva a che fare con qualcosa di mortificante o imbarazzante. Ne era quasi certo. Magari era la solita domandina sfuggente sulla sua biologia che, per qualche motivo, ognuno in quella nave considerava fonte di curiosità. Lo sperava con tutto se stesso. Dopotutto, c’era una buona probabilità che avesse ragione: una buona percentuale delle domande che gli erano state rivolte erano uscite dalla stessa bocca che ora restava chiusa.

Poggiò la schiena sulla sedia, sperando che inconsciamente il Capitano si tranquillizzasse e ritrovasse le parole. Funzionò in parte: il Capitano rilassò un poco le spalle, ma la parola sembrava ancora reclusa nella sua gola. Eppure, per la prima volta, alzò lo sguardo su quello del suo Primo Ufficiale. Iridi nere e nocciola entrarono a contatto, scambiandosi le microespressioni che entrambi cercavano di nascondere, il Primo Ufficiale per la propria cultura, il Capitano per timore. Il contatto durò pochi istanti.

Il silenzio era rotto, e con lui molta della tensione accumulata sparì. Questa volta il Capitano scoppiò a ridere tanto candidamente che il Primo Ufficiale si permise di sentirsi sollevato. Apprezzò irrazionalmente il colorito che presero gli zigomi del suo superiore.

il Capitano esitò un istante. L’Ufficiale Medico era un suo caro amico, come lo era il Primo Ufficiale. Anche se, pensando alla questione che tanto gli premeva dire… ignorò la corda di tensione pronta a tirare di nuovo il suo stomaco e guardò il Primo ufficiale. Per la prima volta da quando lo aveva accolto nel suo alloggio, il Capitano gli sorrise sinceramente. Il Primo Ufficiale sollevò un sopracciglio e continuò a fissarlo, preoccupandosi un po’ per il colorito molto acceso del Capitano, ma rallegrandosi per il piccolo successo.

 

La tensione era definitivamente rotta. Le mani del Capitano erano tornate ferme e il suo viso era morbido come lo era sempre stato, tanto che si permise un altro sorriso.

Il sorriso del Capitano vacillò solo un istante sull’ultima parola.

Il Capitano annuì sorridendo e si lisciò i capelli biondicci con una mano. Restarono zitti per qualche minuto, mentre il Primo Ufficiale, con la sua solita meticolosità, rimetteva le pedine nella loro posizione originale. Nessuno di loro due voleva fare un’altra partita.

L’alfiere nero rimase bloccato a mezz’aria nella traiettoria che l’avrebbe portato al suo posto. il Primo Ufficiale ragionò con attenzione. Domanda affatto banale, dalla risposta affatto scontata. Domanda decisamente in linea con il carattere del Capitano. Mise la pedina al suo posto e lo guardò, in cerca del pensiero che aveva riscosso tale domanda. Il Capitano si stava di nuovo torturando le mani, anche se era decisamente meno teso rispetto a poco prima.

Il Capitano sentì un immaginario tonfo sullo stomaco, ma non lo diede a vedere. Si finse interessato a continuare l’argomento.

Guardò la scacchiera, ora completamente rimessa a posto. Ne provò un vago piacere.

Il Capitano annuì senza chiedere specificazioni. Di nuovo si perse tra i suoi pensieri provando a girare intorno all’argomento che voleva davvero toccare. Il Primo Ufficiale non lo disturbò.

Di nuovo sembrava nervoso, ma aveva una nuova determinazione negli occhi, qualcosa che il Primo Ufficiale gli aveva visto solo in occasioni critiche. Una parte di sé cominciò a preoccuparsi. La ignorò e alzò un sopracciglio.

