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Autore: Relie Diadamat    08/01/2017    1 recensioni
Se due persone sono destinate si ritroveranno sempre e comunque. Non importa come, non importa dove e nemmeno quando.
Mark la guardò incredulo mentre le luci le coloravano la pelle d’oro, riaccendendo vecchi ricordi, immagini sempre più nitide. Era da un mese che viveva con quella sensazione nelle ossa, come se il nastro si fosse riavvolto e un bel film cominciasse daccapo.
«Mark…»
La voce di Lexie era un dolce richiamo, una carezza accogliente e un’eco lontanissima che tornava a fargli visita, pizzicandogli le orecchie.
D’un tratto, gli fu chiaro cosa fare. Come se fosse
destinato.
[Slexie, Christmas!AU; una seconda possibilità per un amore destinato ad essere.]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Sheperd, George O'Malley, Lexie Grey, Mark Sloan, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Nda: Buon salve! Sono finalmente ritornata.
Sì, le feste sono finite ma la mini-long natalizia... prosegue.
Questo sarà un capitolo un po' di transizione, ma presto entreremo nel vivo della storia. Chi vorrà, leggerà!
Ringrazio con tutto il cuore le splendide persone che hanno aggiunto la storia nelle varie categorie, coloro che hanno letto in silenzio e la dolcissima Flox che ha recensito lo scorso capitolo. (Ti risponderò al più presto!)
Buona, spero, lettura!



 
A Flox,
che non solo è la regina degli Addek, 
ma anche delle storie natalizie.


II. Chapter Two
 


Mark Sloan era uno stronzo.
Lexie oltrepassò di malumore l’ingresso irritata da tale convinzione, ribadendolo a gran voce in cucina, dove il profumino allettante delle patate cotte al forno la guidò: «Mark Sloan è uno stronzo!» E a testimoniarlo ci sono i miei nervi e le mie ossa fatte a pezzi.
«Lexie!» La voce ammonitrice di sua madre non tardò ad arrivare, con la sua occhiataccia di rimprovero. «Non voglio più sentirti dire simili parole».
«Scusa».
 Lexie sospirò mestamente, lasciandosi calmare dall’aroma invitante di rosmarino che si era diffuso in tutta la stanza. Aveva una fame da lupi e non vedeva l’ora di avventarsi sulla deliziosa cenetta che sua madre aveva preparato; per un attimo, ebbe persino l’impressione di sbavare come un cane.
«È che… non lo sopporto! Quel tizio è…» Lexie si sforzò di utilizzare una qualsiasi parola non volgare da affibbiare a quello chef arrogante e pieno di sé – almeno non sotto lo sguardo vigile di Susan -, ma l’unica cosa che le venne in mente fu: «incredibile. Davvero incredibile».
Susan si pulì le mani con uno straccio. «Mark Sloan? Un nuovo collega?»
«Mi ha reso la giornata un inferno!» sbottò Alexandra, in preda alla collera riaffiorata al ricordo dell’uomo. Per colpa di quel tizio, non riusciva a sentirsi più né il braccio né la schiena.
La giovane Grey sarebbe comodamente andata avanti per ore ad insultare Mark Sloan col pensiero – guastandosi quel piccolo momento di pace dedicato alla cena -, se Susan non le avesse rivolto un dolce sorriso dei suoi, placando di getto la sua collera. «Oh, andiamo. Non ti sembra di esagerare?»
Lexie le avrebbe risposto volentieri che no, non stava esagerando per niente, ma poi sua madre singhiozzò e un brivido freddo le attraverso la schiena. «Tutto bene?» le chiese svelta, come se si trattasse di una questione di vita o di morte.
«È solo un singhiozzo», la rassicurò divertita. «Ora mi passa. Piuttosto, fatti una bella doccia che la cena è quasi pronta».
Non era la prima volta che succedeva.