Il Primo Ufficiale lo squadrò critico, notando solo in quel momento alcune caratteristiche che prima, per distrazione, non aveva notato. Un leggero rossore aleggiava sulle guance del Capitano, le pupille erano dilatate, le mani avevano ricominciato a giocherellare e i suoi muscoli erano contratti dalla tensione. Aveva osservato abbastanza delle sue emozioni e della sua vita sentimentale movimentata per intuire quale fosse il problema: il Capitano si era innamorato. Di nuovo.

Ignorò il torpore cocente che gli avvolse lo sterno e contribuì a tenere vivo il discorso, finalmente in grado di trovare un motivo alla distrazione tesa che l’aveva accolto in quella stanza.

Il Capitano esitò un istante prima di negare, arrossito tanto che il Primo Ufficiale, non abituato a tanto rosso su un altro essere, temette per l’integrità della sua pelle. Gli occhi marroni del Capitano tornarono a fissare un punto indefinito, incapaci di sorreggere quelli neri del Primo Ufficiale. Non riusciva a sostenerne lo sguardo, conoscendo il punto a cui stava girando intorno da minuti interi. L’orgoglio gli bloccò per l’ennesima volta ciò che voleva dire sulla punta della lingua. Deglutì, sperando di smuovere le parole che gli giacevano sulla punta della lingua, ma dalle sua labbra non uscì altro che un colpo di tosse dato dalla gola secca. Dannazione.

Aveva pochi istanti per trovare tutto il coraggio che aveva a disposizione e rivelare la verità, e non faceva altro che fare la figura dell’idiota, senza riuscire a togliersi dalla testa il pensiero ossessivo di non essere ricambiato.

Aprì la bocca, cercando di forzarsi a dire quelle fatidiche parole,ma i suoi polmoni non emisero aria sufficiente a fare vibrare le corde vocali e la sua lingua non si mosse per formare le parole. Lentamente, non visto, affiorò nella sua testa un pensiero da lui cacciato via troppe volte.

E se non ricambiasse il mio sentimento?

 

Un capitano deve sempre scegliere la cosa più giusta da fare.

 

Chiuse la bocca arida e ingoiò senza davvero averne bisogno. La gola secca gli fece quasi male nell’azione, ma sopportò con calma, mentre il suo Primo Ufficiale, impassibile come suo solito, lo fissava.

La domanda era più che lecita, ma il Capitano era incapace di rispondere. Era dilaniato dalla paura infantile del fare qualcosa di sbagliato. Era tanto confuso che non riusciva a pensare, assordato dal battito lento e doloroso del suo stesso cuore.

Dopo mesi di prove e ripensamenti era finalmente arrivato al bivio; stava a lui decidere se svoltare o tirare dritto senza cambiare nulla. Deglutì di nuovo. Improvvisamente un’altra sensazione, più tremenda perfino del terrore di essere respinto, si aggirava nei suoi pensieri, qualcosa che gli fece cambiare idea all’istante.
Se avesse espresso quello che desiderava tra loro, avrebbe probabilmente perso per sempre la fiducia e l’amicizia del suo Primo Ufficiale. Non c’era possibilità che le cose rimanessero identiche tra loro una volta fatto quel passo. Voleva davvero mettere in gioco la preziosa amicizia tra lui e il suo sottoposto solo per un sentimento egoistico di maggiore vicinanza? Le sue spalle si rilassarono leggermente e smise di tormentarsi le mani. No, non l’avrebbe fatto. il Primo Ufficiale non lo meritava.  Alzò lo sguardo nocciola e mise su il più fiacco dei sorrisi, cercando di ricordare una delle lezioni più importanti che aveva appreso dalla vita: bisognava sempre sacrificare qualcosa per permettere a qualcos’altro di esistere.

<È una cosa da nulla. Ci ho pensato bene e non è nulla di importanza vitale. Solo un dubbio su una questione particolare che si risolverà da sola tra qualche mese, sicuramente. Come ho già detto, nulla di importante. Devo solo… stare da solo per un po’.> Fece una pausa, cercando di rendere il suo sorriso vagamente più autentico.

.

Ignorando il macigno sul suo stomaco, si alzò e si avvicinò alla porta. Sarebbe passata prima o poi. L’importante era ignorarla finché non sarebbe accaduto. Il Primo Ufficiale si alzò di rimando senza togliere un istante gli occhi dal Capitano. Si convinse di non provare affatto una viscida frustrazione, perché sarebbe stata senza senso, e imboccò l’uscita con il solito viso neutro, mentre il Capitano, con il viso girato verso la parete opposta, si mordicchiava assente il labbro inferiore.

Il Primo Ufficiale si fermò sullo stipite, incapace di andare oltre prima di dimostrare in qualche modo la sua curiosità non soddisfatta.

  sussurrò prima di avanzare oltre.

Si convinse che sue parole erano dettate dalla logica, e non dal sentimento fastidioso che gli grattava il petto. Ci riuscì. Le porte degli appartamenti del capitano di chiusero dietro di lui.

 

Un capitano ha il diritto, quando solo, di essere umano.

 

Il Capitano si lasciò andare ad un sospiro tremante. Per lui non era mai stato difficile. Aveva avuto un numero spropositato di amanti ed era stato innamorato abbastanza volte da finire con l’accettare completamente la sua natura romantica. Aveva espresso i suoi sentimenti a dozzine di donne. Eppure non riusciva a dichiararsi al suo Primo Ufficiale.

Sapeva che la paura irrazionale di essere respinto era solo uno dei mattoni che costruivano il muro infinito che si ergeva tra lui e il suo desiderio, tanto quanto era a conoscenza dell’impossibilità di una relazione tra loro.

Impossibilità di una relazione?

La testa del Capitano si alzò di scatto, spalancando gli occhi in un’espressione di estrema sorpresa. Lentamente il peso della paura e della vergogna scivolò via, sostituito da una gradevole sensazione di leggerezza, mentre ogni granello della sua paura era spazzato via all’istante da un sentimento benevolo e trascinante. Aveva capito. Aveva finalmente trovato la sua breccia nel muro. L’impossibilità, tutto stava in quel concetto: paradossalmente, non era un valore infinito. Era impossibile una relazione tra loro in quel momento e in quella circostanza, ma quanti altri momenti e quante altre circostanze ci sarebbero state per poter finalmente esplicitare quello che entrambi sapevano da tempo?

 Il Capitano si guardò allo specchio. Un viso virile con morbidi occhi nocciola ricambiò il suo sguardo risoluto. Si lisciò i capelli biondo cenere con un sorriso, finalmente libero da quel tormento che gli aveva tolto il sonno per molte notti di seguito. Non c’era affermazione più vera: non esistono scenari senza possibilità di vittoria. sussurrò al suo riflesso, allargando il sorriso,

 

Un primo ufficiale ha il dovere di preoccuparsi dello stato fisico e mentale del capitano.

 

Il Primo Ufficiale era seduto sul letto, nei suoi alloggi.

 Il suo sguardo era basso, ma le spalle erano in tensione. Si torturava le mani nello stesso modo che aveva fatto il suo Capitano qualche minuto prima. Ora, nell’intimità che la solitudine poteva dargli, cercava un senso al sentimento ruvido che ancora gli grattava il petto senza sosta, e che in qualche modo non corrispondeva soltanto a curiosità non soddisfatta.
Era impossibile, pensò chiudendo gli occhi, assurdo che lui fosse in grado di provare un sentimento tale. Era assolutamente illogico essere geloso della vita sentimentale di un amico, sopratutto se quella persona in particolare aveva avuto più storie di qualsiasi altro di sua conoscenza. A meno che… il Primo Ufficiale si prese la testa tra le mani, incapace di completare il pensiero. Non ne aveva il coraggio.