Susan Grey non era solo sua madre, ma anche la donna più dolce e compassionevole che Lexie avesse mai conosciuto nella sua vita. I tratti del suo viso erano gentili, i capelli biondi come il miele più prelibato del mondo. Le voleva un bene dell’anima ed era davvero felicissima di averla ritrovata, tornando in quel paesino qualche annetto addietro, eppure Lexie non avrebbe saputo rispondersi del perché avesse così tanta paura di perderla, anche solo per un innocuo e stupidissimo singhiozzo. Era irragionevole, ma tremava tutte le volte.
In parte, tutta quell’ansia era dovuta all’assenza di suo padre. Sembrava assurdo, eppure era passato talmente tanto di quel tempo che Lexie neanche lo ricordava. Sapeva che c’erano stati altri giorni, sapeva che suo padre c’era stato… ma se provava a sforzarsi, a ripensare alle domeniche passate insieme, tutto ciò che le tornava alla mente era il nero più assoluto. Ed è preoccupante se detto da una ragazza con la memoria fotografica.
Smise di pensarci, seguendo il consiglio della madre, fiondandosi in bagno per una bella doccia calda.
Una volta sotto il getto rilassante dell’acqua, Lexie chiuse gli occhi godendosi il terapeutico effetto che aveva sulla sua pelle; si massaggiò del sapone sul corpo, arrivando quasi ad allontanare dalla sua mente quel pallone gonfiato, qual era Mark Sloan, che l’aveva costretta a pelare patate come un’incapace e a cuocere due volte una stupidissima bistecca di vitello. Come se io non sapessi arrostire una stupidissima fetta di carne!
“È un orrore”, le aveva detto, schernendo con disgusto la terza Mashed potatoes pronta per essere impiattata – manco si fosse trattato di una cesta piena zeppa di teneri coniglietti in fiamme. “Un bambino di cinque anni saprebbe fare di meglio”.
“Ne dubito fortemente!”
“Sei una semplice aiutante, perché mi parli?!”, aveva borbottato accigliato, indicandole col mento le patate ancora intatte in un angolo della cucina. “Pelami quelle, se ne sei capace.”
“Non sono un garzone di cucina!”
“Ne dubito fortemente.”
Lexie si era morsa la lingua per non rispondergli a dovere, gonfiando le guance come una bimba indispettita ingoiando l’orgoglio ferito. Se voleva la guerra, guerra sarebbe stata: Alexandra si era ripromessa di pelare tutte le patate che avevano in cucina, anche tutte le patate del mondo se fosse stato necessario, ma Mark Sloan si sarebbe rimangiato le sue offese. Una per volta.
Ma alla fine, le aveva a stento dedicato un mezzo sorriso di finto compiacimento per lo sforzo e l’impegno con cui si era dedicata al compito che le aveva affibbiato – e che nemmeno le spettava -, lasciandola amareggiata, irritata e con le ossa a pezzi.
Sentì l’acqua scivolarle lungo il braccio, quello che si era insaponato da poco, e per un momento il tempo sembrò fermarsi. Non me lo sento più, era l’unica cosa che riusciva a pensare e d’un tratto ricordò un piccolo particolare che per la collera l’era sfuggito: era capitato allo Shepherd’s, prima che Mark Sloan iniziasse a bacchettarla come una scolaretta indisciplinata; era durato meno di un secondo, le aveva sfiorato una mano con le dita mentre lei gli passava un coltello e un momento dopo Sloan era lì a puntarle un dito contro, invecchiato di qualche anno e pronto ad ammonirla con un secco e deciso: «Smettila!»
Ma il pallone gonfiato non aveva aperto bocca. Era impallidito di colpo, pietrificandosi sul posto come una statua di marmo, quasi avesse visto un fantasma. Solo allora le aveva gridato contro e aveva cominciato a inveire contro di lei, ritenendo il suo lavoro sciatto e insulso senza nessuna ragione apparente. Non per Lexie, ovviamente.
 