Ignorò il tremito della sua voce e ingoiò il groppo che aveva in gola. Perché faceva così fatica, quella sera? Non era la prima volta che usava la meditazione per eliminare sentimenti scomodi, né la prima che sopprimeva quel particolare sentimento. Si concentrò e provò di nuovo a scendere nelle tenebre della sua mente.

th’tash-torkah th’at  por’sene‘hi.

Nella sua lingua natale la frase aveva il potere di riempirlo del senso di dovere e di appartenenza che doveva rispettare abbastanza da permettergli un grado inferiore di tensione. Consolato lievemente dal minimo risultato, rincarò la dose.

Non c’è alcun motivo perché io debba assecondare tutto questo. È così… sbagliato. Non logico.

L’ unica soluzione possibile, in questo caso, è seguire la logica. La logica dice di sopprimere ciò che provi.

La Logica domina le Emozioni.

(To-go Por’sene’hi Hozika)

La tenebra rassicurante della meditazione cominciò a scendere su di lui.

Posso controllarlo. Posso nasconderlo. L’ho sempre fatto, perché ora non dovrei riuscirci?

La Logica domina l’Amore.

(To-go Hozhika’hi Ashaya)

Amore?

Per la terza volta in quella sera, il tanto desiderato stato di meditazione sparì all’istante. Il Primo Ufficiale sbatté le palpebre, accecato dalla luce, anche se soffusa, che illuminava i suoi alloggi. Per qualche motivo che non si sapeva spiegare, quella sera non riusciva a meditare. Sospirò tremante e si concentrò sulle mani, valutando con ciò che rimaneva della sua logica sconfitta una soluzione.

L’unica che gli venne in mente era quello. Per la prima volta, si permise di considerare quella ipotesi, prima rimasta lontana e costante in una parte lontana della sua coscienza.

Reprimere completamente le sue emozioni. Per sempre.

Ci sarebbero voluti anni di pratica, in condizioni estreme, con isolamento completo, nel luogo in cui il suo popolo era solito fare. Eppure, senza altra soluzione, l’avrebbe fatto.

Era l’unico modo per eliminare finalmente quella dannata emozione. Si portò una mano sui capelli e li lisciò all’indietro, scompigliandoli. Il suo sguardo era vuoto e apatico; solo la convinzione portata dalla nuova svolta brillava, nascosta sotto la freddezza, come possono  farlo una decisione illuminante o una estremamente pessima.

Lo faccio per amore.

Tutto quello che avevo bisogno di sapere è questo.

Ora ne sono finalmente a conoscenza.

Raddrizzò la schiena e lisciò il tessuto della divisa senza muovere altri muscoli che quelli necessari all’azione.

Un giorno forse riusciremo a crederci.

(the’s’dva-tordja the’s’kan’ha.)

Se avesse potuto, si sarebbe permesso di ridacchiare, ma si limitò invece a scuotere lentamente la testa. Senza accorgersene, portò una mano alla bocca e cominciò a mordicchiarsi le dita.

Spero solo che quel giorno arrivi prima che sia troppo tardi.

Scosse la testa e schiacciò quel pensiero fino a renderlo invisibile. Eppure, come un martire, fu seguito da mille altri.

Amore.

(Ashaya)

No. Non è praticabile.

Devi dimenticarlo. Rimuovi il sentimento.

Fallo per te stesso. Fallo per il Capitano. Fallo per la nave.

Non posso-

Puoi. Devi solamente riuscirci. Concentrati.

Ma io-

Concentrati.

Con un respiro tremante, il Primo Ufficiale chiuse nuovamente gli occhi neri. Questa volta funzionò. Lentamente, soddisfatto dal successo personale, scivolò nella tenebra.





















note dell'autrice:
Piccola cosina angst in omaggio alla coppia slash per eccellenza. Si, in teoria può andare bene per qualsiasi cosa contenga un capitano e un primo ufficiale, ma nella mia testa c'erano quei due disgraziati, quindi ho optato per questa perla di fandom.
  
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