 
*
 
Etchi!
«Salute!»
Mark ignorò bonariamente il sorriso limpido e smagliante di Derek, tirando su col naso con un moto di fastidio.  «Odio tutta questa neve!» si lagnò, mentre affondava la scarpa nel bianco gelido che aveva coperto il marciapiede. «Finirò per ammalarmi».
«Lascia in pace la neve», ridacchiò quello, apparentemente a suo agio nel suo montgomery blu scuro. «Se continui di questo passo, sarà la tua negatività a stenderti».
«Come può piacerti un posto come questo?» Mark strinse le mani avvolte nei guanti neri – alquanto inutili -, sperando in un pizzico di calore. «Persino Babbo Natale scapperebbe a gambe levate».
Derek scosse il capo divertito. «Ti lamenti troppo».
Sorpassarono il cancello che Shepherd si accertò di richiudere subito dopo, avviandosi verso le scale che davano alla porta d’ingresso – già ornata con un vischio. Mark non mancò di notare la neve caduta sulle tegole del tetto spiovente, né il modo in cui la luce calda del lampione illuminasse quel soffice freddo solido.
La casa di Derek sembrava letteralmente uscita da una cartolina natalizia, con tanto di alberi spogli e una lunga scia di fumo che fuoriusciva dallo sfiato del camino.
All’interno, la situazione non era poi tanto differente, ma Mark non ebbe niente da ridire, ben lieto di beneficiare del calduccio confortante del caminetto acceso.
Christopher Shepherd era seduto in soggiorno, impegnato a sfogliare il giornale; appena li sentì entrare dedicò loro un sorriso genuino, di quelli che si offrono alle persone care dopo un lungo periodo di lontananza.
Ma erano state soltanto ore, ad averli divisi.  
«Siete tornati.» L’uomo continuava a sorridere con quella strana luce negli occhi, un misto di malinconia e sincera serenità. «Vi ho preparato la cena. Nulla di complicato, badate bene. Non accetto critiche nella mia sala da pranzo».
«Non ne riceverai. Non eri tenuto a farlo.» Derek posò cappotto, guanti e cappello e Mark fece lo stesso.
Sloan si avvicinò al fuoco scoppiettante, godendosi il tepore che gli offriva; erano successe cose strane, quel giorno, e mentre strofinava le mani tra loro gli sembrò di rivivere una scena passata: stringeva qualcosa di freddo, qualcosa che si ostinava a riscaldare senza successo. Qualcosa che non si sarebbe più mosso.
 «Certe abitudini sono dure a morire.» La voce di Christopher arrivò alle orecchie di Mark come una carezza tagliente, un gomitolo di lana con le spine. Quando alzò lo sguardo per incontrare quello dell’uomo, ne riconobbe un velo mesto e impercettibile ad oscurarne l’azzurro calmo, come se fosse assente. Perso in un punto discosto anni luce da quella casetta immersa dalla neve, di un paesino che nessuno conosceva. «Ti si attaccano… dentro».
Allora anche Derek sembrò accorgersi di quella piccola ombra negli occhi del padre. Corrugò la fronte preoccupato, lanciando un’occhiata al telefono muto poggiato sul piccolo tavolino accanto alla poltrona di Christopher. «Ti hanno più chiamato, poi?»
L’uomo sembrò ritrovare la pace. «No, non ancora.»
Per fortuna, sembrava sussurrare ogni piega del suo volto.
Derek annuì, scambiando uno sguardo con Mark. «Sarà meglio cenare, prima che si freddi».
Mark lo assecondò senza battere ciglio. «Concordo».
Christopher li raggiunse quando la tavola contava di due piatti e tre bicchieri. Si avvicinò allo scolapiatti, prendendone più del necessario.
«Ne serve solo uno, signor Shepherd» gli fece nota Mark, indicando con lo sguardo la pila di piatti che l’uomo sorreggeva.
«Oh, già.» Christopher scosse il capo dinanzi ad un Derek confuso. «Me ne dimentico sempre».
Nessuno riusciva a capire il perché, nemmeno Derek, eppure Christopher Shepherd ogni giorno apparecchiava per un reggimento e aspettava seduto sulla sua poltrona una chiamata da chissà chi. Mark aveva capito solo una cosa: quando Derek aveva chiamato, Christopher aveva risposto all’istante. Con un mezzo sorriso mesto.
 

*
 
«Devo dirti una cosa».
Derek distolse gli occhi dal televisore per indirizzarli sul volto dell’amico. «Non puoi portarti a letto i dipendenti del mio ristorante».
«Cosa?» Mark crucciò la fronte offeso dall’insinuazione dell’altro. «Non è di questo che volevo parlare, e poi non mi serve la benedizione di nessuno per sfilarmi i pantaloni».
«Si tratta del mio ristornate, quindi cambia tutto».
«Sei solo invidioso».
Derek rise, abbassando il volume della tv al suono dello sparo – Christopher non riusciva a sopportarli e riuscivano a svegliarlo all’istante, anche ad un piano di lontananza.
«Comunque», riprese Sloan, cercando di trovare le parole sul palato,«ho fatto un sogno, l’altra notte. Veramente, è più incubo e si ripete da quasi una settimana: c’è una ragazza-»
«Oh, ti prego!»
«C’è una ragazza», ripeté infastidito Mark, «con gli occhi scuri, che piange. Mi chiede di stringerle la mano e… muore. Tutte le notti. È così reale…» Mark guardò Derek con una vaga speranza alla bocca dello stomaco, chiedendogli: «Ti è mai capitato una cosa simile?»
Derek sembrò rifletterci su per un po’. Gonfiò le guance e cacciò fuori l’aria in meno di un secondo, poi si fermò ad osservare un punto morto del salotto. «Non è mai chiaro, non riesco mai a capire quello che succede… ma c’è lei. Ha un bel sorriso anche se il volto è cupo e torbido. Lei è lì, ed in qualche modo io… la prendo. La scelgo. La…» Fece una smorfia strana, passandosi una mano sul viso. «Non è mai chiaro, non riesco mai a capire quello che succede».
Eppure Mark credette di sapere cosa accadeva.





 
 
Relie's Corner

Come vi ho detto, era solo un capitolo di transizione e bhe, se qualcuno ha capito qualcosa... 
Spero di farmi viva al più presto, augurandomi di non trasformare in long questa... mini-long.
Pareri sempre graditi.
Alla prossima! 
   
 
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